L’EDUCAZIONE DELLA PERSONA SECONDO MARITAIN
di Antonietta Pistone
L’Educazione della persona[1] è un volume che raccoglie gli scritti di interesse pedagogico del Maritain, prospettati in una visione neo-tomistica. L’autore è fermamente convinto della necessità di una fondazione filosofica della Pedagogia, e distingue i fini educativi dai mezzi, dai metodi e dagli strumenti utilizzati per raggiungerli. Lo stesso concetto di educazione, che non è attività umana rilevante esclusivamente per il suo significato pragmatico, presuppone l’idea di uno sviluppo finalizzato, entro cui si debbano intuire gli obiettivi formativi, interpretati come prospettiva ultima del processo evolutivo didattico, sempre in fieri relativamente agli orientamenti adottati e alle persone coinvolte. Solo dandosi un indirizzo filosofico la Pedagogia potrà acquisire la struttura ed il valore di una scienza autentica. Ma la sola Pedagogia possibile, per il Maritain, è quella cristiana che si avvale dell’orientamento proprio dell’umanesimo integrale che, da Aristotele fino a tutto il pensiero cattolico, interpreta l’uomo come sinolo di anima e di corpo, unità inscindibile ed indissolubile di spirito e materia. Il personalismo pedagogico ne è la disposizione corrispondente, che rivaluta profondamente sia la personalità del maestro che quella del suo discepolo, nella relazione educativa tra i due soggetti intercorrente. L’educazione liberale è il fine di questo approccio formativo, che deve fornire allo studente una conoscenza generale di base, non di tipo nozionistico ma secondo verità e bellezza, che divengano apprendimenti significativi in vista di una comprensione quanto più possibile ampia ed universale. L’inclinazione tecnico-professionale, indispensabile per poter accedere alla dimensione del lavoro e della operosità sociale, è comunque secondaria rispetto alla formazione liberale, che investe l’uomo nella sua interezza e globalità. L’idea tomistica di persona riguarda l’aspetto dell’intelligenza, oltre e più rispetto a quello della sensibilità empirica. L’empirismo inglese, infatti, considera l’uomo solo ed esclusivamente alla stregua delle sue capacità di percezione, e l’intelletto come facoltà di livello superiore a quella dei sensi, ma solo per gradi di differente intensità. Laddove la concezione tomistica reputa le facoltà intellettive diverse ed altre, superiori, qualitativamente parlando, rispetto a quelle che coinvolgono le sensazioni semplici. Il personalismo rifiuta, inoltre, le tesi puramente naturalistiche, che riducono l’uomo ad un insieme di bisogni e di interessi individuali; così come quelle socialistiche, che considerano l’educazione un «allevamento di un animale per l’utilità dello Stato»[2]. Questi due orientamenti sono ritenuti da Maritain il risultato dell’immanentismo moderno, che ha finito per negare ogni valore alla trascendenza umana, chiudendo l’uomo nelle diadi uomo-natura e uomo-società. Solo il personalismo rappresenta, invece, il richiamo ai valori. In quest’ottica, vanno perciò distinte dall’educazione una teoria dell’educazione ed una tecnica dell’educazione: la prima riguarda la pragmatica dei processi formativi, spesso e volentieri spontanea e non razionalizzata; la seconda si occupa dei principi filosofici cui deve ispirarsi un avviamento pedagogico; la terza concerne l’applicazione pratica di quegli obiettivi di propensione pensati in sede teoretica. Il personalismo ritiene imprescindibili direttive dello sviluppo l’orientamento e i valori educativi, piuttosto che la prassi, contrastando, di fatto, l’approccio americano, per una pedagogia ispirata agli scopi della società democratica e libera. Partendo dal presupposto che la conoscenza umana, che è ritenuta in se stessa un fine, muova dall’intuizione e non dai problemi reali, ogni apprendimento deve poi ricondursi alla verità, conformemente a ciò che esiste oggettivamente, come essere del reale. Scopo e gioia della conoscenza sono disinteressati, perché vengono riconosciuti come valori in se stessi. La verità fa l’uomo libero, e l’educazione