UN'IDEA
Lasciata la solita compagnia nel caffè (tra i lumi e
gli specchi pieni di fumo) si trova davanti la notte: vitrea, quasi
fragile nella purezza degli astri sfavillanti sulla vastissima piazza
deserta.
Attraversarla, gli
pare impossibile; la vita, in cui deve rientrare, irraggiungibilmente
remota da essa; e tutta la città, come da secoli disabitata, coi fanali
che ancora la vegliano nel chiarore misterioso di quella gelida azzurrità
notturna. Impossibile il rumore dei suoi passi in quel silenzio che pare
eterno.
Ah se davvero per
prodigio si fosse spenta la vita della città! Seduto come un mendico sul
paracarro all'imboccatura della via, davanti la piazza, rimarrebbe come
quei fanali vani a mirare e sostenere la stupefazione immota di tutte le
cose ormai vuote per sempre d'ogni senso.
Si scuote alla fine
da quel fascino, per attraversare la piazza.
Leggero come
un'ombra, il suo corpo; e, andando, nessun rumore. Dov'è piú il peso di
cui s'è sentito gravare poc'anzi? Tutt'intorno, ora, la città ha come
una vaporosa evanescenza di sogno; e il suo corpo vi si muove quasi
fluido, ombra tra ombre.
È dunque un'idea.
Ancora, sempre quella idea che egli non riesce in alcun modo a precisare.
Appena ne avverte confusamente la presenza, si sente opprimere da quel
peso. Appena gli svanisce, ecco: vuoto come un'ombra.
Ma non dov'essere
dell'idea, quel peso. Il peso è del tempo che perde a guardar vivere gli
altri. Non riesce più a capirne la ragione, o meglio, aspetta di capire
che altro vi stiano a cercare, se è questa la vita, così tutta fatta di
cose che si sanno, usuali e necessarie, le stesse ogni giorno, magari con
l'illusione che ogni tanto ce ne possano esser di nuove solo perché hanno
preso un giro più largo, con qualche imprevisto in principio, una
sensazione insospettata, tanto da parere che s'apra un altro mondo, e poi
o ci s'abitua poco dopo o si ricasca subito, delusi, nel solito d'una
indifferenza continua. Prova per la mollezza di certe sue bontà, tutte un
po' artificiose, un tale schifo che, tante volte, a ripensarci, vorrebbe
essere piuttosto una bestia feroce. E queste donne che si guastan la
faccia per farsene una maschera! Se domandi a qualcuna: «A che pensi?»
non pensano a nulla; ma basta che tu gliel'abbia domandato perché subito
s'affacci loro alla mente qualcosa che non ti possono dire. Come svegliare
le gatte. E la vanità di tutti questi segreti ragionamenti, sempre con un
sorriso da scemo pronto sulle labbra a un minimo richiamo dei cari amici
che ti burlano perché non sai dir loro che cos'hai né che cosa vuoi. Il
peso è questo. Mentre forse, per sé, quell'idea è la cosa piú lieve,
la piú semplice e, chi sa? la piú comune, forse.
Ha attraversato la
piazza. Prima d'entrare nello stretto delle case torna a fermarsi. Andare
a chiudersi, nell'atomo in cui è, piú che nausea gli fa paura. Prende a
destra per il lungo viale che conduce al ponte e, di là ai sobborghi
solitarii oltre il fiume. È certo che tornerà indietro appena giunto al
ponte. Sul ponte non salirà. Senza volerlo avvertire, un brivido, solo a
pensarci. Il freddo è pungente; perfino il selciato ne sembra illividito.
Nota, camminando, che ogni qual volta passa sotto una delle lampade
elettriche sospese alte in fila in mezzo al viale, l'ombra del suo corpo
s'allunga, crescendogli curiosamente da un piede e dall'altro, e piú
s'allunga e piú si rarefà, finché non svanisce. Anche l'ombra del suo
corpo, come quell'idea.
Non può piú
illudersi che, la mattina dopo, ristorato dal sonno della notte, si
scrollerà d'addosso il ricordo di quei momenti d'ossessione, esclamando
per non dar loro importanza:
- Stanchezza! -
Troppe volte ha
esclamato così. Gli pare ormai la esclamazione d'un altro, per certi
conforti che, inutile darli, eppure si danno. Se è veramente stanchezza,
del resto, non essendo piú di momenti e non bastando piú il sonno né
altro a fargliela passare, che sollievo e che conforto può piú essere
per lui chiamarla così quella idea? E non è neppure disgusto di quella
sua vita. No, è che proprio non lo sa che cosa sia precisamente né donde
gli venga, ormai così spesso, quella idea, come un arresto improvviso che
lo tiene sospeso e assorto in una opaca attesa.
Ma
come? È già entrato?
Da sé, i suoi
piedi, in un portone ben noto di quel viale; e hanno anche salito la prima
rampa d'una scala per cui altre volte, di tempo in tempo, egli è salito
con una vaga speranza nel cuore, e da cui ogni volta è disceso col
proposito di non tornare a salirla mai piú.
