Oggetti ed attenzione estetica: il caso della “Musique Concrete”

 

 

Di Enzo Santarcangelo

 

 

 

Introduzione

 

“Noi abbiamo chiamato la nostra musica concreta, poiché essa è costituita da elementi preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o musica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a realizzare una volontà di composizione senza l’aiuto, divenuto impossibile, di una notazione musicale tradizionale”.

E’ questo, si potrebbe dire, il manifesto teorico della cosiddetta Musica Concreta, così come esposto nelle parole del suo capostipite, l’ingegnere e tecnico del suono francese Pierre Schaeffer nel “Trattato degli oggetti musicali”, del 1966. E’ in realtà già dal 1948 (ma ancor vaghi precedenti si erano già avuti con le pioneristiche intuizioni teoriche dei futuristi, ed in particolare con gli “intonarumori” dei fratelli Luigi ed Antonio Russolo), che Pierre Schaeffer, coadiuvato dallo scienziato Abraham Moses e  dal musicista Pierre Henry, provava presso il Club d’essai della Radiodiffusione francese a comporre musica sfruttando i mezzi di registrazione e riproduzione di suoni di oggetti trovati. L’intento era chiaro: rumori di tutti i giorni, suoni di oggetti comuni, frammenti di musica tradizionale, andavano decontestualizzati dalla situazione da cui erano stati originariamente prelevati e, grazie anche ai primi campionatori che offrivano la capacità di riprodurre il suono, registrati su nastri magnetici. Al termine di questo lungo processo di trasformazione, essi venivano offerti all’ascoltatore nel contesto di una fruizione artistica che il più delle volte aveva come allocutore non più l’interprete, ma la radio, o degli altoparlanti posti nello spazio delle nascenti installazioni sonore. Quello che si offriva all’ascoltatore era allora, almeno negli intenti dei teorici della musica concreta, il suono puro, completamente sradicato tanto dalla “fonte energetica” che fino ad allora con esso spesso finiva per essere confusa (lo strumento musicale, tradizionalmente concepito come fonte sonora, e l’interprete che se ne serviva), quanto da ogni legame con il contesto di vita quotidiana cui veniva sottratto.

Indubbiamente il caso della musica concreta si presta come esempio lampante di una teoria estetica che voglia conferire agli oggetti artistici la capacità di veicolare un particolare tipo di attenzione, un’”attenzione estetica” affatto diversa da quella che tipicamente rivolgiamo agli oggetti spazio-temporali. Nonostante il suono di un oggetto trovato, o il rumore di una stanza, siano “oggetti sonori” cui siamo abituati nella vita di tutti i giorni, è stato dimostrato dai teorici della musica concreta che è possibile che esso, presentato in una situazione artistica, assìso a “oggetto artistico”, veicoli una attenzione estetica, completamente diversa da quella della vita quotidiana. Non a caso sono state composte intere sinfonie con il ripetersi del cigolio di una porta che si apre o con i rumori di una stazione, e finanziate le ricerche del Group de Recherches Musicales (GRM) perché considerate “artistiche”.

Scopo del presente paper è di (i) analizzare le premesse teoriche della scuola di Schaeffer, intrecciandole ad una breve ricognizione storica; (ii) comprendere in che modo la musica concreta sia l’esempio più calzante, e quindi un valido sostegno teorico, delle teorie sull’attenzione estetica, ed in particolare della teoria esposta da Nicolas Bullot nel brano “Objects and aesthetic attention”; (iii) cercare di capire, una volta preso atto del fallimento (storicamente determinato) del progetto della musica concreta, se, e come, tale progetto sia stato importante, e qual è l’eco che ancor oggi riverbera dalle parole di Schaeffer, con particolare riguardo alla popular music contemporanea, valutando infine se il fatto che l’esperienza della musica concreta sia storicamente naufragata demolisca in toto le teorie dell’attenzione estetica, dato che mai quanto in questo caso un’avanguardia artistica si era ammantata di un presupposto teorico così ingombrante.