liberale compie questo cammino di liberazione delle coscienze, che cercano la verità e la sapienza come beni. Il possesso della scienza è sempre acquisizione di un sapere tecnico, inferiore a quello della sapienza, che è godimento della verità, del bene e della bellezza, cui deve tendere ogni insegnamento che voglia instaurarsi come habitus significativo per il soggetto. L’intelligenza naturale, che apprende scientificamente, differisce dall’intelligenza delle virtù intellettuali, che si perfeziona in sapienza. Ogni educazione liberale ha il compito di formare all’intelligenza delle virtù intellettuali, passando attraverso l’intelligenza naturale delle scienze. E diviene, in tal modo, educazione ai valori, etica e scienza del bene. Maritain insiste sulla differenza tra l’individuo, sottoposto alle leggi naturali e a quelle dello Stato, e la persona, che trascende sia la natura che lo Stato. L’uomo è persona, in quanto valore in se stesso, che si evolve nella Storia attraverso le leggi dell’amore. Entro tale visione umanistica si deve superare l’approccio razionalistico di Cartesio, caratterizzato dal dualismo anima corpo, in favore della posizione tomistica, che recupera l’unità inscindibile della persona umana. Anche l’educazione deve perciò modificare i suoi metodi in tale direzione, valorizzando una formazione intellettiva rivolta alla contemplazione dei valori elevati dello spirito, onde evitare lo specialismo tipico dei tecnicismi, che svalutano la dimensione olistica a vantaggio di una tendenza parziale ad una sola dimensione di sviluppo. Ciò non vuol dire affatto discriminare l’educazione alla manualità, che deve invece essere favorita perché l’orientamento all’applicazione pratica delle abilità conseguite diventi uno degli obiettivi formativi delle scuole di ogni ordine e grado. La formazione teorica deve di necessità accompagnarsi anche all’educazione alla mano, che libera dalla schiavitù della disabilità e della incompetenza pratiche, facendo ad un tempo percepire ai fanciulli il valore liberatorio delle virtù intellettuali, che sono da intendersi come pregio a se stesse, da conseguire come fine e scopo dell’impegno, piuttosto che come mezzi per ulteriori e diversificati obiettivi esistenziali, quali il denaro ed il potere, la competitività, nelle società capitalistiche contemporanee, che hanno smarrito del tutto i valori della persona e dell’intelletto. Il post-moderno ha difatti svuotato l’uomo di ogni pregio intrinseco, ed ha finito col prediligere ed elevare ad obiettivi dell’attività sociale il nichilismo strumentale del tecnicismo competitivo e scettico, fondato sulla preminenza del potere politico conferito dal denaro e dal capitale. Al contrario, una educazione che abbia di mira quegli aspetti contemplativi propri di chi coltiva le virtù intellettuali riesce a creare in classe un clima di operoso silenzio fondato sulla capacità di concentrazione e di meditazione di cui sono capaci anche gli allievi molto piccoli dei gruppi di lavoro montessoriani. La facoltà contemplativa è tipica del pensiero intuitivo e se si mostra con criterio di priorità nei bambini fino alla comparsa del pensiero discorsivo e del linguaggio, è anche vero che la si può accrescere nel tempo, formandone l’abitudine, dopo averla adeguatamente stimolata ed esercitata in maniera duratura. Per incentivare lo sforzo alla meditazione e alla concentrazione in vista della contemplazione intellettuale è necessario formare ad un metodo che abbia come suo obiettivo principale la ricerca della verità, contrastando fortemente l’inclinazione all’applicazione meccanica e passiva delle acquisizioni conseguite senza ansia di conoscenza e sete di sapere; così come l’abitudine a mandare a memoria regole e formule prestabilite, che nulla ha di divergente e creativo per la dimensione del sapere organizzato in modo significativo e intelligente. Di contro, il bisogno di acquisire sempre nuove conoscenze, sentite come valore in se stesse, trova ricompensa nella gioia conseguita attraverso la maturazione della sapienza