"Ma nel tedesco egli
odiava il puro mestierante, il filisteo".
(F. Nietzsche, ottobre
1861)
Il periodo di Pforta
La scuola reale di Pforta - dove avevano studiato Novalis, Fichte, Friedrich Schlegel e dove Nietzsche compie gli studi superiori dal 1858 al 1864 - era un ginnasio-liceo a numero chiuso, di impostazione umanistica. In questa scuola, rinomata per la serietà dell'insegnamento, si studiava soprattutto l'antichità classica; qui, a differenza degli altri licei prussiani, in cui prevalevano ideali clericali e monarchici, si respirava l'atmosfera dell' Ellade e di Roma: al centro dell'insegnamento stavano il greco e il latino, oltre che la lingua e la letteraura tedesca. Il modello ideale a cui ci si ispirava era il dotto, in particolare il filologo.
Negli anni di Pforta, Nietzsche è un allievo modello, negli autori greci e latini, acquista un' eccellente competenza filologica. Coltiva inoltre una vasta gamma di interessi: si appassiona alla poesia tedesca classica e contemporanea, e sviluppa quelle doti musicali che lo accompagneranno per tutta la vita; alla musica si dedica intensamente, suonando e componendo. La scuola di Pforta incoraggiava la ricerca autonoma degli allievi, sollecitandoli a interessarsi ad argomenti di studio di loro scelta; probabilmente, anche la dissertazione in latino sul poeta arcaico Teognide di Megara, con cui Nietzsche conclude il corso liceale, rientra in questo ambito di ricerche. Lo studio di Teognide continua ad occuparlo negli anni dell'università; come nota Horst Althaus, una singolare affinità spirituale lo lega a questo poeta antico, che è uno scrittore di epigrammi e un ideologo dell'aristocrazia. (1)
Nell'estate del 1860, insieme agli amici d'infanzia Wilhelm Pinder e Gustav Krug, Nietzsche fonda l'associazione culturale "Germania": ogni socio deve sottoporre al vaglio critico degli altri due un proprio lavoro, un saggio, una composizione musicale. Per Nietzsche è la prima tribuna da cui esprimere qualcosa di originale: l'associazione, che verrà sciolta tre anni dopo, ospiterà una lunga lista di contributi nietzscheani. Questi primi lavori - come afferma Althaus - sono solo tenaci esercizi linguistici di uno scolaro, che attestano più la passione che la sua maestria. Ma nel '62 egli scrive per la sua "Germania" due saggi filosofici, Fato e storia e Libertà della volontà e fato, che alcuni critici considerano di singolare importanza: vi sarebbero enunciati temi destinati a produrre maturi frutti, come la critica della religione, l'eterno ritorno, la relatività della morale, l'amor fati. Tuttavia il giudizio su queste opere è controverso; ad esempio, Hans Wolff afferma che in esse Nietzsche mostra "confidenza con idee che costituiscono i fondamenti delle sue opere posteriori e perfino delle ultime" (2); invece Gianni Vattimo ne minimizza la portata: solo nel periodo degli studi universitari sarebbe possibile parlare della formazione di vere e proprie posizioni filosofiche (3).
E' in questo clima culturale che matura la scelta filologica di Nietzsche, il quale, alla fine del periodo di Pforta, è deciso a fare della filologia la sua professione. Kurt Paul Janz (4) sostiene che a Pforta egli costruisce le basi eccezionalmente solide dell'amore e della conoscenza della classicità; impara a concentrare il suo spirito sul più scrupoloso lavoro scientifico, e comincia a leggere filologicamente gli autori latini e greci. La sua vocazione filologica è dunque essenzialmente l'effetto del genuino sentimento di amore per l'antichità. Ma, secondo Janz, in questa vocazione si nasconde un'ambiguità di fondo, un latente dissidio; mentre infatti, l'amore per l'antichità è immediato, vivo, e tale è destinato a rimanere, quello per la filologia è "spurio": non è una inclinazione naturale, colma semplicemente una lacuna, si inserisce nel vuoto determinato dalla rinuncia a un progetto artistico-musicale (5).
Fin dall'inizio, la filologia non è per Nietzsche fine a se stessa, egli non si sente suo agio nei panni dell'erudito. Le motivazioni che sono alla base di tale scelta vanno cercate piuttosto nel desiderio di ricostruire la fisionomia della classicità, di farne rivivere le istanze etico-culturali in funzione del presente, per giudicarlo e rinnovarlo. La conoscenza del passato è dunque finalizzata a un progetto culturale più ampio. Un appunto della primavera del 1868, può essere indicato come il motto della sua attività di filologo: " Non per il semplice fatto che sia accaduta si ha il diritto di fare ricerche su una cosa, ma perchè questo passato era migliore del presente e quindi funge da modello" (6).
In questo contesto, assai importante ci pare uno scritto degli ultimi anni di Pforta, un commento al primo coro dell' Edipo re di Sofocle, dove Nietzsche già studia la tragedia, e individua nella musica l'origine del dramma greco. Il collegamento con la Nascita della tragedia è evidente; ma questo scritto è degno di interesse anche per un altro motivo. Hans Wolff sostiene che qui si fa sentire per la prima volta l' influsso di Richard Wagner; Nietzsche, che già conoscerebbe gli scritti del Maestro, e in particolare Opera e dramma, "crede di vedere realizzato proprio nella tragedia classica quell'ideale di opera d'arte integrale a cui tende Wagner" (7). L'idea di concepire l'opera di Wagner come rinascita della tragedia greca risalerebbe dunque a quest'epoca.
