NORBERT ELIAS

 

A cura di Silvia Ferbri

 

 

"La civilizzazione non è ancora compiuta: è in divenire."

 

 

 

 

Introduzione

 

Norbert Elias è una delle più grandi figure della sociologia del secolo scorso, la cui grandezza però per tutta una serie di sfortunate circostanze non ha avuto il riconoscimento che meritava fino quasi al termine della sua vita. Le sue opere infatti vennero scoperte e apprezzate dal largo pubblico solo molto tempo dopo essere state scritte. Ma considerarlo un "semplice" sociologo può apparire ancora riduttivo: è di certo più esatto definirlo un "sociologo dotato di vocazione filosofica", come ha correttamente osservato Giuseppe Limone in un suo recente saggio scritto per un seminario dell'Università degli studi di Napoli. Nei testi di Elias non troviamo soltanto il rigore e la precisione della ricerca storico-empirica, o un'approfondita riflessione teorico-sociologica; troviamo anche un pensiero che attraversa quasi con noncuranza profondità più ampie, un pensiero quindi che ha spesso un sapore squisitamente filosofico anche se forse non ricercato e neppure del tutto consapevole. Elias del resto si era laureato in filosofia prima di dedicarsi agli studi sociologici, e questa sua formazione ha inevitabilmente lasciato la sua impronta.

La sua opera fondamentale, Il processo di civilizzazione, pubblicata nel nostro paese nella sua originaria unità solo molti anni dopo le prime edizioni frammentate, apparve in Svizzera nel 1939. Norbert Elias era all'epoca un giovane sociologo ebreo, assistente per qualche anno di Karl Mannheim all'Università di Francoforte prima di essere costretto a stabilirsi per una trentina d'anni in Inghilterra. Non aveva scritto molto fino a quel momento, e la prima edizione di quell'opera monumentale, Über den Prozess der Zivilisation, non poté per ovvi motivi essere diffusa in quel periodo né in Germania né in qualsiasi altro territorio occupato dai nazisti, così come aveva difficoltà a circolare nel mondo di lingua francese e anglosassone, sia per le quasi ottocento pagine che per il nome totalmente sconosciuto dell'autore e non ultimo per motivi linguistici, essendo scritta in tedesco. Tra le scarsissime recensioni che apparvero negli anni immediatamente successivi all'uscita del testo spicca soltanto quella di Franz Borkenau, membro negli anni Trenta dell'Institut für Sozialforschung di Francoforte, il celebre centro di ricerca diretto da Horkheimer e Adorno. Elias e Borkenau erano amici, e di lì a poco avrebbero condiviso lo stesso destino di emigranti, in esilio prima a Parigi e poi a Londra. La recensione di Borkenau apprezzava lo studio di Elias, accostandolo alla migliore tradizione di Max Weber e della sua scuola, pur criticandone l'analisi in alcuni punti.

A lungo il testo di Elias ed Elias stesso resteranno quasi sconosciuti al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti, fino alla comparsa della seconda edizione del libro in Germania nel 1969, accostata alla prima edizione di un altro grande lavoro di Elias, inedito fin dagli anni Trenta, Die höfische Gesellschaft (La società di corte). Finalmente questo grande sociologo poté uscire dall'ombra. Da quel momento in poi Elias ha conosciuto un successo editoriale dopo l'altro, fino al conferimento a Francoforte del prestigioso premio Adorno, che rappresentò una sorta di consacrazione definitiva.

Quali sono i temi e i contenuti del pensiero di Elias?

Innanzitutto le configurazioni dinamiche dei rapporti sociali, i processi che si svolgono nel tempo, l'interdipendenza dei fenomeni analizzati, presi sempre in esame nella loro unione inscindibile e nella loro complessità. Poi lo stretto rapporto che esiste tra dimensione sociale e dimensione psicologica, di conseguenza il legame altrettanto inscindibile tra il singolo individuo e la società di cui fa parte, il tutto analizzato nel suo processo storico. Elias stesso definì la sua sociologia una "sociologia storico-processuale", a sottolineare la fondamentale importanza dello sviluppo sociale nel tempo e del suo continuo mutare e divenire storico. Ci troviamo pertanto di fronte a una "sociologia evolutiva". Nell'interrogarsi su cosa debba essere la sociologia, Elias prese ben presto le distanze da quella che definì "metafisica sociale", elaborando una forma di pensiero e un metodo di ricerca autonomi e acquisendo così un ruolo di "outsider" in Germania. Secondo Elias la sociologia si era ridotta ad applicare meccanicamente la metodologia delle scienze naturali ai fenomeni sociali. A questo metodo egli contrappose la configurazione e il processo, due categorie concettuali in grado di rispondere in maniera ben più adeguata, scientificamente, alle esigenze delle scienze sociali e alle concrete necessità delle realtà storiche, quindi alle problematiche economiche, psicologiche, istituzionali. Le sue ricerche si discostavano decisamente dalle posizioni quantitativiste e funzionaliste dominanti.

"Per capire di che cosa si occupa la sociologia", scrisse, "si deve essere in grado innanzitutto di percepire se stessi come una persona tra le altre persone." (Che cos'è la sociologia). Egli effettuò una approfondita critica delle "categorie" sociologiche ed elaborò una vera e propria teoria dello sviluppo sociale. Le strutture, le istituzioni e i ruoli (intesi spesso non solo nel linguaggio sociologico, ma anche in quello comune, come oggetti fisici, statici ed esterni a noi) vengono riumanizzati da Elias e acquistano spessore storico. I temi che Elias affronta in Che cos'è la sociologia?, proponendo la sua "sociologia evolutiva", sono di grande respiro: il passaggio dal sapere prescientifico a quello scientifico, la distinzione tra scienze della natura e scienze della società (temi non solo weberiani, ma specifici anche in Dilthey), la divisione del lavoro scientifico, la ricerca delle caratteristiche fondamentali comuni a tutte le società, il potere che le persone e i gruppi esercitano gli uni verso gli altri. Il merito della sociologia processuale consiste infatti nel produrre una conoscenza infra-politica, e forse anche infra-filosofica, della complessità sociale, (attraverso l'analisi delle varie tipologie di legami sociali) svelando il funzionamento interno e le profonde modificazioni storiche dell'epoca attuale e, in un certo senso, di tutte le epoche dell'uomo. Di fronte al quesito: è l'individuo che costruisce la società o è la società che costruisce gli individui?, di fronte alla scelta tra un "individualismo" o un "olismo" metodologici, per Elias la prima cosa da dire è che simili domande non esprimono altro che un falso dilemma: individuo e società sono due aspetti diversi ma inseparabili tra loro (quasi come i "sinoli" di Aristotele). Uno non può esistere né venire spiegato senza l'altro. Sono due prospettive diverse per designare lo stesso fenomeno. "Quello che spesso nel pensiero si tiene diviso come se si trattasse di due sostanze diverse o strati dell'uomo, la sua «individualità» e la sua «determinazione sociale», non sono altro che due diverse funzioni di cui gli uomini dispongono nei loro rapporti reciproci: indipendentemente l'una dall'altra non hanno alcuna consistenza." (La società dell'individuo). Sia le teorie olistiche che quelle atomistiche della società vanno pertanto superate. Se pensiamo all'uso dei pronomi personali ("io", "tu", "noi", "voi", che in Elias diventano modelli figurazionali), osserva Elias, ci rendiamo conto che non è che il modo più elementare per esprimere il fatto che ogni uomo è fondamentalmente in rapporto con gli altri e che ogni individuo è essenzialmente un essere sociale. Per Elias tanto una teoria sociologica dell'azione (che si basa sull'individuo singolo, slegato dal sistema sociale) quanto una teoria sociologica del sistema (che analizza invece il sistema sociale prescindendo dai singoli individui), rispettivamente l'approccio di Weber e quello di Parsons, risultano lacunose e fallimentari. Egli critica pertanto, come modello di homo sociologicus, la concezione dell'homo clausus, alla quale oppone la concezione di homines aperti, caratterizzata da pluralità e processualità. Pluralità, perché ogni individuo vive di interdipendenze ed è inserito nella coralità sociale (ove assume un'identità), processualità, per rendere il senso della continua trasformabilità culturale e storica delle unità individuali e collettive. La processualità implica il mutamento. L'uomo non solo attraversa un processo, ma, per Elias, è un processo egli stesso. Le figurazioni di Elias, basate sul concetto di interdipendenza tra gli uomini, sono processi dinamici. Occorre quindi definitivamente superare, oltre alle concezioni statiche, la concezione dualistica che vede uomo e società contrapposti come due unità diverse e antagonistiche. Dopo l'antico predominio della dimensione comunitaria sull'individuo, da Cartesio in poi è stata l'assoluta centralità dell'individuo, dell'io, a imporsi e a condizionare fortemente i metodi di pensiero e di studio. Elias rigetta questa impostazione, limitata e incompleta come l'approccio opposto. In questo senso Elias prende le distanze anche da Max Weber e dal suo spiccato individualismo metodologico (così come da Parsons per il metodo opposto) pur essendovi stato spesso accostato. Secondo Elias, Talcott Parsons, considerato per lungo tempo punto di riferimento e teorico-guida degli studi sociologici, scompone analiticamente nelle loro componenti elementari i diversi tipi di società. Elias critica i suoi elementary components e i suoi pattern variables ("variabili modello"), che vengono applicati a partire dalla distinzione tra "comunità" e "società" elaborata da Tönnies. Si tratta di concezioni statiche, di elementi chiusi in se stessi, che non entrano mai davvero in contatto gli uni con gli altri (quasi delle monadi leibniziane), e le categorie di base (innanzitutto la contrapposizione "Ego-System") sono alquanto arbitrarie. Max Weber, in modo concettualmente analogo, contrapponeva l'"agire sociale" a quello "non sociale". La dimensione relazionale è invece per Elias alla base stessa della disciplina sociologica. Per questo rifiuta con decisione di concepire le componenti della società come esseri ontologicamente indipendenti, così come la visione ideale di un individuo libero e indipendente da tutti gli altri. Respinge una ipotetica "penetrazione" dell'elemento individuo nell'elemento società o viceversa: società e individuo sono tutt'uno, uno non può esistere senza l'altra. Allo stesso modo Elias non condivide la visione dei mutamenti sociali come fenomeni casuali che arrivano dall'esterno a turbare un sistema sociale ben equilibrato (che non può esistere).