intellettuale. Fondamentale, in tal senso, diventa anche l’attenzione al rapporto intercorrente tra educatori e giovani. Gli adulti non sono plasmatori di anime. Non devono imporsi ai discepoli in alcun modo. Il loro ruolo pedagogico è essenzialmente quello di assecondare gli interessi e le inclinazioni degli allievi per poterle favorire attraverso l’amore e l’autorità intellettuale e morale. Perché ogni vera educazione che si rispetti deve necessariamente avere anche un bagaglio di valori etici cui fare riferimento immediato. Perciò il compito della scuola non è solo quello di istruire il tecnico o lo specialista, ma anche e soprattutto quello di formare la persona educando l’uomo. L’educazione progressiva e liberale è da intendersi, pertanto, come una costante opera di liberazione delle coscienze in vista dell’acquisizione progressiva, da parte dei giovani, di una indipendenza critica anche dalle scelte del mondo degli adulti. Intendendo come libertà la capacità di conoscere se stessi fino in fondo per decidere di sapere cosa si vuole dalla propria vita, con la consapevolezza che questo tipo di libertà sia cosa ben diversa dall’anarchia e dal libertinaggio senza regole. «Vetera novis augere»[3] scrive Maritain. Le nuove acquisizioni non devono contrastare con quelle precedentemente acquisite, ma devono accrescerle ed arricchirle. E i veri maestri sono docenti di sapienza oltre che cultori della disciplina che insegnano. Perché solo la sapienza serve a trasmettere una conoscenza unificata del sapere. Intanto quest’opera di liberazione delle coscienze dei giovani pretende, da parte dei loro educatori, un’altrettanto profonda indipendenza ideologica e di ricerca. Realtà, queste, che si ritrovano con grande difficoltà concentrate insieme nelle nostre scuole, in cui si pretende dai docenti che restino fedeli ai programmi ministeriali e ancorati al testo adoperato come manuale di riferimento. L’autonomia implica scelte libere davvero. Ed appare un controsenso che si possa chiedere di educare in libertà a chi è stato condannato per contratto alla schiavitù. Un’educazione liberale pretende quindi, come sua inevitabile precondizione, la libertà interiore della classe docente, la sua autonomia di giudizio, l’esercizio della capacità critica nel valutare ed operare scelte consone ad una società democratica, che si fondi sulla capacità di pensare in modo davvero autentico. L’educazione deve essere intesa, al pari della medicina, come un’«ars cooperativa naturae»[4], in cui il principale agente del processo formativo non è il maestro ma lo scolaro. «L’avventura educativa consiste in un incessante appello all’intelligenza e al libero arbitrio dei giovani. Il dono più prezioso, che un educatore possa avere, consiste in una specie di rispetto sacro e affettuoso per l’identità misteriosa del fanciullo, la quale è una realtà nascosta che nessuna tecnica può raggiungere. L’incoraggiamento è tanto fondamentalmente necessario quanto l’umiliazione è pregiudizievole»[5]. Credo sia questo il passo più illuminante e significativo di Maritain sulla sua idea di educazione. L’attenzione alla libertà di scelta, ed il sacro rispetto per l’identità dei giovani, diventano un dono prezioso dell’educatore ai discepoli che, prima di istruirli, li conosce e li ama per quello che sono. E, amandoli, desidera vederli crescere e maturare come donne e uomini liberi, senza coartare alcun aspetto della loro tenera individualità. Danilo Dolci scriveva che «ciascuno cresce solo se sognato»[6]. Ed il solo capace di sognare ciò che il suo discepolo non è ancora è il maestro, che guarda con occhi discreti ma attenti fino in fondo all’anima dei suoi allievi. La capacità di introspezione è certamente una dote innata, che si struttura però anche con l’esercizio continuo al dialogo e al confronto interattivo, di chi sa mettersi in ascolto dell’altro, per comprenderlo pienamente, imparando a leggere oltre i silenzi e le parole non dette. La scuola del tecnicismo è una testimonianza esemplare della vuota superficialità diffusa che ha colpito al cuore le istituzioni