 

 

 

Paragrafo 1. Alla ricerca di una musica concreta

 

“Alla ricerca di una musica concreta”: e’ così che si intitola uno dei primi scritti teorici dell’ingegnere e tecnico del suono francese Pierre Schaeffer, prima elaborazione del rivoluzionario intento di “far saltare le scogliere di marmo dell’orchestrazione occidentale”.  Ma è nel “Trattato degli oggetti musicali”, mastodontica opera scritta dopo anni di ricerche, nel 1966, che Schaeffer espone compiutamente la propria teoria. Schaeffer non era un musicista: a differenza del suo fido collaboratore Pierre Henry, che aveva studiato musica con Olivier Messiaen, la sua non era stata una formazione artistica. Nato come ingegnere, inizia ad interessarsi del suono, degli aspetti tecnici della registrazione e della riproduzione sonora, fino ad arrivare alla concezione secondo la quale gli unici in grado di ascoltare veramente l’oggetto sonoro sono i tecnici del suono, e non i musicisti. Un’attenzione maniacale nei confronti del suono in sé, dunque, spogliato finalmente da tutti i riferimenti culturali che esso aveva fino ad allora avuto e registrato su nastro magnetico, come trofeo di un lungo e faticoso processo di depurazione da tutte quelle inutili sovrastrutture culturali, vecchie come la storia della musica, che lo vincolavano da un lato alla fonte sonora che lo emetteva (lo strumento musicale, e con esso l’interprete tradizionalmente inteso), dall’altro a quella che costituiva la vera e propria tomba della musica, la notazione. La notazione non era più essenziale, anzi andava abolita, in quanto principale imputata del processo di “astrazione” della musica tradizionale occidentale, come andava abolita la figura dell’interprete, sostituito ormai dal tecnico del suono.

Gli errori in cui la musica occidentale si è impantanata sono, secondo Schaeffer, principalmente tre:

1)     In primo luogo il sistema di notazione tradizionale è inadeguato, è ormai solo una vecchia carcassa che non riesce a tenere conto di tutto quell’universo sonoro che lo sovrasta e di cui esso rappresenta solo una minima parte;

2)     La musica occidentale non riesce a cogliere la portata rivoluzionaria dei moderni strumenti tecnologici (il campionatore, il nastro magnetico, la radio, i diffusori etc.), in grado di capovolgere completamente i processi di composizione e di fruizione della musica.

3)     La musica occidentale non ha una visione universalistica del linguaggio sonoro. Esclude dal proprio alveo la musica di culture lontane, scarsamente studiata e destituita senz’appello di ogni pretesa artistica, ma soprattutto ignora completamente la vastità del concetto di suono, chiudendosi in un cieco isolazionismo, incapace di guardare alla vastità del linguaggio sonoro universale.

 

E’ proprio a queste tre impasse della musica moderna che la teoria di Schaeffer cerca di rispondere, 1) mettendo al bando definitivamente il sistema tradizionale di notazione, e sostituendolo con una “notazione” che sia in grado di tener conto di tutto l’universo sonoro (questo significa che anche i rumori rivendicano un proprio statuto all’interno della nuova notazione di Schaeffer); 2) sostituendo gli strumenti musicali tradizionali, e la figura ad essi legata dell’interprete, con le moderne innovazioni tecnologiche dell’elettronica, utili non solo in fase di registrazione, ma anche, e soprattutto, di composizione e di fruizione artistica; 3) vagheggiando una visione universalistica di linguaggio sonoro, tale che sia in grado di includere al suo interno tutto ciò che siamo soliti chiamare suono.

E’ proprio quest’ultimo punto dell’impianto teorico di Schaeffer il primo a crollare miseramente. Il miraggio di un “solfeggio sonoro generalizzato” non sopravvivrà alle lezioni delle classi di musica elettroacustica, offrendo il fianco alle aspre critiche che una teoria solo abbozzata inevitabilmente solleva.

E’ invece sul campo delle altre due “battaglie” teoriche che la musica concreta ha saputo cogliere dei risultati importanti.

