" Se non ci sentiamo bisognosi di un pensiero, esso non sarà per noi una verità. Verità è ciò che acquieta un' inquietudine della nostra intelligenza. Senza questa inquietudine non c' è l' acquietamento ".
Ma gli studenti? Il loro compito è ben risaputo: conoscere il pensiero cercato e voluto da altri uomini. La situazione mentale e psichica dello studente di fronte ad una disciplina già pronta all' uso e da imparare, è certamente opposta all'atteggiamento dello studioso: " questi non si è trovato prima con la scienza stessa, sentendo poi la necessità di possederla, ma ha piuttosto sentito prima una necessità vitale, non scientifica, che lo ha portato a cercarne la soddisfazione e, avendola trovata in certe idee, è risultato che queste idee erano la scienza ". Per quanto riguarda lo studente, per lo meno la maggioranza degli studenti (lo sottolinea con decisione Ortega) il massimo a cui si può pensare è che trovino interessante la disciplina e la studino con piacere. Di solito lo studente non critica, non dubita sulla verità che sta studiando, ma si limita ad acquistarla e a masticarla, spesso controvoglia, magari al fine di superare un esame: per questo si trova quasi costretto, comunque spinto da una "necessità esterna", che non sente come urgente, vitale. La prova è che se quel testo o quella scienza specifica, tra cui, per esempio la stessa metafisica, non gli stesse di fronte, non ne sentirebbe la necessità. Viceversa l' uomo di scienza si avvicina alle verità via via sostenute nelle diverse discipline con un atteggiamento più cauto e sospettoso, " più ancora: col pregiudizio che non è vero quanto sostiene il libro (…) cercherà di disfare quello che si presenta come già fatto. Uomini siffatti sono quelli che continuamente correggono, rinnovano, ricreano la scienza ". La grande maggioranza degli studenti, insomma, " coloro che realizzano il significato vero -non utopico- delle parole 'studiare' e 'studente' " fingono una necessità non veramente sentita, mentono, commettono una falsità . E' vero, sostiene Ortega, che molti studenti si applicano in discipline specifiche in cui sono particolarmente portati, per cui sentono una predisposizione. Gli eventuali obiettori della tesi orteghiana, userebbero in questo caso il termine "curiosità", che il filosofo onestamente riporta. Ma a scanso di equivoci Ortega sottolinea l' etimologia di 'curiosità' , controbattendo tempestivamente quanti attribuiscano allo studente una sincera curiosità nell' affrontare i testi e le verità in essi contenute, fortunate eccezioni a parte. 'Curiosità' deriva dal termine latino 'cura' (attenzione, premura, riguardo). Da qui termini come 'curato' (sacerdote), 'pro-curatore', 'curatore'. Da qui anche 'curiosità'. " Curiosità è, dunque, accuratezza, preoccupazione. Al contrario, incuria è trascuratezza, superficialità; e sicurezza è assenza di attenzioni e preoccupazioni ". Perciò, quando si dice che è la curiosità a portarci alla scienza, o si intende la "necessità immediata", oppure ci si riferisce all' accezione negativa, probabilmente molto più in uso, di curiosare futile e puerile. " Non perdiamo tempo dietro idealizzazioni della dura realtà, con ingenuità che ci portano a sminuire, sfumare, addolcire i problemi, a renderli inoffensivi. Il fatto è che lo studente tipo è un uomo che non sente la diretta necessità della scienza, o la preoccupazione per essa, e tuttavia si vede costretto ad occuparsene. Questa è appunto la falsità generale dello studiare ". L' uomo si ritrova sempre più spesso a fare qualcosa che intimamente non gli appartiene. Si è già parlato (cfr. "L' individuo, la circum-stantia e il mondo") della necessità, per l'uomo, di seguire la propria vocazione e di auto-progettarsi. Ebbene: se studiare è ritrovarsi in una condizione dovuta a necessità esterne, ad una "necessità morta", allora " lo studente è una falsificazione dell'uomo. Perché l' uomo è propriamente solo ciò che è autenticamente, per un' intima e inesorabile necessità. Essere uomo non è essere, ovvero non è fare, qualunque cosa, ma è essere ciò che si è irrimediabilmente ". Eppure, pur essendo ormai l' insegnamento un falso tollerato e ormai abituale, non si può non studiare. Pur essendo una necessità mediata, è una necessità. Ciò che Ortega, professore di Metafisica, intende proporre come soluzione " non consiste nel decretare che non si studi, ma nel riformare profondamente quel fare umano che è lo studiare e, di conseguenza, l'essere dello studente. Per questo è necessario rovesciare l'insegnamento e dire: l'insegnamento, anzitutto e fondamentalmente, non è altro che insegnare la necessità di una scienza; e non insegnare la scienza stessa la cui necessità è impossibile far sentire allo studente ".