formative, pilastro della società democratica e libera. Una scuola che forma solo ed esclusivamente in vista di un posto di lavoro, è un’azienda dello Stato che produce uomini e cultura allo stesso modo in cui si potrebbero produrre giocattoli o armi da guerra e banconote. Perché strumentalizza la persona ad un obiettivo estrinseco al suo stesso valore. L’educazione liberale va oltre l’informazione, per strutturarsi in progressivi apprendimenti significativi. La formazione della persona umana è un’impresa laboriosa e lenta, di cui molti educatori non avranno il modo né il tempo di vedere i frutti. Uno degli strumenti imprescindibili della libertà democratica è la scrittura. Ma per imparare a scrivere bisogna, primariamente, imparare a leggere, apprezzare l’importanza del libro, manipolarlo, scoprirlo, sfogliarlo. Il servizio di libertà che il sapere rende alle coscienze passa, necessariamente, attraverso la liberazione dalle catene della servitù in cui prostra l’ignoranza, intesa non solo come non-scienza, ma soprattutto come disprezzo per tutti quei valori immortali ed eterni della humanitas di ciascuno. Amare un libro è come imparare ad amare un amico, che svela i suoi segreti. Saper leggere è acquisire l’abilità del mettersi in ascolto. Oggi si fa un gran parlare di tutto. Ci si sente per poco esperti enciclopedici detentori di ogni branca dello scibile. E non si comprende quanto parlare di chiacchiere vuote si finisce col fare in giro, per la mancanza di competenza all’ascolto attivo dell’altro. Che non è atto del sentire, ma del comunicare in modo empatico e profondo con tutto l’essere, partecipando completamente al suo vissuto, al suo dolore, ma anche alla sua gioia; condividendo sogni o aspettative, anche soltanto attraverso l’esperienza del loro racconto. Che scoramento prende, invece, quando in un’aula scolastica si assiste allo starnazzare di voci professorali che, incapaci di dire e ascoltare, sanno solo reprimere con la forza dittatoriale sogni, speranze, desideri dei giovani. Perché è da questa dolorosa frustrazione che discende il fenomeno del triste abbandono degli studi. Il fallimento della scuola si concretizza, difatti, quando la ricerca di un lavoro viene ritenuta più gratificante, attraverso la ricompensa del denaro, rispetto al dover soggiacere quotidianamente alle umiliazioni scolastiche imposte da docenti che non sono capaci di insegnare e che, tuttavia, continuano a rimanere in cattedra, garantiti da un sistema politico ed istituzionale vergognoso e lassista. Ciò non vuol dire che bisogna togliere rispetto alla figura professionale del docente. Al contrario, se chi insegna fosse in grado di assumere una posizione autorevole, per quanto conosce e per come sa trasmetterlo agli allievi, incentivando l’amore per il sapere e la gioia della ricerca, probabilmente anche il ruolo sociale dell’insegnante se ne gioverebbe, riacquistando quella stima e quella considerazione generali, ormai perdute nella percezione collettiva. Non sono veri educatori né i dittatori, che si vogliono imporre ai fanciulli in modo eteronomo, né tanto meno gli anarchici, che nell’illusione demagogica di concedere la massima libertà possibile ai giovani, in realtà fanno loro un grave danno, rinunciando al dovere di educarli, e al tempo stesso illudendoli che la libertà coincida con il libertinaggio. Queste due categorie di falsi educatori sono entrambe menzognere traditrici del compito formativo che hanno assunto nei confronti degli alunni e delle loro famiglie, verso l’istituzione e la società tutta. La dignità umana si forma nel rispetto dei valori di libertà, uguaglianza, fraternità dei popoli, che la legge deve garantire attraverso il riconoscimento della laicità religiosa, dell’autonomia politica, delle scelte sessuali di tutti. Perché la scuola liberale non può dimenticare che sta educando l’uomo in quanto cittadino. Perciò gli insegnamenti fondamentali sono quelli di storia, filosofia morale ed educazione civica. La scuola, intesa come ambiente di vita, e non come luogo di insegnamento e di ricezione