Gabriel Bonnot de Mably
A cura di Diego Fusaro
Gabriel Bonnot de Mably nacque a Grenoble il 14 marzo del 1709 e morì a Parigi il 2 aprile del 1785. La sua opera è sospesa tra «riflessione filosofica» e «critica sociale». Vissuto in una famiglia della nobiltà parlamentare, fu amico del filosofo Condillac, teorico del «sensismo». Mably ha denunciato i limiti del «dispotismo legale» (Doutes proposés aux philosophes et aux économistes sur l'ordre naturel et essentiel des sociétés politiques , 1768), e ha criticato con impeto il sistema politico inglese, accusandolo di subordinare il potere legislativo all’esecutivo. Il suo nom,e è legato soprattutto al suo progetto utopico di rinnovamento della società su nuove basi comunistiche. In questo senso, come Morelly, egli può essere con diritto considerato uno dei fondatori di quel “socialismo utopistico” tratteggiato nelle pagine del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels: anch’egli, come più tardi faranno Saint-Simon, Fourier e Owen, immagina una società giusta (e comunisticamente strutturata) da realizzare. Certo, il suo – proprio perché le sue radici affondano nell’immaginazione e non nel “movimento reale della storia”, per utilizzare un’altra espressione marx-engelsiana – resta un utopismo astratto, incapace di fare presa sulla realtà. Ma il fatto stesso che egli vagheggi con tanta forza una società “altra” già racchiude in sé – proprio come sarà per Saint-Simon, Fourier e Owen – fortissimi elementi di critica sociale indirizzati contro la reale società del suo tempo. In particolare, il pensiero di Mably è percorso da un’aspra polemica contro la società d’Ancien Régime, di cui denuncia le ingiustizie e – rivelandosi in ciò figlio del suo tempo – il carattere intrinsecamente irrazionale. Nella sua opera, comunismo e illuminismo si coniugano armoniosamente, essendo la società comunisticamente strutturata il modello di esistenza sociale più giusto e più razionale. Anch’egli, come Morelly e secondo un topos che deve la sua fortuna soprattutto all’opera di Rousseau (benchè fosse stato tematizzato per la prima volta da Platone nella Repubblica ), ravvisa la scaturigine dei mali che affliggono la società presente nella proprietà privata : è da essa che nascono l’egoismo, l’avidità e l’invidia, da cui poi discendono tutti gli altri mali (sociali e individuali) che costellano la società. La ragione impone pertanto di abolire la proprietà privata e di ristrutturare su basi comunistiche la società: solo per questa via diventa possibile risanare la società stessa e la vita dei singoli individui. E alla luce di queste consioderazioni che Mably difende apertamente, nei suoi scritti, la soppressione della proprietà privata e l’attuazione dell’uguaglianza degli uomini. Il progetto comunistico di Mably trova espressione soprattutto in due scritti: Observations sur l’histoire de France (Osservazioni sulla storia della Francia ), del 1765, e De la législation ou Principe des lois (Della legislazione o principio delle leggi ), del 1776. Va segnalato che, in Mably, il progetto «futuro-centrico» di una società comunista da attuare nell’avvenire si fonde con l’ammirazione per il passato, e in particolare per la società spartana: egli, infatti, prova sincera ammirazione per la virtù e per la frugalità dell’antica Sparta – intesa, non senza forzature, come prima forma di società comunista della storia –, intesa come modello da raggiungere. In questo modo, il futuro a cui aspira Mably si configura come un ritorno al passato, concepito come più giusto e migliore rispetto al presente. Il modello della vita giusta e del cittadino virtuoso è, agli occhi di Mably, l’antico Focione, alla cui figura egli dedica l’opera del 1763 intitolata Entretiens de Phocion sur le rapport de la morale et de la politique (Discorsi di Focione sul rapporto tra la morale e la politica ). In definitiva, se anche il progetto di palingenesi della società umana tratteggiato da Morelly resta utopico e irrealizzabile (non da ultimo perché si richiama a una Sparta idealizzata e mai esistita storicamente), ciò non di meno – e qui sta il punto fondamentale – la sua denuncia delle ingiustizie della società reale, sospesa tra egoismo e avidità, resta di una potenza (e di un’attualità) straordinaria. Secondo le riflessioni marx-engelsiane del Manifesto del partito comunista , il «socialismo utopistico» pecca di astrattezza e, per l’appunto, di utopismo, ma al tempo stesso è in grado di denunciare e di criticare le ingiustizie della società presente, mettendo a nudo le contraddizioni e le storture di cui è intessuta.