In Elias è poi centrale il tema del potere, per il quale talvolta è stato accostato a Michel Foucault. Se prendiamo in esame il testo Strategie dell'esclusione (The Established and the Outsiders, Londra 1994), edito in Italia da Il Mulino nel 2004, una ricerca condotta dal giovane studioso John L. Scotson e diretta da Elias nei primi anni Sessanta sulla popolazione di una piccola comunità operaia inglese, Winston Parva (dove nuove famiglie operaie arrivano dalla campagna o da altre zone dell'Inghilterra a stabilirsi accanto alle "vecchie" famiglie del posto), rileviamo la specifica "impronta" della teoria e del metodo del grande sociologo-filosofo tedesco. La ricerca è ispirata infatti alla sua teoria configurazionale sui gruppi sociali interdipendenti. Proprio nel saggio introduttivo di Elias  emerge la più vasta portata dell'indagine sociologica svolta a livello locale tra "radicati" (established) ed "esterni" (outsiders). Il testo riveste un grande interesse sia sul piano sociologico che su quello filosofico: da un lato offre un'applicazione significativa (un "paradigma empirico") delle idee esposte da Elias nelle sue opere maggiori (come Il processo di civilizzazione) nel quadro di quella che lui stesso, come abbiamo visto, definì "sociologia storico-processuale", dall'altro consente di elaborare alcune riflessioni critiche sul tema della "comunità", sottraendolo ad ogni vaga concettualizzazione per ricondurlo entro i netti confini dell'analisi dei rapporti sociali nell'occidente moderno. Nell'esame dei rapporti tra "vecchi" e "nuovi" residenti, tra la comunità dei "radicati" e quella degli "esterni", tra la "maggioranza" e la "minoranza anomica", troviamo un'interessante configurazione dinamica di due gruppi sociali, basata su un'asimmetria di potere. All'interno di questo discorso ricevono ampio spazio i temi dell'esclusione e della devianza. Elias dimostra come si trovino facilmente supporti etnici, religiosi, economici, culturali, anche quando di fatto questi non esistono, tutte le volte che sono in gioco i rapporti di potere tra gruppi diversi all'interno di un unico sistema complesso. E' la stessa interdipendenza sociale a produrre quelle asimmetrie comparative che portano i "radicati" a sentirsi superiori agli "esterni", e gli "esterni" a esprimere il proprio risentimento con comportamenti spesso aggressivi e violenti. L'interdipendenza rivela inoltre che non esistono comunità buone in sé, dotate di norme universalmente valide e contrapposte perciò ad altre comunità in sé cattive ed anomiche. Solo nell'ambito di una configurazione sociale e nei suoi rapporti di potere emerge la distinzione "radicati-esterni" o "superiori-inferiori". Sono analizzati l'autoidentificazione e il carisma di gruppo, che nel caso della minoranza anomica assumono come abbiamo visto un ruolo di difesa con tratti aggressivi, tra cui fenomeni di devianza tra i giovani del gruppo minoritario. Pare riproposto in una nuova forma il tema weberiano dell'avalutatività. Ma Elias è andato oltre, sottolineando anche il ruolo dell'immaginario nella costruzione dell'identità sociale e il carattere composito, strutturato e conflittuale di ciò che immediatamente designiamo con il termine "comunità". E' criticato anche il presunto carattere felice e originario della comunità dei radicati, dimostrando la loro specifica auto-costrizione, il loro auto ed etero controllo, il loro conformismo, la competizione e l'ostilità all'interno del gruppo dominate, essendo la rivalità un elemento indispensabile per conquistare riconoscimento agli occhi della gerarchia che detiene le risorse di potere. Outsiders e Established sono ancora una volta due aspetti dello stesso problema, impensabili come soggetti a sé, e pertanto vanno analizzati contemporaneamente. La teoria che qui emerge non è vincolata al contesto analizzato, ma può essere applicata a una vasta gamma di modelli mutevoli di disuguaglianze umane: alle relazioni tra classi, gruppi etnici, colonizzatori e colonizzati, uomini e donne, genitori e figli, omosessuali ed eterosessuali. Si impone la figura dello straniero moderno, frutto della mobilità sociale e geografica: non solo la figura del migrante, ma quella dell'estraneo, dell'outsider, che è trasversale alle più diverse situazioni di rapporti tra gruppi sociali. L'outsider mette in moto un modello di interazione peculiare, un antagonismo reciproco e inevitabile (non espressamente voluto) tra se stesso e il gruppo più antico e coeso. Questo tipo di straniero, nell'era moderna, prende il posto dello straniero del mondo antico, che era tale in quanto proveniente da un altro paese. Uno degli aspetti più originali dei questa indagine è che le forme di potere che Elias rileva e analizza hanno radici dinamiche e profondamente diverse da quelle tradizionali (maggiore ricchezza, possesso dei mezzi di produzione). Qui ci troviamo infatti all'interno della stessa classe sociale, quella operaia nello specifico, e osserviamo che la dinamica del potere si basa sulla costruzione di forti elementi identitari da parte del gruppo più "anziano" per affermare la propria coesione e la propria superiorità e per mantenere gli ultimi arrivati al loro posto, tramite l'esclusione e la stigmatizzazione. Autocontrollo e autostima rivolti al proprio gruppo, diffidenza e disistima nei confronti dell'altro. Un gruppo si impegna quindi a migliorare la propria posizione, l'altro a mantenere la propria (indipendentemente dal fatto che prevalga di volta in volta l'aspetto razziale, etnico, linguistico, ecc.). I ruoli infatti, all'interno dell'odierna mobilità sociale, sono intercambiabili. (Le persone, più che spostarsi fisicamente, geograficamente, osserva Elias, si muovono in realtà da un gruppo sociale all'altro, ed è questo che si è in genere trascurato, così come si è guardato di più alla dimensione verticale della mobilità sociale rispetto a quella orizzontale, quella che avviene cioè nell'ambito di una stessa classe economica). Oggi mi trovo a essere un established, domani potrei essere un outsider. Il problema è che non siamo attrezzati per questa mobilità troppo veloce, abbiamo ancora una bassa soglia di tolleranza per chi è diverso da noi, per chi non conosciamo. Rileviamo ancora una volta, anche in questo lavoro, il rifiuto della contrapposizione ontologica, così cara alla sociologia accademica, tra individuo e società. Elias respinge con profonda convinzione sia l'atomismo individualistico che l'olismo sociale, vizi di comprensione della reale pluralità umana, che sempre va colta nella sua struttura profonda e nel suo divenire storico. E poi, ancora, rileviamo l'arbitrarietà di una ricerca divisa tra ciò che funziona e ciò che  non funziona, tra ciò che è bene e ciò che non lo è, tra maggioranze e minoranze (pensiamo al concetto di anomia di Durkheim, alla contrapposizione anomia/nomia), perché ciò che funziona e ciò che non funziona sono nella realtà elementi uniti e inseparabili. E' la percezione del ricercatore, quindi, che rende dipendenti o indipendenti i fenomeni. Si potrebbe osservare che il concetto di "configurazione" era presente anche in Simmel. Ma l'uso di tale concetto non è identico nei due autori. Simmel lo usa per indicare indifferentemente forme di reciprocità tra uomini o forme di associazioni, Elias invece in una prospettiva storica ed evolutiva. Se ricordiamo il contributo di Talcott Parsons e Niklas Luhmann all'analisi dell'oggettivazione del potere, e il piano essenzialmente teorico e astratto su cui questo contributo si collocava, non possiamo che rallegrarci di tutti quei lavori originali, basati su approfondite ricerche e su un'ampia documentazione di tipo storico, svolti nel corso del Novecento sia da Elias che da Michel Foucault. Per quanto riguarda invece il rapporto di Elias con Mannheim, di cui fu allievo, fu questo un rapporto alquanto complesso. Elias prese le distanze dalla concezione politica di Mannheim della "pianificazione sociale", ma al tempo stesso continuò ad elaborare la sua "posizione conoscitiva" e la sua visione della "concatenazione delle generazioni".