passiva, deve essere organizzata come un laboratorio che produce idee nuove, a partire dai giovani, spontaneamente riuniti in gruppi di lavoro e di ricerca, che riproducono, in piccolo, le strutture istituzionali dello Stato democratico. Un’altra disciplina degna di essere contemplata nel curricolo di studi liberale è quella della storia delle scienze, per una scuola in cui vi siano «meno fatti da ricordare e più gioia intellettuale da provare»[7]. «L’obiettivo dell’educazione liberale di base non è l’acquisto della scienza in se stessa o dell’arte in se stessa e delle virtù intellettuali che esse comportano, ma piuttosto di cogliere il loro significato e avere una certa comprensione della verità e della bellezza che esse comportano e che non cessano di arricchire il patrimonio della cultura. Noi cogliamo il significato di una scienza o di un’arte quando comprendiamo il suo oggetto, la sua natura, la sua portata e la specie particolare di verità o di bellezza che essa ci scopre»[8]. L’educazione liberale si estende dall’infanzia alle scuole superiori e all’università, in cui diviene “scuola di umanità orientata” dalla presenza della disciplina filosofica, che si pone come termine primo ed ultimo di raccordo degli insegnamenti specialistici. Grande attenzione viene riservata alla suddivisione del tempo, in tempo occupato dallo studio, tempo libero dedicato al riposo, e tempo di libera occupazione, utilizzato per coltivare l’approfondimento delle discipline umanistiche, liberali ed intellettuali. La formazione religiosa e morale è un obiettivo di primo livello entro questa concezione pedagogica. In particolare l’educazione alla cristianità, attraverso il recupero della tradizione ebraica. La concezione di uno Stato laico, indipendente dalla Chiesa, non collima con il mutuo isolamento delle due istituzioni. Ma comprende il senso di una collaborazione discreta tra i due ambiti. Nella Chiesa l’uomo agisce come cristiano. Nello stato egli vive e sceglie in qualità di cittadino. Ma orientamento religioso e scelte civili non possono essere del tutto separate tra loro, essendo l’una espressione dell’altra, nell’unità della persona. La loro frattura è piuttosto esemplare manifestazione del disordine spirituale di cui oggi ci si lamenta e si soffre. Gli stessi studi accademici non possono non contemplare nei loro insegnamenti la disciplina teologica, che è sapere radicato nella rivelazione e razionalmente sviluppato. Differente dal sentimento spirituale della religiosità popolare. L’università laica, non atea, deve orientare l’uomo alla storia delle religioni, che sono sempre prodotto esistenziale elaborato in risposta ai bisogni degli intellettuali di tutte le epoche. Lo scopo di tale disciplina è quello di disporre alla sapienza attorno alle religioni. Donde l’esigenza di un’educazione cristiana come completamento di qualunque aspetto tecnico-specialistico della formazione professionale. Perché per il cristianesimo l’uomo è sinolo di anima e di corpo, ed entrambi, immortali e destinati alla risurrezione, sono necessari a formare la persona, che non è concepibile, come invece sostengono l’induismo, il buddhismo, l’orfismo pitagorico e il platonismo, solo attraverso la vita dello spirito. Il corpo non è il carcere dell’anima, ma è tempio dello Spirito Santo, e la salvezza dell’uomo, la sua redenzione e ascesa, cominciano già dall’esperienza terrena, che viene rivalutata significativamente, come passaggio che forma in vista dell’aldilà. Senza del quale è impossibile alcun tentativo di riscatto e di liberazione. «A mio avviso – scrive Maritain – ciò che è richiesto è di sbarazzarsi degli assurdi pregiudizi che risalgono al Rinascimento e che bandiscono dalle spiagge benedette dei programmi scolastici un buon numero di autori e di materie, sotto il pretesto che essi sono specificamente religiosi, e per conseguenza “non classici”, quantunque interessino essenzialmente il tesoro comune della cultura. Gli scritti dei Padri della Chiesa sono parte integrante della cultura umanistica, tanto quanto o più ancora di