PELAGIO
VITA E OPERE
Può l'uomo salvarsi con le sue sole forze, senza la Grazia divina o è predestinato alla salvezza o alla dannazione eterna?
Questo dilemma, ricorrente nella storia del pensiero Cristiano (basti solamente pensare al dibattito nell'ambito del Protestantesimo), fu posto, per primo, dal monaco britannico Pelagio.
Pelagio Britannico (360-420 circa), di nome e di fatto poiché era nato in Britannia nel 360 ca., fu un monaco teologo di grande cultura, vissuto a Roma almeno dal 400, altamente rispettato da molti personaggi dell'epoca, tra cui quel Sant'Agostino, che tuttavia diventò in seguito il suo acerrimo avversario.
A Roma egli conobbe Celestio, un uomo di legge di origini nobili, diventato suo amico e con il quale Pelagio fuggì, in seguito all'invasione e sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico nel 410. I due si rifugiarono dapprima ad Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine, dove rielaborarono la dottrina del pelagianismo.
Durante il suo soggiorno in Africa, Pelagio conobbe solo occasionalmente il suo futuro avversario, Sant'Agostino, impegnato all'epoca nella disputa contro i donatisti.
Successivamente, Pelagio si trasferì in Palestina, mentre Celestio, rimasto in Nord Africa, fu condannato dal sinodo di Cartagine nel 411 per le sue dottrine. In Palestina Pelagio produsse svariati scritti, alcuni dei quali ci sono pervenuti: una lettera alla nobile romana Demetria, residente a Cartagine, contenente i principi della sua filosofia e un lavoro, De natura, del 415, condannato da Sant'Agostino nel suo De natura et gratia.
Nel luglio del 415 San Girolamo e Paolo Orosio, un prete spagnolo, discepolo di Sant'Agostino, cercarono di far condannare Pelagio da parte di un sinodo a Gerusalemme, presieduto dal vescovo della città, Giovanni, ma sia l'atteggiamento di quest'ultimo, favorevole al pelagianismo, sia l'ottima autodifesa di Pelagio fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna decisione rimandando il tutto a Papa Innocenzo I (401-417).
Simile risultato ebbe un ulteriore sinodo nel dicembre dello stesso anno a Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi, Ero di Arles e Lazzaro di Aix.
Tuttavia l'offensiva degli ortodossi fu senza sosta: l'anno successivo, nell'autunno del 416, furono convocati ben due sinodi, il primo a Cartagine, con la presenza di 67 vescovi ed il secondo a Milevi (in Numidia) con la presenza di 59 vescovi. Entrambi condannarono il pelagianismo e i relativi atti, rinforzati da una lettera di Sant'Agostino e di altri 4 vescovi, furono inviati a Papa Innocenzo I per l'avvallo. Il papa, pur precisando la suprema autorità di Roma nelle decisioni in materia dottrinale, in un sinodo a Roma nel 417 condannò il pelagianismo. Tuttavia, quando tutto sembrò volgere al meglio per gli ortodossi, il papa Innocenzo I morì ed il suo successore Zozimo (417-418) venne, in un incontro, abilmente convinto da Celestio, dell'ortodossia del pelagianismo: il papa prosciolse la dottrina da ogni accusa, anzi addirittura tirò pure le orecchie a Sant'Agostino e ai vescovi africani per la precipitazione delle loro decisioni. Successivamente, Zozimo corresse il tiro, dando ai vescovi il tempo per portare, davanti a lui, le prove dell'eresia pelagiana.
Per ottemperare a questa disposizione papale, fu convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, in presenza di 200 vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi di confutazione del pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da Papa Zozimo, sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa Cattolica.
Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418 un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi: furono costretti all'esilio Celestio e Giuliano vescovo di Eclano (vicino a Benevento).
L'ordine non colpì Pelagio, che ormai da tempo risiedeva in Palestina e dove probabilmente morì nel 420 ca.
