MELISSO


RIASSUNTO COMPLESSIVO

BREVE PRESENTAZIONE

Melisso (che visse dopo la metà del V secolo a.C.) viene generalmente collocato nell'ambito dei filosofi eleatici (insieme a Parmenide e a Zenone), sebbene fosse originario non già di Elea, bensì di Samo, nella Ionia minore. Il giudizio di Aristotele nei suoi confronti è molto duro: lo Stagirita, infatti, non lo apprezzava a causa della sua rozzezza e grossolanità. Nonostante i giudizi poco lusinghieri di Aristotele, Melisso risulta essere molto importante per la storia della filosofia, in particolare per il suo tentativo di coniugare l’eleatismo con la filosofia della natura. Fu allievo di Parmenide, come Zenone, ma non si limitò a difendere le tesi del maestro (come aveva fatto Zenone stesso), ma apportò alcune modifiche ed innovazioni, in particolar modo l'attribuzione dell'eternità e dell'infinità all'essere. Con Melisso ci troviamo di fronte ad una contaminazione tra gli eleati e gli ionici: il particolare risultato di questa mescolanza è che Melisso dà interpretazioni prettamente fisiche ai concetti astratti di Parmenide, il quale aveva esplicitamente negato che l’ambito del pensiero potesse accordarsi con quello dell’esperienza sensibile, relegata all’ambito della doxa. In altre parole, Melisso traduce in termini fisici ciò che per Parmenide era solo in termini logici. La sua opera si intitolava Peri fusewV o Sull'essere e, a differenza di quella del maestro Parmenide, era in prosa e non in poesia. In essa egli afferma che essere e non essere sono rispettivamente – in termini naturalistici - pieno e vuoto. Per un certo verso riprende le argomentazioni ioniche dei Milesi: l'essere era e sempre sarà (a differenza di ciò che diceva Parmenide). Tra i vari aspetti in comune con gli Eleatici, troviamo proprio il costante dimostrare per assurdo, portato in auge soprattutto da Zenone, ma non assente in Parmenide stesso. Egli dimostra per assurdo che l'essere è sempre esistito e sempre esisterà: ammettiamo che l'essere sia nato. Una cosa che nasce deve per forza nascere da un'altra realtà, da qualcosa di diverso: se nascesse da sè allora significherebbe che esisteva già, quindi è nato da qualcosa di diverso; in altre parole deve essere generato da qualcosa che non è essere, ma ciò che non è essere è il non essere, ma il non essere non esiste (l'aveva dimostrato Parmenide). Dimostrato per assurdo che l’essere non è generato, ne segue che esso è eterno. Sempre nella sua opera, Melisso conferma tesi parmenidee e zenoniane servendosi di argomentazioni innovative: in particolare egli arriva a sostenere l’inesistenza del movimento, servendosi di una dimostrazione paradossale: abbiamo detto che l'essere è il pieno e il non essere è il vuoto e tutti sappiamo che, perchè avvenga un movimento, ci deve essere un qualcosa che si sposta nel vuoto (pensiamo ad una fetta di pane che viene tagliata con un coltello: il coltello si sposta nel vuoto, condizione del moto del coltello). Ma il vuoto è il non essere e il non essere non esiste, quindi si arriva alla conclusione che il movimento non esiste. Melisso si cimenta anche nel dimostrare contro la molteplicità: se l'essere fosse molteplice, allora non sarebbe unico e, pertanto, ci sarebbero cose che sono non essere, ma il non essere non esiste. Dunque l'essere non è molteplice, ma è uno solo. I successori si servirono delle tesi di Melisso capovolgendole: in particolare, essi partono dall’assunto che il movimento esista (negarlo contrasta con la più banale delle esperienze). Dunque, se voglio giustificare l'esistenza del movimento, devo ammettere il vuoto (siamo tutti d'accordo che il movimento possa essere solo nel vuoto): il vuoto è il non essere e, di conseguenza, il non essere esiste. Stessa cosa può valere per la molteplicità dell'essere, che esperiamo di continuo: quindi essa deve esistere e, di conseguenza, tutti questi enti molteplici devono per forza avere caratteristiche dell'essere, che non è uno. Melisso dimostra poi l'infinità dell'essere: se l'essere è sempre stato e sempre sarà, allora è infinito e, di conseguenza, deve anche essere uno: se infatti l'essere fosse non uno ma due, i due non potrebbero essere infiniti, ma l'uno avrebbe limite nell'altro. E' la classica dimostrazione per assurdo, con cui Melisso riesce a dimostrare a modo suo l'unicità dell'essere. Dante (Paradiso, XIII,121-126) colloca curiosamente Melisso tra coloro che affrontando la ricerca della verità senza metodo, tornano carichi di errori più di prima che iniziassero il viaggio:

