A cura di Enrico Gori
Paolo da Venezia fu uno dei massimi pensatori italiani del suo tempo ed uno delle figure di spicco nel panorama della Logica medievale. Le sue teorie filosofiche (la cui massima espressione si trova nell'affermazione della priorità ontologica ed epistemologica degli universali su ogni altra cosa) sono il risultato più alto del precedente pensiero realistico iniziato da John Wyclif e seguaci negli ultimi decenni del XIV secolo. Paolo sviluppò tale modo di pensare e riprese le critiche di Burley sul nominalismo. Le convinzioni metafisiche alla base della sua filosofia sono un'originale revisione delle principali tesi scotiste (univocità dell'essere; esistenza degli universali fuori dalla mente, che sono allo stesso tempo uguali e diversi dai corrispettivi individuali; identità reale e distinzione formale tra essere ed essenza; la quiddità come principio dell'individuazione; distinzione effettiva tra le dieci categorie aristoteliche), ma Paolo si concentra sui presupposti ontologici e le implicazioni della dottrina. Allo stesso tempo era disposto ad accogliere altri pareri, come dimostrano le influenze di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Fu avversario quindi dei nominalisti come Ockham, Buridano e Marsilio da Inghen, talvolta contraddicendosi. Ciò contribuisce a rendere la sua opera stimolante ed arricchente da un punto di vista storico ma rende ardua la comprensione delle sue idee in modo organico. Queste riflessioni aiutano a spiegare come mai Paolo fu considerato, erroneamente ma unanimemente, un occamista in logica e metafisica e un averroista in psicologia ed epistemologia.
VITA
Paolo Nicoletto Veneto (Paulus Nicolettus Venetus) nasce a Udine nel 1369. A 14 anni si fece agostiniano nel convento di S. Stefano a Venezia. Studiò a Padova, ma nel 1390 fu inviato a Oxford, dove rimase tre anni. Nel 1405 divenne Dottore delle Arti e Teologia. Insegnò a Padova, Siena (1420-24) e Perugia (1424-28). Nel 1424 fu precettore a Bologna. In varie occasioni ricoprì posti di rilievo all'interno del suo Ordine (Papa Gregorio XII lo nominò Priore Generale degli Agostiniani nel maggio del 1409) e fu ambasciatore della Repubblica di Venezia. Morì nel 1429 a Padova mentre commentava il De anima di Aristotele.
Paolo scrisse molti trattati filosofici e teologici tra cui diversi commenti ad opere di Aristotele (De anima, Fisica, Metafisica, Analitici Secondi, Categorie), all'Isagoge di Porfirio oltre alle seguenti opere: Logica Parva, Logica Magna, Sofisticata Aurea, Summa Philophiae Naturalis e l'Ars Vetus, raccolta dei commenti agli antichi.
LOGICA
I contributi principali di Paolo alla storia della logica medievale riguardano la nozione di distinzione formale e l'analisi dei predicati.
IDENTITA' E DISTINZIONE
La formulazione della teoria di identità e distinzione è un'estensione delle teorie di Duns Scoto e Wyclif. Il maestro italiano distingue due tipi di identità: materiale (secundum materiam) e formale (secundum formam). L'identità materiale si ha quando la causa materiale è la stessa nel numero (ossia una stessa cosa è chiamata con nomi diversi) o nella specie (quando due oggetti sono fatti della stessa materia). L'identità formale si ha quando la causa formale è la stessa. Ciò accade in due modi: se la forma in questione è forma singolare del composto individuale, allora vi è un solo oggetto conosciuto con diversi nomi; se invece la forma è l'essenza esemplificata dalla forma singolare, allora si hanno due oggetti della stessa specie o genere. Analogamente i tipi di distinzione sono due: materiale e formale. Materiale quando la causa materiale è diversa da quella formale e i due oggetti sono entità separabili. In generale, vi è distinzione formale quando la causa formale è diversa. Ciò accade in due modi: se la causa materiale è diversa, c'è un caso particolare di distinzione materiale. Se la causa materiale è la stessa, allora è necessaria un'ulteriore analisi.
Se la causa materiale è la stessa solo secundum speciem, si parla di distinzione formale impropria; ma se la causa materiale è la stessa nel numero allora è una distinzione formale propria dato che le forme prese in esame hanno diversa definizione ma stesso substrato di esistenza. Dunque sono in realtà la stessa cosa. Ad esempio vi è una differenza formale tra le proprietà del ridere (risibile) e dell'apprendere (disciplinabile) che sono forme connesse esemplificate dallo stesso insieme di sostanze individuali.
