MELCHIORRE GIOIA


 

Melchiorre Gioia era nato a Piacenza nel 1767 e morì a Milano nel 1829. Dopo studi in filosofia e teologia e diverse attività in ambito politico e pubblicistico, fu nominato nel 1801 storiografo della Repubblica Cisalpina e si dedicò a studi di economia e statistica. Mente enciclopedica e poliedrica, Gioia trattò tutti i problemi sociali del suo tempo. Dopo la restaurazione del governo austriaco a Milano, nel 1820, egli fu arrestato con Silvio Pellico e con Maroncelli, per poi essere liberato l’anno seguente: ciò non di meno, rimase sospetto al governo austriaco fino alla morte, avvenuta nel 1829. Fu autore di svariate opere, delle quali meritano sicuramente di essere ricordate il Nuovo Galateo (1802), il Trattato del merito e delle ricompense (1808-1809), l’Ideologia (1822) e la Filosofia della statistica (1826). Nella medicina legale è rimasto famoso per la nota regola del calzolaio: in un trattato di statistica essa anticipava il concetto della riduzione della capacità lavorativa specifica:


" ... un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi ...".


Gioia ritiene che l’ideologia – non nel senso (marxiano) di coscienza capovolta, bensì in quello, propri degli ideologues, di scienza dell’origine e dello sviluppo delle idee – debba fondarsi su un metodo puramente descrittivo delle operazioni psichiche, senza alcun riferimento all’anima come causa produttrice di esse. In perfetta sintonia con il sensismo e in particolare con Condillac, Gioia rintraccia la base di tali operazioni nelle sensazioni reali, ma riconosce poi una funzione nel costituirsi delle idee anche a quelle immaginarie. Il privilegiamento del metodo descrittivo, connesso ai suoi spiccati interessi per la matematica, portano il filosofo piacentino a considerare la statistica come uno strumento imprescindibile per la raccolta e per la classificazione dei fatti, quantificati sulla base delle loro ricorrenze. In questa prospettiva, si capisce anche la marcata propensione di Gioia per l’aritmetica morale di Bentham, intesa come calcolo delle utilità in base ai piaceri e ai dolori prodotti dalle azioni, anche se egli è poi costretto a lamentare il fatto che, in sede morale, non è possibile effettuare calcoli e misure precise come avviene nelle scienze fisiche. Poco persuaso dalla “rivoluzione Copernicana” compiuta da Kant, Gioia lo liquidò con un motto di spirito: “l’Italia non s’inkanta”.     

 

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