Il Processo di civilizzazione di Elias (che analizzeremo più avanti) è un'opera straordinaria, uno studio che possiamo definire rivoluzionario per il suo irrompere con approcci e temi del tutto nuovi nel panorama alquanto stagnante della sociologia dell'epoca, anche se il riconoscimento che meritava ha tardato così a lungo.

Elias è stato infine riconosciuto come quel grande studioso e grande ricercatore che era, un ricercatore che ha aperto nuove strade prima impensabili e a cui quindi dobbiamo molto, un ricercatore e un pensatore instancabile e mai soddisfatto di quanto stesse facendo. All'età di novant'anni scrisse: "Fino a oggi non ho l'impressione di essere capito del tutto. Nei miei scritti ci sono così tanti temi che non vengono ripresi e recepiti. Non ho ancora l'impressione di aver compiuto il mio lavoro."

 

 

La vita e le opere

 

Norbert Elias nacque a Breslavia (oggi Wroclaw, città polacca, allora appartenente alla Germania) il 22 giugno 1897, da una famiglia ebrea, unico figlio di Hermann Elias, piccolo imprenditore tessile, e Sophia Elias. Norbert non seguì la strada paterna e dopo gli studi ginnasiali e l'esperienza della prima guerra mondiale (sul fronte occidentale) si iscrisse all'università della sua città natale dove studiò medicina e filosofia. Trascorse interi semestri a Friburgo e ad Heidelberg, dove studiò con Rickert e dove conobbe Karl Jaspers. Scrisse però la sua tesi di dottorato a Breslavia, sotto la guida del filosofo neokantiano Richard Hönigswald. Il titolo della tesi era: Idee und Individuum (L'idea e l'individuo). Elias conseguì la laurea in filosofia nel 1924, al prezzo di un profondo disaccordo con Hönigswald. Le obiezioni di Elias, che rivelava così la sua spiccata personalità e la sua autonomia di pensiero, si spingevano fino al cuore dell'intera  tradizione kantiana. Ciò che Elias contestava e metteva in discussione era la convinzione di Kant  che determinate categorie di pensiero (lo spazio, il tempo, la causalità, e alcuni fondamentali principi morali) non derivassero dall'esperienza ma fossero innate, eterne e universali nella mente umana. Il rifiuto di questo assunto da parte di Elias fu determinante per la sua carriera successiva. Dalla filosofia egli passò alla sociologia. Decise infatti di continuare a studiare all'università di Heidelberg, attratto dagli studi storico-sociologici là dominanti, sotto la guida di Alfred Weber (il fratello più giovane di Max Weber) e Karl Mannheim, con il quale strinse una profonda amicizia. Quando quest'ultimo si trasferì a Francoforte, dove gli era stata offerta la cattedra di sociologia, Elias lo seguì come assistente. L'università si trovava all'interno dell'istituto diretto da Horkheimer che si sarebbe caratterizzato come sede della "Scuola di Francoforte". Fu allora che iniziarono le ricerche di Elias sulla società di corte, un argomento in cui si era imbattuto in modo piuttosto casuale, mentre cercava di risalire alle origini sociali e culturali del pensiero liberale francese ottocentesco. Questa tema sarà di fondamentale importanza per i suoi lavori futuri. Aveva appena completato questo studio, che doveva essere la sua tesi per l'abilitazione, quando i nazisti salirono al potere in Germania ed Elias dovette lasciare il suo paese. Si trasferì prima a Parigi e poi, nel 1935, in Inghilterra.

In quegli anni difficili, in un paese straniero di cui non conosceva la lingua e con ben poche prospettive davanti a sé, lavorò intensamente al saggio Über den Prozess der Zivilisation. Soziogenetische und Psychogenetische Untersuchungen (Il processo di civilizzazione, Bologna, Il  Mulino, 1988), che venne pubblicato in due volumi nel 1939 presso la casa editrice svizzera Haus zum Falken di Basilea. L'opera passò pressoché inosservata nel mondo accademico, con l'eccezione di uno sparuto gruppo di studiosi olandesi, che ne colsero fin da subito l'originalità e l'importanza. Quest'opera piacque molto a Thomas Mann. Walter Benjamin invece non volle recensirla sulla rivista dei sociologi francofortesi in esilio.

Gli anni successivi furono così particolarmente duri per Elias. Privo di un incarico universitario stabile, era costretto a sopravvivere con mille lavori d'occasione. Ciononostante continuò i suoi studi storico-sociologici e approfondì il suo interesse per la psicologia, seguendo anche dei corsi di formazione per la conduzione di gruppi terapeutici. In quegli anni morirono entrambi i suoi genitori. La madre di Elias perse la vita ad Auschwitz, probabilmente nel 1941, e questo evento rappresentò il più grande dolore della sua vita.

Soltanto nel 1954, all'età di cinquantasette anni, gli fu finalmente offerta una cattedra all'università di Leicester, dove Elias contribuì a dar vita a un importante dipartimento di sociologia (vi studiarono Anthony Giddens e John Goldthorpe). Ma anche dopo aver raggiunto questo obiettivo, le sue pubblicazioni continuarono ad essere conosciute soltanto da pochi studiosi. Nel 1962, concluso per limiti di età il suo incarico a Leicester, decise di trasferirsi in Ghana, dove insegnò sociologia per due anni presso l'università Legon di Accra.

Tornato in Inghilterra intraprese nuove ricerche (nel 1965 apparve The Established and the Outsiders) e cominciò a lavorare a una seconda edizione del Processo di civilizzazione, che uscì così finalmente anche in Germania nel 1969. In quello stesso anno fu pubblicata per la prima volta in tedesco Die höfische Gesellschaft. Untersuchungen zur Soziologie des Königtums und der höfische Aristokratie mit einer Einleitung: Soziologie und Geschichtswissenschaft (La società di corte, Bologna, Il Mulino, 1980). Fu l'inizio di una nuova fase nella carriera scientifica di Elias. Le sue idee cominciarono ad essere conosciute e apprezzate, se ne iniziò a discutere nelle università europee e statunitensi. Elias ricevette numerosi inviti in Germania e in Olanda. Il Processo di Civilizzazione, lavoro ambizioso fin dall'inizio nel suo analizzare le fasi e il percorso della civilizzazione nell'Europa Occidentale a partire dal medioevo, (basandosi sulla formazione dei ceti sociali e sul monopolio del potere al loro interno), per Elias era ancora qualcosa di più e rivestiva quindi una grandissima importanza: non si trattava di una tesi singola e specifica, valida unicamente per quello studio, bensì di un nuovo paradigma che doveva rivoluzionare il modo stesso di fare sociologia. Tutto questo cominciava infine, dopo così tanti anni, ad essere accolto e condiviso.

