MARTHA NUSSBAUM
A cura di Fabio Funiciello
L’emozione come criterio valutativo e cognitivo è il tema centrale dell’ultima fase del pensiero di Martha Craven Nussbaum, docente di Ethic and Law presso l’Università di Chicago, autrice eclettica di una già vasta bibliografia. Il pensiero di Nussbaum si articola in diverse fasi, pur mantenendo un’estrema coerenza tra le tematiche affrontate. Esporremo la trattazione filosofica, che si avvale di fonti psicoanalitiche, antropologiche, filosofiche e letterarie, in seno all’emozione come criterio di analisi del reale, sia a livello individuale sia a livello sociale. Vedremo come quest’ultima fase si riallacci perfettamente alle tesi precedentemente teorizzate, come la fragilità del bene, la vulnerabilità umana in rapporto con la fortuna, il recupero del metodo empirico e aristotelico, che porta alla compilazione di una lista di capacità fondamentali da garantire ad ogni essere umano, la centralità della compassione. Il nucleo centrale delle opere etiche di Nussbaum sembra essere verosimilmente la ricerca di un ideale di società liberale e delle possibilità concrete di applicazione dei principi di eguale dignità e libertà di tutti i cittadini. Ciò emerge dall’analisi della natura umana che l’autrice pone come presupposto epistemologico per ogni trattazione etica e politica, analisi che prende le mosse dal pensiero aristotelico per arrivare alle teorie psicologiche contemporanee di Donald Winnicott e politiche di John Rawls e Amartya Sen, quest’ultimo suo stretto collaboratore e ispiratore per ciò che concerne l’approccio delle capacità. Da Aristotele coglie il tema dell’eudaimonia, la prosperità umana, come nucleo della ricerca e della capacità cognitiva umana; le emozioni, infatti, informano l’individuo sulla struttura del mondo proprio in base alle valutazioni emotive e, quindi, ai propri progetti e aspettative, cioè alla propria idea di eudaimonia. Esiste, cioè, un’intelligenza delle emozioni, ovvero, l’intelligenza è profondamente connessa all’emotività, senza la quale, risulta amputata. L’ideale della razionalità come sguardo distante sul mondo è fuorviante ed erronea, sorge dal tentativo, costante nella storia filosofica, sociale e umana, di trascendere l’umanità. Questo tentativo è comprensibile alla luce di un’analisi approfondita dello sviluppo emotivo negli esseri umani, e dalla constatazione della natura vulnerabile e mortale dell’umanità stessa. L’emotività è costantemente attraversata, nell’età adulta, da pulsioni infantili di narcisismo e onnipotenza, che rimandano al mito dell’“età dell’oro”, luogo e tempo ove non sussiste alcuno stato di sofferenza, di bisogno. Tali pulsioni, per quanto fondamentali per lo sviluppo emotivo individuale, sono pericolose quando si estrinsecano nelle pratiche sociali, sono alla base della stigmatizzazione, ovvero della discriminazione, delle minoranze, si esprimono nell’anti-socialità. Ma vi sono emozioni creative che possono fondare un’etica ragionevole, l’etica della pari dignità, come la compassione e la gratitudine, ma anche la rabbia e l’indignazione. Sono emozioni che, da proto-etiche al momento della loro genesi connessa alle crisi di ambivalenza infantili, possono svilupparsi adeguatamente e formare una concezione etica, vicina alla comprensione della natura umana. Infatti, il provare emozioni è strettamente connesso con l’accettazione della propria vulnerabilità e mortalità, nel caso dell’emozione del lutto, della compassione, dell’amore e della rabbia, o la non accettazione di tali caratteristiche, come nella vergogna e nel disgusto; ciò che è costante, è la realtà di tale vulnerabilità e mortalità, e la realtà problematica del rapporto degli individui con queste caratteristiche della natura umana. In virtù dell’onnipresenza dell’emozione nella vita e nell’intelligenza individuale, l’emozione-valutazione si trova ad essere implicata nella vita e nella pratica pubblica in diversi modi, e Nussbaum tenta di indicare la strada più ragionevole per profittare di tale condizione ai fini della promozione della dignità umana e della libertà, a primo motore e valore di ogni società che voglia definirsi liberale — il termine liberal, ha nell’accezione americana una carica progressista e riformista notevole, non esplicabile dal termine italiano “liberale”; ai fini di una maggiore comprensione del testo, è bene chiarire che userò il termine liberale nell’accezione americana —. Perciò l’autrice passa all’analisi di emozioni specifiche, quali la compassione, come