A cura di DARIO MIANO
“L’uomo nasce libero e ovunque è in catene”.Celeberrima frase tratta dal “Contratto sociale”di Rousseau ,capolavoro settecentesco alla base dell’ideologia che ha portato il popolo francese alla Rivoluzione.Il 14 Luglio 1789,senza ombra di dubbio,segna l’inizio di una nuova era che tuttavia non è priva di aporie e difficoltà dal punto di vista teoretico,filosofico e ideologico.Il contrattualismo del filosofo francese assume una diversa connotazione dalle concezioni precedenti di matrice giusnaturalista.La società,non vista più come un proseguimento del naturale rapporto familiare,è il risultato di un accordo egualitario tra uomini coscienti del fatto che non è la forza a creare il diritto ma la cooperazione e l’incontro tra più volontà particolari.Cedere alla forza,infatti,è una necessità di tipo fisico e non un atto dettato da una qualsiasi forma di volontà,non può essere un dovere di tipo morale da essere seguito con serenità e convinzione. Rousseau critica aspramente il giusnaturalismo di Grozio e il contrattualismo di Hobbes proprio dove quest’ultimi intravedono il ruolo del più forte e la giustezza della schiavitù,concepita come un “dono”, libero e volontario,della propria vita.La frase citata all’inizio evidenzia proprio il problema della società contemporanea a Rousseau,non ancora appartenente all’epoca post rivoluzionaria e quindi in catene ma pur sempre composta da individui “originariamente” liberi,in un tempo più vicino al mito che alla realtà.La libertà da Rousseau ai secoli a venire sarà considerata quella peculiare caratteristica dell’essere umano,quasi ontologica,che lo distingue dagli altri esseri viventi.Non vi sarebbero,quindi,dei diritti di natura divina e stabili ma diritti che nascono con l’istituzione di un patto,sempre diverso a seconda del momento storico,del luogo geografico,del numero di sottoscriventi e dei bisogni da soddisfare .Tuttavia ogni società deve essere basata su degli assunti inalienabili: la libertà e l’uguaglianza di ogni individuo,uniche vere caratteristiche universali.La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e quella del 1793,dichiarando apertamente che l’uomo nasce libero per natura,sanciscono che la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri,perseguendo cosi la “regola d’oro”del vivere civile:”non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te”.Ma il problema principale resta quello di proteggere,conservare e attualizzare questi principi.Se l’uomo nasce libero nello stato di natura,tuttavia,è soggetto allo alla legge del più forte,nello stato sociale è limitato da leggi ma soggetto alla legge del più furbo.Il contrattualismo cosi inteso,infatti,per quanto democratico e idilliaco possa sembrare,se visto in profondità,è un “atto di forza”di un insieme di individui deboli che si alleano per soggiogare chi fisicamente è più forte.Ma potremmo anche accettare che in fin dei conti che questa forma di contrattualismo sia una conquista del genere umano proprio come animale razionale:il più debole viene tutelato dal sopruso e il più forte da una possibile superiorità mentale e organizzativa.Senza compiere un’astrazione eccessiva,come il diritto non è presente in una qualche realtà metafisica e/o ontologica ma in una realtà umana e terrena,anche la giustizia non è altro che un costrutto dell’uomo,il quale,riprendendo un altro concetto di Rousseau,deve andare a braccetto con l’utilità.Solo intravedendo un’utilità comune,o un comune rischio,forti e deboli possono ritrovarsi uguali all’interno di un patto gestito. E’ chiaro che l’utilità personale può assumere diverse forme a seconda del soggetto pensante e quindi utilità,giustizia e bene sarebbero solo principi relativi. A differenza degli animali dal carattere meramente istintivo,l’uomo,citando Aristotele,non è solo un animale razionale,ma anche politico,in grado non solo di capire l’importanza dell’altro ma anche quel bene che deriverebbe dal sottoscrivere un patto.L’uomo libero in senso assoluto non esiste,lo stesso contrattualismo prevede che si deve”alienare una parte di libertà per avere maggiore sicurezza”.In poche parole a qualcosa bisogna pur rinunciare.La libertà intesa in senso sociale non può che essere caratterizzata dalla protezione del patto,cioè dalla consapevolezza duratura che la volontà generale è di gran lunga più importante della volontà particolare e l’unica forza in grado di promulgare leggi e decidere i limiti entro i quali lasciare spazio all’individualità senza intaccare il bene comune a monte del patto.Come nota