L'anno di Bonn
Nel 1864 si iscrive all'università di Bonn per studiare filologia e teologia. L'università di Bonn, meta obbligata per gli ex-allievi di Pforta, godeva di un grande prestigio, soprattutto nel campo della filologia, che annoverava maestri rinomati come Friedrich Wilhelm Ritschl e Otto Jahn. A Bonn trascorre due semestri, poco produttivi per lo studio, senza frequentare regolarmente alcun corso. Anche per quanto riguarda il privato, non vive una stagione molto felice: partecipa ai divertimenti, alle occasioni mondane e artistiche di una città definita l'Atene renana, ma poi finisce per trovarsi in difficoltà finanziarie. Entra nell' associazione studentesca "Franconia", e, dopo un entusiasmo iniziale, se ne allontana, forse deluso dal "materialismo birraiolo" che vi dominava. Prende una sola decisone sicura, quella di abbandonare lo studio della teologia, intrapreso solo per compiacere la madre; più tardi, dirà che della teologia lo attirava unicamente il lato filologico.
Anche gli studi filologici sono fonte di incertezza, poichè comportano una scelta di campo, per così dire, fra Ritschl e Jahn: il primo, vicino alla scuola storico-critica, è conoscitore di Omero e della tragedia greca, e specialista di grammatica latina; il secondo è archeologo, musicista e storico della musica. Jahn è più vicino alla sensibilità del giovane studente che, tuttavia, dopo una iniziale presa di posizione per lui, effettua il definitivo passaggio alla filologia rigorosa con Ritschl. Ma non mancano le riserve, come ci attesta la corrispondenza di questo periodo: "Io tengo molto ad uno sviluppo autonomo - e guarda con quanta facilità si può venire influenzati da uomini come Ritschl, e trascinati addirittura su binari lontani dalla propria natura" (8). Così scrive all'amico Mushacke nell'agosto del '65, un paio di mesi prima del suo trasferimento a Lipsia, dove ha deciso di proseguire gli studi. Per una strana combinazione, anche Ritschl, i cui rapporti con Jahn sono diventati particolarmente tesi, si trasferisce da Bonn a Lipsia. E anche questo fatto ci dimostra come la scelta di Nietzsche sia frutto più del caso che di una decisione consapevole (9).
In seguito, Nietzsche parlerà dell'anno di Bonn come di "un anno che per l'assenza di ogni progetto e di ogni scopo, e per la libertà da ogni proposito sul futuro, si presenta all'odierno mio modo di sentire quasi come un sogno.." (10)
Primi passi da filologo
A Lipsia, dove risiede fino alla primavera del '69 - con l'interruzione del servizio militare, dall'autunno del 1867 all'autunno dell'anno seguente - Nietzsche trova l'ambiente adatto alle sue aspirazioni e la serenità necessaria per concentrarsi negli studi; qui avvengono le decisive esperienze spirituali: l'incontro con la filosofia di Schopenhauer e di Lange, la conoscenza personale di Wagner; qui matura, anche in virtù di queste esperienze, la sua identità filosofica. Lo studio, inoltre, non è incompatibile con una vita sociale e mondana ricca e appagante.
Nei primi anni di Lipsia, Nietzsche, sotto la guida di Ritschl, riprende gli studi filologici con fervore: in questo contesto scaturisce la sua "vena filologica" (11). Egli entra nella cerchia dei fedelissimi di Ritschl e comincia a studiare in più ristrette cerchie di studiosi intorno a lui: dapprima nell' "Associazione Filologica", costituita nel dicembre del '65; poi, all'inizio del semestre invernale 1866-67, nella Societas philologica. Importante è la partecipazione all' "Associazione": Nietzsche vi tiene con successo alcune conferenze, i cui argomenti val la pena indicare, perchè ci mostrano i campi d'indagine verso i quali si indirizza la sua prima attività di studioso. La prima conferenza, del gennaio 1866, sull' Ultima redazione della silloge teognidea, è un ampliamento del lavoro di congedo di Pforta; sarà poi rielaborata e pubblicata nel 1867 sul Rheinisches Museum fuer Philologie - la rivista diretta da Ritschl - con il titolo: Per la storia della silloge teognidea.
La seconda conferenza, tenuta nel giugno del 1866, verte sulla bizantina Suda, lessico tardo-bizantino del secolo X d. C., su cui Nietzsche si è imbattuto nel suo lavoro su Teognide. Lo studio delle fonti della filosofia antica è l'oggetto della terza conferenza del gennaio del 1867, che verte sui Pìnakes, i cataloghi tramandati delle opere di Aristotele. Ma agli studi filosofici si accosta anche attraverso Diogene Laerzio, scrittore greco del III secolo d. C., una delle fonti più importanti per conoscere le dottrine dei filosofi antichi, "il guardiano notturno della filosofia greca", come lo definisce Nietzsche. Egli è indotto ad approfondire tale autore dal tema scelto dall'università nel 1866 ("De fontibus Diogeni Laertii) per un pubblico concorso, che vince; successivamente anche questo lavoro sarà pubblicato sul Rheinisches Museum.
Gli studi omerici costituiscono la base della quarta conferenza del luglio 1867, che ha per titolo: Sull'agone degli aedi nell' Eubea. Il mitico 'agone' di Omero e Esiodo viene risolto da Nietzsche nella tesi, in contrasto con la concezione dominante, che la gara, lo spirito agonistico, siano un tratto caratteristico dei Greci, un elemento fondamentale della civiltà ellenica. Le questioni della tradizione omerica lo terranno impegnato anche in seguito, fino alla celebre prolusione del 1869, su Omero e la filologia classica. Anche nel filosofo maturo i sentimenti e i comportamenti 'agonali', giocano un ruolo di primo piano, e vengono contrapposti allo spirito di 'debolezza' del cristianesimo e della morale.
Una quinta conferenza, infine, sulle satire di Varrone e il cinico Menippo, viene tenuta il 6 novembre 1868.
Il rapporto con Ritschl, rafforzato anche mediante incontri e frequentazioni regolari, diviene presto coinvolgente anche sul piano personale. "Non puoi credere infatti con quanta forza ci incateni qui la significativa personalità di Ritschl e come sarà difficile, anzi insopportabile, separarci da lui." Scrive nel gennaio 1866 (12).
