Il “miracolo greco”, come è stato definito, si compì parallelamente al bisogno sentito unanimemente dal popolo greco di confrontarsi con le vicine civiltà allora insediate nel Mediterraneo, e fu agevolato nel momento in cui i greci iniziarono a organizzarsi in società via via più complesse e articolate. Tuttavia, questa crescita culturale avvenne anche grazie al grandissimo patrimonio culturale che era stato lasciato dagli Egiziani e gli Assiro-babilonesi, nelle ricerche scientifiche ma soprattutto in campi quali la matematica e l’astronomia. Altresì va sottolineato come la civiltà greca ebbe lo slancio in più che pose la loro civiltà ad un livello decisamente più rilevante rispetto alle due sopraccitate e che oggi ci permette di considerare unanimemente la Grecia come la culla della civiltà occidentale. Quindi risalire agli albori della filosofia greca significa ricercare in quegli scritti successivi alla prima fase prettamente esoterica, in cui si inizia a delineare quello che poi diventerà la base per gli interrogativi e le discussioni che si possono definire prettamente filosofici. Riferirci quindi a quelle matrici culturali primordiali che porteranno a interrogarsi sui grandi interrogativi. In questo quadro va inserito Omero poeta per eccellenza e creatore senza alcun dubbio dei due più grandi poemi epici mai scritti: Iliade e l’Odissea. Che Omero sia il creatore dei poemi in questione secondo il punto di vista dei Greci non è problematico, ma fuori della Grecia la cosiddetta “questione omerica” durante l’arco della storia ha creato molti problemi, molti dei quali tutt’oggi irrisolti. Chi fu veramente l’autore di quelle due opere è un problema aperto. Oggi non abbiamo dubbi nel considerare l’Iliade e l’Odissea come i testi in cui era racchiusa tutta la cultura e tutte le sue tradizioni. I primi (e i maggiori) interrogativi sono nati dalla biografia stessa di Omero: non abbiamo nessun dato certo sulla sua figura, ma solo interpretazioni (e spesso mistiche). Ad esempio, alcuni lo ritengono figlio di Orfeo, il mistico poeta della Tracia che rendeva mansuete le belve con il suo canto; chi scriveva un’intera biografia basandosi esclusivamente sull’etimologia del suo nome (Homeros in greco significa “ostaggio” ma anche “non vedente”) e quindi parlando di un uomo sinistro, cieco, che vagava di città in città narrando le storie che le muse gli sussurravano nelle orecchie. Diciamo, tutto sommato, che le fonti più attendibili ci suggeriscono che Omero sia nato nella Ionia, regione dell’Asia minore che si affaccia sul mar Egeo. Sul tempo della nascita le notizie sono alquanto discordanti. In ogni modo, tutte le contraddizioni non riuscirono neanche minimamente a scalfire la convinzione che Omero sia esistito veramente ed al contrario contribuiscono a rendere la sua figura ancora più affascinante e rafforzano il concetto del poeta “ per eccellenza” tanto cara ai Greci. A lui, oltre ai celeberrimi poemi dell’Iliade e dell’Odissea, sono stati attribuiti alcuni Inni, la Batracomiomachia (la “battaglia delle rane”, poemetto che vide come illustre traduttore italiano Giacomo Leopardi) e il poema Margite. Produzione tanto vasta da suscitare i primi dubbi già nei grammatici dell’età Alessandrina. Furono sempre questi i primi ad alzare critiche a Omero. Tra questi Xenone e Ellanico lanciarono la teoria secondo la quale appartiene ad Omero solo l’Iliade (movimento separatista), mentre l’Odissea sarebbe stata scritta da un’altra persona. Il più grande filologo dell’epoca, Aristarco di Samotracia, sostenne al contrario che entrambi i poemi appartengono a Omero e che le sostanziali differenze di argomento sarebbero dovute al fatto che l’Iliade era l’opera della giovinezza e l’Odissea quella della vecchiaia (movimento unitario). Infatti tutti questi dubbi nascono principalmente dalle profonde differenze tematiche all’interno dei due poemi che analizzeremo in seguito.
