LA CORONA
Il dottor Cima si fermò all'entrata della villetta
comunale, che sorgeva sul poggio all'uscita del paese; stette un pezzo a
guardare il rustico cancello a una sola banda, sorretto da due pilastri
non meno rustici, dietro ai quali si levavano tristi due cipressetti
(tristi, quantunque attorno a loro ridessero in ghirlande qua e là, tra
il cupo verde, alcune roselline rampicanti); guardò l'erto viale che dal
cancello saliva al poggio, alla cui vetta stava tra gli alberi un chiosco
che voleva sembrare una pagoda; e aspettò che il desiderio di farsi una
giratina per sollievo in quella vecchia villetta quasi abbandonata
riuscisse a vincere in lui la rilassatezza delle membra, che il tepore
inebriante del primo sole gli aveva cagionato.
Il fresco d'ombra di
quella poggiata a bacìo era saturo di fragranze selvatiche: amare, di
prugnole; dense e acute, di mentastri e di salvie. Veniva dagli alberi,
come un invito, il cinguettìo continuo degli uccellini festanti per il
ritorno della dolce primavera. E il dottor Francesco Cima si mise a salire
a lenti passi alla villetta, respirando con voluttà quell'aria satura di
fragranze, rapito, stordito, quasi vaneggiante in un'ebbrezza deliziosa.
La vista di quelle
piante rinverdite, che si beavano smemorate nel sole, lo svolare delle
farfalle bianche su i fiori dell'ajuole, davano ai pensieri del dottore,
che non potevano esser lieti, un contorno quasi vaporoso, di sogno.
Com'era bella quella
villetta quieta, in cui nessuno veniva a passeggiare!
- Se fosse mia...
Ecco: il desiderio,
non potendo la mano rapace, allungava un sospiro. E chi sa quanti e quanti
non venivano lì a passeggiare appunto per questo, per non sospirare come
lui adesso: Se fosse mia!
Perché è destino
delle cose che sono di tutti di non essere poi propriamente di nessuno.
A ogni passo un palo
e una tabella: «Proibito di entrare nelle ajuole»; «Proibito di
danneggiare le piante»; «Proibito di cogliere i fiori».
Si era insomma
padroni soltanto di guardare, passando. Ora la proprietà vuol dire
«io», non vuol dire «noi». E lì dentro uno solo poteva dir «io»: il
giardiniere, che era dunque il padrone vero, e per giunta pagato per
esserlo, e vi aveva casa e stato e vendeva per conto suo i fiori, ch'eran
di tutti e di nessuno.
Un trillo, fra
tanti, più acuto, ridestò chiara a un tratto nel dottore la memoria
d'una villeggiatura lontana, in una vecchia cascina perduta tra gli alberi
dell'aperta campagna, lieta della vicinanza del mare. Ah! era ragazzo
allora: un ragazzaccio che aveva la passione della caccia. Quanti poveri
uccellini aveva uccisi!
Le amarezze, le
costernazioni, i fastidii che gli venivano dalla sua professione di
medico, gli s'erano quasi addormentati in fondo all'anima. Non così il
rammarico d'aver compiuto da qualche mese quarant'anni. Il più bel tempo
della vita era già finito per lui, e purtroppo senza ch'egli potesse dire
d'aver goduto mai veramente della giovinezza. E c'era forse da godere
nella vita! Oh, sì, poteva, poteva esser bella la vita; poteva una
mattinata serena come quella compensare di tante afflizioni e di tante
noje.
Il dottore si
fermò, a un pensiero sortogli improvviso: quello di tornare indietro, di
correre a casa a prendere la giovane moglie (era sposo da sette mesi), per
far godere anche a lei l'incanto di quella passeggiata. Rimase un tratto
perplesso, poi riprese ad andare lentamente per il viale.
No. Quell'incanto
era per lui solo. Sarebbe stato anche per la moglie, forse, se lei fosse
venuta senza il suo invito, a passeggiare da sola. Insieme, l'incanto
sarebbe svanito, per tutt'e due. Ecco, era già svanito anche per lui,
solamente a pensarci. L'amaro di quella sottile malinconia, dianzi
avvertito appena, gli saliva ora alla gola.