Nella prima metà degli anni Settanta presero ad uscire edizioni economiche dei suoi libri e anche le prime traduzioni, accolte ovunque con un significativo successo di vendite. L'università di Francoforte lo nominò professore emerito e nel 1977 gli fu assegnato il prestigioso premio culturale Theodor Adorno.

"Con questo", disse Elias in quell'occasione, "avete premiato qualcuno che, senza aver dimenticato il legame con il passato, non si è mai piegato alla sua autorità. E' stato molto faticoso. Mentre si fa ricerca, ci risuonano all'orecchio le voci delle autorità del passato e dei contemporanei che ci criticano. Si sentono tutti i possibili argomenti e commenti come voci nelle nostra testa. Ma si è perduti se ci si lascia fuorviare nella propria capacità di pensare autonomamente."

Passò gli ultimi anni della sua vita senza smettere mai di lavorare ad Amsterdam (l'Olanda era in qualche modo la sua patria adottiva per quanto riguarda l'accoglimento dei suoi primi lavori), dove morì il 1° agosto del 1990.

Tra le sue ulteriori opere ricordiamo:

Der Übergang vom feudalen zum bürgerlichen Weltbild. Studien zur Geschichte der Philosophie der Manufakturperiode, Parigi 1934, trad. it. La transizione dall'immaginario feudale all'immagine borghese del mondo, Bologna, Il Mulino, 1984,

Was ist Soziologie?, Monaco 1970, trad. it. Che cos'è la sociologia?, Rosenberg & Sellier, 1990,

Engagement und Distanzierung, Francoforte 1983, trad. it. Coinvolgimento e distacco, Bologna, Il Mulino, 1988,

Über die Zeit, Francoforte 1984, trad. it. Saggio sul tempo, Bologna, Il Mulino, 1986,

Humana Conditio. Beobachtungen zur Entwicklung der Menschheit am 40. Jahrestag eines Kriegsendes (8 May 1985), Frankfurt 1985, trad. it. Humana Conditio, Bologna, Il Mulino, 1987,

Die Gesellschaft der Individuen, Frankfurt, 1987, trad. it. La società degli individui, Bologna, Il Mulino, 1990,

Quest for excitement. Sport and Leisure in the Civilizing Process, Oxford, 1986, trad. it. Sport e aggressività, Bologna, Il Mulino, 1989,

Über die Einsamkeit der Sterbenden in unseren Tagen, 1982, trad. it. La solitudine del morente, Bologna, Il Mulino, 1985,

Studien über den Deutschen, l'ultimo libro pubblicato quando Elias era ancora in vita, dove è ripreso il tema della fragilità del processo di civilizzazione e del pericolo sempre presente di iniziare un inverso processo di "barbarizzazione".

Dopo la sua morte comparvero Norbert Elias über sich selbst, 1990, Mozart: zur Soziologie eines Genies, 1991, Mozart, sociologia di un genio (Il Mulino 1991) The symbol theory, London, 1991, Teoria dei simboli (Il Mulino 1998) e recentemente Frühschriften, una raccolta dei suoi primi lavori.

 

 

La società di corte

 

Nella breve introduzione ai sette capitoli del testo, Elias precisa subito qual'è l'oggetto del suo studio: la corte, come "organo" centrale e rappresentativo della società europea nel Cinquecento, nel Seicento e nel Settecento.

"A quell'epoca", scrive, "non era ancora la "città", ma la "corte", e la società di corte, la matrice capace di esercitare la massima influenza ovunque."

Questo potere della corte è particolarmente evidente proprio in Francia, durante il regno di Luigi XIV. Elias ricostruisce in maniera estremamente minuziosa i singoli aspetti della vita quotidiana nella reggia di Versailles, gli appartamenti degli aristocratici, le regole dell'"etichetta", i riti quotidiani, le cerimonie. L'etichetta è la rappresentazione di un ordine gerarchico istituzionalizzato.

Si tratta infatti di un mondo specifico, connotato da un complesso sistema di interdipendenze tra gli individui che include lo stesso monarca. Il significato e le funzionalità di quel particolare mondo sono al centro dello studio di Elias.  La società di corte ci appare come una articolatissima struttura sociale che anticipa in qualche modo quella razionalizzazione dei comportamenti giudicata da Weber e altri studiosi come un tratto peculiare della società borghese.

La condotta aristocratica, con la sua ricerca di prestigio piuttosto che di denaro, può apparire irrazionale per i valori borghesi, ma riscontriamo significative analogie tra i due sistemi socio-culturali, analogie basate sullo stimolo a sviluppare una capacità di controllo dei comportamenti individuali in relazione al calcolo delle conseguenze nella competizione sociale. E' quindi un lavoro innovativo quello di Elias, sia nei metodi che nei risultati, estraneo alle tradizioni accademiche. Le critiche e le perplessità non sono mancate (in particolare si è accusato Elias di eccessiva fiducia in una presunta superiorità dell'Occidente) ma infine le sue teorie su società e cultura, come abbiamo visto, sono state ampiamente accolte.

L'analisi di Elias in questo testo parte dagli spazi, con un capitolo dedicato a "strutture e significato delle abitazioni". Vengono analizzate le residenze della nobiltà di corte (che possiede palazzi in città e appartamenti a Versailles) e quelle dell'alta borghesia, in particolare le articolazioni e le divisioni interne degli alloggi, rivelatrici dello status, dei valori e dei comportamenti dei diversi ceti sociali. E' esaminata nel dettaglio la differenziazione e la funzione degli spazi di ricevimento nelle case dell'alta nobiltà. Nel secondo capitolo Elias ci parla invece della differenza tra l'"ethos sociale" della borghesia professionale (che subordina le spese alle entrate per consentire risparmi e investimenti) e quello della nobiltà di corte (ethos del consumo per lo stato), che spende in maniera adeguata al proprio rango per non perdere il rispetto della società. Questo comporta l'accentuarsi dei legami di dipendenza degli uomini di corte dal favore del re.

Il terzo capitolo descrive e analizza l'etichetta e il cerimoniale di Versailles, illustrandoci quindi quella complessa gerarchia sociale che ha al suo vertice il palazzo reale.

Il re è l'indiscusso "padrone di casa", nella corte e nell'intero paese, e qui tutto serve a rimarcarlo. Elias ci conduce attraverso le stanze e i corridoi, ci fa assistere ai diversi rituali che vengono celebrati nei suoi appartamenti, a partire dal risveglio mattutino. Ci rendiamo conto, via via che procede la descrizione, che lo stesso re dipende dall'etichetta e dalla nobiltà di corte, essendo quest'ultima del tutto indispensabile per la legittimazione del potere sovrano.

Esiste un complesso "sistema di interdipendenze" nell'intera società dell'antico regime. Questo delicato equilibrio è il risultato di un complesso processo storico (analizzato nel quinto capitolo), e cioè la trasformazione dei rapporti tra monarchia, nobiltà e borghesia nel corso dell'età moderna.

Questa evoluzione spinge una parte della nobiltà cavalleresca a mescolarsi con la borghesia emergente e a trasformarsi in una nobiltà di corte (fenomeno definito da Elias come "curializzazione della società guerriera"), che porta alla nascita di un romanticismo aristocratico. Il libro si conclude con un capitolo sulle "cause sociali" della rivoluzione francese.

Qui Elias osserva che sono proprio la natura e il funzionamento della società di corte a spiegare l'inadeguatezza delle reazioni della monarchia e della nobiltà alle pressioni dei nuovi gruppi sociali in ascesa, poi protagonisti della rivoluzione e della fine dell'antico regime.

I gruppi al vertice, prigionieri ormai delle proprie istituzioni, non facevano che irrigidirsi ancora di più e non erano in grado di guardare in faccia la realtà, illudendosi di poter mantenere le privilegiate posizioni di potere che avevano acquisito. A questo modo non furono capaci di accettare e attuare delle concessioni economiche e quindi trasformare pacificamente le istituzioni secondo i mutati rapporti di forza.

La società di corte di Elias è indubbiamente una delle opere che più hanno influenzato il rinnovamento degli studi di storia culturale e sociale negli ultimi trent'anni del Novecento.

L'approccio tipico di Elias è in questo testo inconfondibile: nella vita degli uomini esiste uno stretto rapporto tra dimensione sociale e dimensione psicologica. E' necessario pertanto analizzare la formazione e gli sviluppi delle società e dei sistemi politici in relazione alle trasformazioni dei comportamenti individuali e dei modelli di costruzione delle identità personali.

