RONDONE E RONDINELLA Chi
fosse Rondone e chi Rondinella né lo so io veramente, né in quel paesello
di montagna, dove ogni estate venivano a fare il nido per tre mesi, lo sa
nessuno. La
signorina dell'ufficio postale giura di non essere riuscita in tanti anni a
cavare un suono umano, mettendo insieme i k, le h, i w e tutti gli f del
cognome di lui e del cognome di lei, nelle rarissime lettere che ricevevano.
Ma quand'anche la signorina dell'ufficio postale fosse riuscita a compitare
quei due cognomi, che se ne saprebbe di più? Meglio
così, penso io. Meglio chiamarli Rondone e Rondinella, come tutti li
chiamavano in quel paesello di montagna: Rondone> e Rondinella, non solo
perché ritornavano ogni anno, d'estate, non si sa donde, al vecchio nido;
non solo perché andavano, o meglio, svolavano irrequieti dalla mattina alla
sera per tutto il tempo che durava il loro soggiorno colà; ma anche per
un'altra ragione un po' meno poetica. Forse
nessuno in quel paesello avrebbe mai pensato di chiamarli così, se quel
signore straniero, il primo anno, non fosse venuto con un lungo farsetto
nero di saja, dalle code svolazzanti, e in calzoni bianchi; e anche se,
cercando una casetta appartata per la villeggiatura, non avesse scelto la
villetta del medico e sindaco del paese, piccola piccola, come un nido di
rondine, su in cima al greppo detto della Bastìa, tra i castagni. Piccola
piccola, quella villetta, e tanto grosso lui, quel signore straniero! Oh, un
pezzo d'omone sanguigno, con gli occhiali d'oro e la barba nera, che
gl'invadeva arruffata e prepotente le guance, quasi fin sotto gli occhi, pur
senza dargli alcun'aria fosca o truce, perché gli spirava anzi da tutto il
corpo vigoroso una cordialità franca e ridente. Con
la testa alta sul torace erculeo pareva fosse sempre sul punto di lanciarsi,
con impeto d'anima infantile, a qualche richiamo misterioso, lontano, che
lui solo intendeva: o su in vetta al monte, o giù nella valle sterminata,
ora da una parte ora dall'altra. Ne ritornava, sudato, infocato, anelante e
sorridente, o con una conchiglietta fossile in un pugno, o con un fiorellino
in bocca, come se proprio quella conchiglietta o quel fiorellino lo avessero
chiamato all'improvviso da miglia e miglia lontano, su dal monte o giù
dalla valle. E
vedendolo andar così, con quel farsetto nero e quei calzoni bianchi, come
non chiamarlo Rondone? La
Rondinella era arrivata, il primo anno, circa quindici giorni dopo di lui,
quand'egli aveva già trovato e apparecchiato il nido lassù, tra i
castagni. Era
arrivata improvvisamente, senza che egli ne sapesse nulla, e aveva molto
stentato a far capire che cercava di quel signore straniero, e voleva esser
guidata alla casa di lui. Ogni
anno la Rondinella arrivava due o tre giorni dopo, e sempre così,
all'improvviso. Un anno solo, arrivò un giorno prima di lui. Il che
dimostra chiaramente che tra loro non c'era intesa, e che qualche grave
ostacolo dovesse impedir loro d'aver notizia l'uno dell'altra. Certo, come
dai bolli postali su le lettere si ricavava, abitavano nel loro paese in due
città diverse. Sorse
sin da principio il sospetto ch'ella fosse maritata, e che ogni anno,
lasciata libera per tre mesi, venisse là a trovar l'amante, a cui non
poteva neanche dar l'annunzio del giorno preciso dell'arrivo. Ma come
conciliare questi impedimenti e tanto rigor di sorveglianza su lei con la
libertà intera, di cui ella poi godeva nei tre mesi estivi in Italia? Forse
i medici avevano detto al marito che la Rondinella aveva bisogno di sole; e
il marito accordava ogni anno quei tre mesi di vacanza, ignaro che la
Rondinella, oltre che di sole, anzi più che di sole, andava in Italia a far
cura d'amore. Era
piccola e diafana, come fatta d'aria; con limpidi occhi azzurri, ombreggiati
da lunghissime ciglia: occhi timidi e quasi sbigottiti, nel gracile visino.