Anzitutto, l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche nell’uso della composizione musicale. I teorici della musica concreta sono stati indubbiamente i primi ad intuire che la tecnologia avrebbe dato un impulso rivoluzionario al modo di concepire la composizione e la fruizione della musica. Come negare che la radio, strumento prediletto dei concretisti, rappresenti oggi un mezzo di diffusione del suono senza cui sarebbe inconcepibile parlare di musica? E come negare che l’insistenza con cui Schaeffer e compagni si rivolgevano ai supporti di riproduzione non sia stata una prima breccia aperta nel muro dell’isolazionismo musicale che inevitabilmente le rappresentazioni teatrali (fino ad allora unico mezzo di fruizione artistica) recavano con sé, un’antesignana intuizione su quanto importante sarebbe stato in futuro il supporto rispetto all’esecuzione? Si potrebbe affermare dunque che gli esponenti della musica concreta siano stati i primi manipolatori delle teorie esposte da Walter Benjamin in un saggio epocale come “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (scritto nel 1936).

Il saggio di Benjamin si apre con la citazione di un breve passo tratto da “La conquete de l’ubiquitè”, un saggio di Paul Valèry incluso in “Pieces sur l’art”. In esso l’artista francese si interroga su come sia mutato lo statuto dell’opera d’arte in seguito all’incremento del nostro “potere di azione sulle cose”. Proiettando in un indefinito futuro una realtà che i concretisti avrebbero davvero reso tale, Valery fantastica su mezzi di diffusione in grado di “trasportare o ricostruire in ogni luogo il sistema di sensazioni – o più esattamente, il sistema di eccitazioni – provocato in un luogo qualsiasi da un oggetto o da un evento qualsiasi”, e sulla possibilità di una “distribuzione della Realtà Sensibile a domicilio”. E cosa sono i suoni registrati su campionatore della musica concreta, se non “distributori di Realtà Sensibile a domicilio”?

Sebbene lo faccia per poi servirsene nell’ambito di un discorso eminentemente pratico-politico, anche Walter Benjamin insiste, nel suo saggio, sull’importanza della riproducibilità dell’opera d’arte grazie alle moderne innovazioni tecnologiche, riproducibilità che sarebbe in grado, per il filosofo, di destituire le opere d’arte di quell’aura che fino ad allora costituiva la loro più intima essenza, per potenziarle di una carica destabilizzante in grado di rompere con la tradizione e la fissità dell’arte tradizionalmente concepita (si passa dal valore cultuale dell’opera d’arte al valore espositivo).

E’ innegabile che la musica concreta abbia ereditato in pieno questa potente carica destabilizzante, forse non utilizzata sul piano di una teoria politica, ma senz’altro in grado di scardinare i canoni della teoria estetica occidentale.

Per quanto riguarda invece il sistema di notazione tradizionale, è difficile, e forse azzardato, stabilire se Schaeffer avesse ragione quando ne affermava la completa inutilità. Certo, l’importanza odierna di tutta una schiera di musicisti contemporanei farebbe credere che l’opera di distruzione del sistema di notazione tradizionale sia giunta al termine; ma saremmo veramente disposti a rinunciare ad un linguaggio ormai codificato, e che è stato in grado di offrire alcuni dei più grandi capolavori dell’umanità? E inoltre nell’opera di Schaeffer non è offerta un’alternativa veramente valida al sistema di notazione tradizionale. Una volta che abbiamo deciso di universalizzare la nostra grammatica sonora, come ne utilizzeremo gli elementi primari? Disponiamo delle unità sonore minime, i “suoni puri”, ma secondo quale criterio li utilizziamo, come li combiniamo tra di loro? 

 

Paragrafo 2. Uno strano “oggetto artistico”: il suono

 

La nozione su cui si basano tutte le convinzioni teoriche degli esponenti della corrente artistica che va sotto il nome di musica concreta è, dunque, quella di suono. Ma è una nozione tutta speciale di suono. Cosa ha di diverso il suono della musica concreta dai suoni che si erano utilizzati per fare musica sino ad allora?