Superando ancora una volta la tradizionale divisione tra individuo e società, Elias sottolinea come la costruzione e il consolidamento dello stato moderno in Europa siano stati accompagnati e favoriti dalla nascita e dalla diffusione di nuove forme di moralità e inediti meccanismi di autocontrollo e inibizione, temi che saranno ripresi a sviluppati ancora più a fondo nel Processo di civilizzazione.

 

 

Il processo di civilizzazione

 

La civiltà delle buone maniere e Potere e civiltà uscirono separatamente, così come avvenne all'estero, anche nel nostro paese, (rispettivamente nel 1982 e nel 1983 presso Il  Mulino) prima di comparire finalmente riuniti in un unico volume, Il processo di civilizzazione, che come abbiamo visto è l'opera probabilmente più importante di Norbert Elias, anche se ha dovuto attendere una trentina d'anni prima di venire pubblicata nel paese natale dell'autore e prima di ottenere ovunque il riconoscimento che meritava.. L'opera ha riacquistato così la sua unità originaria, nella quale soltanto ha il suo senso pieno e la sua completezza. Il libro, costruito sui due piani contigui della ricerca storico-empirica e della riflessione teorico-sociologica, esamina due temi specifici: la formazione dello stato moderno (in quanto detentore del monopolio pubblico della violenza fisica e dell'apparato fiscale, tema ripreso da Max Weber) e lo sviluppo del controllo e della repressione delle emozioni (tema ripreso da Freud). Ma ciò che il testo in realtà vuole affrontare è il nodo più generale del mutamento storico, e il problema di quanto esso sia determinato dal cieco intrecciarsi degli eventi o dalle azioni intenzionali degli uomini. E' un tema che ritorna incessantemente in tutto il percorso intellettuale di Elias, e che lo accomuna solo in parte, come abbiamo visto, alla tradizione sociologica europea, in un certo senso più "arretrata"  di lui sotto questo aspetto.

I due temi cui abbiamo accennato sono esaminati nella loro interrelazione storica, e ciò su cui si concentra l'autore è l'interrogativo circa il modo in cui questo intreccio prende forma all'interno di una precisa fase storica di passaggio: quella che trasforma la società cavalleresco-cortese dell'undicesimo e dodicesimo secolo nella società assolutistico-curiale del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Questo trapasso, così come qualsiasi altro, è per Elias il risultato di una dinamica storica in cui si intrecciano interdipendenze e differenziazioni che non sempre riflettono le reali intenzioni e i progetti degli uomini del tempo. Il tutto è saldato strettamente al tema, fondamentale per Elias, del rapporto tra organizzazione sociale e comportamento individuale.

E' ben presente qui il concetto di configurazione, che abbiamo già esaminato, e che come abbiamo visto esprime un insieme di relazioni dinamiche tra individui interdipendenti: concetto relazionale e processuale al tempo stesso, che permette di superare la netta separazione tra individuo e società al centro invece di tutta una parte della sociologia dell'epoca.

Con questo lavoro Elias voleva gettare le basi per una teoria sociologica non dogmatica, che si distaccasse da quelle idee metafisiche che al concetto di evoluzione collegano o l'idea di una necessità meccanica o quella di una finalizzazione teleologica. Una teoria sociologica empiricamente fondata, quindi, dei processi sociali in genere e dello sviluppo sociale in particolare.

Non solo, ciò che Elias sperava era anche di avvicinarsi il più possibile alla soluzione di un problema non da poco: quello cioè del rapporto tra strutture individuali, psicologiche (le cosiddette strutture della personalità) e le configurazioni che molti individui interdipendenti creano congiuntamente, cioè le strutture sociali. In Elias entrambi questi tipi di strutture sono visti non come immutabili, ma come strutture mutabili e in mutamento, aspetti interdipendenti del medesimo sviluppo a lungo termine.

Elias esamina i due diversi livelli su cui si costruisce il passaggio dalla società cortese cavalleresca a quella assolutistico-curiale: il livello sociogenetico, con la formazione di uno stabile monopolio della violenza fisica, e il livello psicogenetico, con la comparsa di uno stabile apparato di autocostrizione individuale.

Si tratta di un processo sociale di individualizzazione, come vedremo meglio tra poco.

Qual'è dunque la direzione che viene assunta dal processo di civilizzazione del mondo occidentale? Si tratta, per Elias, di un graduale mutamento dell'equilibrio tra eterocostrizione e autocostrizione individuale. Ad un certo punto l'autocostrizione individuale inizia a funzionare indipendentemente dalla presenza di organi repressivi esterni e prende il sopravvento sull'eterocostrizione, assumendo un aspetto automatico e onnipervasivo.

Ciò che accade è un lento e continuo processo di privatizzazione, di scollamento di certi ambiti della vita personale (legati al cibo, al vestiario, al sonno...) dalla sfera della comunicazione sociale tra gli uomini. Compare una paura socialmente instillata, compaiono e si amplificano il senso di disgusto, di vergogna e di pena.

Il testo prende l'avvio dall'esame dei concetti di civiltà e cultura, analizzando la genesi sociale dell'antitesi civiltà e cultura in Germania. Civiltà, innanzitutto, fa rilevare Elias, non ha lo stesso significato in tutte le nazioni occidentali. Esiste una notevole differenza tra l'uso che si fa di questo termine in Inghilterra e in Francia e l'uso che se ne fa invece in Germania. Se nelle prime due lingue, inglese e francese, civiltà esprime l'orgoglio per la propria nazione e per il progresso dell'Occidente e quindi dell'intera umanità, in Germania questa parola ha un valore assai minore, perché il termine tedesco con cui si definisce se stessi e l'orgoglio per le proprie prestazioni è cultura.

Il concetto francese e inglese di civiltà può riferirsi a fatti politici o economici, religiosi o tecnici, morali o sociali. Il termine tedesco cultura si riferisce invece essenzialmente a fatti spirituali, artistici e religiosi, e tende a distinguere nettamente questi ultimi dai fatti politici, economici e sociali. Il concetto tedesco di cultura sottolinea fortemente le differenze nazionali e le peculiarità dei gruppi, mentre il concetto di civiltà entro certi limiti tende ad attenuare le differenze nazionali tra i popoli. Il concetto tedesco di cultura è inoltre essenzialmente statico (si riferisce a prodotti degli uomini come le opere d'arte, i libri o i sistemi filosofici, che stanno lì "come i fiori nei campi"), mentre il concetto di civilizzazione indica un processo, o quanto meno il risultato di un processo, qualcosa che è in costante mutamento e che quindi progredisce.

Quali sono le cause di questa peculiarità tedesca? In Germania, spiega Elias, dopo la guerra dei Trent'anni, il calo demografico e il mostruoso collasso economico la borghesia era povera, e aveva notevoli difficoltà a coltivare l'arte o la letteratura. Nelle corti, dove invece il denaro non mancava, non si parlava il tedesco ma il francese. Il francese era il segno distintivo dei ceti elevati. L'esclusione della borghesia dalla vita politica e da quella aristocratica, il suo isolamento, influenzerà grandemente la letteratura tedesca dell'epoca, che tenderà a mettere in risalto il contrasto tra la superficialità, il cerimoniale, le conversazioni esteriori da un lato e l'introspezione, la profondità dei sentimenti, la dedizione alla lettura e allo studio, la formazione della propria personalità dall'altro (la medesima antitesi tra civiltà e cultura). La rigorosissima separazione sociale tra nobiltà e borghesia che esiste in Germania, non esiste affatto a questi livelli in Francia. In Francia, addirittura, l'aristocrazia di corte ha invece la tendenza ad assimilare, a "colonizzare" elementi degli altri strati sociali e assorbirli al suo interno. La genesi sociale dell'antitesi tra civiltà e cultura sarà pertanto molto diversa in Francia. Qui civiltà andrà a significare sempre di più affinamento dei costumi, cortesia, buone maniere: quindi un ben determinato modo di comportarsi. Un modo di comportarsi che si delinea in alto, nell'aristocrazia e nella nobiltà, a partire dalla corte, e via via contamina gli altri strati sociali. La borghesia francese, anche quella più critica, non contrappone alla falsa civiltà una civiltà effettiva, non contrappone all'homme civilisé un altro modello di uomo come fa l'intellighenzia tedesca con il suo gebildeter Mensch: gli intellettuali riformisti francesi, a parte poche eccezioni, non fanno altro che assumere, quindi fare propri, i modelli della corte per svilupparli e migliorarli. La seconda parte del libro, Le buone maniere, ci descrive la civiltà come trasformazione del comportamento umano, una trasformazione lenta e inarrestabile che coinvolge ogni singolo aspetto della vita quotidiana, riguardando prima di tutto il comportamento esteriore, il modo di presentarsi in pubblico (atteggiamento del corpo, gesti, abbigliamento). Vengono pubblicati saggi e manuali che illustrano nel dettaglio il corretto modo di comportarsi, sia per quanto riguarda la tavola (i galatei), la preparazione, la presentazione e il consumo dei cibi (troviamo così un'interessante storia delle posate, scoprendo ad esempio quanto sia recente l'uso della forchetta, comparsa innanzitutto come oggetto di lusso per gli strati sociali superiori, come mangiare con le mani venga sempre di più considerato disgustoso e da evitare, come il coltello vada maneggiato in maniera da non suscitare la paura di essere aggrediti, come la preparazione della carne vada "relegata dietro le quinte", per dissociare il più possibile il cibarsi di carne dall'animale morto che stiamo mangiando), sia per quanto riguarda l'igiene personale, non trascurando praticamente nulla. A poco a poco si viene a costruire un muro invisibile tra le persone, tra i loro corpi, separandoli e respingendoli, un muro che oggi avvertiamo già con il semplice avvicinarci a qualcosa che è entrato in contatto con la bocca o le mani di qualcun altro. Questo muro si manifesta come un sentimento di disgusto alla mera vista di molte funzioni fisiche altrui, oppure come un senso di vergogna al pensiero che le nostre personali funzioni fisiche possano essere esposte alla vista di altri. Si arriva quindi fino al punto di censurare il proprio comportamento non soltanto quando ci si trova in pubblico, ma anche quando ci trova soli e nessuno in realtà può osservarci.

