PIETRO D’AILLY
Pietro
d’Ailly, detto Aquila Franciae et
aberrantium a veritate malleus indefessus dai suoi contemporanei, cardinale oltre che filosofo e teologo,
nacque nel 1350 a Compiègne e morì intorno al 1420 ad Avignone. Si formò
soprattutto all’Università di Parigi. Nel 1375, col suo commento alle Sentenze
di Pietro Lombardo, Pietro d’Ailly appoggiò la causa dei nominalisti. Nel 1380
fu insignito del titolo di Dottore in Teologia. In quel periodo compose una
nutrita serie di trattati nei quali sostenne apertamente che vescovi e preti
ricevono la loro giurisdizione direttamente da Cristo, e non dal papa;
quest’ultimo veniva riconosciuto non infallibile e addirittura inferiore
rispetto al concilio. Sicché Pietro d’Ailly sostenne la dottrina conciliare.
Scrisse: “la fermezza della Chiesa non può poggiare sulla debolezza di Pietro,
ma solo su Gesù Cristo”. Il papa è, agli occhi di Pietro d’Ailly, capo solo in
quanto ebbe un’autorità delegata in parte dalla Chiesa (ministerialiter
exercens) ma non può essere superiore a questa, essendo impossibile che una
parte sia superiore al tutto. Se anche tutti i sacerdoti errassero, vi saranno
sempre nella Chiesa delle umili persone che salvaguardano il deposito della
rivelazione: “è chiaro che il tutto è superiore alla parte e il papa è solo una
parte del concilio, come il capo è una parte del corpo”. In
un sermone predicato al Concilio di Costanza disse: “solo la Chiesa universale ha il privilegio di non errare”. Si guadagnò una grande fama soprattutto in
forza dei suoi sermoni e del suo talento dialettico. Tra i principali allievi
di Pietro d’Ailly debbono essere ricordati Giovanni Gerson (che fu il suo
successore come cancelliere dell’Università) e Nicola di Clemanges. Nel 1839 fu
nominato Cancelliere dell’Università di Parigi e confessore del re. Sulla scia
di Guglielmo di Ockham, Pietro d’Ailly è convinto che, propriamente,
l’esistenza di Dio non sia razionalmente dimostrabile; che il dogma della
Trinità non può essere stabilito a partire dalla Scrittura; che la legge
positiva sia la sola base su cui possa poggiare la morale. Anticipando in
qualche modo Cartesio, egli si spinse addirittura a sostenere che Dio può
ingannarci, esercitando la sua potenza assoluta per corrompere le nostre
capacità intellettuali. La conseguenza di questa tesi è, paradossalmente, che la Scrittura può contenere menzogne e che pertanto non dev’essere letta come infallibile fonte
di verità. Per questa via, l’indagine razionale pareva sempre più sganciarsi
dalla fede. Nei suoi numerosissimi scritti (centocinquantaquattro), molti dei
quali non sono ancora stati pubblicati, egli affronta problemi eterogenei, come
la filosofia e la scienza, la teologia e l’ascetismo. Pietro d’Ailly crede
fermamente nell’astrologia, come si evince dal suo scritto Concordanza di
astronomia e storia, in cui cerca di dimostrare come i principali fatti
storici siano determinabili astrologicamente. Anche la geografia non esulò dai
suoi interessi: nell’opera Imago mundi (che sarà successivamente letta
dallo stesso Cristoforo Colombo), egli ipotizzò la possibilità di raggiungere
le Indie passando da ovest, corroborando tale tesi col supporto dell’autorità di
Aristotele, di Seneca e di Plinio il Vecchio.
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