In Ritschl Nietzsche trova il maestro ideale, un modello di alto profilo etico e culturale, la guida autorevole che sa indirizzarlo, sollecitarlo. D'altra parte, Ritschl, che ha individuato l'eccezionale talento dell'allievo, sa corrispondere appieno alle aspettative: non ne incoraggia la mera erudizione, ma la ricerca autonoma. Ciò che Nietzsche va cercando è infatti il metodo. "Mi divenne chiaro allora che l'esemplarità del metodo, della trattazione di un testo ecc., è il punto da cui parte l'effetto trasformatore. Perciò mi limitai a osservare come si insegna, come si trasmette il metodo di una scienza allo spirito dei giovani" (13). Una dottrina del metodo degli studi filologici in funzione di una meta educativa: è l'oggetto della lettera a Deussen dell'aprile 1867:
"Inoltre evito con la massima cura di cadere nello sfoggio di erudizione, che sia superfluo. Anche questo richiede non poco dominio di sè. Si tratta infatti di tagliare via proprio qualche superfluum che magari ti piace moltissimo. Una rigorosa presentazione della prova, esposta in modo facile e piacevole, evitando possibilmente tutta quella serietà opprimente e quello sfoggio pedantesco di citazioni così a buon mercato: e a questo che aspiro. La cosa più difficile, sempre, è riuscire a vedere come si collegano tra loro i punti fondamentali, trovare cioè la pianta della costruzione. [..] Ogni lavoro un po' più importante, l'avrai notato anche tu, influisce sulla sfera etica. Lo sforzo di esporre in sintesi e in modo armonico un certo argomento, agisce come una pietra che cade sulla nostra vita spirituale: dal primo cerchio ristretto se ne formano altri più ampi" (14).
Grandi maestri
Ma Ritschl non è l'unico modello di riferimento per Nietzsche. Nei primi mesi di Lipsia avviene il famoso incontro con la filosofia di Schopenhauer, di cui Nietzsche legge il capolavoro, Il mondo come volontà e rappresentazione. Ma su questo punto occorre fare una precisazione. Va ridimensionata la vulgata di una 'folgorazione' di Nietzsche 'sulla via di Lipsia': lo stesso Nietzsche l'ha accreditata, descrivendo in una celebre pagina autobiografica, l'episodio della scoperta, presso un antiquario, del libro e della successiva lettura, quasi si trattasse di un appuntamento col destino (15). Certamente l'impatto con la filosofia di Schopenhauer è un'esperienza travolgente, tale da lasciare tracce profonde nel pensiero di Nietzsche. Ma ciò nonostante, il suo atteggiamento non è quello del credente; egli, al contrario, fin dall'inizio, è lettore attento e critico. I dubbi, i rilievi di Nietzsche si appuntano in particolare sul concetto di cosa in sè, che Schopenhauer ha mutuato da Kant; nella primavera del 1868 egli elabora uno scritto, intitolato Su Schopenhauer (16). La volontà schopenhaueriana, questa parola "dal conio grossolano", scrive Nietzsche, "é generata soltanto grazie ad una intuizione poetica"; gli stessi predicati della volontà, ossia di qualcosa "che è per definizione impensabile, sono fin troppo determinati e tutti ricavati dall'antitesi con il mondo della rappresentazione: mentre tra la cosa in sè e il fenomeno neppure il concetto di antitesi ha senso" (17). In definitiva, affermando che la volontà viene determinata di sottobanco con predicati "presi in prestito dal mondo fenomenico" (18), Nietzsche colpisce al cuore il sistema di Schopenhauer. Vale la pena riflettere sul fatto che lo "schopenhauerismo" di Nietzsche ha alla sua base una così radicale confutazione del sistema. Ma le obiezioni teoretiche non sminuiscono, agli occhi di Nietzsche, il valore della personalità etica; Nietzsche non aderisce tanto ad una filosofia, quanto ad un filosofo. Nel medesimo scritto troviamo la seguente affermazione: "Per gli errori dei grandi uomini occorre avere rispetto perchè sono più fecondi delle verità dei piccoli" (19).
Come è stato per Ritschl, e come sarà per Wagner, gioca l'importanza del modello: Schopenhauer è lo spirito originale e indipendente che si erge sopra la meschinità del presente, il pensatore alieno da compromessi, consacrato alla verità: egli diverrà per Nietzsche, secondo la formulazione della terza Inattuale, l'educatore. "Il meglio che noi possediamo", scrive all'amico Deussen, è "sentirsi tutt'uno con un grande spirito, riuscire a seguire il filo dei suoi pensieri in perfetto accordo, aver trovato una patria del pensiero, un luogo di rifugio per i momenti di sconforto.." (20)
Inoltre, il pessimismo schopenhaueriano offre a Nietzsche la medesima visione tragica della vita che è alla base della tragedia greca (21). In quest'ottica, Schopenhauer e l'amato mondo classico, filosofia e filologia, trovano un punto di incontro. Ma su un altro piano classicità e filosofia schopenahueriana si collegano, ed è là dove Nietzsche comincia a pensare a un nuovo modello di grecità, tale da superare la decadenza nella quale si è involuta la civiltà moderna.In un appunto della primavera-autunno 1868, è anticipato lo schema della Nascita della tragedia: "Schopenhauer è il filosofo di una ridestata classicità, di una grecità germanica. Schopenhauer è il filosofo di una Germania rigenerata" (22).