quelli dei poeti drammatici elisabettiani; S. Agostino e Pascal non ci istruiscono meno di Lucrezio o Marco Aurelio»[9]. Un’educazione cristiana deve rispettare i medesimi precetti di una formazione laica, proponendosi di contemplare il sacro senso della verità e della libertà intellettuale degli allievi, a partire dall’indipendenza ideologica dei docenti. Bisogna, però, a questo punto operare una distinzione tra intelligenza naturale e virtù intellettuali del filosofo, dell’artista o dello scienziato. La prima è attitudine spontanea alla curiosità, le seconde sono perfezionate attraverso l’impegno e lo studio personali della filosofia e della teologia, così come delle arti e delle scienze tutte. La formazione filosofica dovrebbe prevedere, unitamente all’apprendimento della Storia della Filosofia, anche quello dei problemi filosofici fondamentali. Mentre la preparazione teologica dovrebbe essere rapportata alle questioni delle scienze in senso lato. Pare, insomma, che il Maritain intenda la formazione liberale delle scuole di umanità orientate, essenzialmente come apprendimento della sapienza e della cultura umanistica, attraverso lo studio dei testi filosofici e teologici, indispensabili a completare gli insegnamenti specialistici e tecnici, professionalmente diretti. Vi è anche una netta propensione alla salvaguardia della dignità del lavoro manuale, che è fondato nella tradizione cristiana, se Gesù era figlio di un falegname. Ma bisogna smetterla col discriminare la cultura popolare, ancestralmente legata alla manualità, da quella liberale, per tradizione orientata all’esercizio delle virtù intellettuali. La scuola deve insegnare anche un mestiere pratico. Ed è importante che gli allievi di tutti gli orientamenti sappiano gestire la manualità in funzione della produttività operativa e creativa degli oggetti, prima che dei progetti. Per rendere applicativi questi interventi è primariamente necessario sgombrare le menti dei pregiudizi da sempre legati all’operosità o meno meritevoli di attenzione e di impegno. Il lavoro umano, secondo lo spirito evangelico, è da intendersi come un servizio rivolto agli altri. La gestione dell’insegnamento deve, invece, seguire percorsi ludici che si vadano alternando con quelli di studio propriamente intesi. Nelle scuole orientate a sviluppare le virtù dell’intelletto, gli allievi si cimenteranno in modo ludico con quegli aspetti della cultura manuale, per apprendere abilità pratiche. Al contrario, negli indirizzi professionali, gli alunni “giocheranno” con gli apprendimenti intellettuali, per acquisire la capacità di giudizio critico e di discernimento. Il Maritain continua sostenendo l’importanza dell’orientamento ideologico della scuola nazionale, che non deve permettersi di entrare in contrasto con quelli che sono i valori riconosciuti dalla famiglia di origine. Qui sembra, ad onor del vero, che il personalismo si spinga troppo oltre, a divenire educazione del cittadino, che è da sempre figlio ed elemento di una struttura familiare. È opportuno ricordare che l’attuale società civile conta un notevole numero di famiglie disfatte, che non hanno nulla a che vedere con quei nuclei formativi primigeni di cui parlava il Maritain quando scriveva nel 1946 il saggio conclusivo dell’opera L’educazione della persona, intitolato Il problema della scuola pubblica in Francia. Risulta quasi impossibile, poi, ad un’analisi più approfondita, riuscire a distinguere il singolo individuo da quello che è il suo nucleo familiare, quasi che il fanciullo si portasse dietro, anche materialmente, il fardello delle esperienze educative ricevute in famiglia. In questa prospettiva, la scuola sarebbe un ripetitore passivo di nozioni già apprese. E si riconoscerebbe nella famiglia un ruolo primario, non solo in senso temporale, ma anche dal punto di vista sostanziale, nella formazione dei soggetti in età evolutiva, che finirebbero così per discriminare il ruolo della scuola, come istituzione che ha un peso reale nell’educazione. Soprattutto, si perderebbe della scuola quello che è il suo