La distinzione materiale è un criterio necessario e sufficiente per la differenza effettiva tradizionalmente concepita, laddove c'è distinzione formale se e solo se vi è una sostanza secundum numerum (ad esempio identità materiale in senso stretto) ed una molteplicità di principi formali con descrizioni diverse esemplificate dalla sostanza. Perciò Paolo inverte i termini della questione in relazione agli studi precedenti: Duns Scoto e Wyclif avevano provato a spiegare, attraverso la distinzione formale, come sia possibile distinguere diversi aspetti interni ad una sostanza individuale (passaggio da uno a molti). Paolo invece tenta di ridurre la molteplicità all'unità (passaggio da molti a uno). Paolo vuole dimostrare il modo in cui entità diverse di un certo tipo ( ad esempio con modalità di esistenza incomplete e dipendenti) possano costituire una, e la stessa, sostanza secundum numerum.
PREDICABILITA'
Il punto di partenza della teoria di Paolo sui predicati è la sua dottrina degli universali. Come Wyclif ed i suoi seguaci Alyngton, Penbygull, Sharpe, Milverley, Whelpdale, Tarteys, il maestro agostiniano dice che:
1) Vi sono universali reali, essenze comuni che si prestano ad essere predicati di
diversi esseri viventi.
2) Gli universali reali e i loro individuali sono in realtà la stessa cosa, la loro distinzione è unicamente formale.
3) Il predicato è prima di tutto una relazione tra entità metafisiche.
Ma l'analisi del predicato di Paolo differisce da quella di Wyclif e seguaci nella divisione tra predicato formale e identico e li spiega diversamente dalle sue fonti. Per definire il predicato identico, è necessario che il soggetto-termine di una preposizione (vera) e la forma indicata dal termine-predicato abbiano in comune almeno un substrato di esistenza. È il caso di preposizioni quali “l’uomo è animale” e l’universale-uomo è bianco (homo in communi est album). Si parla di predicazione formale in due casi:
1) quando la veridicità della proposizione è relativa alla presenza in tutti i substrati di esistenza della forma espressa dal termine soggetto, della forma espressa dal termine-predicato in virtù di un principio formale (esplicato nella proposizione stessa) a sua volta presente in tutti i substrati di esistenza della forma rappresentata dal termine-soggetto. È il caso di proposizioni come “l’uomo è formalmente un animale”.
2) Oppure nel caso in cui il predicato sia un termine di seconda intenzione come “specie o “genere”, come nelle proposizioni come “l’uomo è una specie”, “animale è un genere”.
Come risulta evidente, il predicato identico è definito in extensio, mentre il predicato formale è definito in intensio, dato che il predicato formale implica una relazione modale tra soggetto e predicato: il predicato formale presuppone una connessione necessaria tra soggetto e predicato della proposizione. Per questo motivo, Paolo nega che frasi come “singulare est universale”, che Wyclif e seguaci ritenevano vera, siano vere proposizioni. Secondo Wyclif la frase menzionata è un esempio di predicato per essentiam; per Paolo si tratterebbe di predicato formale. L’individuale qua individuale non è un universale o viceversa, così come una seconda intenzione in intensio non è un'altra seconda intenzione. Paolo riscrive quindi la frase wyclifiana così: “singolare est hoc universale” in cui la presenza di “hoc” cambia il predicato da formale a identico. In questo modo la frase è corretta, poiché significa che una certa entità, singolare in sé, è il substrato di esistenza di un’essenza universale. Così facendo, Paolo costruisce un sistema misto in cui la copula delle frasi filosofiche oggetti del suo studio ha un triplice significato:
1) Identità parziale tra soggetto e predicato in caso di predicato identico.
2) Collegamento necessario tra le forme in caso di predicato formale di primo grado.
3) Il soggetto in sé è necessariamente parte di una data classe di oggetti in cui il predicato-termine è inscritto, e a cui si riferisce in caso di predicato di secondo grado, ossia quando il predicato è un termine di seconda intenzione.
Il mondo, secondo Paolo, consiste in esseri finiti, che esistono al di fuori della mente (case, uomini, carri) e che sono composti da una sostanza prima e un insieme di forme interne all'oggetto e da esso dipendenti. Le forme di sostanza primaria appartengono a 10 categorie dell'essere. Quindi un essere finito non può essere del tutto identificato con la sostanza primaria. Prova ne sia che questa non contiene tutta l'essenza dell'essere finito. La Sostanza è dunque un ordine di predicati categorici. Le Sostanze Primarie non sono semplici predicati, ma oggetti complessi, essendo composte da materia e forma peculiare, forma identica e formalmente distinta dalla natura specifica esemplificata dalla Sostanza. I concetti di forma e materia sono relativi, poiché i loro significati sono tra loro collegati. Essere la forma di qualcosa ed esserne la materia sono relazioni opposte di tre tipi i cui punti sono:
1) I costituenti metafisici della sostanza individuale (come la materia e forma singolare).