Anche l'atteggiamento di Nietzsche per Ritschl non è esente da rilievi critici. Egli osserva, ad esempio, che il maestro tendeva "a sopravvalutare la propria disciplina ed era quindi contrario a che i filologi si occupassero troppo intensamente di filosofia"; per contro, "cercava di far sì che i suoi allievi divenissero utili alla scienza il più presto possibile", per cui sollecitava troppo precocemente "la vena produttiva di ciascuno" (23). A volte, lamenta che gli studi filologici non gli abbiano permesso di approfondire quegli scientifici; certo, non può condividere le riserve di Ritschl nei confronti della filosofia, soprattutto dopo che Schopenhauer ha risvegliato improvvisamente le energie filosofiche finora sopite. Perciò nel rapporto con Ritschl viene ad inserirsi un ostacolo nascosto, che determina una sorta di 'doppiezza spirituale', come la chiama Janz. Ciò non può non ripercuotersi sullo stesso lavoro filologico, come ci testimonia puntualmente l'epistolario. Nel marzo 1866, scrive all'amico Hermann Mushake che sta sprofondando "in quello stato di insensibilità ottusa" indotto dal suo lavoro "di taglialena filologico" (24) . Un mese dopo, riferendo all'amico Carl von Gersdorff del suo scritto su Teognide, afferma:
"Del resto non posso nemmeno negare che non riesco a capire perchè mai mi sono addossato questa preoccupazione, che mi allontana da me stesso (e inoltre da Schopenhauer, che spesso è la stessa cosa), che con le sue conseguenze mi espone al giudizio della gente e, se possibile, mi costringe addirittura a indossare la maschera di una erudizione che io non posseggo" (25).
Si tratta per il momento di frasi isolate, che riflettono umori sporadici, e si alternano a passi di tutt'altro tono; in questa fase filologia e filosofia procedono ancora parallelamente. Dall'epistolario emerge un Nietzsche sprofondato nel lavoro, che, mentre intensifica i riferimenti al filosofo di Danzica, si compiace per i progressi della società filologica. Egli sta vivendo la sua più felice e produttiva stagione di filologo. In una lettera del settembre 1866, indirizzata a Paul Deussen, parlando della filologia, afferma, ad esempio: "Questo è uno studio che costa qualche goccia di sudore, ma che compensa effettivamente ogni fatica. Questa sensazione, forte e corroborante, di avere un compito per la vita, si fa strada assai presto nell'anima del vero filologo" (26).
Verso la filosofia
Schopenhauer non esaurisce l'orizzonte filosofico di Nietzsche. Nei primi anni di Lipsia egli completa la conoscenza di vari autori: Friedrich Strauss, Hegel, Kant - approfondito attraverso la monografia di Kuno Fischer - Duehring. Ma l'opera di maggiore influenza - secondo Janz, addirittura superiore a quella dello stesso Schopenhauer - è la Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange. Nietzsche la legge subito dopo la sua pubblicazione, nell'estate del 1866, e ne rimane fortemente colpito. "L'opera filosofica - scrive - più importante che sia apparsa negli ultimi decenni, della quale potrei scrivere un elogio di pagine e pagine. Kant, Schopenhauer e questo libro - tanto mi basta" (27).
Friedrich Lange, insieme a Kuno Fisher, è uno di quei pensatori che, prendendo le mosse da Kant, anticipano quella filosofia del neo-criticismo, le cui manifestazioni più significative sono la Scuola del Baden e la Scuola di Marburgo. Lange, scrittore della sinistra borghese, è una personalità indipendente e rigorosa. Dalla lezione kantiana egli sviluppa una concezione lontana da ogni dogmatismo, che spazia dalla filosofia antica, nella quale Democrito occupa un posto di rilievo, fino alle problematiche moderne, al darwinismo e alle correnti economiche e politiche. Lange, pur negando ogni validità conoscitiva alla metafisica, le riconosce una funzione edificante, consistente nel dare espressione a immagini e sistemi esaltanti: non è, quindi, scienza, bensì una forma d'arte per la quale Lange conia l'espressione di "libera poesia concettuale" (28).
La stessa lettura di Schopenhauer è influenzata da Lange. Negli appunti citati Su Schopenhauer, Nietzsche estende a Schopenhauer la critica che Lange rivolgeva a Kant, di essere, cioè, la cosa in sè, una categoria nascosta; e considera anche la filosofia schopenhaueriana un esempio di Begriffsdichtung. Alla base di questo concetto vi è la convinzione, mutuata sia da Schopenhauer che da Lange, che la realtà in sè sia alogica: ne deriva che la filosofia, a cui è preclusa l'essenza delle cose, non sia distinta dall'arte, e ad essa sia affidato un compito pratico, di elevazione. "Se la filosofia ha il compito di elevare - scrive a Gersdorff -, allora non conosco nemmeno un filosofo che elevi più del nostro Schopenhauer" (29). E a Deussen, nella primavera del '68: "Il regno della metafisica, e con esso l'area della verità 'assoluta', è stato innegabilmente inserito in un'unica categoria insieme con la religione e la poesia" (30).
La filosofia speculativa è edificazione: è una concezione che si sedimenta nell'animo di Nietzsche, e che permane anche nel futuro filosofo. Per esempio, in Umano, troppo umano, il libro che apre la grande stagione delle opere aforistiche, dove pure egli effettua la "grande separazione" dai modelli che in precedenza venerava, come l'arte di Wagner e la filosofia di Schopenhauer. All'inizio, nel primo gruppo di aforismi, viene trattato il rapporto tra scienza e metafisica: la prima, che non si propone scopi consolatori, è volta unicamente alla conoscenza "qualunque cosa ne debba risultare" (aforisma 6); la seconda, al contrario, non tende alla verità, ma produce quelle concezioni per mezzo delle quali l'uomo "vive più felice" (aforisma 7). In particolare, all'aforisma 6, si dice:
"Nella filosofia poi, in quanto culmine dell'intera piramide del sapere, viene involontariamente sollevata la questione dell'utilità della conoscenza in genere, e ogni filosofia ha inconsciamente l'intento di ascriverle la più alta utilità. [..] E' questo l'antagonismo fra i singoli campi scientifici e la filosofia. Quest'ultima vuole, come vuole l'arte, dare al vivere e all'agire la massima profondità e il massimo significato possibili" (31)
Ma Lange amplia le conoscenze di Nietzsche anche sugli inizi della filosofia greca, contribuisce ad affinare il suo sguardo su un mondo fino ad allora poco conosciuto. I filosofi presocratici erano trascurati dalla filosofia tradizionale, per la quale rappresentavano, come scrive Althaus, "una fase storica precivilizzata, pre-razionale, che Socrate e i suoi allievi avevano illuminato della loro luce" (32). Ora Nietzsche, sotto l'influenza di Lange, viene introdotto al materialismo di Democrito, che già aveva studiato da un punto di vista filologico. I lavori su Democrito, rielaborati in un'ottica filosofica, lo tengono occupato soprattutto nel periodo del servizio militare. "Per ora sono molto ottimista circa questo lavoro: - comunica a Rhode nel febbraio del '68 - è andato acquistando uno sfondo filosofico, cosa che non ero mai riuscito a fare in nessuno dei miei lavori" (33).