Rousseau ciò che fa prosperare la società non la pace ma la libertà.La pace, infatti ,intesa come assenza di guerra può sussistere anche in una comunità stratificata e divisa in classi sociali,ma la libertà è una cosa ben diversa.Nonostante l’uomo nasca libero per natura,libero cioè di decidere se sottoscrivere o meno il patto a seconda del suo raziocinio,la libertà in senso sociale è un diritto,seppur naturale e imprescrittibile,che l’articolo 2 della Dichiarazione del 1789 fa presente.Gli altri tre diritti naturali,sicurezza,proprietà e resistenza all’oppressione,sono conseguenze patto stipulato che possono trasformarsi in doveri laddove consideriamo il diritto alla proprietà come unico garante del lavoro,elemento basilare per essere d’aiuto alla società e la sicurezza come un dovere morale da attuare nel caso in cui ci sia qualche trasgressione.Come notato in precedenza la libertà non può essere intesa in senso assoluto e i sottoscriventi il patto già sono a conoscenza del fatto che devono attenersi a delle regole e a delle prescrizioni per garantire l’ordine e l’uguaglianza sociale fondamentale per evitare le prevaricazioni.Ma come già precisato alla radice del patto deve starci l’utilità comune e condivisa per volontà propria.Chi aderisce al patto deve essere consapevole e felice di aver fatto questa scelta .I primi ad introdurre la felicità come fine ed obbiettivo di una legislazione sono stati i francesi nel preambolo della Dichiarazione del 1789 e nel primo articolo della Dichiarazione del 1793:”lo scopo della società è il bene comune”.L’uomo felice allora è l’uomo consapevole e in quanto tale capace di privarsi di qualcosa per assecondare bisogni più importanti e capace di indirizzare le proprie forze nel modo giusto senza cedere ai vizi o cadere in stati negativi che lo farebbero soffrire.Compito della società non è quello dissolvere tutti i problemi presenti o possibili m quello di garantire all’individuo non solo un’esistenza in piena sicurezza ma degna e di essere vissuta,cioè felice.Sempre Rousseau,stavolta nell’”Emilio”è molto chiaro :”il più felice è colui che meno patisce.La felicità è solo uno stato negativo determinato dalla minor quantità di mali sofferti”.La vita di un uomo,infatti,si può considerare “complessa”,cioè composta da più piani e settori.Non solo il piano politico-amministrativo ma anche il sentimentale,il fisico,il religioso sono livelli presenti nell’esistenza umana .L’uomo ha moltissime facoltà,capacità e desideri che se soddisfatti danno piacere ei felicità.Il punto focale della felicità sta allora nel dare soluzione al bisogno,che si trasforma in un desiderio e viceversa,grazie alle proprie facoltà.Un giusto equilibrio tra bisogni,desideri e facoltà sarebbe ciò che renderebbe un uomo felice .Ma ,bisogna lasciare una buona fetta di merito al perseguimento della felicità alla Sorte.La vita è fatta di scelte,è impossibile riuscire ad avere piena coscienza di tutte le vie possibili dinanzi un bivio ,Rousseau in una sola frase riesce a racchiudere il fulcro del problema:”L’uomo realmente libero vuole ciò che può e fa ciò che piace”.Non a caso questa frase non viene estratta dal “Contratto sociale”,finito con la consapevolezza dell’impossibilità di un patto eterno dovuto all’inevitabile prevaricazione della volontà particolare sulla generale,ma viene estratta dall’”Emilio”,un trattato pedagogico dall’essenza utopistica.In una critica serrata al sistema ad egli contemporaneo,il filosofo francese immagina di dover educare e formare un fanciullo adatto a diventare un buon cittadino secondo le disposizioni del contratto, privo di vizi e abitudini nocive che lo porterebbero ad avere più desideri delle proprie facoltà e nell’avvertire nella privazione anche di piccole cose un bisogno da colmare,essendo cosi non solo un cittadino dannoso per la società ma anche un individuo infelice.Soprattutto il discente deve essere in grado di operare quelle scelte dettate da un buon raziocinio che lo porterebbero ad accettare in toto la filosofia alla base del patto.La pedagogia è quindi l’unica disciplina in grado di poter creare un nuovo tipo di cittadino e una nuova comunità felice in cui l’equilibrio tra bisogni e facoltà sia attualizzabile,guidando il discente nel labirinto delle scelte.La pedagogia in questione non è il solito mezzo per far proseguire l’ideologia al potere ma come quel connubio tra pratica e teoria che è la prassi educativa a scopo progettuale finalizzata al proseguimento del vero patto originario,non caduto in mano,come quello odierno,al più