2) I costituenti delle nature specifiche (genere e differenza).
3) Predicati categorici ( sostanze universali e universali, accidenti) secondo i gradi di generalità.
La natura specifica o essenza può essere concepita da un duplice punto di vista: in concreto e in abstracto (in altre parole, in extensio e in intensio). La natura specifica in abstracto esprime l'insieme di proprietà essenziali che compongono una forma categorica, senza far riferimento ad individuali, se vi sono, che la esemplificano. In concreto, la natura specifica è la stessa forma concepita come esemplificazione di almeno un'identità. Per esempio. l'umanità è tale in abstracto (humanitas), in concreto è homo. Entrambe sono forme sostanziali sovraordinate a tutto il composto umano, ma mentre "humanitas" è una forma propria (ossia esistenzialmente incompleta e dipendente, l'uomo è un'entità autonoma e indipendente. Perciò differiscono fra loro nello stesso modo in cui un predicato (come P) differisce da una formula (P(x)).
A causa della complessità della composizione metafisica degli esseri finiti, ogni creatura ha quattro livelli di esistenza: reale, temporale, essenziale ed individuale. L'essere reale non è altro che l'intera realtà dell'essere finito. L'essere essenziale è la modalità di essere propria alla natura specifica esemplificata da un dato essere singolare. L'essere temporale è lo stato designato da espressioni infinitive come "essere un uomo" (hominem esse) o "essere bianco" (album esse), ossia l'oggetto dell'atto di giudicare. Infine l'essere individuale è l'esistenza stessa della Sostanza primaria di un essere finito distinta distintamente dall'intera realtà dell'essere finito in quanto tale.
Secondo Paolo, che segue Duns Scoto e Wyclif sull'argomento, l'essere è condiviso essendo la materia modulata dalle categorie secondo le corrispettive essenze. In linea con questa posizione, Paolo non traccia una distinzione definita tra essenza ed essere. Come Duns Scoto e Wyclif, Paolo parla di differenza formale (o differenza razionale) tra essenza ed essere nelle creature, dato che l'essenza e l'essere di una cosa sono una e la stessa identità considerata da due diversi punti di vista, in abstracto e in concreto. Tale analisi identifica l'opposizione tra essere ed essenza con l'opposizione universali-individuali. Come Wyclif, Paolo pensa all'essenza come
forma universale concepita in abstracto, e l'esistenza (in senso stretto) come la modalità dell'essere propria della Sostanza primaria. Quindi, affermando la differenza formale e l'identità reale di essere ed essenza, Paolo ripropone semplicemente la tesi di identità reale e distinzione formale tra universali ed individuali tipica dei Realisti tardomedievali. Di conseguenza, come Burley e Wyclif, Paolo ritiene che un universale formale in actu esista fuori dalla mente solo se se vi è almeno un individuale che lo esemplifica, cosicché le nature comuni non sono propriamente universali senza individuali. Ciò significa che la relazione tra nature comuni e singolari è fissata sull'individuale, dato che l'esemplificazione e l'universalità de actu non sono possibili senza individuazione. Sull'argomento, Paolo concilia efficacemente l'approccio scotista con alcune tesi tomistiche. Paolo dichiara che il principio di individuazione è duplice, immanente e remoto. Il principio immanente è quello la cui presenza implica necessariamente l'esistenza dell'individuale costituito, e la cui assenza implica necessariamente la non-esistenza (o scomparsa) dell'individuale; il principio remoto è solo ciò che è presupposto dal principio individuale, ma la cui presenza ed assenza da sole non sono sufficienti per determinare l'esistenza, o la scomparsa, dell'individuale, poiché continua l'essere dopo la corruzione dell'individuale. La "haeccitas" è il principio immanente di individuazione, laddove forma, materia e quantità sono il principio remoto. La haeccitas ha a sua volta un'origine duplice: deriva da forma e materia insieme nelle sostanze corporee e dall'essenza (quidditas) nelle intelligenze angeliche. Inoltre, secondo Paolo vi è una similarità stretta tra la haeccitas, da lui chiamata differentia individualis, e la differenza specifica. Quest'ultima è ciò che differenzia la specie dal genere, essendo la determinazione di proprietà che, una volta sommata al genere dà la specie. La differenza specifica è realmente identica al genere, dal quale è distinta solo in virtù di un principio formale. Lo stesso accade alla differenza individuale: è ciò che differenzia l'individuale dalla specie; dal punto di vista ontologico, è realmente identico a e formalmente distinto da la specie in sé, ed è in virtù del principio formale se l'individuale è quello che è, qualcosa di particolare, concreto, e perfettamente definito in sé.