In marzo, Nietzsche, che presta servizio come artigliere a cavallo, in seguito ad una brutta caduta, si procura uno strappo muscolare con complicazioni varie, ed è costretto ad un ozio forzato di parecchi mesi. Ne approfitta per dedicarsi con una maggiore concentrazione ai suoi lavori. "Lavoro, finchè c'è luce, di gran lena ai 'philologica' ", scrive a Rohde (34). Consegna a Ritschl il suo saggio sulla Lamentatio Danae di Simonide, che viene pubblicato sul Rheinisches Museum. Intanto progetta un viaggio a Parigi per l'anno successivo, e comincia a pensare alla tesi per il dottorato. Ne parla, a maggio, con l'amico Rohde: dapprima vuole scrivere una dissertazione di carattere filosofico, ("sul concetto di organico da Kant in poi", ovvero "sulla teleologia") (35) . Ma dopo un mese abbandona questo progetto, optando per una questione filologica più limitata: se i diversi padri, che gli storici della letteratura greca attribuiscono ai poeti, ai filosofi, agli oratori, siano fittizi o no. Nella lettera a Rohde, Nietzsche prefigura la sua situazione futura: la professione di filologo gli appare come la più certa, e ne esamina con distacco vantaggi e svantaggi. Dice di affrontare "senza speranze eccessive", la carriera accademica, ma, nondimeno, questa può consentirgli "una posizione abbastanza indipendente dal punto di vista sia politico che sociale" e garantirgli "di dedicarsi con agio ai propri studi" (36).
Ma è proprio in questo periodo che si fa più evidente l 'insofferenza di Nietzsche per i limiti che la filologia rigorosa impone e, in modo particolare, per l'ambiente accademico. Non è un atteggiamento improvviso; anche in precedenza, come si è visto, non mancavano i dubbi. Nella lettera dell'aprile 1867 a Gersdorff, le critiche diventano più specifiche; egli rimprovera ai filologi la visione angusta, l'incapacità di cogliere "quella esaltante visione complessiva dell'antichità", dovuta al fatto che "essi si pongono troppo vicino al quadro e indagano su una macchiolina d'olio, invece di ammirare i tratti grandiosi e audaci dell'intero dipinto e, cosa ancora più importante, di goderne" (37).
Sono indicative di questo atteggiamento le lettere a Paul Deussen dell'estate-autunno 1868. In giugno, durante la malattia, scrive:
"Nella maggior parte dei filologi, si annida da qualche parte una certa stortura morale; ciò trova la sua spiegazione in parte addirittura sul piano fisico, in quanto essi vengono costretti a fare una vita contro natura, a rimpinzare il loro spirito con alimenti assurdi, a trascurare il loro sviluppo interiore a scapito della memoria e del giudizio. Persino la capacità, così bella, di entusiasmarsi è rarissima tra i filologi attuali: suoi squallidi surrogati sono la presunzione e la vanità" (38)
In settembre riprende l'argomento: "Credimi però: le qualità necessarie per produrre qualcosa di lodevole in campo filologico sono incredibilmente modeste e chiunque, purchè collocato al posto 'giusto', impara il suo mestiere." Dopo qualche giorno ritorna sul medesimo motivo:
"Addirittura ho l'impressione che proprio le opere dei filologi meritino meno di tutte le altre ammirazione, riconoscimento di qualità geniali eccetera, [..] in sostanza, queste opere diligenti sono il prodotto di una mente assolutamente mediocre, una mente che ignora più alte e più valide sfere del pensiero o per lo meno, non riesce ad elaborarle con profitto, limitandosi a rovistarci dentro" (39).
A ottobre, all'amico che aveva definito la filologia come figlia della filosofia, risponde, rincarando la dose: "Se vuoi ch'io faccia della mitologia, allora la filologia mi appare come un aborto della dea filosofia, concepito con un idiota o un cretino" (40).
La situazione, a ben vedere, è paradossale: l'estraniazione Di Nietzsche dalla filologia sembra crescere proprio in proporzione ai suoi successi come filologo. Egli infatti, finito nell'ottobre 1868 il servizio militare, sta accrescendo il suo prestigio e consolidando la sua posizione di filologo: è collaboratore sia dei Jahrbuecher fuer Philologie, sia del Litterarisches Centralbatt, oltre che, naturalmente, del Rheinesches Museum. I suoi lavori gli procurano una certa fama, e attirano su di lui l'attenzione dell'Università di Basilea; nel gennaio del 1869, Nietzsche, ventiquattrenne non ancora laureato, è chiamato alla cattedra di lingue e letteratura greca in questa università. Grande è la gioia del neo professore straordinario, ma insieme all'entusiamo si fa strada la consapevolezza dell'ironia del "diavolo destino". Il 16 gennaio scrive a Rohde: "Il fato si prende davvero gioco di noi: non più tradi della settimana scorsa volevo scriverti per proporti di studiare insieme chimica, e di gettare la filologia tra gli utensili domestici dei nostri progenitori, dove è il suo posto. Ora il diavolo 'destino' mi getta l'esca di una cattedra di filologia" (41).