Vie più che indarno da riva si parte,
Perché non torna tal qual ei si muove,
Chi pesca per lo vero, e non ha l'arte:
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
I quali andavan, nè sapevan dove.

INTRODUZIONE

Anche se non sappiamo nulla delle loro biografie, Parmenide e Zenone sono diventati, da Platone in poi, una coppia esemplare di maestro e scolaro. Ma è difficile immaginare un legame di scuola che unisca Melisso di Samo, il quale vive nell'area orientale del mondo greco in piena età periclea, a Parmenide e Zenone. Con lui l'eleatismo è già diventato un'entità intellettuale vaga e diffusa. Isocrate lo pone accanto a Parmenide, Zenone e Gorgia come autore di dottrine paradossali. E Polibo, genero di Ippocrate, nel trattato De natura hominis, dopo aver polemizzato contro coloro che, non medici, si affannano a identificare l'uomo e il tutto, chi con l'aria, chi con l'acqua, chi con la terra e chi con il fuoco, disputando più di parole che di fatti, dice che costoro "danno ragione a Melisso". Il significato di questo accenno non è sicurissimo, ma è possibile che anche qui Melisso apparisse un autore paradossale, al quale si finisce con il dar ragione a forza di dispute puramente verbali. Platone, forse con qualche ironia, dice che Melisso vale un po' meno di Parmenide43. Ancora una volta Aristotele segue Platone considerando Melisso addirittura "rozzo". Parmenide e Melisso avevano entrambi svolto una teoria dell'uno, ma Parmenide lo aveva considerato "secondo la definizione", Melisso "secondo la materia, e per questo uno dice che è finito, l'altro infinito"44. Attraverso questo gergo aristotelico un punto pare effettivamente attribuibile a Melisso: la considerazione dell'uno come infinito. Questo è per Aristotele un errore di categoria, perché l'infinito spetta alla quantità, che è un predicato, e non alle cose che sono soggetti dei predicati. Le cose-soggetto sono sostanze, e le sostanze hanno un limite e sono finite: aveva visto giusto Parmenide che aveva considerato il tutto finito.

Tuttavia in Aristotele e in Simplicio è possibile cogliere una traccia del ragionamento di Melisso, indipendentemente dalle critiche aristoteliche. Per Melisso il tutto è ingenerato, perché prima del tutto non c'è nulla; e dal nulla non sarebbe derivato nulla. Se non è generato, il tutto non ha principio e, se non ha principio, non ha neppure fine, sicché sarà infinito. Per Aristotele Melisso commetteva un errore ricavando dalla proposizione (1) 'tutto ciò che è generato ha un principio' la proposizione (2) 'tutto ciò che non è generato non ha un principio'. Per Aristotele il termine 'principio' ha un significato generale, non riducibile a quello di 'inizio', che risulta nelle testimonianze su Melisso. Pertanto Aristotele ritiene che, se tutto ciò che è generato ha un principio, non tutto ciò che ha un principio è generato45. Probabilmente però Melisso mostrava che l'essere non è generato (perché non può derivare dal nulla) e che perciò non ha inizio né termine, usando così la proposizione (2) senza ricavarla dalla proposizione (1). Si comprende assai bene l'avversione di Aristotele per Melisso. La filosofia di Parmenide poteva apparirgli paradossale, lontana dalla realtà delle cose; ma essa sembrava stabilire che l'essere è limitato e perfetto, un caposaldo della concezione aristotelica del mondo come un tutto ordinato e finito. E anche per Zenone l'infinito era qualcosa di negativo. Melisso invece introduceva l'infinito nell'uno stesso e pretendeva che tutto ciò che ha un principio fosse generato. Il rischio era che un mondo dipendente da un principio, che ne garantisce l'ordine, diventasse generato e perdesse l'eternità: una cosa impossibile nella concezione aristotelica del mondo.

