ROBERT MERTON
A cura di Giacomantonio Francesco
Meyer Robert Schkonick - questo il vero nome di Robert King Merton - nasce il 5 luglio (ma alcune biografie riportano il 4 luglio) del 1910 a Philadelphia, da una famiglia di immigranti est-europei residenti in uno dei quartieri poveri (i cosiddetti slum) della città. Durante l'adolescenza Merton fa parte di una gang del suo quartiere, ma, incoraggiato dalla madre, inizia a frequentare la biblioteca, il Museo di Philadelphia e l’Accademia della Musica, riuscendo così ad acquisire una notevole preparazione culturale già durante gli anni di scuola. E' un hobby del giovanissimo Merton quello di cimentarsi come mago: si fa infatti chiamare Robert King Merlin fino al 1924, anno in cui decide di cambiare il suo nome, per l’ultima volta, in Robert King Merton. Merton compie gli studi dapprima alla Temple University - dove si diploma brillantemente nel 1931, mostrando un interesse per la filosofia -, e in seguito presso l’Università di Harvard, dove consegue il dottorato nel 1936, sotto la guida del sociologo funzionalista Talcott Parsons, con una dissertazione sulla scienza e l’economia nell’Inghilterra del XVII secolo. Durante la sua permanenza a Harvard, altre influenze importanti per Merton sono quelle del sociologo Piritim Sorokin, dello storico della scienza George Sarton e, fra gli studiosi europei, Emile Durkheim e Georg Simmel. Tra il 1939 e il 1941 lavora alla Università di Tulane a New Orleans e si sposa con Suzanne Carhart, da cui ha tre figli(uno dei quali, Robert C. Merton, è stato insignito del Nobel per l’economia nel 1997), prima di separarsi da lei nel 1968; nello stesso anno inizia una lunga relazione con la sociologa Harriet Zuckerman, che, tuttavia, sposa solo nel 1993.
Nel 1941 passa alla Columbia University, dove diviene Professore di Sociologia nel 1947. Dal 1942 al 1971 opera al fianco di Paul Felix Lazarsfeld come direttore associato dell’Ufficio per la Ricerca Sociale Applicata della Columbia University. Nel 1963 viene nominato "Giddings Professor". La sua opera forse più ponderosa è Teoria e struttura sociale, pubblicata per la prima volta nel 1949 e poi ampliata nel 1957 e nel 1968. Altri suoi testi importanti sono stati Libertà e controllo nella società moderna (1955), Ricerca sociologica(1963), Sociologia teoretica (1967), La sociologia della scienza (1973). Ha ricevuto, a partire dal 1956, oltre una trentina di titoli accademici honoris causa e, ormai in avanzata età, è stato presidente onorario del Consiglio scientifico che ha curato per l'Accademia Svizzera dello Sviluppo (SAD) una delle più ampie ricerche sociologiche dell'ultimo decennio: la ricerca internazionale comparata sull'anomia, che ha preso in considerazione numerosi processi di crisi e di trasformazione (come la transizione alla democrazia nei Paesi dell'Est europeo, la modernizzazione della Cina degli anni '90, la convivenza civile nel Sud Africa del dopo apartheid, le crisi politiche ed economiche dell'Africa occidentale, la situazione dell'Argentina e di altri Paesi dell'America Latina e i processi indotti in Europa occidentale dalla globalizzazione e dell'immigrazione dai Paesi extraeuropei). Nel 1994 è stato insignito dal Presidente degli Stati Uniti d’America con la "Medaglia Nazionale della Scienza", primo sociologo a ottenere tale riconoscimento. In ambito accademico, a conferma del suo enorme prestigio, era chiamato "Mr. Sociology". E’ morto a New York il 23 febbraio 2003. Merton è stato uno dei più influenti esponenti della corrente teorica del funzionalismo (le cui origini risalgono al positivismo organicista di Comte e Spencer e a Durkheim, secondo i quali la realtà sociale andava spiegata a partire dalla società stessa anziché dai singoli individui), anche se in modo non eccessivamente dogmatico: il suo approccio alla sociologia viene per questo definito neofunzionalismo. Ha indirizzato l’indagine sociologica verso una direzione maggiormente speculativa (tramite la critica del funzionalismo "puro" di Parsons), verso lo studio della comunicazione di massa (nelle ricerche in collaborazione con Lazarsfeld) e verso la sociologia della conoscenza e della scienza. L’ottica funzionalista di Merton differisce significativamente da quella del suo maestro Parsons: i suoi scritti si possono definire più prudenti e difensivi. Tale prudenza si concreta nella sua predilezione per le cosiddette "teorie a medio raggio" (in evidente contrasto con la "grande teoria" onnicomprensiva cui ambiva Parsons) che non si prefiggono di abbracciare la società nel suo complesso, ma non sono neppure semplici sequenze di ipotesi empiriche scollegate. Nella sua opera egli è spesso teso a cercare di armonizzare l’approccio teorico a quello empirico, l’analisi qualitativa a quella quantitativa. Secondo Merton, un limite grave dei primi funzionalisti consisteva nel fatto che essi tendevano, al di là dei fatti, a leggere troppa razionalità funzionale nelle pratiche sociali. Essi, infatti, aderivano a tre presupposti concettuali non condivisi da Merton:
a)il postulato dell’unità funzionale della società, secondo cui la società è un tutto funzionale e tutte le sue parti sono integrate e ben bilanciate;
b)il postulato del funzionalismo universale, per cui tutte le pratiche culturali e sociali sono funzionali ;
c)il postulato dell’indispensabilità, per cui esistono prerequisiti funzionali universali per ogni società e solo specifici elementi socio-culturali possono soddisfare tali funzioni.