Non che avesse da
ridire minimamente su la moglie. Tanto buona, poverina! Ma aveva circa
diciotto anni meno di lui; appena ventidue; ed egli, già coi capelli
grigi su le tempie e la barba brizzolata.
Sette mesi addietro,
sposando, aveva sperato che la stima affettuosa, dimostratagli durante il
breve fidanzamento, avrebbe potuto cangiarsi presto in amore, facilmente.
Bastava che ella si accorgesse appena che, nonostante quella canizie su le
tempie, egli la amava come un fanciullo. Non aveva amato mai, prima di
lei, alcun'altra donna.
Sogni! L'amore, il
vero amore (egli lo sentiva bene) in sua moglie non era ancor nato, non
sarebbe forse mai nato. Gli sorrideva, gli dimostrava in tanti modi di
volergli bene, ma così, come per dovere.
Ora, non sarebbe
stato forse tanto aspro per lui il cordoglio, se un certo puntiglio non
glie l'avesse segretamente esacerbato, impedendogli di fare anche su la
sua giovane compagna quelle riflessioni un po' amare ma piene di bonaria
indulgenza, con le quali era pur solito di scusare e compatire tante altre
cose nella vita.
Da ragazza, sua
moglie, s'era innamorata, col fervore dei diciott'anni, d'un giovanetto,
studente di liceo, morto di tifo. Lo sapeva, perché era stato chiamato
come medico, allora, proprio lui al letto di quel giovane. E sapeva
ch'ella era stata lì lì per impazzire dal dolore; che s'era chiusa in
una camera, al bujo, per molte settimane, senza voler vedere nessuno; che
non era più uscita di casa; che avrebbe voluto farsi monaca. Uh, se
n'erano dette tante, in paese! L'intera cittadinanza s'era commossa al
caso crudele di quell'amore di due giovani spezzato dalla morte, perché
egli, il povero morto, era nelle grazie di tutti per la vivacità
dell'ingegno, per le gentili fattezze, per i modi gioviali e garbati; e
lei, lei che lo piangeva disperatamente, era ritenuta con ragione una
delle più belle ragazze del paese.
Quando, dopo circa
un anno, forzata dai parenti, s'era presentata in qualche radunanza, la
sua vista, il suo contegno, l'aria mesta del volto, i mesti sorrisi
avevano destato in tutti, e specialmente nei giovani, una fervida
ammirazione, una vivissima tenerezza. Essere amato da lei, scuoterla da
quel fascino doloroso, richiamarla alla vita, all'amore, alla giovinezza,
era diventato il sogno, l'ambizione d'ogni giovanotto.
Ma lei si era
ostinata in quel suo lutto. Ostentazione, no; ma, a poco a poco, qualcuno
aveva cominciato a susurrare malignamente che ella, pur così umile e
modesta, doveva provare un certo compiacimento del proprio cordoglio,
essendosi accorta ch'esso la rendeva a tutti più cara, più ammirevole.
Forse chi diceva così, parlava per dispetto o per gelosia. La prova
ch'ella non intendeva, con quelle gramaglie, d'essere maggiormente
desiderata, era nel fatto che in pochi mesi aveva rifiutato quattro o
cinque profferte di matrimonio, serie profferte dei migliori giovani del
paese.
Erano passati quasi
due anni dalla sciagura, e nessuno più ormai, dopo quei rifiuti così
recisi, s'attentava a chiederla in isposa, quando s'era fatto avanti lui,
il dottor Cima, quantunque sconsigliato dagli amici; e - sissignori - era
stato accolto, lui, subito.
Passata la prima
sorpresa però, tutti s'erano spiegata la ragione di quella vittoria. Ella
aveva detto di sì, perché il dottore non era più giovane, e nessuno
dunque avrebbe potuto supporre che ella lo sposasse per amore, per vero
amore: aveva detto di sì, perché egli stesso non avrebbe certamente
preteso d'essere amato come un giovanotto, e si sarebbe contentato di
quell'affetto quieto e tepido, fatto di stima, di gratitudine e di
devozione.