L'ultimo periodo di Lipsia
Nietzsche cerca di superare il conflitto tra professione e vocazione in due modi contraddittori: da un lato, mediante un compromesso, che comporti una separazione, una netta distinzione dei ruoli. Come si è visto nella lettera a Rohde del maggio, ritiene che la professione accademica gli consenta l'indipendenza e la tranquillità necessarie per dedicarsi ai suoi interessi più veri. E che questo possa essere il motivo che lo porta ad abbandonare la dissertazione su Kant per il dottorato, lo si evince da una lettera di giugno a Deussen: "Scegli pure, per la tua formazione, i problemi più ardui e più belli; per una dissertazione invece l'angolino più modesto e più appartato, e niente di più. Pensi forse che, quando lavoro su Laertio e Suida, io mi trovi in uno stato d'animo così beato e perfetto come quando leggo, per esempio, il Faust o Schopenhauer?" (42)
Ma, dall'altro lato, egli mira anche ad un progetto culturale alto, in cui filologia e filosofia siano armonizzate; in questo secondo contesto, tuttavia, la filologia si trova subordinata ad una meta filosofica. Per comprendere meglio questo punto, leggiamo il seguente passo dalla lettera del febbraio '68 a Rohde, in cui Nietzsche parla del suo lavoro su Democrito:
"I miei lavori prendono tutti una certa direzione e indicano tutti, come tanti pali del telegrafo, una meta dei miei studi, che ora non voglio più perdere di vista. Tale meta è una storia degli studi letterari nell'antichità e nell'epoca moderna. Per il momento non mi interessano molto i dettagli; quello che ora mi attrae è l'elemento universalmente umano, è vedere come nasce l'esigenza di un'indagine storico letteraria e come questa prenda forma tra le mani plasmatrici del filosofo" (43).
Come emerge anche dai frammenti di questo periodo (44), Nietzsche sta lavorando ad un'esposizione degli 'studi di storia letteraria', dalla quale il ruolo della filologia esce ridimensionato. Egli critica infatti l'ottica miope, la visione ristretta dei filologi, l'incapacità di pensare in grande. L'operazione è ispirata dalla concezione schopenhaueriana del genio, della forza esemplare delle grandi personalità. "L'uguale conosce l'uguale. E' possibile mostrare come ogni grande concezione letteraria risalga ai grandi ingegni affini [..] Il grande canone dei classici è stato formato via via dai classici stessi" (45). Gli stessi concetti sono espressi nella lettera a Rohde del febbraio:
"Il fatto che tutti i concetti chiarificatori, nella storia letteraria, noi li abbiamo ricevuti da quei pochi uomini di genio che vivono nelle parole dei dotti; che tutti i lavori buoni e proficui, in questo campo, non sono stati altro che applicazioni pratiche di quelle idee tipiche; che in tal modo l'elemento creativo, nell'indagine letteraria, è proprio di coloro che personalmente non si dedicarono affatto, o si dedicarono limitatamente, a questo genere di studi; [..]: tutte queste considerazioni fortemente pessimistiche, che comportano un nuovo culto del genio, persistono nella mia mente e mi invogliano a fare una verifica storica alla luce delle medesime". E conclude: "..ho l'impressione infatti che tu, leggendo queste righe, debba sentirci lo zampino di Schpenhauer" (46).
La filosofia di Schopenhauer è dunque alla base della crisi d'identità filologica di Nietzsche, ma non nel senso che la prima scalza semplicemente la seconda, bensì nel senso che Nietzsche è sollecitato dalla filosofia schopenhaueriana a ridefinire il ruolo e i compiti del lavoro filologico. Egli si trova in questa situazione di crisi, quando conosce personalmente Richard Wagner. L'incontro non modifica la traiettoria spirituale di Nietzsche, ma piuttosto la radicalizza, esasperando le tensioni e i conflitti. Mentre contribuisce ad aumentare l'insofferenza di Nietzsche verso la filologia ed i filologi, gli indica anche una direzione, una nuova finalità etico-culturale.
Nietzsche aveva sempre avuto nei confronti di Wagner un atteggiamento sostanzialmente critico, non privo di sentimenti contrastanti. "A grandi bellezze e virtutes, scrive all'amico Gersdorff nell'ottobre del 1866, fanno da contrappeso altrettanto grandi bruttezze e difetti" (47). Ma a partire dal suo ritorno a Lipsia, pur mantenendo delle riserve, comincia a manifestare una diversa disposizione. In ottobre, comunica a Rohde di aver letto i saggi di Jahn su Wagner, e, in contrasto con l'autore, ne ammira "l'energia inesauribile" e il "talento artistico multiforme". E' pur vero che lo considera come il "rappresentante di una forma moderna di dilettantismo", ma poi afferma perentorio: "A me piace in Wagner ciò che mi piace in Schopenhauer: il soffio etico, il profumo faustiano, la croce, la morte, la tomba eccetera" (48)
Alla fine di ottobre ascolta il preludio del Tristano e l'ouverture dei Maestri Cantori, che lo riempie di entusiasmo; e proprio i Maestri Cantori diventano l'occasione per la conoscenza personale del Maestro. Wagner in quei giorni si trovava a Lipsia, ospite della sorella Ottilie; quando suona la canzone dei Maestri Cantori per la sorella e per l'amica di lei, la signora Ritschl, questa riferisce di averla già ascoltata da un giovane filologo, allievo del marito; Wagner allora manifesta il desiderio di conoscerlo. L'incontro, che avviene in casa della sorella l' 8 di novembre, è descritto da Nietzsche il giorno immediatamente successivo, in una lunga e partecipata lettera a Rohde. Egli ripercorre minuziosamente i momenti di quella serata emozionante, costellata anche da piccoli incidenti (manca l'abito da sera, il sarto che non si fa vivo, la zuffa con il lavorante del sarto, ecc.), quasi presaghi dell'evento fatale.