1) Innanzitutto, come abbiamo più volte ripetuto, il concetto di suono si divarica profondamente, arrivando a coprire anche il rumore. Suono è tutto ciò che percepiamo grazie all’udito, secondo Schaeffer, e tutto ciò che percepiamo grazie all’udito ha la capacità di veicolare una particolare attenzione, un’attenzione estetica, se viene offerto all’ascoltatore in un determinato modo.

2) Il suono che i compositori di musica concreta utilizzano dev’essere puro,  in due sensi:

 

·        Dev’essere puro da un punto di vista antropologico, non deve cioè richiamare alla mente determinate sovrastrutture culturali, cosa che invece tipicamente fa la nota, o il suono di una melodia tradizionalmente intesa. Ascoltare una nota all’interno di una melodia rimanda l’ascoltatore a millenni di storia dell’armonia, e comporre musica ancora secondo il sistema di notazione tradizionale o secondo le vetuste leggi dell’armonia è solo un modo di muoversi all’interno di convenzioni ormai logore.

·        Dev’essere puro in relazione alla fonte che lo emette, e questo è possibile solo registrandolo su nastro magnetico. Il nostro ascolto è dotato di un forte potere di localizzazione. Quando ascoltiamo l’esibizione di un pianista (quello che Schaeffer chiama “ascolto diretto”), siamo inevitabilmente tentati a confondere il puro suono con lo strumento, o con la capacità tecnica dell’esecutore. Una cosa del genere non deve più accadere, e solo registrando il suono su nastro questo è possibile. Solo grazie ad un “ascolto indiretto” siamo in grado di percepire il suono puro, solo in questo modo “la musica può tornarci a parlare”, per usare le stesse parole dell’autore.

Ecco cosa diceva quel personaggio del “Wilhelm Meister” di Goethe che “aveva la bizzarria di non vedere i cantanti”: “Il teatro ci vizia troppo. In esso, la musica serve quasi soltanto per l’occhio: essa accompagna i movimenti, e non i sentimenti. Negli oratori e nei concerti ci disturba sempre la persona del musicante. La vera musica è solo per l’orecchio. Una bella voce è ciò che di più universale e di più astratto si possa pensare. E se l’individuo da cui essa emana ci compare dinanzi agli occhi nella sua concretezza, distrugge il puro effetto di quella vaga generalità. Io amo vedere colui con il quale debbo parlare, poiché è un dato uomo, la cui figura e il cui carattere rendono interessante o meno il suo discorso. Al contrario, chi canta deve restarmi invisibile”.

Con la registrazione del suono questo diventa possibile. Quello che avviene è un processo di materializzazione: il suono non è più evanescente e, soprattutto, prende le distanze dalla sua causa. E’ proprio per questo motivo che, più che di suono, è opportuno parlare di “oggetto sonoro”.

 

Schaeffer legge Husserl, soprattutto “Logica formale e logica trascendentale”, e dal fenomenologo tedesco eredita la nozione di epochè (sospensione del giudizio). Quello che bisogna mettere tra parentesi nel caso della musica sono tutti i pregiudizi che da sempre hanno inficiato nella storia della musica l’oggetto sonoro, per giungere finalmente ad una percezione pura dell’oggetto sonoro, che non esiste al di fuori dell’attività percettiva.

E’ precisamente questa nozione di oggetto sonoro che si presta ottimamente a fare da testimone ideale di una teoria estetica che punti sulla peculiarità dell’attenzione percettiva nel corso di una fruizione artistica.

E’ precisamente in questo che il cigolio di una porta che si apre ascoltato nella mia stanza è diverso dal cigolio della porta che si apre ascoltato ne le “Variazioni per una porta ed un sospiro” di Pierre Henry.