compito primigenio, di costituire, secondo gli intenti di Postman, una sorta di termostato regolatore con l’ambiente esterno, rappresentando la controparte necessaria dei fatti e dei valori altrove significati, per consentire ai suoi utenti di sviluppare davvero quella dimensione aperta e ampia, anche in prospettiva. Il fanciullo non appartiene alla famiglia più di quanto non appartenga allo Stato. Il giovane è figlio e cittadino, ma prima di tutto è se stesso, ed ha il diritto-dovere di esserlo. Né la famiglia, né tanto meno la scuola, possono coartare la vera natura dell’adolescente, quanto piuttosto hanno il dovere di assecondarla e di sostenerla nella sua crescita e nel suo sviluppo. Non è pensabile che un intervento educativo sia formativo se eteronomo e coatto. Un’educazione liberale è, prima di tutto, un’educazione alla libertà. Se questo è l’indirizzo, gli strumenti non possono essere contrari agli obiettivi finali. Anche i metodi formativi, perciò, andranno rivalutati, riconsiderati e rimodulati su queste istanze di democrazia e di indipendenza degli individui. La pretesa del Maritain di riconoscere nella famiglia il fulcro centrale di riferimento del processo educativo si fonda sull’idea di appartenenza del soggetto al proprio nucleo originario. Anche questa è un’assunzione di certezze tutta da dimostrare. Non ci si può sentire appartenenza prima di desiderarlo, per il semplice fatto di condividere determinati ideali, aspettative, valori. Ma nemmeno si può presupporre che l’essere nati all’interno di un determinato nucleo familiare, piuttosto che di un altro, debba finire col determinare necessariamente la condivisione di quegli ideali e di quei valori familiari. Si deve cominciare a ritenere un diritto della persona umana quello di poter rigettare per intero l’educazione ricevuta in famiglia. E questo diritto di libertà democratica, che non è rinuncia all’educazione, né libertinaggio anarchico, può essere esercitato dai giovani solo ed unicamente col sostegno degli adulti che offrono, in quanto educatori, numerosi modelli di riferimento, tra i quali ciascuno possa scegliere quello che più gli è confacente. Nella ferma consapevolezza che non sempre la famiglia di origine è in grado di fornire esempi edificanti, ed in tal caso il peso maggiore della formazione ricade sulle istituzioni e spetta alla scuola, che non può ridursi, perciò, ad essere un mero ripetitore di idee già sufficientemente elaborate dalla società e poi acquisite dai gruppi per conformismo. L’idea educativa di Maritain pare si possa qui allineare con quella impositiva ed eteronoma del Rousseau dell’Emilio, che distingue nei ragazzi un’età della ragione, in cui si potrà lasciare libertà di scelta, da una precedente in cui è necessario decidere in modo autoritario anche per l’altro, implicitamente ritenuto incapace di pensare e di autodeterminarsi. È, invece, da accogliere l’invito con cui l’autore termina il suo lavoro, in vista di un concetto di educazione che sia rivolto ad «abituare l’anima alla vita interiore e al raccoglimento, e a fare crescere in essa il vigore personale della coscienza»[10]. Se le nostre attuali istituzioni educative fossero in grado di raggiungere solo questo tra gli obiettivi raccomandati dal Ministero della Pubblica Istruzione, già potremmo sentirci unanimemente e pienamente soddisfatti. Il che, evidentemente, non è ancora. Né possiamo dire se, e quando mai, si verificherà.
Studio pubblicato sulla rivista Pianeta Cultura
[1] L’opera fu edita a Parigi nel 1959 con il titolo originale Per una Filosofia dell’Educazione.
[2] J. Maritain, L’Educazione al bivio.
[3] J. Maritain, L’educazione della persona, La Scuola Editrice, Brescia 1962, pag. 46.
[4] Ivi, pag. 48.
[5] Ivi, pag. 49.
[6] Cfr. la poesia omonima di D. Dolci.
[7] J. Maritain, L’educazione della persona, La Scuola Editrice, Brescia 1962, pag. 64.
[8] Ivi, pag. 63.
[9] J. Maritain, L’educazione della persona, La Scuola Editrice, Brescia 1962, pag. 91.
[10] J. Maritain, L’educazione della persona, La Scuola Editrice, Brescia 1962, pag. 143.