presupposto per politiche di tutela dei diritti dei cittadini, il disgusto e la vergogna, come ostacoli e limiti alla prima. Vi è ad oggi un acceso dibattito interno al liberalismo politico che si trova, in alcune occasioni, a colludere con tesi comunitariste e normative, e che riguarda proprio la possibilità di utilizzare la vergogna a fini sociali, attraverso le shame penalties — terminologia che sarà tradotta, in alcuni punti del testo, con “pene volte all’esposizione alla vergogna” —, che Nussbaum considera antitetiche rispetto agli ideali del liberalismo stesso. Il disgusto è un’emozione particolarmente problematica, vedremo che l’autrice ritiene accettabile, nella sfera del diritto, un richiamo al disgusto come danno inflitto a persone non consenzienti — il principio del danno a terzi come criterio giuridico, è ripreso da On liberty di John Stuart Mill, filosofo utilitarista —, ma non ne accetta l’appello in genere, perché fonte di aggressività verso la propria, in un primo momento, e altrui mortalità e umanità, tramite una proiezione di natura quasi “magica” delle caratteristiche ritenute disgustose su minoranze sociali. Tra le minoranze più stigmatizzate, nella società americana in particolare, troviamo gli afroamericani e i diversi gruppi etnici, gli omosessuali e le lesbiche, i disabili e, in generale, tutti gli individui che non rientrano nella categoria arbitraria di “normalità”. La presunta imparzialità di tale categoria è facilmente confutabile in virtù della sua relazione con le caratteristiche fisiche e psichiche del gruppo dominante di una società, caratteristiche che si trovano difficilmente, in realtà, nella maggioranza degli individui. La distinzione tra normale e deviante non deve sussistere in una società liberale, afferma Nussbaum, soprattutto alla luce di un’analisi delle radici emozionali di tale distinzione, cioè la vergogna e il disgusto, e per le conseguenze, nei termini del “panico morale”, conservatrici, stigmatizzanti e repressive sugli individui.
Aristotele è per Nussbaum il filosofo guida per una teoria etica universale basata sul concetto di virtù e per l’affermazione della filosofia pratica, quindi di un’etica pratica connessa alla praxis politica e alla libertà umana, nell’ambito della ricerca contemporanea. Critica verso un liberalismo politico che esclude una concezione spessa del bene di ispirazione aristotelica, anteponendole la concezione del bene di ogni singolo individuo ai fini della costruzione di società pluralistiche che si basino sull’uguaglianza dei consociati, ed allo stesso tempo verso la tradizione utilitaristica e
verso l’approccio kantiano di Rawls, la prima colpevole di considerare il bene come una variabile dipendente dei desideri e preferenze degli individui, il secondo, pur elaborando una teoria sottile del bene, per la tendenza a distinguere la sfera morale da quella empirica, l’autrice elabora un’etica essenzialista volta alla prassi politica, al fine di scongiurare il diffondersi di un relativismo etico che considera pericoloso e dilagante. La prospettiva di Nussbaum è quella di “un filosofo liberale progressista convinto che il rispetto delle persone richiede un rispetto notevole ed una deferenza nei confronti delle loro rispettive concezioni di ciò che ha valore nella vita” e che ritiene, allo stesso tempo, che nella vita esistano valori universali che vanno promossi e, ove non sussistano, insegnati e tutelati. Ciò che più caratterizza l’approccio aristotelico all’etica pratica, è la priorità che assume la concezione del bene umano. John Rawls nell’opera A Theory of Justice sostiene che prima di discutere i principi di giustizia sia necessario proporre una thin theory of the good, teoria ristretta a pochi elementi da lui considerati essenziali per ogni essere umano, tra i quali nomina reddito e ricchezza. Secondo Nussbaum, Rawls considera questi beni come fini e non come mezzi, a differenza dell’approccio aristotelico che non considera determinati beni importanti in sé, ma si concentra sulla “funzione” che quei beni possono promuovere. Nussbaum è in accordo con l’idea che i cittadini debbano essere trattati come individui liberi ed eguali, idea promossa dal liberalismo, ma ritiene che libertà e uguaglianza siano raggiungibili se e solo se si forniscono agli individui gli strumenti necessari per “l’esercizio della facoltà di scegliere e della ragion pratica”. Rispetto all’approccio utilitarista che insiste sull’importanza dei desideri, o meglio, delle preferenze individuali