Del cigolio che ascoltiamo nella nostra stanza conosciamo la causa, mentre è “puro”, nel senso poc’anzi specificato, quello che ascoltiamo ripetutamente nelle variazioni. Il cigolio dell’opera di Henry è registrato su nastro e reiterato numerose volte, manipolato grazie ad un campionatore e, proprio per questo, materializzato. E’ proprio per questo che esso veicola una attenzione estetica, cosa che invece non fa il cigolio che ascoltiamo tutti i giorni nella nostra stanza. Non solo, il cigolio ascoltato nella mia stanza è, per così dire, “funzionale”, nel senso che il solo ascoltarlo ci rimanda alla sua causa, quando si presume che l’opera d’arte non sia mai funzionale. Nessuno si sognerebbe di utilizzare l’orinatorio di Duchamp nel museo in cui e’ esposto, nemmeno in caso di incontinenza! Allo stesso modo, nessuno ascoltando le variazioni di Henry, si volterebbe per verificare chi sta entrando nella propria stanza ogniqualvolta percepisse il cigolio.

Alla stregua dei readymades di Marcel Duchamp, dunque, i suoni trovati della musica concreta costituiscono un esempio importante di come l’attenzione percettiva cambi a seconda del contesto in cui ci troviamo. E già questo è un risultato teorico molto importante che la scuola della musica concreta è stata in grado di acquisire.

Secondo la teoria sull’attenzione estetica esposta da Nicolas Bullot nel saggio “Objects and aesthetic attention”, “taluni dispositivi artistici sono basati su processi di inibizione di sottoinsiemi di routine che tipicamente monitorano l’attenzione basata sugli oggetti spazio-temporali” (cit.). Possiamo considerare il suono, o meglio l’oggetto sonoro così come teorizzato da Schaeffer, alla stregua degli oggetti spazio-temporali cui solitamente è ancorata la nostra attenzione quotidiana? E’ proprio questo il punto della questione. Solo equiparando gli oggetti spazio-temporali della teoria di Bullot agli oggetti sonori di Schaeffer, la musica concreta potrebbe dimostrarsi un valido alleato delle teorie sull’attenzione estetica. Gli oggetti spazio-temporali sono ancorati a processi percettivi che Bullot chiama di routine, ossia quei processi percettivi “sviluppati attraverso l’apprendimento della performance di atti ricorrenti” (cit.). Sicuramente l’oggetto sonoro può essere considerato un oggetto di routine. L’attenzione che rivolgiamo ad un suono ricorrente (come, per fare ancora l’esempio precedente, il cigolio di una porta), è senz’altro un’ attenzione di routine. I processi percettivi interessati nel cogliere un suono nella vita di tutti i giorni sono quelli per così dire “ordinari” dell’udito. Ascoltare un suono è sicuramente un processo di routine. Noi abbiamo una certa familiarità con i suoni, nel corso di una giornata sono migliaia gli eventi sonori cui rivolgiamo la nostra attenzione (ordinaria), e spesso percepiamo suoni senza nemmeno accorgercene.

La sfida della musica concreta, allora, è stata proprio quella di cercare di abbattere la differenza tra una attenzione ordinaria rivolta ai suoni ed una attenzione estetica. O, il che è lo stesso, di abbattere la differenza tra “suoni ordinari” e “suoni artistici”. Tutto è oggetto sonoro, secondo Schaeffer e la sua scuola, e tutto ciò che è oggetto sonoro ha di per sé stesso il diritto di essere considerato artistico, perché in determinati contesti tutti i suoni, dal rumore alla nota, dal frastuono della città al cigolio di una porta, sono in grado di veicolare un’attenzione estetica, di inibire i normali processi di routine con i quali tipicamente ad essi ci rivolgiamo. Dopo aver reso puro l’oggetto sonoro, esso è diventato un potenziale oggetto artistico.

L’audacia della proposta della musica concreta sta tutta qui. Il fatto che il progetto sia fallito, che la critica abbia pesantemente sbeffeggiato le intuizioni di Schaeffer e di tutti coloro che con lui lavoravano, che spesso i teatri venivano abbandonati dall’uditorio a metà performance, più che indebolire la proposta teorica di base di questa corrente, mette pesantemente in discussione il modus operandi  dei vari artisti.

