BIAGIO PELACANI
A cura
di Gigliana Maestri
Biagio
Pelacani (o Biagio Pelicani) da Parma nasce a Costamezzana,
vicino Parma, presumibilmente intorno alla metà
del XIV secolo. Filosofo e matematico, Pelacani
è anche un famoso astrologo, molto stimato
da signori e sovrani del suo tempo
come, ad esempio, i principi Carraresi di Padova.
Insegna filosofia in varie città dell'Italia
settentrionale, quali Piacenza, Bologna, Pavia e Padova.
All'Università di Padova svolge la sua
attività fra il 1382 e il 1387. In
seguito, è attestata la sua presenza
anche allo Studio Fiorentino. Dopo un periodo
trascorso a Parigi, nel 1396 viene
condannato dalle autorità ecclesiastiche di
Pavia a causa delle sue dottrine
materialistiche. Tra il 1407 e il
1411 insegna di nuovo a Padova. A
partire dal 1412 è rettore dell'Università
di Parma, dove muore nel 1416.
Le sue numerose opere trattano dei
più svariati argomenti. Fra i suoi commenti
alle dottrine aristoteliche, sono considerate
particolarmente rilevanti le Quaestiones de
anima. Scrive anche una serie di
trattati originali: il Tractatus de ponderibus
si occupa di statica, mentre i suoi studi
di ottica sono affidati alle Quaestiones
de perspectiva; affronta il problema del
moto dei pianeti in Theorica planetarum,
e quello delle proporzioni nelle Quaestiones
de proportionibus, in cui elabora una
concezione matematica del vuoto contro le
tesi del continuo, tipiche dei fisici
aristotelici. Compila poi degli oroscopi mondiali
nel 1386 e nel 1411.
Per quanto riguarda la sua speculazione
filosofica, Pelacani si rivela critico nei
confronti della cosmologia aristotelica e delle
interpretazioni teologiche dell'incorruttibilità dei
cieli; inoltre, respinge l'idea della necessità
di ammettere Dio, quale primo motore immobile,
per spiegare il movimento. Contemporaneamente, nega
le dimostrazioni a posteriori dell'esistenza
divina e dell'immortalità dell'anima individuale.
A suo parere soltanto l'universo è eterno,
ed è concepito come un animale in
costante movimento.
Durante il periodo del suo insegnamento
all'Università di Padova, nelle sue lezioni
sul De anima di Aristotele, egli
sembra anticipare la posizione di Pomponazzi
e accentuare la dicotomia ragione-fede. Alle
Arti di Padova introduce anche gli
sviluppi della fisica aristotelica e della
meccanica, elaborati in Francia da Giovanni
Buridano e Nicola Oresme, e nei suoi
studi si occupa, in maniera particolare, di
problemi come la caduta dei gravi e
l'accelerazione. La sua attività sembra tracciare
le coordinate fondamentali del futuro
sviluppo della "scuola padovana": tendenza
a risolvere i problemi metafisici in
chiave naturalistica, affermazione orgogliosa della
piena autonomia della ragione e profondo
interesse per gli argomenti scientifici. In
particolare, Pelacani sostiene la tesi della mortalità dell'anima ed è convinto
dell'influenza degli astri sull'intelletto umano. Queste posizioni, ben poco
allineate con la dottrina cattolica, gli valgono il poco lusinghiero soprannome
di doctor diabolicus; ciò non di meno, nonostante i suoi presunti
rapporti con le pratiche magiche, egli ottiene la sepoltura nel Duomo di Parma.
Biagio Pelacani è un sostenitore della
generazione spontanea e ritiene che, sotto una
buona influenza astrale, essa possa dare
luogo anche all'anima intellettiva degli uomini.
Per quanto riguarda il suo pensiero
in materia morale, egli è convinto che la
virtù sia premio a se stessa, e che
perciò non debba essere perseguita
nella speranza di una possibile beatitudine
ultraterrena.
Egli deve molta parte della sua fama
agli studi di ottica, che influenzeranno
artisti rinascimentali come, ad esempio, Leonardo
da Vinci, Leon Battista Alberti e Filippo
Brunelleschi. Pelacani, per il quale l'ottica
resta comunque un argomento di carattere
filosofico, contesta la distinzione fra la
percezione proveniente dall'occhio e quella
dovuta al "senso interno", e sostiene
che la facoltà della vista non
risiede nell'occhio, ma nel "senso comune",
il quale, dopo aver ricevuto le impressioni
visive, le collega, unendole, e le "giudica".
Nella percezione degli oggetti, il colore è
sempre inscindibilmente unito alla figura; punti
e linee non sono entità fisiche, ma
soltanto strumenti della vista, costruzioni
dell'immaginazione utili per valutare figure
e dimensioni.
INDIETRO