forte “di mente” capace di accaparrarsi anche la forza fisica con abilità.Ovviamente è il capitalismo che qui viene criticato e l’annessa globalizzazione,chiaramente non considerata come quel meraviglioso insieme di innovazioni che possono far comunicare individui distanti tra loro con conseguente scambio di informazioni utili e per questo in grado di essere alla base di un patto non più tra pochi individui come quello agognato da Rousseau in una Francia ottocentesca,ma a livello globale e planetario.La diversità sociale di cui parla Rousseau è ben diversa dalla moltitudine di culture presenti oggi sul suolo terrestre.Riuscire a racchiudere tutte le alterità sotto un obbiettivo o un fine comune sarebbe ben più difficile.Autori contemporanei come Gadamer e Habermas propongono una “teoria dell’ascolto” alla base della produzione razionale di diritti e valori intersoggettivamente riconosciuti con la consapevolezza che ogni valore e concezione non può essere cristallizzata ma sempre soggetta alle nuove influenze e quindi in continuo mutamento.Per quanto avveniristica ma allettante proposta,questa teoria presuppone un ideale democratico e solidale ontologico da perseguire come se fosse un principio della morale kantiana che,si ricordi,è attingibile solo grazie alla pura Ragione.Un nuovo metodo di considerare il rispetto,la dignità e l’alterità in maniera intersoggettiva e soprattutto aperta al dialogo dovrebbe essere legittimata proprio dal principio di utilità per essere seguita coscientemente. L’allievo del filosofo francese,infatti,non fa mai nulla senza capire che può trarne vantaggio e per quanto quest’idea possa cadere nell’utilitarismo è invece una proposta per abbattere cristallizzazioni di potere e regole fisse che con l’andare del tempo fanno dimenticare l’obbiettivo e i principi del patto. Rousseau nel “Contratto sociale” nota che l’alleanza dei sottoscriventi deve essere accettata e mai imposta con la forza o senza aver passato al vaglio tutto l’accordo anche ad ogni cambio generazionale. Immanuel Kant puntualizza nella”critica della ragion pratica” che bisogna sempre concepire l’umanità come fine delle proprie azioni e mai come mezzo per realizzare i propri desideri personali. Il patto,infatti,può cambiare o subire variazioni onde garantire la prosecuzione,anche dovute ad innovazioni di carattere tecnologico o climatico che modificano le condizioni di base in cui il patto aveva visto la luce.La cristallizzazione di qualsiasi cosa porta inevitabilmente alla sua distruzione ed allora è di cruciale importanza capire che lo stesso principio di utilità varia nel tempo.Fortunatamente il Post-moderno e la nuova teoria della complessità danno spazio a questa concezione.Viene rivalutato ogni aspetto della vita del e nel mondo,nessun aspetto è indipendente ma il risultato di un insieme di interazioni tra nicchie e settori.La pedagogia,quale scienza che pensa la formazione,cioè appunto il “dare forma”,deve tenere conto del nuovo paradigma della complessità e creare un nuovo ambiente in cui rendere capace il soggetto di apprendere a vivere.Come suggerisce Rousseau non c’è miglior modo di imparare se non dalla Natura stessa,osservandola e cercando di comprenderla.Nonostante si tenda a rinchiudersi nelle proprie nicchie di appartenenza e a congelare le mutazioni e le strutture formatesi,la biodiversità nel mondo è di cruciale importanza.Dalla sola organizzazione di un boschetto di può notare come un ecosistema debba la vita all’interazione di più microsistemi.Ogni parte ha un compito da svolgere nel tutto e benché si pensi che il tutto sia maggiore della somma delle singole parti,senza quest’ultime il tutto non potrebbe neanche esistere.La manutenzione della biodiversità è quindi importante x la sopravvivenza del mondo e va rispettata e protetta .L’uomo,è vero,è l’unico animale in grado di adattare il mondo che lo circonda ai propri bisogni,oltre che adattare egli stesso,ma deve saper frenare e controllare manie distruttive o piaceri non necessari che indirizzano le sue forze alla rovina degli ecosistemi e all’inevitabile conseguenza dell’autodistruzione.Ma ciò che qui si sta valutando non è una diversità quasi astratta da applicare solo a degli ecosistemi,bensì quella diversità,o meglio quell’alterità,propria del genere umano stesso,caratterizzato,appunto,da culture ed esperienze nettamente diverse e a volta contrastanti tra loro.Tutto dovrebbe essere rinnovato nei metodi e nei contenuti per quando riguarda la formazione del nuovo cittadino.Anche se il progresso tecnologico ha