Che così fosse
veramente, non aveva tardato a comprenderlo anche lui. Ne aveva tanto
sofferto; ne soffriva tanto tuttora; doveva fare più volte al giorno
sforzi violenti su se stesso, ora per frenare uno scatto, ora per non
tradire il rammarico acerbo. Era una vera tortura sentirsi tuttavia
giovane nel cuore, e non poterlo dire, non poterlo dimostrare, per paura
di perdere anche la stima e la gratitudine di lei, accordate solo a questo
patto: reprimere ogni impulso di quell'amore che per lui era il primo e
sarebbe stato l'ultimo.
Mah! giovane ancora,
anzi bambino, per una sola donna egli avrebbe potuto essere ormai: per la
sua vecchia mamma, se non fosse morta da tre anni! Lei, sì, avrebbe
sentito bene con lui l'incanto di quella mattinata deliziosa; e, senza
pensarci due volte, egli sarebbe corso a prenderla a casa, la sua santa
vecchierella, per farla ristorare al tepore di quel primo sole. L'avrebbe
trovata certamente rannicchiata in un cantuccio, col rosario in mano, a
pregare per tutti i malati ch'egli aveva in cura.
Sorrise con dolce
mestizia il dottor Cima a questa immagine, scrollando lievemente il capo,
mentre saliva al vialetto più alto della villa sul poggio. Pregando per
tutti i malati ch'egli aveva in cura, la sua santa vecchierella non
dimostrava molta fiducia in lui e nella sua scienza. Glielo aveva
domandato scherzosamente una volta, ed ella gli aveva subito risposto che
non pregava per questo, ma perché Dio lo ajutasse a salvare i suoi
malati.
- E dunque tu credi,
che senza l'ajuto di Dio...
Non lo aveva
lasciato finire.
- Che dici? L'ajuto
di Dio ci vuol sempre, figliuolo!
E pregava, pregava
da mane a sera; tanto che egli, quasi quasi, avrebbe desiderato di non
aver molti clienti, per non stancare troppo le labbra di lei.
Tornò a sorridere.
Col ricordo della madre, i suoi pensieri avevano ripreso i contorni
vaporosi del sogno; l'incanto gli s'era rifatto.
Glielo ruppe
improvvisamente il nuovo giardiniere, che si trovava lassù a sarchiare in
un pratello.
- Oh, eccomi qua,
signor dottore! M'ha cercato a lungo ?
- Io no,
veramente...
- È pronta, sa?
bell'e pronta fin dalle otto.
E, così dicendo,
gli si fece avanti col berretto in mano e la fronte imperlata di sudore.
- Se vuol vederla,
è qua, nella pagoda. Andiamo subito.
- Veder che cosa? -
domandò il dottore, restando. - Io non so...
- Come, signor
dottore! La corona.
- La corona?
Il giardiniere lo
guardò, restando anche lui, non meno stupito.
- Scusi, non ne
abbiamo 12, oggi?
- Ebbene?
- Non mi ha mandato
la serva l'altro jeri, a ordinarmi per oggi una corona?
- Io?... per il
12?... Ah, già... - disse allora il dottore, fingendo di ricordarsi. - Ho
mandato... già... ho mandato la serva...
- Rose e violette,
non si ricorda? - e il giardiniere tornò a sorridere della smemorataggine
del signor dottore. - È pronta da stamani alle otto! Venga a vederla.
Per fortuna si mosse
avanti e così non poté notare l'alterazione improvvisa del volto del
dottore, che lo seguì come un automa, con gli occhi attoniti, foschi, la
bocca aperta, aperte le mani.
Una corona? La
moglie, di nascosto, aveva ordinato una corona? Sì, il giorno 12 appunto
cadeva l'anniversario della morte di quel ragazzo. Ancora, dopo tre anni?
Pur essendo adesso sua moglie? Gli mandava di nascosto una corona...