Wagner appare subito a Nietzsche come il grand'uomo, "l'esemplificazione più viva di ciò che Schopenhauer chiama un genio" (49); e la musica di Wagner come un "mare di suoni schopenhaueriano" (50). L' effetto più immediato è quello di far risaltare la meschinità dell'ambiente in cui Nietzsche vive:
"Ora che rivedo da vicino quella brulicante genia di filologi dei giorni nostri - scrive a Rodhe nel novembre - ; ora che mi tocca contemplare ogni giorno tutto questo affacendarsi da talpe, con le cavità mascellari rigonfie e lo sguardo cieco, contente di essersi accaparrate un verme, e indifferenti verso i veri, urgenti problemi della vita.." (51)
L'immagine grottesca della talpa, fa venire in mente il personaggio del "Coscienzioso dello spirito", descritto nello Zarathustra, ossia dell'uomo di scienza parcellizzato, che ha dedicato la propria vita allo studio del cervello della sanguisuga, e vive immerso in una palude. Ma al di là degli elementi grotteschi, questi rilievi nei confronti dei filologi sono analoghi agli altri di questo periodo. Si è visto che la filosofia di Schopenhauer sia l'ispiratrice di quei rilievi; Schopenhauer si deve considerare anche l'artefice della 'seduzione' di Nietzsche, e non solo per il fatto che l'amicizia fra Nietzsche e Wagner nasce e si consolida sulla base del comune interesse per il filosofo di Danzica, ma anche e soprattutto perchè questa filosofia ha agito nel senso di una predisposizione. La dottrina della musica come la più sublime delle arti, la concezione del genio, una particolare sensibilità artistico-filosofica, si erano già sviluppate nell'animo di Nietzsche; la conoscenza di Wagner non fa che rafforzarle. Anche per quanto riguarda la filologia, lo 'spirito della musica wagneriano' opera nel solco già tracciato dalla filosofia di Schopenhauer: ne viene fuori una concezione che vuole unificare filologia, arte e filosofia, e che ora non è più professata nel privato di una corrispondenza o di un quaderno di appunti, ma apertamente dichiarata. Mi riferisco alla prolusione su Omero e la filologia classica, che egli pronuncia a Basilea il 28 maggio 1869, all'atto di assumere il nuovo ruolo di professore universitario.
Nella sua dissertazione, Nietzsche ripercorre per linee generali la questione omerica, per esaminare lo stato di salute della filologia, che, dilaniata tra spinte interne contrastanti, vive una acuta contraddizione tra arte e scienza. "La vita è degna di essere vissuta, dice l'arte, la più bella seduttrice; la vita è degna di essere conosciuta, dice la scienza" (52). Il rapporto vita - conoscenza ritornerà più volte nel corso dell' elaborazione teorica; nelle prime opere, l'antitesi sarà risolta in favore dell'arte; in questo contesto, ragioni di opportunità impongono soluzioni conciliatorie e ottimistiche. La filologia può "colmare l'abisso" fra "antichità ideale" e "antichità reale", ed arrivare a comprendere veramente lo spirito dell'antichità, a patto di avvalersi dell' indispensabile "sostegno degli artisti e delle nature artistiche" (53). E la stessa questione omerica ci mostra appunto "come i filologi abbiano vissuto quasi un secolo intero insieme a poeti, pensatori e artisti" (54). Poi Nietzsche conclude la sua prolusione con queste parole:
"Anche a un filologo ben si addice di racchiudere il fine delle sue aspirazioni e la via che deve portarvi nella breve formula di una confessione di fede; e lo farò invertendo a questo modo una frase di Seneca: philosofia facta est quae philologia fuit. Con ciò si vuole dire che ogni attività filologica dev'essere racchiusa e circondata da una concezione filosofica del mondo.." (55).
In sostanza, Nietzsche indica i veri artefici di una riforma della filologia nel filosofo e nell'artista: un modo indiretto di riferirsi a Schopenhauer e a Wagner, di esaltarne la centralità.
Note
(1) Horst Althaus: Friedrich Nietzsche. Eine buergerliche Tragoedie, Muenchen 1985. Trad. it.: Nietzsche. Una tragedia borghese, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 39.