Pareva che un soffio la dovesse portar via, o che, a toccarla appena appena,
si dovesse spezzare. A immaginarla tra le braccia di quel pezzo d'omone
impetuoso, si provava quasi sgomento. Ma
tra le braccia di quell'omone, che nella villetta lassù l'attendeva
impaziente, con un fremito di belva intenerita, ella, così piccola e
gracile, correva ogni anno a gettarsi felice, senza nessuna paura, non che
di spezzarsi, ma neppur di farsi male un pochino. Sapeva tutta la dolcezza
di quella forza, tutta la leggerezza sicura e tenace di quell'impeto, e
s'abbandonava a lui perdutamente. Ogni
anno, per il paese, l'arrivo di Rondinella era una festa. Così
almeno credeva Rondinella. La
festa, certo, era dentro di lei, e naturalmente la vedeva per tutto, fuori.
Ma sì, come no? Tutte le vecchie casette, che il tempo aveva vestite d'una
sua particolar patina rugginosa, aprivano le finestre al suo arrivo, rideva
l'acqua delle fontanelle, gli uccelli parevano impazziti dalla gioja. Rondinella,
certo, intendeva meglio i discorsi degli uccelli, che quelli della gente del
paese. Anzi questi non li intendeva affatto. Quelli degli uccelli pareva
proprio di sì, perché sorrideva tutta contenta e si voltava di qua e di là
al cinguettio dei passeri saltellanti tra i rami delle alte querce di scorta
all'erto stradone, che saliva da Orte al borgo montano. La
vettura, carica di valige e di sacchetti, andava adagio, e il vetturino non
poteva fare a meno di voltarsi indietro di tratto in tratto a sorridere alla
piccola Rondinella, che ritornava al nido come ogni anno, e a farle cenno
con le mani, che lui già c'era, il suo Rondone: sì, lassù, da tre giorni;
c'era, c'era. Rondinella
alzava gli occhi al monte ancora lontano, su cui i castagni, ove non batteva
il sole, s'invaporavan d'azzurro, e forzava gli occhi a scoprire lassù lassù
il puntino roseo della villetta. Non
la scopriva ancora; ma ecco là il castello antico, ferrigno, che domina il
borgo; ed ecco più giù l'ospizio dei vecchi mendicanti, che hanno accanto
il cimitero, e stanno lì come a fare anticamera, in attesa che la signora
morte li riceva. Appiè
del borgo, incombente su lo stradone serpeggiante, il boschetto delle nere
elci maestose dava a Rondinella, ogni volta che vi passava sotto, un senso
di freddo e quasi di sgomento. Ma durava poco. Subito dopo, passato quel
boschetto, si scopriva su la Bastìa la villetta. Come
vivessero entrambi lassù, nessuno sapeva veramente; ma era facile
immaginarlo. Una vecchia serva andava a far la pulizia, ogni mattina,
quand'essi scappavan via dal nido e si davano a svolare, come portati da una
gioja ebbra, di qua e di là, instancabili, o su al monte, o giù nella
valle, per le campagne, per i paeselli vicini. C'è chi dice d'aver veduto
qualche volta Rondone regger su le braccia, come una bambina, la sua
Rondinella. Tutti
nel paese sorridevano lieti nel vederli passare in quella gioja viva
d'amore, quando, stanchi delle lunghe corse, venivan per i pasti alla
trattoria. S'eran già tutti abituati a vederli, e sentivano che
un'attrattiva, un godimento sarebbero mancati al paese, se quel Rondone e
quella Rondinella non fossero ritornati qualche estate al loro nido lassù.
Il medico non pensava ad affittare ad altri la villetta, sicuro ormai, dopo
tanti anni, che quei due non sarebbero mancati. Sul
finire del settembre, prima partiva lei; due o tre giorni dopo partiva lui.
Ma gli ultimi giorni avanti la partenza, non uscivano più dal nido neppure
per un momento. Si capiva che dovevan prepararsi al distacco per tutt'un
anno, tenersi stretti così, a lungo, prima di separarsi per tutt'un anno.