Dai testi trasmessi da Simplicio emergono però alcuni tratti della teoria dell'infinito di Melisso, che l'interpretazione aristotelica lasciava in ombra. Non solo Melisso attribuiva all'essere l'infinità di grandezza e l'eternità temporale, ma soprattutto doveva sviluppare una teoria dell'unicità dell'infinito. Se non fosse uno solo, l'infinito confinerebbe con qualche altra cosa, e perciò non sarebbe infinito: infatti non ci potrebbero essere due infiniti, perché essi si limiterebbero a vicenda. L'uno infinito è anche omogeneo, perché se subisse qualche mutamento non sarebbe più uno. Infatti se cambiasse non sarebbe più simile a se stesso, ma ciò che era prima non ci sarebbe più e ciò che non è nascerebbe: l'uno, cambiando, diventerebbe molti. E basterebbe che mutasse di un capello in diecimila anni, perché perisse completamente: in un tempo infinito una trasformazione, per piccola che sia, potrebbe coinvolgere tutto l'uno. Non esiste neppure il vuoto, che è non essere. L'assenza del vuoto determina la mancanza di movimento, perché l'essere non può spostarsi verso il nulla46. Se esistessero i molti, ciascuno, per esistere davvero, dovrebbe essere come l'uno, e non potrebbe trasformarsi in uno degli altri o comunque mutare. Ma la percezione ci rivela anche trasformazioni e mutamenti, che invece non ci possono essere: perciò non ha vero essere quel che essa ci mostra. L'uno non ha neppure corpo, perché il corpo è divisibile in parti. Se fosse divisibile in parti, queste renderebbero possibile il movimento, e il movimento introdurrebbe il non-essere47.

Si è fatto con Melisso quello che Platone aveva tentato con Zenone: si è supposto che egli conducesse una polemica. I suoi avversari sarebbero ora i pitagorici, ora Empedocle. Ma si tratta di congetture non corroborate da riscontri attendibili. Si è cercato però anche di collegare Melisso con Anassagora, attribuendogli una teoria della completa uniformità dell'essere, oppure con gli atomisti attraverso la sua concezione del vuoto. Ma Anassagora non nega il movimento e gli atomisti ammettono il vuoto. Anche qui siamo del tutto privi di notizie specifiche, e nel caso di Melisso diventa anche più difficile immaginare i rapporti di scuola che secondo Platone avrebbero legato Zenone a Parmenide.

Con un puro confronto di testi è possibile scorgere in Melisso alcuni temi originali all'interno della cultura eleatica. Attribuisce all'uno la durata temporale che Parmenide nega all'essere48 e, mentre Parmenide immagina l'essere come finito e limitato, Melisso lo considera infinito, proprio perché non ha né inizio né fine e si estende senza limiti. Forse perfino l'unità dell'essere e motivo propriamente Melisseo49, e lo è certamente la dimostrazione dell'unicità dell'infinito, che avrà molta fortuna nella tradizione filosofìca. Si potrebbe dire che Melisso ha cercato di limitare l'ordine dell'infinito, evitando che si formassero infiniti di infiniti, oppure che ha cercato di introdurre l'infinito escludendo il continuo; ma sarebbero elucubrazioni. Probabilmente si tratta di schemi argomentativi usati da Melisso: se si ammette una molteplicità, ogni suo elemento si configura come un essere unitario, e dunque infinito; ma più infiniti sono impossibili. Forse Zenone argomentava che se c'è molteplicità c'è infinità e dunque una serie di proprietà contraddittorie. Per Melisso l'infinito in quanto tale non crea difficoltà e può essere attribuito all'uno; però, se c'è molteplicità, c'è sempre più di un infinito, e questo è impossibile.


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