Per quanto riguarda l'individuazione angelica, la conseguenza logica che deriva dalle premesse supposte è che è impossibile trovare due angeli che condividano la stessa natura specifica e siano numericamente distinti, dato che solo una haecceitas può derivare da una specie incorporea. Questa soluzione è vicina al significato profondo della posizione scotista e contrasta con quella di Tommaso, sebbene Paolo affermi che le intelligenze angeliche sono diverse specificamente e non numericamente. Per Tommaso gli angeli sono specificamente differenti perché sono incorporei, e senza materia l'individuazione non è possibile. Al contrario Paolo pensa che gli angeli siano individualizzati attraverso la haeccitas, ma senza esserne moltiplicati proprio perché sono incorporei. così vi è solo un angelo per specie. Siccome le nature specifiche degli esseri incorporei non hanno alcun collegamento con la materia, solo un unico principio di individuazione (ratio suppositalis) può derivare da tali specie. Di conseguenza, nessun angelo è numericamente uno in senso stretto (poiché l'essere uno numericamente implica necessariamente la presenza di molteplicità di cose della stessa specie), sebbene, in un senso più ampio ogni angelo sia numericamente uno, dato che due (o più) angeli sono, dopo tutto, "molte cose" ma mai dello stesso tipo
Nella sua ultima opera, il commento all'Ars Vetus, Paolo riepiloga la sua posizione nel modo seguente:
1) L'individuale è il risultato finale di un processo di individuazione il cui punto di partenza è una forma specifica.
2) L'individuazione è ciò che differenzia l'individuale dalla specie.
3) L'individuazione non è altro che la stessa haeccitas.
4) La haeccitas e la forma specifica sono distinte solo formalmente dall'individuale composto.
5) Il principio di individuazione, quando provoca il passaggio dal livello degli universali a quello dei singolari, non svolge il ruolo di forma (o atto) in relazione alla natura specifica, ma il ruolo di materia (o potenza), essendo ciò che la forma specifica struttura.
In questo modo, Paolo tenta di risolvere le aporie della teoria scotista di individuazione. Duns Scoto non aveva detto niente sul problema della relazione tra haeccitas e la materia particolare e la forma che costituiscono l'individuo. Il Mil maestro Francescano aveva taciuto anche riguardo una possibile identificazione della haeccitas con una delle due forme essenziali della sostanza individuale, la forma partis (ad esempio, l'anima individuale) e la forma totius (la natura umana). Paolo identifica il principio di individuazione con l'atto di formazione attraverso cui la natura specifica modella la propria materia. Tale identificazione fu già suggerita dall'opposizione tra i principi immanenti e remoti di individuazione descritti nella Summa philosophiae naturalis. In effetti, tutti i costituenti del composto individuale (materia, forma e quantità) erano stati opposti alla quidditas, che, per questo motivo non poteva essere identificata con questi. Inoltre, e ovvio che:
1) La "nascita" dell'individuale è determinata dall'unione della forma singolare con la propria materia.
2) La "morte" dell'individuale è determinata dalla separazione dalla materia della forma singolare.
3) L'unione della forma singolare con la propria materia è la condizione necessaria e sufficiente per il passaggio dell'essenza specifica dalla sua modalità in abstracto dell'essere sulla modalità in concreto dell'essere.
PSICOLOGIA
Paolo respinge la concezione agoostina della relazione dell'anima con il corpo e segue la dottrina arristotelica dell'anima come forma del corpo. Ma, contro Aristotele e seguendo Tommaso, Paolo dice che, sebbene l'anima sia una forma del corpo, l'anima umana è una forma auto-sussistente e quindi incorruttibile. Comunque, a differenza di Tommaso, Paolo dichiara che, l'anima umana è duplice poiché deriva, nella sua integrità, dalla stretta unione di due principi distinti, quello cogitativo e quello intellettivo. Il primo è la causa dell'istintività, e il secondo della razionalità umana; nessuna può esistere nell'uomo singolarmente, e l'anima cogitativa è potenzialmente correlata all'anima intellettiva.