nell’individuazione della concezione del bene, Nussbaum risponde, sulle orme del Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, che la preferenza può essere manipolata e arbitraria: chi vive in una condizione di alienazione, chi vive senza la coscienza della propria intrinseca dignità, può non esprimere preferenze appropriate rispetto alla sua reale condizione. L’autrice fonda un’etica che tenta di essere realmente pluralista e attenta alla realtà, un’etica empirica, che si fondi sull’idea di natura umana universale, e che trova il suo antecedente nell’etica eudaimonistica aristotelica, comunemente definita come dottrina morale che ripone il bene nella felicità e la felicità nella vita virtuosa, intesa da Nussbaum come precetto etico in difesa di specificità e oggettività del bene umano in contrasto con la difesa preconcetta di tradizioni irrispettose dei diritti umani. Il termine greco eudaimonia è stato tradotto dalla tradizione utilitaristica e kantiana come “felicità” in un’accezione erronea, per la quale ogni posizione rivolta verso il bene supremo viene considerata come rivolta ad un bene psichico, come contentezza o stato di piacere, mentre nella tradizione greca e in particolare quella aristotelica il termine è intimamente riferito all’attività. “Prosperità umana” è la traduzione che Nussbaum accetta, perché coglie il senso aristotelico di eudaimonia, come attività in accordo con le virtù-eccellenze e in stretto rapporto con la passività di fronte alla fortuna e alla fragilità dell’uomo rispetto ai beni esterni. La vita buona è ostacolata dall’assenza di mezzi d’aiuto, infatti “è impossibile, o non facile, compiere azioni belle se si è sprovvisti di risorse”, e si concretizza nell’agire secondo virtù proprio a fronte delle mancanze e della vulnerabilità della vita umana. Il relativismo etico si fonda, secondo Nussbaum, sulla scomparsa di un’idea di natura umana che lascia spazio ad idee confuse riguardo al bene o alla vita buona. Questo approccio rischia di fossilizzare la nozione di etica e di accettare indirettamente pratiche razziste, sessuofobe ben saldate in tradizioni locali. Un esempio per tutti potrebbe essere l’obbligo per la famiglia di una donna indiana di pagare alla famiglia del futuro sposo la dote, pratica tradizionale dell’India, causa di ricatti, molestie e omicidi verso donne inermi. È forse necessaria un’idea universale di bene con la quale contrastare comportamenti di questo genere? Non si rischia di universalizzare concetti o precetti di un gruppo dominante senza tenere conto dell’idea di bene di ogni singola persona?
Per Nussbaum l’approccio aristotelico può aiutare a risolvere queste obiezioni. L’etica delle virtù poggia ben salda sul valore del bene umano, la cui universalità è giustificabile alla luce di caratteristiche umane che sottendono alle specificazioni culturali locali e tradizionali. Aristotele si dimostra critico verso le forme di conservazione dell’esistente, soprattutto nel II libro della Politica (II 8, 1269a 4-13), ci ricorda Nussbaum, quando afferma che le “leggi dovrebbero essere correggibili, non fissate, in virtù del fatto che un progresso verso una maggior appropriatezza nelle nostre concezioni etiche esiste, come anche nelle arti e nelle scienze”, e perciò fossilizzare l’esistente, mantenendo le stesse leggi, significherebbe fermare il progresso etico. In Etica Nicomachea, nei libri II – V, l’ultimo interamente dedicato alla giustizia, Aristotele ci offre un’ampia analisi delle virtù etiche, definite come le attività più eccellenti dell’anima razionale, quelle che particolarmente interessano alla
trattazione di Nussabum sulla natura umana. Un’azione può essere cattiva o per difetto o per eccesso ed il bene coincide in ogni caso, in ogni sfera d’esperienza, con la “via di mezzo” (mesótes). Questo vale anche per il comportamento morale: “quindi la virtù è uno stato abituale che produce scelte, consistente in una medietà rispetto a noi, determinato razionalmente” (Etica Nicomachea, II 6, 1107a 1-3). A questo punto della trattazione, Aristotele tratta alcune virtù specifiche che nel libro II dell’Etica Eudemia vengono presentate attraverso uno schema, una lista. Nussbaum riprende questa lista che comprende virtù quali coraggio, moderazione, giustizia, generosità, considerando primariamente il modo in cui Aristotele articola il suo approccio a tali virtù, vale a dire “partendo dalla descrizione di sfere universali di esperienza e scelta, e introducendo la virtù come denominazione (non ancora definita) di ciò che è appropriato scegliere in quell’area di esperienza”. In effetti non tutte le virtù da lui descritte hanno un nome, a dimostrazione del fatto che sono le esperienze che definiscono e specificano il reale significato di virtù. Solo le “laws should be revisable, not fixed, by pointing to evidence that there is progress toward greater