Vediamo come la soglia della sensibilità e la soglia del pudore si spostano, come il codice di comportamento si irrigidisce sempre di più, come aumentano il controllo sociale e la pressione (costrizione) esercitata dagli individui gli uni sugli altri. La correzione dei comportamenti sbagliati avviene in modo cortese e riguardoso, e questo si dimostra assai più efficace e vincolante rispetto a metodi più brutali. Alla stessa maniera si modifica lentamente il meccanismo con cui la società modella le manifestazioni affettive. Il comportamento a tavola, i bisogni naturali, le relazioni tra adulti e bambini e le relazioni tra i sessi si modificano completamente, l'aggressività viene moderata e trasformata, creando appositi spazi di sfogo circoscritto, controllato e regolamentato, come lo sport o il ballo. (Allo sport e al suo legame con l'aggressività umana Elias dedicherà più di un lavoro, non tutti tradotti in italiano).

In Potere e civiltà è analizzata la genesi sociale della civiltà occidentale a partire dal Medioevo e dalla feudalizzazione, fino al formarsi delle dinastie più potenti e infine degli stati, attraverso il meccanismo della monopolizzazione (monopolio economico, monopolio militare). Il monopolio privato del singolo individuo si socializza, diviene il  monopolio di interi strati sociali, un monopolio pubblico, l'organo centrale di uno stato. Allo stesso tempo però si riduce l'ambito decisionale del detentore del monopolio, a causa della maggiore complessità dell'intreccio sociale. Cresce infatti la potenza sociale della massa dei dipendenti in rapporto ai pochi o al solo monopolista, non soltanto per il loro numero, ma anche per la dipendenza in cui i pochi monopolisti vengono a trovarsi nei confronti della massa crescente di dipendenti per poter conservare e sfruttare le loro chances monopolizzate. Vediamo quindi che i monopoli (sia quello della costrizione fisica che quello fiscale) tendono a trasformarsi da privati in pubblici o statali: questa per Elias è una funzione dell'interdipendenza sociale. Quando il potere di disporre della terra viene sostituito dal potere di disporre dei mezzi finanziari, allora il grande monopolio centralizzato non si disgrega più in unità territoriali più piccole, diviene lentamente uno strumento dell'intera società in cui le funzioni sono divise: diviene quell'organo centrale che chiamiamo stato, che assume il carattere e il compito di organo supremo di coordinamento e regolamentazione di tutto il complesso dei processi di divisone delle funzioni.

Nel quarto e ultimo capitolo, Per una teoria della civilizzazione, Elias analizza nel dettaglio il passaggio dalla costrizione sociale all'autocostrizione, osservando che man mano che il tessuto sociale si va differenziando e diviene sempre più stratificato e complesso, il meccanismo sociogenetico dell'autocontrollo psichico diviene a sua volta più differenziato, più universale e più stabile. Constatiamo poi che la peculiare stabilità dell'apparato di autocontrollo psichico che emerge come un tratto decisivo nell'habitus di ogni uomo "civile", è strettamente collegata alla formazione di monopoli della costrizione fisica e alla crescente stabilità degli organi sociali centrali. Per lo strato sociale superiore una rigorosa codificazione del comportamento non è solo uno strumento di prestigio, ma è soprattutto un mezzo di dominio. E diventa necessaria la collaborazione dei dominati, diventa indispensabile servirsi di loro stessi, modellando il loro Super-Io.

Quale giudizio dà quindi Elias del risultato di questo processo individuale di civilizzazione? Egli afferma che questo risultato è interamente negativo e interamente positivo soltanto in pochi casi; nella grande  maggioranza, la gente "civile" vive nello spazio tra questi due estremi, su una linea mediana.

Si formano però nuove angosce all'interno dell'individuo. Per comprenderle dobbiamo analizzare le ampie modificazioni che avvengono nell'intera economia psichica, a partire dalla forte spinta alla razionalizzazione e dal non meno accentuato progredire della soglia del pudore e della ripugnanza, tutti aspetti di una trasformazione della psiche. Il conflitto nasce all'interno dell'economia psichica dell'individuo, non soltanto tra l'individuo e l'opinione sociale: l'individuo si riconosce da se stesso come inferiore. Non entra in contrasto cioè soltanto con altri individui, ma anche con quella parte del suo Io che rappresenta l'opinione sociale, e da cui è quindi controllato. Se è vero che diminuiscono i timori di una minaccia fisica diretta o della sopraffazione da parte di altri individui, è anche vero però che aumentano le angosce automatiche interne, ossia le costrizioni che il singolo esercita su se stesso.

La conclusione importante comunque a cui giunge Elias al termine di questo lungo e approfondito studio, che abbiamo dovuto inevitabilmente in questa sede trattare soltanto per pochi cenni e a cui quindi non abbiamo reso giustizia, è che gli schemi di comportamento della nostra società, inculcati al singolo fin da piccolo in modo da diventare una sua seconda natura, e la cui permanenza è consolidata in lui da un potente controllo sociale sempre più rigorosamente organizzato, non devono essere intesi in base a finalità umane universali e al di fuori della storia, ma come un prodotto della storia stessa. Allo stesso modo, le angosce  che agitano gli uomini non sono che opera dell'uomo stesso. Il punto in cui ci troviamo non è certo un punto di arrivo né un culmine. La storia non si è ancora conclusa. "Le tensioni e le contraddizioni interne agli uomini potranno attenuarsi soltanto se si attenueranno le tensioni tra gli uomini, le contraddizioni insite nella struttura del consorzio umano. Allora non sarà più un'eccezione ma la regola, il fatto che il singolo individuo trovi quell'equilibrio ottimale della sua psiche che spesso evochiamo con parole quali «felicità» e «libertà»: ossia un equilibrio permanente, anzi una piena armonia tra i compiti sociali, l'insieme delle esigenze dovute all'esistenza sociale, da un lato, e le sue personali tendenze ed esigenze, dall'altro. Soltanto quando la struttura delle relazioni interumane sarà tale, quando la cooperazione tra gli uomini funzionerà in modo che tutti coloro i quali operano nella complessa catena dei compiti comuni possano almeno trovare questo equilibrio: soltanto allora gli uomini potranno davvero proclamare a buon diritto di essere «civili». Ma fino a quel momento, potranno dire nella migliore delle ipotesi che sono inseriti nel processo di civilizzazione. E fino ad allora dovranno ripetersi di continuo: «La civilizzazione non è ancora compiuta: è in divenire.»"

