ROSA LUXEMBURG
A cura di Simona Verchiani e di Diego Fusaro
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All’interno della Socialdemocrazia tedesca, si vennero a formare diversi schieramenti che si proponevano obiettivi differenti e, non di rado, contrastanti: la polacca Rosa Luxemburg (1870-1919) si collocò sulla linea estremista e rivoluzionaria, rivelandosi ostile sia al revisionismo di Bernstein sia all’ortodossia di Kautsky. Rosa Luxemburg nacque in Polonia nel 1871, anno della Comune di Parigi. Nel corso della sua breve vita, conobbe tre grandi rivoluzioni e prese parte ai più importanti dibattiti tra i socialisti internazionali. Questi non avevano un modello di rivoluzione socialista di successo ma erano alle prese con il problema dei lavoratori e del come essi avrebbero dovuto lottare e prendere coscienza del bisogno di cambiamento della società. Rosa fu marxista, creativa e ragionevole, pronta a difendere le idee di Marx ed Engels ma predisposta a svilupparle, se necessario. Fu coinvolta in politiche rivoluzionarie quando frequentava ancora la scuola in Polonia. All’età di 18 anni, una repressione di Stato la forzò all’esilio presso Zurigo. Quando si trasferì in Germania, nel 1898, si era già affermata tra i socialisti internazionali come pensatrice marxista. Si attivò all’interno del partito socialdemocratico tedesco, il più grande partito a favore della classe operaia del mondo. Schieratasi fermamente nel 1914 contro l’adesione della Socialdemocrazia alla guerra, abbandonò il partito, giudicandolo ormai un “cadavere maleodorante”; e nel 1915 fondò insieme a Karl Liebknecht la Lega di Spartaco, un movimento collocato sull’estrema Sinistra e che prendeva il nome da quello Spartaco che aveva condotto la rivolta degli schiavi a Roma e che tanto caro era a Marx stesso. Proprio la Lega di Spartaco, dopo il conflitto, promuoverà la fondazione del Partito comunista tedesco. Quando nel 1919 partecipò all’insurrezione operaia, la Luxemburg fu brutalmente massacrata dai soldati inviati dal governo socialdemocratico a soffocare tale insurrezione. Mentre veniva condotta in carcere, il suo cranio fu sfondato a colpi di calcio di fucile e il suo corpo fu gettato in un fiume, per poi ricomparire parecchio tempo dopo. Al cuore della riflessione della Luxemburg sta il problema di come stia evolvendo il capitalismo nella cornice della nuova epoca, caratterizzata dall’imperialismo più sfrenato, dalla politica coloniale condotta ferocemente dalle potenze europee, dalla sempre più forte tendenza alla formazione di monopoli. Questi tratti peculiari del capitalismo novecentesco, già colti da Rudolf Hilferding in Il capitale finanziario (1910), portano la Luxemburg a trarre le seguenti conclusioni, nell’opera L’accumulazione del capitale (1913): la crisi definitiva del capitalismo, che lo porterà inevitabilmente al crollo, è da lei ravvisata nella formazione del monopolio nella fase più matura del capitalismo. Tale fase è rappresentata dall’imperialismo, che s’impadronisce gradatamente di sempre nuove aree di mercato nei paesi che ancora non conoscono lo sviluppo capitalistico. Questa dinamica, però, determina al tempo stesso il limite di sviluppo del capitalismo, che a un certo punto si trova privo di possibilità di espansione del mercato: in questa situazione diventa non possibile, ma necessario il crollo del capitalismo di fronte alla rivoluzione proletaria. La transizione dal regime capitalistico al socialismo non può secondo la Luxemburg avvenire mediante il dibattito parlamentare (come invece credeva Bernstein), ma soltanto per via rivoluzionaria, mediante la sollevazione spontanea delle masse e non attraverso la guida dall’alto di un partito. Proprio per questa ragione, nel 1917, la Luxemburg saluterà dapprima con grande entusiasmo la Rivoluzione Russa per la sua spontaneità, ma ben presto ne condannerà gli sviluppi dittatoriali, già embrionalmente presenti nel fatto che essa era stata guidata dall’alto da un partito e non dal basse delle masse spontaneamente organizzate. Nell’attenta analisi della Luxemburg, viene dato molto peso al militarismo: esso ha svolto, da sempre, un ruolo decisivo nello sviluppo del capitalismo, rendendo possibile la conquista manu militari di interi continenti e la proletarizzazione degli indigeni; il militarismo ha poi giocato un ruolo decisivo come arma della lotta di concorrenza