L’ILIADE E L’IDEALE DELL’ARETE’
L’Iliade si presenta come un poema complesso, ricco di valori, ma soprattutto come specchio vivente di una società, quella micenea, immersa nel medioevo ellenico e di cui si conosce ben poco. In questo sfondo, si muovono i personaggi legati alla tradizione eroico-guerriera tanto amata dalla Grecia e che l’accompagnerà dagli albori fino al tardo ellenismo. Ebbene sì, l’Iliade rappresenta una sorta di libro aperto su un mondo, e in quanto tale va letta immedesimandosi profondamente nell’animo dei personaggi, sentire sulla propria pelle l’ira di Achille che infiniti dolori inflisse agli Achei, piangere insieme a Priamo il destino del suo figlio Ettore. Il termine Iliade e collegato con il nome del mitico fondatore della città, Ilio. Perciò letteralmente significa “ le vicende intorno Ilio”. Il poema non narra comunque tutta l’aspra guerra tra Achei e Troiani ma solo gli ultimi 51 giorni, quelli che intercorrono tra la pestilenza nel campo Acheo e i Funerali di Ettore. Il filo conduttore di tutta l’opera è l’ira di Achille. Su di questa si intrecciano le teomachie e le aristie che si fondono nella atmosfera eroica dei valori aristocratici. Il mito ci narra come la causa occasionale della guerra di Troia sia stata una donna: Paride chiamato da Zeus a decidere chi fosse più bella tra Atena, Era e Afrodite assegna la vittoria a quest’ultima che gli promette in cambio l’amore della donna più bella del mondo. Era, indignata, diventa acerrima nemica di Ilio e dei suoi abitanti; presto si allea con lei anche Atena. Dietro una trama semplice, quindi, si nasconde uno dei poemi più importanti della storia occidentale. Nell’Iliade si vive l’ideale dell’ areté che si potrebbe tradurre con il termine virtù. Bisogna prestare attenzione a non considerarlo come la virtù cristiana, concetto del tutto sconosciuto ai greci. La definizione che meglio si adatta all’areté greca è quella dataci da Machiavelli: ideale virile cavalleresco, intessuto di gagliardia corporale e intellettuale, di spirito agonistico- bellicoso, di alto è orgoglioso sentire di se e soprattutto di esasperata voglia di onore. Areté ha la stessa radice di àristos, superlativo di agathòs che generalmente significa buono e vale in Omero come aggettivo sinonimo di nobile, prode e valente. Ed è proprio questa vena di forza, coraggio che fa da trama sottile, da filo conduttore in tutta l’Iliade. Anche nella tregua tra l’una e l’altra battaglia, Omero ci presenta sfide incontri a duello, corse, lotte, che ci fanno capire come nell’aristocrazia greca del tempo i valori su cui si valutava un uomo erano proprio questi: la forza il coraggio e l’onore. Ma lo spirito agonistico assume in Omero un significato più profondo della semplice gloria scaturita da una vittoria: esso investe il significato stesso dell’esistenza. Appartenere alla classe degli àristoi implicava un continuo allenamento per essere accettato nell’elite,l’eroe o si supera o decade. Aidos è la parola con cui si indica ad un tempo la stima di se ed allo stesso la vergogna per ciò che offende il senso dell’onore. Chi disprezza l’aidos provoca la nemesis la giusta riprovazione da parte degli altri e in parte la vendetta divina. Appartenere agli aristoi quindi è una continua ricerca di riuscire tra gli ottimi. Tutto questo è riassunto mirabilmente nel versetto presente nel VI e XI libro dell’Iliade:
«Sempre da prode operar e a tutti di valor star sopra».