 

Il saggio sul tempo

 

"Una volta ho letto la storia di un gruppo di uomini che salivano su una torre sconosciuta. La prima generazione arrivò al quarto piano, la seconda al settimo, la terza al decimo. Col tempo i discendenti arrivarono sino al centesimo piano, ma lì giunti la scala sprofondò. Gli uomini si stabilirono così a quel piano. Col tempo dimenticarono che i loro antenati avevano vissuto ai piani inferiori e scordarono come essi erano giunti sino al centesimo piano. Vedevano il mondo e se stessi dalla prospettiva del centesimo piano senza sapere come gli uomini fossero giunti sin lì. Si, essi ritenevano che le idee che si erano fatti da quella prospettiva fossero le idee comuni a tutti gli uomini. Gli inutili sforzi fatti sinora per risolvere un problema in fondo così semplice come è quello del tempo sono un ottimo esempio di quanto avviene allorché ci si dimentica del passato della società. Quando lo si ricorda, si scopre se stessi."

Citando Agostino ("Che cosa è dunque il tempo?" Se nessuno me lo chiede, lo so bene: ma se volessi darne una spiegazione a chi me ne chiede, non  lo so. Così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente.") Elias ci introduce al suo Saggio sul tempo.

Come si può misurare qualcosa, si domanda, che non riusciamo a percepire con i sensi? Certo, ci sono gli orologi (sequenze socialmente standardizzate di avvenimenti che incorporano modelli di sequenze uniformemente ricorrenti come le ore e i minuti), un tempo erano utilizzate le serie naturali (maree, sole, luna..), ma noi, come percepiamo il tempo? Come ci poniamo di fronte a qualcosa di così misterioso, che tuttavia gli orologi riescono perfettamente  a misurare?

Secondo Elias, un problema che è sempre stato poco studiato è quello di come gli uomini apprendono nel corso dei secoli ad orientarsi sempre meglio nel loro mondo. (Che non è l'unico possibile, e che non è sempre stato così come è adesso).

Elias passa quindi ad analizzare la difficoltà che sempre si è avuto nell'elaborare una teoria consensuale del tempo.

Due posizioni infatti si sono contrapposte nella lunga polemica filosofica riguardo il concetto di "tempo".

Per la prima, il tempo è un dato oggettivo della creazione naturale (Newton); per la seconda, il tempo è una sorta di sguardo unitario sui fenomeni, dipendente dalla particolarità della coscienza umana, o, a seconda delle versioni, dallo spirito umano, dalla Ragione umana, e quindi precedente, essendone una condizione, qualunque esperienza. (Cartesio, Kant). Il tempo, come lo spazio, appare un dato immutabile della natura umana. Una teoria oggettivistica e una soggettivistica, quindi: ma con alcuni assunti di fondo in comune.

Riguardo il problema della conoscenza, Elias elabora una sua teoria: il sapere umano (o meglio, l'idea che sta alla sua base) è il risultato di un lungo processo di apprendimento dell'umanità, un processo che è privo di inizio. Ciascun individuo fa proprio un patrimonio di conoscenze già disponibile quando egli viene al mondo e lo sviluppa ulteriormente. Diamo per scontato, nella nostra civiltà, saper rispondere senza difficoltà alla domanda: "quanti anni hai?", ma così non è sempre stato o non è stato per tutti, così come non è altrettanto automatico per qualsiasi popolo comparso sulla terra. Segue quindi un'affascinante storia del calendario, per noi ovvio e immutabile come l'orologio, quindi una riflessione sui vantaggi e gli svantaggi della costrizione dovuta al computo del tempo. Il bambino impara molto presto a riconoscere nel tempo il simbolo di una istituzione sociale e quindi inizia ad avvertire altrettanto presto la sua eterocostrizione. Dovrà imparare a sviluppare un apparato di autocostrizione conforme all'istituzione del tempo, diversamente gli sarà difficile, o impossibile, vivere come adulto in questa società (ecco che tornano i ben noti temi del processo di civilizzazione).

Ma qual'è, quindi, lo statuto ontologico del tempo? (Se non è una particolarità inappresa, quindi innata, della coscienza umana)? E' un oggetto naturale? E' un oggetto culturale? E' un aspetto di qualche processo naturale? Se ad esempio possiamo dire: niente uomini, niente navi (la nave quindi esiste perché esiste l'uomo), potremmo dire allo stesso modo: niente tempo, niente orologi e calendari? Ma allora esiste davvero il tempo? Non è dunque soltanto un'idea? Possiamo definire il tempo un mezzo di orientamento creato dagli uomini (utilizziamo il tempo per orientarci nell'assolvimento di molti compiti), ma il tempo è soltanto una scoperta degli uomini?

Di certo è anche un'istituzione sociale, non unicamente un'idea, come abbiamo visto, ed è un'istituzione che cambia a seconda dello stadio di sviluppo sociale, un qualcosa che, a seconda della società in cui nasciamo, possiamo trovarci a dover imparare fin da piccoli (e siamo in grado di farlo).

Nell'attuale stadio di sviluppo, il tempo è diventato simbolo di un intreccio molto esteso di relazioni, in cui le sequenze sono collegate tra loro a livello individuale, a livello sociale, a livello naturale. La determinazione del tempo rappresenta quindi essenzialmente una sintesi, una sintesi simbolica di livello molto elevato, un atto di integrazione.

L'impresa di armonizzare, nella forma temporale del calendario, le sequenze naturali con le esigenze scaturite dalle sequenze sociali è stata secondo Elias un'impresa tutt'altro che facile, un qualcosa a cui di solito non pensiamo affatto, dandolo completamente per scontato. Nel processo di socializzazione dell'individuo, sono diversi i simboli creati dagli uomini, quindi appresi, non fissati geneticamente, per orientarsi nel mondo. Il tempo è uno di questi. Negli uomini esiste un equipaggiamento di mezzi di comunicazione inappresi molto ridotto rispetto agli altri esseri viventi, per cui è solo apprendendo dagli altri che possiamo svilupparci fino a diventare autonomi.

Partendo dall'antichità, vediamo che già Orazio, ad esempio, assegnava ai simboli del tempo che gli uomini avevano creato, agli anni, quegli attributi dello scorrere e del trapassare che sono in realtà gli attributi del divenire sociale della natura, ordinato dai simboli regolativi, e dello scorrere individuale della vita verso la morte.

Negli odierni stati molto organizzati, la sensibilità individuale per il tempo è altissima. E l'eterocostrizione sociale del tempo favorisce il perfezionamento dell'autocostrizione individuale. In questo modo si rafforza il senso di ineluttabilità della coscienza individuale del tempo, che ci appare così onnipresente e ineludibile. E' probabilmente per questo che si ha un continuo impulso a interrogarsi sul tempo, che arriviamo a considerare una particolarità della vita umana.

L'individualizzazione della regolazione sociale del tempo ha in sé, in forma quasi paradigmatica, i tratti di un processo di civilizzazione.

Per gli uomini diviene difficile distinguere tra i simboli e la realtà. Viviamo con la continua sensazione che il tempo stia passando, ma ciò che avvertiamo non è che lo scorrere della vita, il mutare della società e della natura. E del resto questo stesso orientarsi nel mondo con l'aiuto dei simboli è parte della realtà. Nel quadro di un processo di civilizzazione, ciò che muta sono soprattutto i modelli di autoregolazione e il modo in cui vengono assimilati dagli uomini. (L'autocostrizione esiste anche nelle società più semplici,  ma ha un carattere più irregolare e discontinuo, così come è differente il rapporto tra etero ed auto-costrizione).

Gli uomini delle società più sviluppate considerano innate le particolari costrizioni del loro carattere, che li rendono diversi dagli altri uomini, e non si pongono in genere il problema su come siano andate invece formandosi nel tempo queste costrizioni, impensabili soltanto pochi secoli fa.

E' come se si prendesse in esame un uomo senza società, un uomo senza mondo, che è poi l'uomo della nostra cultura, della nostra tradizione egocentrica, da Cartesio ai filosofi esistenzialisti del ventesimo secolo.

Elias vuole introdurci a un nuovo modo di pensare con questa originale ricerca sul tempo, che si discosta totalmente da quella visione egocentrica e limitata. E' proprio il tempo del calendario a illustrarci in maniera molto semplice l'inserimento del singolo in un mondo con molti altri uomini, un mondo sociale quindi, all'interno di un più ampio universo naturale: è grazie all'aiuto del calendario che siamo in grado di determinare con precisione il momento in cui siamo entrati nella corrente dei processi naturali e sociali.