Moglie già d'un altro! Lei, così timida; lei, così modesta, tanto
ardire! Tanto dunque lo amava? tanto viva era ancora la memoria di lui nel
suo cuore? E perché aveva sposato un altro, allora? Se il suo cuore era
ancora di quello, e sempre di quello sarebbe stato? Perché? perché?
Così
tra sé farneticando, il dottore seguitava ad andar dietro al giardiniere.
Voleva vederla, quella corona; sì, vederla per accertarsi bene, con gli
occhi suoi, che sua moglie era capace di un tale inganno, d'un tal
tradimento.
Quando la vide, là
nella pagoda, in un angolo, ritta su una tavola di ferro, appoggiata alla
parete, gli parve che fosse per lui, e restò a mirarla a lungo.
Il giardiniere,
interpretando a suo modo quell'ammirazione:
- Bella, eh? -
domandò. - E tutte rose e violette fresche, sa? colte all'alba. Pochine,
cento lire, signor dottore! Sa che fatica metterle insieme a una a una
tutte queste violette? E le rose? D'inverno, perché rare; quand'è
stagione, perché le vogliono tutti... pochine cento lire! Me ne deve dare
almeno altre venti.
Il dottore si provò
a parlare, ma sentì che gli mancava la voce; aprì le labbra a uno
squallido sorriso, e si sforzò a dire:
- Io... pagartela,
eh? Poche, cento lire... Rose e violette, già... cento venti? Eccole qua.
- Grazie, signor
dottore, - s'affrettò a rispondere il giardiniere, prendendo il denaro. -
Creda che le merita...
- Tienla qua, -
troncò il dottore, rimettendo in tasca il portafogli. - Se viene la
serva, non gliela dare. Verrò a prenderla io.
E uscì dalla
pagoda; scese per il viale; svoltò; appena si vide solo, nascosto, si
fermò, strinse le pugna e contrasse tutto il volto in uno spasimo di
riso:
- Gliel'ho pagata
io...
Che doveva fare
adesso? Prendere la moglie, senza farle male, e ricondurla alla casa del
padre: ecco, sì, questo si meritava! E che andasse a piangere lontano
quel suo ragazzo morto, senza rubar così l'amore d'un galantuomo, ch'ella
aveva, se non altro, il dovere di rispettare. Né amore, né rispetto? Ah,
ella aveva rifiutato i giovani e s'era preso uno, per lei vecchio, perché
costui l'amore, via!, non si sarebbe neppur sognato di pretenderlo, coi
capelli già grigi, con la barba già brizzolata; ma avrebbe anche chiuso
un occhio, e anche tutti e due, su la sua pena antica; non si sarebbe
avuto a male di nulla, il vecchio! Però di soppiatto gliela mandava, la
corona! Meno male! Eh già, moglie d'un altro, non aveva stimato
conveniente andar lei, di persona. Per quanto vecchio il marito, via,
sarebbe stato un po' troppo! Aveva mandato la serva a ordinar la corona,
in prova del costante amore; e la avrebbe fatta appendere dalla serva alla
tomba di quel suo povero amore.
Ah, com'era stata
ingiusta veramente la morte di quel ragazzo! Se fosse vissuto, quel
ragazzo, se avesse avuto il tempo di divenire uomo, di divenire esperto e
istrutto anche lui di tutte le sagge perfidie della vita, e la avesse
sposata lui, la sua cara fanciulla innamorata; si sarebbe accorta bene
costei, che altro è fare all'amore dalla finestra, a diciott'anni, altro
è vivere nella dura realtà quotidiana, quando già le prime fiamme si
sono ammorzate e comincia il tedio dei giorni uguali, e la stanchezza, e
nascono i primi dissapori, e il giovane marito comincia a esser sazio e
stufo della moglie e pensa già di tradirla... Ah, come avrebbe desiderato
ch'ella avesse potuto fare per qualche tempo, con quel ragazzo là, una
siffatta esperienza! Allora sì, questo vecchio...