correctness in our ethical conceptions, as also in the arts and sciences”. Ciò che Nussbaum vuole affermare è che Aristotele propone un’interessante connessione tra le virtù, la ricerca di un’etica oggettiva, e la critica alle norme locali esistenti, teoria da tenere in considerazione nelle analisi filosofiche – sfera etica -, socio-politiche – sfera della praxis -, economiche – riguardo al principio distributivo dei beni - contemporanee. Le virtù, dunque, esistono in riferimento a sfere evenemenziali a fronte delle quali è necessario che l’individuo compia delle scelte. Ci sono esperienze che accomunano tutta l’umanità, perché la vita umana è in costante rapporto con i beni esterni e la loro fragilità. Nella lista di Aristotele troviamo tra le sfere esperienziali la paura per danni alla propria persona o ai propri cari, la paura della morte, gli appetiti fisici e la loro soddisfazione le cui virtù corrispondenti, attraverso la scelta del “giusto mezzo”, sarebbero coraggio e moderazione; la giustizia è la virtù relativa alla distribuzione di risorse limitate, la generosità alla gestione della proprietà privata. Insomma i riferimenti ai beni esterni e il riconoscimento del ruolo attivo che giocano nella determinazione delle virtù umane dimostrano un’analisi attenta della realtà della vita e la volontà di affrontarla con onestà intellettuale, caratteristiche di ricerca che differenziano il filosofo dalla tradizione filosofica greca che indica, invece, nell’eccellenza umana il momento di trascendimento dell’umanità stessa, come l’ascetismo platonico e stoico. La figura tradizionale del saggio infatti è quella di chi slega la propria esistenza dai beni esterni e caduchi, evitando la propria esposizione alla fortuna, vulnerabilità della vita prettamente umana, e vivendo in piena virtù, nell’accezione praticamente contraria a quella di Aristotele, il quale umanizza appieno il concetto stesso di virtù. L’eccellenza umana è quindi per Nussbaum strettamente legata a beni esterni, incontrollabili dalla ragione, ed è grazie alla fragilità e alla vulnerabilità che può essere definita eccellenza. Aristotele afferma che solo gli uomini, a differenza di animali e dei, sono in grado di formare concetti etici e vivere secondo virtù, perché i primi non possono formare concetti e i secondi mancano di esperienza del limite e della finitezza: l’esperienza della vulnerabilità è una caratteristica non sufficiente ma necessaria dell’umanità. Da Platone in poi vi è stato un tentativo nella filosofia volto a salvare l’uomo dalla caducità, a permettergli di trascendere la propria umanità con la forza della ragione, definendolo animale razionale, a proporre il controllo delle passioni e a negare l’importanza dei beni esterni . È grazie ad Aristotele che la dimensione umana ritrova la sua specificazione nel rapporto con i beni esterni, attraverso la rivalutazione dell’eccellenza e della virtù proprio alla luce della loro concreta determinazione nel vissuto. La natura umana si caratterizza dunque dal confronto con determinate esperienze, si costruisce a partire dalla finitezza e dal rapporto problematico con la fragilità dei beni esterni; è importante comprendere che non si nega la varietà infinita dei modi di affrontare l’esperienza, soggettivamente ma anche culturalmente determinati, ma si afferma l’universalità della presenza di sfere evenemenziali specificatamente umane nella vita di ognuno. Nella sua thick vague theory of the good, Nussbaum, riprendendo la lista aristotelica delle virtù, individua alcuni elementi costitutivi dell’essere umano. La mortalità è un fatto con cui ogni essere umano si trova a fare i conti e, indipendentemente dalle credenze che si hanno su di essa, esiste. Ogni uomo è provvisto di un corpo che impone dei limiti, necessità, appetiti naturali. Nussbaum chiarisce in più scritti la natura astratta di questa teoria, a chiarire il suo essere costantemente “aperta” a sviluppi e cambiamenti, spessa nel senso che si pone l’obiettivo di individuare una vasta gamma di beni veramente essenziali per una reale
prosperità umana.
1. Eudaimonia, radici e sviluppo della filosofia di Martha Nussbaum.