LA DOTTRINA
La dottrina di Pelagio venne da lui sviluppata come reazione al monachesimo ascetico di San Girolamo e al fatalismo manicheo, molto diffuso all'epoca: si pensi che anche Sant'Agostino stesso era stato manicheo in gioventù.
Secondo Pelagio, gli uomini non erano predestinati (concetto di Sant'Agostino elaborato da una sua interpretazione molto personale del pensiero di San Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario l'intervento della Grazia divina.
Questo concetto, comunque, non era nuovo, essendo già stato abbozzato dal grande teologo Origene all'inizio del III secolo, e la conseguenza di questo revival fu che l'origenismo stesso fu condannato nel 401 dal vescovo di Alessandria, Teofilo.
Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano, anche se sembra che questo concetto sia stato per primo introdotto da un tale Rufino il Siriano, aderente alla setta, e solo successivamente ripreso da Pelagio. Poiché non sussisteva il peccato originale, il battesimo era visto da Pelagio come un momento di accoglimento nella Chiesa: tuttavia, se il bambino moriva senza battesimo, veniva ugualmente accolto in paradiso.
Il punto sul peccato originale venne vigorosamente contestato da Sant'Agostino, convinto assertore che il peccato originale fosse ereditario e collegato all'atto sessuale (il furore sessuofobico di Agostino era leggendario), quindi “siamo tutti peccatori”.
Le idee pessimistiche di Agostino, molto influenzate da una visione di tipo manicheo, trionfarono sulla scelta umana di Pelagio e influenzarono il Cristianesimo per secoli.
Del resto la libertà di decisione data all'uomo da Pelagio mal si sposava con un apparato ecclesiastico, che non aveva altrimenti ragione di esistere, se non di aiutare l'uomo, perenne peccatore, ad evitare la dannazione eterna. Il punto di partenza da cui muoveva la riflessione di Pelagio era il seguente: l’uomo è creato da Dio per raggiungere la perfezione e, in forza di ciò, non può che essere un ente assolutamente libero e responsabile di ogni sua azione. Del resto, si domanda Pelagio, non sarebbe un’evidente contraddizione se Dio esigesse dall’uomo la perfezione e questi fosse impossibilitato a raggiungerla? Di qui discendono le note tesi pelagiane circa il peccato originale: se, come aveva mostrato lo stesso Agostino, il male è non essere, ne segue che esso non può aver corrotto la natura umana. Né tanto meno aver distrutto la libertà che Dio ha concesso all’uomo. Ne segue allora che il peccato originale commesso da Adamo non può essersi trasmesso ereditariamente a tutti gli altri uomini; ciascuno di noi, allora, è responsabile solo dei propri peccati. L’ulteriore conseguenza che Pelagio trae da queste premesse è che, in quanto esente dal peccato originale, l’uomo è potenzialmente in grado di raggiungere la salvezza con le proprie forze, ossia con le proprie opere buone, senza l’intervento di Dio o la mediazione della Chiesa. Alla luce di ciò, secondo Pelagio, ogni cristiano deve sforzarsi per raggiungere la perfezione, secondo il modello del monachesimo. Dopo la morte di Pelagio nel 420 ca., il bastone del comando fu preso soprattutto da Giuliano, vescovo di Eclano, che, dal suo esilio in oriente, si impegnò in una disputa decennale con Sant'Agostino. Tuttavia, un fatto alquanto imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il supporto dato loro dal patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il nestorianesimo venne condannato dal Concilio di Efeso del 431, anche il pelagianismo seguì la stessa sorte e fu perseguitato in Oriente dall'imperatore Teodosio II (408-450) fino alla sua estinzione.
In Occidente esso sopravvisse più a lungo nelle isole Britanniche, particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in Gallia, dove fu rielaborata dal monaco Giovanni Cassiano nella forma del semi-pelagianismo, condannato dal II sinodo di Orange del 529.