E’ molto probabile che tutte le teorie sull’attenzione estetica, come quella esposta da Bullot, siano nate proprio sulla scorta di questi esperimenti delle avanguardie del Novecento. Forse mai prima, in campo musicale, una corrente di pensiero aveva avuto una tale forza concettuale, era stata in grado di mettere così profondamente in discussione i canoni di composizione e fruizione della musica. Dobbiamo dedurne che, più che di una corrente artistica si sia tratta di una scuola di pensiero?
Indubbiamente i risultati teorici sono stati di gran lunga superiori rispetto alla realizzazione pratica degli stessi, forse per l’eccessiva audacia delle proposte avanzate, probabilmente per la costitutiva osticità delle opere realizzate dagli artisti concreti.

Una grande forza teorica, dunque, e questo è fuori dubbio. E’ davvero difficile tenere conto di quante di quelle proposte siano penetrate, anche inconsapevolmente, nel campo della musica a venire. Probabilmente senza l’avvento della musica concreta il concetto di registrazione della musica su nastro, e quindi di riproducibilità su supporti sonori e conseguente diffusione, sarebbe comparso con molto ritardo.

Cerchiamo dunque di vedere, nel concludere questo breve excursus, quali sono state le conquiste teoriche della musica concreta, e in che senso possiamo affermare che il progetto di Schaeffer non sia completamente naufragato.

 

 

 

 

Paragrafo 3. Una teoria “concreta”

 

Forse Schaeffer non è riuscito concretamente nel suo progetto di “far saltare le scogliere di marmo dell’orchestrazione occidentale”, ma di certo quelle scogliere sono, almeno in parte, state scalfite.

I meriti che si possono attribuire senza timore di smentita alla musica concreta possono essere schematizzati nei seguenti cinque punti:

1)     I teorici della musica concreta sono stati i primi a capire che la tecnologia poteva essere utilizzata al servizio dell’arte. A prescindere dai risultati degli artisti di quel periodo, è innegabile che, oggi, è impensabile parlare ancora di musica senza dover parlare di tecnologia.

2)     L’utilizzo di determinate tecniche compositive (l’utilizzo dei campionatori, dei samples, la rivalutazione del rumore) ha avuto una risonanza che non va assolutamente sottovalutata, tanto in ambito accademico (musica elettroacustica, musica elettronica pura), quanto nell’ambito della popular music (rock, hip-hop, elettronica). Non è azzardato affermare che, probabilmente, la musica concreta è l’antesignana di alcuni generi oggi considerati pop (in senso lato).

3)     E’ proprio per questo motivo che la musica concreta ha avuto un ruolo importante nel rendere più labili le barriere tra musica colta e musica popolare. Emblematica, a tal proposito, la collaborazione tra Pierre Henry ed il gruppo rock Spooky Tooth, avvenuta già nel 1969.

4)     Schaeffer e compagni hanno intuito quanto il fatto che l’oggetto sonoro potesse essere registrato e riprodotto sia importante non solo per quanto riguarda la fruizione artistica (provate ad immaginare un presente senza supporti sonori quali cd, nastri, dischi), ma anche, ed è questa la vera innovazione, nella composizione della musica.

5)     La proposta della musica concreta è stata in grado di far maturare un profondo ripensamento su quelli che erano i canoni con cui tradizionalmente si concepiva la musica, senza del quale probabilmente si sarebbe andati incontro allo sclerotizzarsi degli ormai logori canoni estetici. Le teorie sull’attenzione percettiva nascono proprio in seno a rivolgimenti teorici e culturali del genere.

E’ difficile costruire una teoria che parte dagli oggetti spazio-temporali senza che qualcuno prima non abbia provato a riflettere seriamente sul loro statuto ontologico ed artistico. Ed è precisamente ciò che hanno fatto i teorici della musique concrete.

 

 

Bibliografia ragionata

 

Ovviamente il testo base da cui partire per addentrarsi nella musica concreta è il “Traitè des objects musicaux” (Parigi, Editions du Seuil, 1966) del principale teorico Pierre Schaeffer (1910-1995). Più semplice, ma meno denso a livello concettuale e filosofico, “A la recherche d’une Musique Concrete”, che si trova nella prima tiratura (ormai però fuori catalogo) dell’ Œuvre Musicale (INA-GRM 1990), la raccolta completa di tutte le opere musicali del tecnico del suono francese.