fra paesi capitalistici per il controllo di aree non ancora capitalisticizzate. Il militarismo è dunque il più fruttuoso alleato del capitalismo. Sicché, secondo la Luxemburg, è la guerra (come esito necessario del capitalismo), ancor più delle crisi economiche, a rendere necessaria la rivoluzione. Il marxismo della Luxemburg si pone in netta rottura tanto con quello di Kautsky quanto con quello di Bernstein: contro Kautsky, ella rifiuta l’idea dell’inevitabilità del socialismo, il quale è a suo avviso una possibilità all’interno della storia; e però accetta l’idea dell’inevitabilità del crollo del capitalismo, crollo determinato dalle motivazioni poc’anzi esaminate: quando il capitalismo sarà (e lo sarà necessariamente) crollato, si potrà scegliere tra l’alternativa del socialismo o quella dell’anarchia, intesa negativamente come degenerazione. L’alternativa si configura allora come “socialismo o barbarie”, secondo un’espressione cara alla Luxemburg. Ella è altrettanto risoluta nel rigettare le tesi di Bernstein: il socialismo, lungi dall’essere una possibilità soggettiva o un’idea in senso kantiano, è una necessità storica anche se non “destinale”. Ciò significa che nella storia non c’è nulla di fatale, ma neanche nulla di arbitrario. Proprio per questo motivo, è necessaria una lotta quotidiana del proletariato per favorire il crollo del sistema capitalistico. In una ricca serie di articoli raccolta sotto il titolo Riforma sociale o rivoluzione? (1989) ella si propone di distruggere le teorie di Bernstein: l’errore commesso dal padre del revisionismo sta nell’aver rifiutato la dialettica come base del marxismo, precludendosi la possibilità di comprendere la totalità del processo storico e le contraddizioni che in esso si annidano. Vittima della stessa analisi atomistica della società compiuta dai borghesi, Bernstein non ha saputo vedere come, al di là delle congiunturali e non decisive contraddizioni che lo caratterizzano, il capitalismo rechi entro di sé l’insanabile contraddizione tra una sempre maggiore produttività e una sempre minore capacità di smerciare i prodotti. Riforma sociale o rivoluzione?, se letto in trasparenza, costituisce anche un’agguerrita polemica contro la posizione ortodossa di Kautsky: questi è accusato di considerare il rapporto tra le riforme e la rivoluzione in maniera estrinseca e meccanica, con la conseguenza inaccettabile che la mèta finale del socialismo resta slegata dall’operare quotidiano della classe operaia. Nel determinismo kautskyano, il vero obiettivo del socialismo resta indeterminato e proiettato in un futuro troppo lontano: la conclusione di ciò è che gli operai non agiranno per far cadere il capitalismo. Sicché, paradossalmente, per Kautsky non meno che per Bernstein vale il motto “lo scopo finale è nulla, il movimento è tutto”. La Luxemburg si trova (seppur solo provvisoriamente) d’accordo con Lenin nel propugnare la versione rivoluzionaria e dialettica del marxismo: come abbiamo detto, quando la Rivoluzione Russa si capovolgerà in dittatura sul proletariato, ella dissentirà dal rivoluzionario russo. Ma ella si era già schierata apertamente contro Lenin allorché ne aveva aspramente criticato l’opera Che fare?. Contro le tesi di Lenin, ella aveva sostenuto che nessun comitato centrale del partito è in grado di supplire all’assenza o all’immaturità di un movimento operaio sviluppato. Perché ci possa essere una rivoluzione, ci vuole un movimento operaio ben organizzato: non basta (come s’illudeva Lenin) un ben organizzato partito fatto di pochi intellettuali. La Luxemburg fa sempre e di nuovo leva sulla spontaneità del movimento operaio, dalla cui iniziativa dipende la rivoluzione. Dopo lo scoppio della rivoluzione del 1905 in Russia, ella sostenne a più riprese che si trattava di far sviluppare il più possibile i soviet, da lei intesi come espressioni di una più alta forma di democrazia rispetto a quella borghese. Nello scritto La rivoluzione russa (1918), composto in carcere, la Luxemburg conduce una sferzante requisitoria contro il leninismo, accusandolo di essersi presto capovolto in una dittatura e di aver erroneamente inteso come reciprocamente elidentisi democrazia e dittatura: si tratta invece di coniugare queste due componenti, dando vita ad una dittatura di classe caratterizzata dalla massima partecipazione delle masse popolari in una “democrazia senza limiti”.