Come Tommaso, Paolo sostiene la distinzione tra l'anima e le sue facoltà. Ma, in contrasto con l’Aquinate, ritiene che ci sia solo una distinzione formale (ratione et definitione) tra le stesse facoltà. Laddove le facoltà dell'anima cogitativa dipendono dagli organi del corpo per le loro operazioni, le facoltà dell'anima intellettiva , come l'intelletto attivo, l'intelletto passivo e la volontà, sono indipendenti dal corpo, sebbene in stato di unione con esso abbiano bisogno delle sensazioni per esercitare la loro funzione, non essendo possibili gli atti di sensazione senza la partecipazione del corpo. Oltre alla facoltà vegetativa (che regola il nutrimento, la crescita e riproduzione) e le facoltà locomotorie, le facoltà dell'anima cogitativa sono le seguenti: i cinque sensi esteriori, il senso generale (sensus communis), la fantasia (phantasia), la facoltà di valutazione (vis aestimativa) e la memoria. Contro Avicenna, Paolo nega esplicitamente l'esistenza di un quinto senso interno, l'immaginazione, poiché pensa che le sue operazioni siano analoghe a quelle della fantasia. Il senso generale distingue ed assembla le informazioni dei sensi esteriori speciali. La fantasia conserva le specie sensibili apprese dai sensi e li combina. La facoltà di valutazione riconosce quelle proprietà delle cose che non possono essere percepite attraverso i sensi come, ad esempio, che qualcosa è utile ad un certo scopo, o amichevole, od ostile. La memoria è il "magazzino" dove tutte le specie sensibili sono poste, sicché l'anima cogitativa può operare anche in assenza di oggetti sensibili.
Secondo Nardi, 1958, Ruello,1980, e Kuksewicz, 1983, Paolo era un Averroista in psicologia, avendo appoggiato le tesi di unicità e della separazione dell'intelletto passivo per l'intera specie umana. Ma ciò è falso. Al contrario, il punto di vista di Paolo è vicino a Tommaso sulla questione dell'intelletto passivo, e ad Avicenna sull'intelletto attivo. Se le sue affermazioni contenute nella Summa philosophiae Naturalis sono ambigue ed è quindi possibile non coglierne il significato profondo, nei suoi commenti sul De anima e sulla Metafisica Paolo respinge decisamente tutte le tesi di base dell'averroismo. Prima di tutto, Paolo ritiene l'immortalità personale (tesi negata dagli averroisti puri) e, come i seguaci medievali di Avicenna, identifica l'intelletto attivo con l'attività divina di "illuminazione" dell'anima. In secondo luogo Paolo dichiara, contro Averroé, che l'anima intellettiva è forma e atto del corpo. Inoltre afferma che:
1) Le specie intenzionali presenti nei sensi esteriori, in quelli interiori e nell'intelletto sono di 3 tipi diversi.
2) L'individuale è un oggetto dell'intelletto.
3) La stessa specie intelligibile attraverso cui comprendiamo le essenze sostanziali è il mezzo in virtù del quale possiamo capire la struttura peculiare dell'individuale che esemplifica l'essenza.
Queste tesi sono l'esatto opposto delle convinzioni averroiste. Infine, Paolo polemizza apertamente contro l'unicità dell'intelletto passivo, utilizzando argomenti tratti dalle opere tommasiane De unitate intellectus contra Averroistes e la Summa Theologica. Tra questi, i più importanti sono:
1) Se l'anima è la forma del corpo, come afferma Aristotele, è impossibile che l'intelletto passivo è uno per tutti gli uomini, poiché lo stesso principio numerico non può essere forma di molteplicità di sostanze.
2) Se l'intelletto passivo è uno per tutti gli uomini, allora dopo la morte non resta nulla dell'uomo tranne questo intelletto e in questo modo la distribuzione di ricompense e punizioni è risolta.
3) Un unico intelletto potrebbe implicare opinioni contraddittorie, violando così in apparenza il principio di non contraddizione.
Più generalmente Paolo pensa che le tesi averroiste manchino di una base filosofica solida, dato che possono essere ritenute solo dal punto di vista fisico, secondo cui tutto è considerato influenzato o collegato con il movimento, ma tali proposizioni sono assolutamente errate dal punto di vista metafisico, il più vasto di tutti. Da questa posizione, secondo cui l'intelletto passivo deve essere considerato una forma sostanziale, è evidente che comincia nel tempo, ma di certo non vi finisce, e che, come ogni altra forma sostanziale materiale, è moltiplicata secondo la moltiplicazione dei corpi.