Serrò più volte le
pugna fino ad affondarsi le unghie nelle palme; poi si guardò le mani che
gli tremolavano, e alla fine si riscosse traendo un lungo sospiro.
L'impeto della prima
impressione era caduto. Stette un pezzo a guardare innanzi a sé, vide
poco discosto un sediletto e andò a sedervisi meccanicamente.
Ebbene, e questo
vecchio, - seguitò a pensare, - non intendeva forse di regolarsi anche
lui come un ragazzaccio? fare una scenata? uno scandalo? Oh, allora tutti
quelli che avevano indovinato così facilmente la ragione per cui egli era
stato subito accolto: - Uno scandalo? - avrebbero esclamato. - Eh, via, in
fin dei conti perché? Per una corona da morto... Certo ogni anno la
poverina, per il giorno 12, aveva mandato una corona al camposanto. Il
nuovo giardiniere non lo sapeva. Quell'anno, anche quell'anno ella,
naturalmente, se n'era ricordata... Naturalmente, sì, perché il povero
dottore, via, non aveva potuto farglielo dimenticare. Se n'era ricordata,
e non aveva saputo resistere alla tentazione. Certo, oh, certo aveva fatto
male... Ma il sentimento non ragiona! Si trattava d'un morto, alla fin
fine!
Così tutti
avrebbero pensato.
E allora che doveva
far lui? Lasciar correre? fingere di non saper nulla? ritornar su, dal
giardiniere, a dirgli che desse alla serva quella corona, trattenuta lì
perché gli servisse da prova?
Ah, no, questo no!
Avrebbe dovuto anche farsi restituire il danaro pagato, raccomandare a
colui di star zitto...
E allora? andare a
casa, a domandare inutili spiegazioni alla moglie? rinfacciarle il
sotterfugio, l'inganno, e punirla?
Come sarebbe stato
meschino! Più meschino ancora che a far lo scandalo...
Era grave, il fatto,
ma per il suo cuore che n'era rimasto ferito; grave anche per il ridicolo
che gliene sarebbe potuto venire, se il caso si fosse risaputo, perché
provava il poco rispetto che sua moglie aveva per lui. Egli doveva vincere
il proprio cuore, dirgli che aveva un bel sentirsi giovane, quando tutti
lo credevano vecchio. Un giovanotto, sì, avrebbe potuto anche fare uno
scandalo; lui, vecchio, no; doveva mostrarsi superiore, lui, e imporre
altrimenti alla moglie il rispetto.
Si alzò, con gran
calma, ma con un senso d'indolenzimento in tutte le membra. Gli uccelletti
della villa seguitavano a cinguettare, festanti. Dov'era più l'incanto di
poco prima?
Il dottore lasciò
la villa e s'avviò per ritornare a casa. Quando giunse al portone, però,
addio calma! Aveva un affanno da cavallo; e non sapeva come avrebbe fatto
a salir la scala, con quelle gambe che gli tremavano. L'idea di riveder la
moglie, adesso... Doveva esser più triste del solito, ella, in quel
giorno... Ma forse avrebbe saputo dissimular bene la tristezza: era già
abituata, rassegnata. Ed egli la amava, oh miseria! la amava tanto,
tanto... e sentiva, in fondo, ch'ella meritava d'essere amata; sì,
perché era buona anche, buona come appariva da quelle pure fattezze
delicate, da quei profondi occhi neri, vellutati, nel pallor bruno del
volto.
Venne ad aprirgli la
serva. La vista di costei lo sconcertò. Era a parte del segreto, quella
vecchia, complice dell'inganno Stava da tanti anni a servizio nella casa
paterna della moglie, era affezionatissima a questa; e forse non avrebbe
parlato; certo però non avrebbe saputo apprezzare né fors'anche
comprendere ciò che egli aveva già divisato di fare. Sarebbe stata a
ogni modo una testimonia volgare. Ed egli voleva che quanto stava per fare
rimanesse segreto tra lui e la moglie.
Entrò diviato alla
camera di lei.