A questo punto sorge spontaneo un dubbio: come può l’eroe riconoscere il proprio stato nell’areté non conoscendo il concetto di coscienza (introdotto dal cristianesimo)? Lo deve cercare nell’onore: godere tra i pari, essere giudicato da coloro che possono giudicare. Il dramma dell’eroe greco omerico sta quando esso non vede riconosciuto il proprio onore: l’ira di Achille. Dunque l’unico modo per far conoscere a tutti il proprio onore è la morte eroica a cui segue un grande onore ed è l’unica forma di immortalità. Va sottolineato che i greci non credono nell’immortalità dell’anima: l’Ade è la disperazione senza fine, dove del corpo e dello spirito resta sola una pallida copia. Achille preferirebbe vivere da mendicante che regnare sopra il regno dei morti. La vita sebbene così breve e così travagliata rappresenta per l’uomo il massimo dell’onore. La persona grande è colui che si farà ricordare per le gesta eroiche della sua vita.
L’ODISSEA: IL SUPERAMENTO DELL’ARETE’
Se il tema centrale dell’Iliade era l’ira di Achille, per l’Odissea si parla dei Nostoi (nostos in greco significa ritorno). Finita la guerra di Troia, è arrivato il momento per gli eroi sopravvissuti di ritornare in patria; questo ritorno si presenterà molto travagliato soprattutto per Odisseo. L’origine del nome Odisseo si fa risalire al verbo greco Odyssomai(odiare) che assume due significati: o colui che odia,gli Dei per i tanti ostacoli che pongono nel suo ritorno, oppure colui che è odiato sempre dagli dei ma in particolare da Poseidone. Odisseo, il primo eroe di origini umili, rappresenta il compimento dell’ideale dell’aretè, che muta verso la Metis, il saper fare pratico, non teoretico, legato all’astuzia e all’ingegno di sapersi districare da situazioni complicate e che appaiono come impossibili da concepire.
Nell’Odissea quindi, i concetti “vecchi” non vengono travolti, ma arricchiti. L’areté non è più soltanto simbolo di forza coraggio e onore, ma anche di astuzia e intelletto. Ad Achille, il giovane furioso e spietato, si sostituisce Odisseo polutropos, vale a dire dal multiforme ingegno. Odisseo incarna anche l’ideale di uomo libero, che vuole conoscere, che non vuole sapere per sentito dire, ma vuole vedere con i propri occhi. Arriva addirittura a dimenticarsi del divino e a rinnegarlo (un esempio classico è quello in cui Calipso gli offre l’immortalità “a cui l’uomo sempre aspira” e che Odisseo rifiuterà) perché sa che l’uomo è più eroico della divinità e lui vuole accettarlo nei suoi pregi e nei suoi difetti. Nascono i valori di famiglia, di casa che nell’Iliade non erano argomentati e che saranno la base di ogni azione di Odisseo. Il poema dell’Odissea apre la strada a tutti i generi letterari moderni dall’avventura allo psicologico: rappresenta perciò il vero punto di partenza della letteratura moderna e di quella futura. Degna di nota è la condizione femminile nell’Odissea: se il concetto di areté potrebbe sembrare prettamente maschile Omero ci dice che non è così. L’areté femminile è la bellezza unita con le abilità domestiche. E Omero ci trasmette un grande rispetto per la donna nell’Odissea; testimoniata ad esempio nell’incontro tra Odisseo e Nausicaa , il rispetto tra Laerte e Euriclea. E tutto questo è accompagnato dalla grande considerazione per Atena che arriva a rappresentare l’espressione delle virtù, di ispiratrice e di guida spirituale della femminilità. Nell’odissea svolgono una funzione di rilievo anche i personaggi “secondari”, Telemaco e Penelope, che rappresentano l’alter-ego di Odisseo. Penelope donna “dalle mille astuzie”, Telemaco ormai uomo che ricerca il padre e ne incarna i sogni e le speranze. Oggi convenzionalmente attribuiamo entrambi gli scritti ad Omero anche se sarebbe più esatto parlare di Omero nell’Iliade e Deuteromero nell’Odissea. Se tanto a fatto discutere l’attribuzione dei due poemi al mitico poeta cieco è indubbia la grandissima fonte storica indiretta che essi rappresentano e ciò non toglie niente nel considerare Omero il padre della poesia, della letteratura e della filosofia greca che porteranno in seguito a considerare quel piccolo paese affacciato sul mar Egeo, la culla della civiltà Occidentale.