Si sarebbero riveduti? Avrebbe potuto lei, così piccola e gracile,
resistere al gelo di tanti mesi senza il fuoco di quell'amore, senza più il
sostegno della grande forza di lui? Forse sarebbe morta, durante l'inverno;
forse egli, l'estate ventura, ritornando al vecchio nido, l'avrebbe attesa
invano. L'estate
veniva, il Rondone arrivava e aspettava con trepidazione uno, due, tre
giorni; al terzo giorno ecco la Rondinella, ma d'anno in anno sempre più
gracile e diafana, con gli occhi sempre più timidi e sbigottiti. Finché,
la settima estate... No,
non mancò lei. Lei venne, tardi. Mancò lui; e fu dapprima per tutto il
paese una gran delusione. -
Ma come, non viene? Non è ancora venuto? verrà più tardi. Il
medico, assediato da queste domande, si stringeva nelle spalle. Che poteva
saperne? Era dolente anche lui, che mancasse al paese il lieto spettacolo
del Rondone e della Rondinella innamorati, ma era anche seccato più d'un
po', che la villetta gli fosse rimasta sfitta. -
A fidarsi... -
Ma certo qualcosa gli sarà accaduta. -
Che sia morto? -
O che sia morta lei, piuttosto? -
O che il marito abbia scoperto... E
tutti guardavano con pena la rosea villetta, il nido deserto, su in cima
alla Bastìa, tra i castagni. Passò
il giugno, passò il luglio, stava per passare anche l'agosto, quando
all'improvviso corse per tutto il paese la notizia: -
Arrivano! arrivano! -
Insieme, tutti e due, Rondone e Rondinella? -
Insieme, tutti e due! Corse
il medico, corsero tutti quelli che stavan seduti nella farmacia, e i
villeggianti dal caffè su la piazza; ma fu una nuova delusione e più
grande della prima. Nella
vettura, venuta su da Orte a passo a passo, c'era sì la Rondinella (c'era,
per modo di dire!), ma accanto a lei non c'era mica il Rondone. Un altro
c'era, un omacciotto biondo, dalla faccia quadra, placido e duro. Forse
il marito. Ma no, che forse! Non poteva essere che il marito, colui! La
legalità, pareva, fatta persona. E, legalità, pareva dicesse ogni sguardo
degli occhi ovati dietro gli occhiali; legalità, ogni atto, ogni gesto;
legalità, legalità, ogni passo, appena egli smontò dalla vettura e si
fece innanzi al medico, che era anche il sindaco, per pregarlo, in francese,
se poteva di grazia fargli avere una barella per trasportare una povera
inferma, incapace di reggersi sulle gambe, a una certa villetta, sita - come
gli era stato detto - in un luogo... -
Ma sì, lo so bene: la villetta è mia! -
No, prego, signore: sita, mi è stato detto ed io ripeto, in un luogo troppo
alto, perché una vettura vi possa salire. Ah,
gli occhi di Rondinella come chiaramente dicevano intanto dalla vettura,
ch'ella moriva per quell'uomo composto e rispettabile, che sapeva parlare
così esatto e compito! Essi soli, quegli occhi, vivevano ancora, e non più
timidi ormai, ma lustri dalla gioja d'aver potuto rivedere quei luoghi, e
lustri anche d'una certa malizietta nuova, insegnata loro (troppo tardi!)
dalla morte ahimè troppo vicina. «Ridete,
ridete tutti, ridete forte a coro, accanto a me,» diceva quella malizietta
dagli occhi a tutta la gente che guardava attorno alla vettura, costernata e
quasi smarrita nella pena, «ridete forte di quest'uomo composto e
rispettabile, che sa parlare così esatto e compito! Egli mi fa morire, con
la sua rispettabilità, con la sua quadrata esattezza scrupolosa! Ma non ve
ne affliggete, vi prego, poiché ho potuto ottener la grazia di morir qua;
vendicatemi piuttosto ridendo forte di lui. Io ne posso rider piano e ormai
per poco e così con gli occhi soltanto. Vedete la vostra Rondinella come s'è
ridotta? Dacché volava, deve andare in barella, ora, alla villetta lassù.» «E
il Rondone? il tuo Rondone?» chiedevano ansiosi a quegli occhi gli occhi
della gente attorno alla vettura. «Che ce n'è del tuo Rondone, che non è
venuto? Non è venuto perché tu sei così? O tu sei così, perché egli è
morto?» Gli
occhi di Rondinella forse intendevano queste domande ansiose; ma le labbra
non potevano rispondere. E gli occhi allora si chiudevano con pena. Con
gli occhi chiusi, Rondinella pareva morta. Certo qualche cosa doveva essere accaduta; ma che cosa, nessuno lo sa. Supposizioni, se ne possono far tante, e si può anche facilmente inventare. Certo è questo: che Rondinella venne a morir sola nella villetta lassù; e di Rondone non si è saputo più nulla. |