La moglie era
davanti la specchiera a pettinarsi. Di tra le braccia alzate sul capo, le
scorse nello specchio il volto, incontrò lo sguardo di lei, che esprimeva
sorpresa di vederlo in casa a quell'ora insolita.
- Sono ritornato, -
disse, - per invitarti a uscire con
me.
- Ora? - domandò
lei, voltandosi, senz'abbassare le braccia che reggevano sul capo il
volume dei bellissimi capelli neri, ancora sciolti; e gli sorrise
languidamente.
Egli si turbò quasi
fino alle lagrime a quel pallido sorriso, come se vi avesse scorto una
profonda pietà di lui, dell'amore che le portava, del dolore ch'ella
ancora non indovinava, ma che tra poco avrebbe saputo.
- Sì, ora, -
rispose. - È tanto bello, fuori... Sbrigati. Andremo alla villetta, anche
più lontano, in campagna . Prenderemo una vettura...
- Perché? -
domandò lei, quasi senza volerlo. - Giusto oggi?
Egli temette, a
questa domanda, che lo sguardo lo tradisse. Stentava già tanto a
mantenere calma la voce.
- Non ti andrebbe,
oggi? - disse. - Ma ti farà bene, vedrai. Sbrigati, sbrigati. Voglio
così.
Si mosse per uscire
dalla camera. Sulla soglia si voltò:
- T'aspetto nello
studio.
Poco dopo, ella era
pronta. Ah, per questo lo ubbidiva sempre, buona buona; faceva sempre ciò
che egli voleva e com'egli voleva: soltanto sul cuore di lei, eh, lì no,
egli non aveva alcun potere. Una timida opposizione aveva tentato appena:
- Giusto oggi? - ma pure, ecco, con tutta l'angoscia che in quel giorno
doveva aver dentro, aveva ubbidito, era pronta ad andare a passeggio, in
campagna, dove lui voleva.
Uscirono;
attraversarono per un tratto a piedi il paese, poi egli prese a nolo una
vettura, e ordinò al vetturino di fermarsi davanti la villetta comunale.
Qua, smontò lui solo, pregando la moglie d'attenderlo un poco. Quando,
dopo circa un quarto d'ora, ella, già turbata e costernata, lo vide
ridiscendere dalla villetta, seguito dal giardiniere che reggeva su le
braccia la corona, fu per mancare. Ma egli la sostenne con lo sguardo.
- A1 camposanto! -
ordinò al vetturino, rimontando subito in carrozza.
Appena questa si
mosse, ella ruppe in un pianto irrefrenabile, recandosi il fazzoletto
sugli occhi e sulla bocca.
- Non piangere, -
diss'egli allora, piano. - Non ho voluto dirti nulla a casa; non vorrei
dirti nulla neanche adesso. Ti prego, non piangere. L'ho saputo per caso.
M'ero recato là alla villetta a passeggiare; e il giardiniere me l'ha
detto, credendo che l'avessi ordinata io, questa corona. Non piangere, su!
Andiamo a deporla insieme, vedi?
Ella stette con gli
occhi nascosti nel fazzoletto, finché la vettura non si fermò davanti al
cancello del camposanto.
Egli la ajutò a
scendere, poi prese la corona ed entrò con lei nel recinto.
- Sai, dov'è?
Ella fe' cenno di
no, col capo.
- Vieni! - diss'egli,
incamminandosi per il primo viale a manca, e guardando a una a una tutte
le tombe, che vi erano allineate
Era la penultima di
quel viale. Egli allora si scoprì il capo, depose la corona su la pietra
tombale, si ritrasse pian piano e, senza farsi scorgere da lei,
s'allontanò, come per darle tempo di recitare una preghiera. Ma ella
restò lì, muta, senza poter nemmeno staccare il fazzoletto dagli occhi.
Non un pensiero, non una lagrima per il morto. Come smarrita, si voltò a
un tratto a cercare il marito, lo chiamò, come finora non l'aveva mai
chiamato; gli s'appese al braccio, convulsa:
- Perdonami!
Perdonami! Portami via!
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