Sui primi esperimenti di musica concreta ad opera dei futuristi italiani si può leggere “La musica futurista. Ricerche e documenti” (Libreria Musicale Italiana Editrice, 1995), del critico musicale Stefano Bianchi.

Sull’importanza della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte fondamentale è, ovviamente, il testo di Walter Benjamin (1892-1940) “L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica” (Torino, Einaudi, 1966), che però affronta un discorso molto più ampio e filosoficamente pregnante rispetto a quello trattato in questo paper.

Per quanto riguarda gli scritti sull’arte di Paul Valery, la TEA ha edito nel 1996 la raccolta “Scritti sull’arte” che li contiene tutti e che quindi, naturalmente, va ben al di là dell’argomento qui trattato.

Oltre all’articolo di Nicolas Bullot “Objects and aesthetic attention” (www.interdisciplines.org) , è importante leggere, per capire quali siano i presupposti filosofici della teoria estetica di Schaeffer, “Logica formale e logica trascendentale. Saggio di una critica della ragione logica” (Bari, Laterza, 1966), di Edmund Husserl, da cui l’ingegnere parigino attinge a piene mani le teorie sulla percezione pura e sulla sospensione del giudizio.

Il paragrafo “Uno strano oggetto artistico: il suono” è debitore in alcuni passaggi del saggio “La notte dei lampi” (http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~piana/colori/cls0000.htm) di Giovanni Piana, soprattutto quando si accenna al Wilhelm Meister di Goethe (per il quale si legga “Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister”, Edizioni scientifiche italiane).

Sulle influenze che la musica concreta ha avuto nel campo della popular music, e più in generale sulle reciproche frequentazioni tra colto e popolare, una lettura interessante può essere quella del recente testo “Questa sera o mai” (Fazi Editore, 2003), del critico di musica contemporanea Mario Gamba.

 

Discografia essenziale

 

Oltre alla già citata “Œuvre Musicale” (INA-GRM 1990) di Pierre Schaeffer, ascolto fondamentale per chi voglia approfondire lo studio della musica concreta, sono da conoscere alcune opere capitali del suo collaboratore Pierre Henry (1927-). Almeno: "Variations pour une porte et un soupir"  (Philips, 1964), "Symphonie Pour Un Homme Seu"l (Philips, 1972), scritta a quattro mani con Schaeffer, "Messe pour le temp present / Reine Verte" (Philips, 1978).

Della sterminata discografia di Karlheinz Stockhausen (1928-), “Konkrete Und Elektronische Musik” (Stockhausen German) potrebbe costituire un buon punto di partenza, mentre per la fase elettronica fondamentali sono gli “Hymnem” (1969).

Un altro autore da cui non si può prescindere quando si parla di musica concreta è Edgar Varese (1883- 1965), di cui la Decca ha di recente pubblicato una opera omnia (“Edgard Varèse : The Complete Works”, 1998).

Nel 2002 l’etichetta Sub Rosa ha dato alle stampe un doppio cd intitolato “An Anthology of Noise & Electronic Music: First A Chronology, Vol. 1” (Sub Rosa, 2002), che ripercorre le tappe storiche fondamentali dell’utilizzo del rumore e dell’elettronica nella storia della musica. I due estremi cronologici sono gli intonarumori di Antonio e Luigi Russolo e il rock commisto all’avanguardia di Sonic Youth ed Einsturzende Neubauten.

Nel volume secondo invece, uscito quest’anno (“An Anthology of Noise & Electronic Music, Vol.2” Sub Rosa, 2003), si da maggiore attenzione agli sviluppi contemporanei della musica elettronica. Le note del libretto sono curate da Karlheinz Stockhausen, a conferma di come la musica concreta abbia contribuito massicciamente ad abbattere le barriere tra musica colta e musica cosiddetta “popolare”.

 

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