portato situazioni nuove,mai affrontate prima,in cui ogni precedente sistema morale o etico risulta essere poco adatto e incompleto,bisogna rendersi conto che la tendenza ad omologare e diffondere contenuti culturali e ideologici validi per tutti,tipica del comportamento mediatico,non riesce mai nel suo intento:non si risponde allo stesso stimolo nel medesimo modo ma vi è un processo di “indigenizzazione”,cioè di interpretazione,del contenuto culturale,il quale varia a seconda del bagaglio genetico,antropologico ed etnologico del soggetto senziente.La cultura,allora,non può più essere pensata in senso classico e statica ma in incontrastata dinamicità e sempre in attesa di raccogliere nuove inferenze e influssi.Anche l’epistemologia moderna è di questo avviso e il Post-moderno ha giocato un ruolo fondamentale nel decentralizzare la figura dell’uomo e la linea di pensiero positivistica post-hegeliana che considerava di l’intelletto capace di cogliere tutto,Assoluto incluso.Tutto viene rielaborato,rivalorizzato e ricombinato.Il XX secolo ha dato vita a nuove teorie scientifiche che hanno radicalmente dissacrato l’idea classica e imperante della Ragione e ha fatto nascere un mondo delle “incertezze”.Di fronte il principio di Heisenberg l’intelletto umano può solo avere il compito di capire quanto sia fallace e incompleta,dinanzi al principio di Godel che sancisce la necessità di un assioma inspiegabile per assicurare coerenza a qualsiasi sistema formale,può solo professare una dichiarazione di fede.Quella stessa fede che oggi la psicologia cerca di spiegare come autosuggestione,come se Dio non fosse altro che l’immagine dettata dal bisogno di salvezza,di avere un fine a cui tendere affinché la vita stessa non sia inutile o dal bisogno di avere risposta ad ogni perché…Ma se un concetto cosi astratto e imponente come quello di Dio non si può spiegare se non con mere supposizioni,le posizioni antropocentriche dell’uomo religioso sono da tempo venute meno.Già Copernico aveva tolto alla Terra la centralità nell’Universo,ora Hubble la colloca ai suoi margini.Anche Darwin ha contribuito alla riflessione dei post-modernisti.Il fatto che l’uomo sia un animale evoluto per caso grazie all’interazione di fattori favorevoli che hanno reso possibile una mutazione genetica in una scimmia africana fa rendere conto che probabilmente potremmo anche non avere un scopo ben preciso da perseguire.Tutto ciò dovrebbe dare consapevolezze all’uomo di oggi sulla giustezza del patto e sul modo di amministrarlo ma potrebbe anche essere la causa della sua distruzione secondo punti di vista differenti.Si potrebbe infatti pensare a rigor di logica che essendo nient’altro che un animale è all’istinto che l’uomo deve appigliarsi e all’annessa legge del più forte.Si potrebbe anche aggiungere che è il Fato che tutto regge e governa,che senza le prevaricazioni sui più deboli non ci sarebbe progresso,che senza le selezioni naturali la specie sarebbe composta solo da infermi e deboli,che senza le guerre ci sarebbero troppe bocche da sfamare.E si potrebbe forse essere d’accordo con questa linea di pensiero se la società odierna fosse felice e privi di rischi ma la politica internazionale e l’attualità insegnano che in un patto cosi mal gestito e stratificato si è disposti a tutto,anche alla forza o all’omicidio di massa,per porre fine ad un’esistenza sofferta solo perché si è nati nel posto sbagliato o per fare del male a quell’esiguo numero di individui che del patto ne trae i vantaggi .Aristotele sosteneva che le civiltà fossero destinate a perire in maniera ciclica e solo barlumi delle culture si sarebbero conservati per essere inglobati dalle nuove.Anche se veramente fosse cosi perché non cercare di istituire un patto omogeneo per rendere duratura una civiltà? Il Post-moderno e la “complessità”ci aiutano ad essere consapevoli dei nostri limiti e delle nostre esigenze,ad abbattere i pregiudizi e le cristallizzazioni di potere.Si potrebbe,allora,cambiare valori e sistemi,rinunciare ad un progresso tecnologico in continua accelerazione e non rischiare di perdere tutto,vita compresa,a causa di una guerra dettata dall’odio degli oppressi.Solo chi si sente immune dal dolore può gioire vedendo chi soffre. L’uguaglianza è utile a tutti,non è necessario che venga accolta solo in nome di un dio.Un vero patto può garantirla.Termino citando una celebre frase di Morin che riesce a far credere possibile qualsiasi utopia:”la rinuncia al migliore dei mondi non è la rinuncia ad un mondo migliore”
Dario Miano
Filosofia e scienze etiche