Ed è soltanto per esseri viventi quali gli uomini che ha un senso e uno scopo elaborare delle relazioni ordinatrici tra processi come quello dell'universo o della luce e quello della rotazione apparente del sole. Solo nello stadio in cui compaiono gli uomini, gli esseri naturali (di cui gli uomini fanno parte) acquistano quella capacità di sintesi che consente loro, con l'aiuto dei simboli sociali, di immaginare contemporaneamente e assieme il corso dell'universo e l'apparente rotazione del sole attorno alla terra. E' necessario un lungo sviluppo sociale, osserva Elias, prima che gli uomini apprendano a sviluppare simboli corrispondenti a immagini così complesse, senza i quali non potrebbero comunicarsi tra loro tali immagini, né orientarsi in base ad esse.

Il tempo è un simbolo di questa sintesi sociale appresa. Non è quindi una sintesi a priori, un dono della ragione innata (come da Cartesio a Kant e oltre).

Gli uomini sono ancora ben poco consapevoli della natura e del modo di funzionare dei simboli che essi stessi hanno creato e che utilizzano costantemente.

Si smarriscono così nel groviglio dei loro stessi simboli, tra cui il tempo, che appare come un qualcosa di fortemente enigmatico.

Con questo libro Elias si propone anche, e ce lo dice in modo chiaro, di contribuire all'impresa di collocare nella giusta prospettiva le particolarità dei simboli umani, al di fuori delle tradizionali alternative filosofiche tra soggettivismo e oggettivismo, tra nominalismo e realismo.

Egli mira quindi all'elaborazione di una vera e propria teoria sociologica del sapere e della conoscenza. La tradizione filosofica si è sempre occupata di teorie della conoscenza, quella sociologica di sociologie del sapere, creando così confusione tra sapere e conoscenza, una confusione che per Elias deve essere finalmente superata.

L'atto individuale della conoscenza non è invece assolutamente separabile dalla quantità di sapere che gli uomini hanno appreso da altri e accumulato nel corso del tempo, cioè dallo stadio di sviluppo del patrimonio sociale del sapere. Chi non sa nulla, non può conoscere.

Vediamo così che il saggio sul tempo di Elias è qualcosa di più, diventa un saggio sul vasto problema del sapere e del conoscere, di impronta prettamente filosofica. Ed è proprio un viaggio all'interno del pensiero filosofico quello dove Elias a un certo punto ci conduce.

Il soggetto della conoscenza non è dunque il singolo, ma lo scorrere del genere umano nel suo sviluppo. In questo modo, e solo così, perdono di significato e diventano inutilizzabili molti dei concetti, molte di quelle reificazioni che ci sono più familiari.

Elias analizza a fondo il cambiamento del tutto specifico della condotta umana rispetto agli oggetti della conoscenza, il mutamento quindi nel corso del tempo e dello sviluppo sociale della struttura e della forma dei simboli umani di orientamento, così come il trasformarsi del rapporto, sempre variabile,  tra coinvolgimento e distacco degli uomini, tema questo elaborato in un altro testo del nostro autore (Coinvolgimento e distacco).

E' rimarcato l'indissolubile rapporto tra lo sviluppo della vita comune degli uomini e lo sviluppo della struttura sociale della personalità di ciascuno (rapporto tra etero e autocostrizione).

Vediamo quindi che lo spazio di decisione degli uomini (la loro libertà) poggia sulle possibilità che essi hanno di pilotare in modi molteplici l'equilibrio più o meno flessibile che si instaura tra le diverse istanze costrittive, costantemente mobili. Non si può pertanto inseguire la libertà, ammonisce Elias, se ignoriamo queste costrizioni.

Oltre a una teoria del sapere e della conoscenza, manca, secondo Elias, una teoria della formazione delle sintesi (una di queste è il tempo, come abbiamo visto). Esistono infatti sintesi di vari livelli,  dal più basso al più alto e differenziato, a seconda della diversa complessità sociale.

Dopo il simbolo tempo, a cui dedica pagine davvero intense e affascinanti, Elias va ad analizzare il simbolo spazio, altro concetto a cui i filosofi hanno dedicato infinite riflessioni. E così li confronta: ciò che chiamiamo spazio si riferisce a relazioni posizionali tra eventi in movimento che cerchiamo di determinare astraendo dal loro movimento e mutamento, mentre ciò che chiamiamo tempo si riferisce a relazioni posizionali all'interno di un continuum di cambiamenti che tentiamo di determinare senza astrarre dal loro continuo movimento e mutamento. Quello che per Elias è importante rilevare, è che l'analisi dei nostri concetti o simboli non va condotta come se questi siano sempre stati così come sono ora, ma tenendo conto del loro mutare ed evolversi nel corso della storia umana. Il percorso della conoscenza non è rettilineo e neppure irreversibile. Questo va tenuto ben presente, così come l'incongruenza della frattura quasi spaziale che si è venuta creando tra il singolo individuo come contenitore isolato del sapere e il mondo fuori di lui, tra mondo interno e mondo esterno.

La considerazione sociologico evolutiva dei cambiamenti umani e sociali, ugualmente distante tanto dall'assolutismo filosofico che dal relativismo storico, è quindi per Elias l'approccio più corretto e più fecondo da seguire.

 

 

La solitudine del morente

 

Aveva una fantasia ricorrente, Norbert Elias, dai tempi in cui arrivò a Leicester, che lo accompagnò per tutta la vita: si immaginava nell'atto di parlare al telefono, e chiunque si trovasse all'altro capo del filo non riusciva mai a sentire ciò che Elias stesse dicendo. La sua continua impressione di non essere compreso? (Anche se ci fu un momento in cui si sentì in grado di affermare: "Comincio a credere di essere vicino al punto in cui non sussiste più il pericolo che vada completamente perso ciò che ho tentato di fare.")

Un senso di isolamento, di solitudine?

Difficile dirlo. Certo nel saggio La solitudine del morente, scritto quasi a novant'anni, la solitudine è descritta in modo mirabile, quasi agghiacciante. Mai come al giorno d'oggi, racconta Elias, gli uomini sono morti così silenziosamente e igienicamente, e mai sono stati così soli. I morti devono venire isolati, separati dai vivi. Ma anche questo fatto, come tutti gli altri, è dovuto ai mutamenti sociali, quindi alla rimozione dell'idea, del pensiero della morte, e alla repressione, al controllo e all'occultamento delle emozioni che caratterizza la nostra società, impegnata a "relegare dietro le quinte" tutto ciò che può turbare la nostra "sensibilità" odierna.

 

 

Conclusioni

 

Elias ci ha lasciato molto, e soprattutto ci ha affidato più di un compito. Convinto della irriducibilità delle configurazioni (forme e caratteristiche che assume l'interdipendenza tra gli individui), attraverso le quali è possibile interpretare il rapporto biunivoco tra individuo e società (che non possono esistere indipendentemente uno dall'altra), ci rivolge alcuni inviti. L'invito, innanzitutto, a modificare l'equilibrio Io-Noi, quindi un approfondimento del concetto di identità, individuale e collettiva. La tendenza attuale, come abbiamo visto, è quella dello spostamento verso l'Io, un Io che è però sempre più isolato e sempre meno consapevole. Un Io che guarda dalla prospettiva del centesimo piano senza più rendersene conto!

Pertanto dobbiamo sforzarci sempre di ricordare, di conoscere, di analizzare, come abbiamo attraversato i piani precedenti e come siamo arrivati fino al punto in cui oggi ci troviamo.

L'invito a un coinvolgimento distaccato, o a un distacco coinvolto, nei confronti dell'oggetto studiato.

L'invito a eliminare l'astratta divisione tra le diverse scienze umane, oltre a comprendere che la scienza non deve essere utilizzata come strumento di potere.

Al cuore dello stile epistemologico di Elias c'è una complessa scelta etica: l'impegno a lasciarsi coinvolgere nello sforzo di comprensione di tutti i pezzi particolari di umanità che, in quanto composti di umanità, sono necessariamente sempre universali, senza finire con il relativizzare o sminuire la portata di tale intuizione con considerazioni di parte e riduttive implicazioni personali.

Gli esseri umani sono così chiamati a porre fine alle loro idee di antropocentrismo, etnocentrismo e nazionalismo. In qualche modo, volenti o nolenti, essi infatti sembrano condotti a superare, nel corso della loro evoluzione, l'abisso apparentemente insormontabile tra natura e società, quindi quello tra natura e cultura, e ritrovare così a poco a poco, in una forma nuova, la loro presunta originaria unità.



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