La proposta di Merton per il rilancio del funzionalismo è basata sulla critica dei tre postulati funzionali appena esposti. Innanzitutto, rispetto al punto a), egli abbandona la primitiva visione funzionalista secondo cui noi viviamo nel migliore dei mondi possibili: molte pratiche persistono malgrado non abbiano benefici particolari né per i singoli né per la società. Secondariamente, rispetto al punto b), si nota che i primi funzionalisti tendevano a mettere a fuoco le cosiddette funzioni per la" società". Ma l’idea di "società" come totalità è, secondo Merton, fuorviante perché lo stesso elemento sociale può essere funzionale per certi individui, gruppi o sistemi ed essere disfunzionale per altri. Infine, rispetto al punto c), va colto che i resoconti funzionalisti mettono insieme stati soggettivi degli individui e conseguenze oggettive: invece la funzione di una pratica è un effetto osservabile e perciò va distinto dalla motivazione che sottende la pratica. Merton pensa che gli uomini non sono sempre coscienti degli scopi che stanno perseguendo e, dunque, delle funzioni che assolvono i loro comportamenti. Di qui la nota distinzione che egli elabora tra funzioni manifeste e funzioni latenti. Le prime sono pratiche intese come tali dagli individui coinvolti. Le seconde, invece, non sono né intese né riconosciute dagli individui coinvolti. Un esempio che permette di chiarire questo passaggio è costituito dalla frequentazione della chiesa da parte dei fedeli. Una delle funzioni manifeste dell’andare in chiesa è essere più prossimi a Dio e commemorarlo, una delle funzioni latenti di questa pratica consiste nel rafforzare l’integrazione sociale. Sullo sfondo di queste impostazioni metodologiche, Merton sviluppa alcuni nuclei concettuali rilevati. Partendo dal concetto di deprivazione soggettiva, già elaborato dalle ricerche di Stouffer, secondo cui il sentimento di essere privati di qualcosa non ha a che fare con la realtà oggettiva ma con le percezioni soggettive (e, quindi, se ci si abitua a coltivare certe aspettative anche una realtà positiva può apparire frustrante), Merton mostra che ogni individuo si rapporta ad almeno due gruppi. Da una parte il gruppo di appartenenza, quello di cui fa parte nella sua vita, e dall’altro il gruppo di riferimento, cui aspira e ai cui valori si riferisce idealmente. L’eventuale scarto che può verificarsi in questo rapporto è assunto come base di molte discrepanze o distorsioni nell’agire sociale contemporaneo. Altri concetti cruciali sono quelli di devianza e anomia. Merton distingue la devianza rispetto agli scopi che ci si prefigge e rispetto ai mezzi che si scelgono per raggiungere gli scopi. Tenendo conto di ciò egli delinea una tipologia di devianti diversi:
Da questa analisi deriva un’interpretazione dell’anomia che assume un riconcettualizzazione diversa rispetto a quella della tradizione sociologica risalente a Durkheim. L’anomia, per Merton, è intesa come una condizione in cui vi è uno scarto tra gli scopi dell’esistenza che la cultura propone e le possibilità di raggiungerli attraverso comportamenti "normali" : ad esempio, dove il successo personale o la ricchezza(come nelle società occidentali avanzate) sono intesi come obiettivi che ciascuno dovrebbe perseguire, ma contemporaneamente la struttura sociale comporta barriere per cui molti non possono raggiungere tali obiettivi con mezzi normali(perché non sempre lavoro, istruzione, ecc., permettono di superare ineguaglianze originate da una struttura di classe che ostacola la mobilità), si affermano comportamenti devianti. Gli studi di Merton, come abbiamo accennato sopra, hanno avuto considerevole risonanza anche in chiave di sociologia della conoscenza. In particolare, egli si è occupato di temi e questioni inerenti la sociologia della scienza, di cui egli può essere, sotto molti aspetti, considerato l’iniziatore. Merton ritiene che l’oggetto della sociologia della scienza sia l’interdipendenza dinamica fra la scienza, intesa come attività sociale in progresso che determina prodotti culturali e civiltà, e la circostante struttura sociale. In genere gli studiosi, ammettendo la relazione tra scienza e società tendono a considerare esclusivamente l’influenza della scienza sui contesti sociali e non l’aspetto di influenza reciproca o addirittura