(2)
Hans M. Wolff: Friedrich Nietzsche. Der Weg zum Nichts, Bern 1956. Trad. it.: Friedrich Nietzsche. Una via verso il nulla, Il Mulino, Bologna 1975, p. 13.(3)
Gianni Vattimo: Friedrich Wilhelm Nietzsche, in: Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano 1976, vol. XXV. Si veda in particolare il par. 1, Nietzsche filologo.(4)
Curt Paul Janz: Friedrich Nietzsche Biographie, Muenchen 1978; trad. it. Vita di Nietzsche, Laterza, Roma-Bari 1980. Dei tre volumi che compongono l'opera, si veda, in particolare, il primo (Il profeta della tragedia).(5)
C. P. Janz, op. cit., p. 104.(6)
F. Nietzsche: Appunti filosofici 1867-1869, Adelphi, Milano 1993, p. 131.(7)
H. Wolff: op. cit., p.22.(8)
F: Nietzsche: Epistolario, 1850-1869, Adelphi, vol. I, Milano 1976, lettera del 30 agosto 1865 a Hermann Mushacke, p. 379.(9)
Come sostiene Janz - op. cit., p.136 - Nietzsche non 'seguì' Ritschl, come è stato detto più volte, ma si decise per Lipsia in seguito alle sollecitazioni dell'amico Carl von Gersdorff, un mese prima della nomina di Ritschl.(10)
F. Nietzsche: Sull'avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano 1992, I conferenza, pp. 14-15.(11)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera della prima metà del lugio 1867 a Hermann Mushacke, p. 525.(12)
Ivi., lettera del 15 gennaio 1866 a Edmund Oehler, p. 406. Lo stesso concetto è espresso, un anno dopo, all'amico Deussen: "Non puoi credere come mi sento strettamente legato a Ritschl, a tal punto che non posso né voglio staccarmene". (Lettera del 4 aprile 1867, p. 509).(13)
F. Nietzsche: La mia vita, Adelphi, Milano 1955, p. 161.(14)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera del 4 aprile 1867 a Paul Deussen, pp. 510-11.(15)
Cfr. F. Nietzsche: La mia vita, cit., p. 163.(16)
F. Nietzsche: Appunti filosofici, cit., pp. 92-107.(17)
Ivi, p. 96.(18)
Ivi, p. 99.(19)
Ivi, p. 95.(20)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera dell'ottobre-novembre 1867 a Paul Deussen, pp.534-35.(21)
Un altro campo di indagine che occupa Nietzsche in questo periodo è rappresentato da Eschilo: anche questo fatto contribuisce ad accostare Nietzsche alla tragedia. Come nota Althaus, Eschilo è il più antico e il più oscuro dei tragediografi, colui che affonda le sue radici nel mondo pre-ellenico, "nel più primitivo e sanguinoso sostrato della 'tragedia' ". (H. Althaus, op. cit., p. 62).(22)
F. Nietzsche: Appunti filosofici, cit., p. 176.(23)
F. Nietzsche: La mia vita, cit., p. 170.(24)
F: Nietzsche: Epistolario, cit., lettera del 14 marzo 1866 a Hermann Mushacke, p. 416(25)
Ivi., lettera del 7 aprile 1866 a Carl von Gersdorff, p. 421. Su queste perplessità di Nietzsche sul proprio lavoro, cfr. anche la lettera dell'agosto 1866 a Gersdorff, cui confida, dopo aver terminato finalmente il Teognide: "Non ho mai scritto tanto di malavoglia". (Ivi, p. 459).(26)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera del settembre 1866 a Paul Deussen, p. 466.(27)
Ivi., lettera del novembre 1866 a Hermann Mushake, pp. 488-89.(28)
"Freie Begriffsdichtung"; cfr. F. A. Lange: Geschichte des Materialismus, Iserlohn 1866, p. 545.(29)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera di fine agosto 1866 a Carl von Gersdorff, p.463.(30)
Ivi., lettera di fine aprile-primi di maggio 1868 a Paul Deussen, p. 575.(31)
F. Nietzsche, Umano, troppo umano, vol. primo, Adelphi, Milano 1982, pp. 18-19.(32)
H. Althaus, op. cit., p. 73.(33)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera dell'1-3 febbraio 1868 a Erwin Rohde, p. 554.(34)
Ivi, lettera del 6 giugno 1868 a Erwin Rohde, p. 596.(35)
Ivi, lettera del 3 o 4 maggio 1868 a Erwin Rohde, p. 581.(36)
Ivi, p. 583.(37)
Ivi, lettera del 6 aprile 1867 a Carl von Gersdorff, p. 515. Cfr. anche gli appunti di questo periodo. Scrive, ad esempio: "La maggior parte dei filologi sono oprai di fabbrica al servizio della scienza. Viene meno l'inclinazione ad abbracciare una totalità più ampia o a mettere al mondo nuovi punti di vista. I più lavorano invece con solerzia e persistenza a una piccola vite". (Appunti filosofici, cit., p. 68).(38)
Ivi., lettera del 2 giugno 1868 a Paul Deussen, p. 590.(39)
Ivi, lettera del setttembre-ottobre 1868 a Paul Deussen, p. 627.(40)
Ivi, lettera della seconda metà dell'ottobre 1868 a Paul Deussen, p. 636.(41)
Ivi., lettera del 16 gennaio 1869 a Erwin Rohde, p. 667.(42)
Ivi, lettera del 22 giugno 1868 a Paul Deussen, p. 598.(43)
Ivi, lettera dell' 1-3 febbraio 1868 a Erwin Rohde, p. 554.(44)
Cfr. ad es. il Quaderno PI 4a dell'autunno 1867 - primavera 1868, in Appunti filosofici, cit, pp. 66-72. Cfr. anche l' Introduzione di Giuliano Campioni e Federico Gerratana.(45)
F. Nietzsche: Appunti filosofici, cit., p.70.(46)
F. Nietzsche: Epistolario, cit., lettera dell'1-3 febbraio 1868 a Erwin Rohde, pp. 554-55. Cfr. anche la lettera a Gersdorff del 16 febbraio 1868, p.562: "Come ti spiegherò un'altra volta, porrò a sfondo del tutto ['un'esposizione degli studi letterari degli antichi'] alcune tesi marcatamente pessimistiche, cosicchè l'insieme risulterà fortemente pervaso di un'atmosfera schopenhaueriana". Nonchè la lettera a Deussen del settembre 1868, pp.622-23: "Anche i nostri massimi talenti filologici, infatti, sono solo relativamente dei datori di lavoro: se ci si pone da un punto di vista più elevato, che consenta una prospettiva storica della cultura, si vede come anche queste menti in fondo non siano che operai, e precisamente al servizio di qualche semidio della filosofia (il più grande dei quali, in tutto l'ultimo millennio, è Schopenhauer)".(47)
Ivi, lettera dell'11 ottobre 1866 a Carl von Gersdorff, p. 478.(48)
Ivi., lettera dell'8 ottobre 1868 a Erwin Rohde, p. 629.(49)
Ivi, lettera del 9 dicembre 1868 a Erwin Rohde, p.660.(50)
Ivi, pp.660-61.(51)
Ivi, lettera del 20 novembre 1868 a Erwin Rohde, p. 651.(52)
F. Nietzsche: Omero e la filologia classica, Adelphi, Milano 1993, p. 222.(53)
Ivi, p. 221.(54)
Ivi, p. 244.(55)
Ivi, p. 245.