Una saletta, e poi
lo scrittojo, tutto in ombra, rischiarato soltanto sui grandi fogli
bianchi d'un registro aperto sul piano della scrivania. Traspare appena in
quell'ombra un paralume verde di vetro. E su quei fogli illuminati due
mani rosee, piccole, con tante fossette quante sono le dita. Dall'ombra
viene una voce. Senza sorpresa, senza rimprovero, quasi sbocciata da un
lieve, lieto sorriso:
- Ah tu ancora qui,
- Bisogna far gli occhi a discernere in quell'ombra; ma lui ci vede e va
dritto alla voce e ha, come al solito, le mani troppo pronte; come al
solito lei gliele prende e, piú che respingerle, fa il gesto di
restituirgliele. Così non le vuole; neppure se egli fosse ancora il suo
fidanzato. Ah, lo è ancora? Bel coraggio! Non si fa piú vedere da
quattro mesi. Lei non l'ha richiamato; ma non lo richiamerà mai lei. Se
vuoi venire, è sempre il benvenuto, e la troverà tutte le sere al
lavoro, in casa, dopo il servizio giornaliero alla banca, là coi suoi
registri e tra le sue cifre, e due penne, già, e due inchiostri, cifre
rosse e cifre nere, regoli, matite e la macchinetta per le operazioni
automatiche.
- Zia! -
Inutile svegliarla,
povera zia. Dorme al solito sul divano, fingendo di lavorare a maglia.
S'ostina ad aspettare, così con gli occhiali sul naso, che lei abbia
finito, per andare a letto insieme. La testa le ciondola ora su una spalla
ora sull'altra; le mani le sono scivolate in grembo: anche gli occhiali a
momenti le scivoleranno dal naso.
Quelle cifre? Ma no,
che vuole che rappresentino per lei? Il suo lavoro, da eseguire con la
massima attenzione. Poi restano lì, per la banca. Non la interessano
affatto. E così dicendo, si passa le mani sui biondi capelli lisci e
lucidi e gli sorride coi chiari occhi azzurri. La bocca è così fresca e
la fronte così serena! Non ha mai desiderii?
- No. Perché
averne? -
Oh Dio, qualcuno,
momentaneo, solo se possibile. E contenta così.
Se lui la sposasse?
Eh sì, perché no,
tanto contenta.
Ma lui non la sposerà
mai. Ora glielo domanda soltanto per sapere che cosa lei gli risponderà.
Bene, lei gli
risponde così. È dolce supporlo anche senza crederci.
Per una donna come
lei, del resto, meglio non sposare. Non saprebbe immaginarsi in una vita
diversa. Questa casetta signorile, benché su al quinto piano, tutta messa
con gusto di colori appropriati, tende, tappeti, la sodisfazione che tutto
è dovuto al suo lavoro, la tranquillità della zia, qualche piacere che
di tanto in tanto si possono prendere, il mese ai bagni o in collina,
qualche passeggiata, le feste, con questa o quella amica. Ne ha, sì,
qualcuna. E sorride. Perché non dovrebbe averne? E anche qualche
giovanotto, perché no! Poche donne sanno sorridere con una così aliena
dolcezza. Pare lontana da tutto, lontana anche da sé, come se neppure il
suo corpo le appartenga e non abbia il minimo sospetto né dei desiderii
che può accendere né del piacere che può dare. È difatti di una
piacenza così nobilmente placida e pura, che nessuna bramosia carnale può
sorgere in chi la miri. Ma possibile che non pensi a nulla? Almeno al suo
avvenire! Vivrà sempre così, in codesto ritegno, sempre con l'aria di
ritrarsi da tutto? Ci sono gli altri; c'è la vita, solo a farsi un po'
avanti. Non vuole. I pensieri della giornata, delle cose da fare. Legge, a
volte, qualche libro; ma ha così poco tempo per la lettura! Libri di
viaggio. Al polo? No. Perché dice al polo? Un'altra bella risata,
liquida, schietta, luminosa. La crede proprio così fredda? Eppure, dicono
che le donne esquimesi sono invece così calde!
- Io? Non so.
D'inverno soffro molto il freddo. Giú le mani. Le ho fredde, sì. -
E questo silenzio.
Sempre questo silenzio.
- Dormo quieta.
Sogno di rado. -
Sul
ponte, quella sera, che purezza d'astri!
Guarda il cielo per
non guardare, giú, l'acqua del fiume. L'idea che non riesce a precisare
è forse proprio questa. Ma non ne ha il coraggio. Poggia le mani sul
parapetto del ponte; se le sente quasi restituire anche qui, dal freddo
della pietra, come prima dal tepore di quelle altre mani. E resta lì, di
nuovo assorto, opacamente, in quella sua singolare attesa. Il tempo s'è
fermato e fra le cose rimaste tutt'intorno in uno stupore attonito pare
che un segreto formidabile sia nel fatto che in tanta immobilità solo
l'acqua del fiume si muova.
|