quello dell’influenza della società sulla scienza. In realtà, invece, la scelta dei temi di cui gli scienziati si occupano è definita, in gran parte, dagli interessi del mondo circostante. Merton intuisce dai suoi studi che l’idea, su cui si fonda la scienza, che la verità sia qualcosa di accertabile razionalmente mediante osservazioni e esperimenti, non nasce dalla scienza, bensì all’interno della cultura più vasta in cui la scienza stessa si inserisce. La scienza è, dunque, un'istituzione sociale. Grande attenzione viene, quindi, dedicata alla logica della comunità scientifica e alle tensioni che essa può avere con il resto della società. Nella comunità scientifica Merton individua un ethos specifico che si fonda sul valore chiave attribuito al dubbio sistematico, sul fatto che ogni affermazione sia verificabile intersoggettivamente, sul dialogo aperto tra gli scienziati, sulla disponibilità universale di ogni ricerca, sulla valutazione di uno scienziato in relazione esclusivamente ai meriti del proprio lavoro. Così la scienza è autenticamente tale solo se ha un’organizzazione che consente al dubbio di esprimersi: finchè questo imperativo etico sussiste, essa può svilupparsi.
Nel più generale contesto della sociologia della conoscenza è inoltre celebre la teoria di Merton sulle profezie che si autoadempiono. Riprendendo una idea di un teorema psico-sociale attributo al sociologo William Thomas, egli mostra che se tanti individui prevedono un fatto sociale e si comportano di conseguenza quel fatto si realizza adempiendo alla profezia. Ad esempio, se tanta gente comincia a convincersi che una certa banca è insolvibile quella banca andrà effettivamente in rovina. E, infine, non si può dimenticare il concetto di serendipity. Con tale termine si descriveva un progresso inatteso della conoscenza frutto di sagacia, ma accidentale: quel processo per cui tante volte, nella scienza, mentre si persegue un risultato se ne ricava un altro a sorpresa, differente, magari più importante. Questo concetto è, peraltro, il tema dell’ultimo testo pubblicato da Merton, Viaggi e avventure della Serendipity(2002), frutto di un manoscritto tenuto nel cassetto dal 1958, in cui si manifesta in modo emblematico lo stile di studio e ricerca di questo sociologo che ha saputo combinare l’importanza e il peso delle sue ricerche con un certo divertimento nell’approccio alle idee, alla loro evoluzione e alle immagini che possono fissarle nella mente. L’insieme delle teorie di Merton non è comunque invulnerabile rispetto a possibili critiche. Il suo quadro concettuale è stato accusato di essere spesso meramente descrittivo o euristico: riesce a delineare e categorizzare la vita sociale, ma non sembra riuscire ad andare oltre questo. In realtà indicare gli effetti reali o potenziali di pratiche ricorrenti, come spesso fa Merton, non vuol dire di per sé darne una spiegazione. Inoltre, è stato rilevato come, a volte, egli manchi di precisione analitica: nella definizione di funzioni manifeste e latenti, ad esempio, egli mischia la consapevolezza che qualcosa dovrà accadere con l’intenzione che ciò avvenga. Ancora, dal punto di vista della sociologia della scienza, non si può non notare che egli segua un approccio di fondo piuttosto positivista, che comporta un’idea di cumulabilità dei risultati della ricerca scientifica non necessariamente condivisibile. Merton, infatti, ritiene che la logica dell’osservazione e dell’esperimento possa pur sempre permettere un adeguamento crescente dei modelli alla realtà umana: è un positivismo raffinato, indubbiamente, ma è ancora positivismo. Oggi, la sociologia della scienza contemporanea, dopo i contributi di autori quali Kuhn e Foucault, è andata decisamente oltre le prime osservazioni di Merton. Esistono molti modi di intendere, fare, produrre, pensare la sociologia. Il carattere fondamentale di questa disciplina sembra risiedere proprio nel consentire la simultanea presenza di nuclei teorici diversi, nel permettere una sorta di politeismo teoretico. La sociologia di Merton è una sociologia delicata, prudente, disincantata. Una sociologia che si diverte a mostrare la magia bizzarra, che, in fondo, può nascondersi nella realtà sociale e in cui si riflette ancora lo sguardo di quel bambino che giocava a fare il mago con i suoi compagni.