CON ALTRI OCCHI Dall'ampia
finestra, aperta sul giardinetto pensile della casa, si vedeva come posato
sull'azzurro vivo della fresca mattina un ramo di mandorlo fiorito, e si
udiva, misto al ròco quatto chioccolío della vaschetta in mezzo al
giardino, lo scampanío festivo delle chiese lontane e il garrire delle
rondini ebbre d'aria e di sole.
Nel ritirarsi
dalla finestra sospirando, Anna s'accorse che il marito quella mattina
s'era dimenticato di guastare il letto, come soleva ogni volta, perché i
servi non s'avvedessero che non s'era coricato in camera sua. Poggiò
allora i gomiti sul letto non toccato, poi vi si stese con tutto il busto,
piegando il bel capo biondo su i guanciali e socchiudendo gli occhi, come
per assaporare nella freschezza del lino i sonni che egli soleva dormirvi.
Uno stormo di rondini sbalestrate guizzarono strillando davanti alla
finestra.
- Meglio se ti
fossi coricato qui, mormorò tra sé, e si rialzò stanca.
Il marito
doveva partire quella sera stessa, ed ella era entrata nella camera di lui
per preparargli l'occorrente per il viaggio.
Nell'aprire
l'armadio, sentí come uno squittío nel cassetto interno e subito si
ritrasse, impaurita. Tolse da un angolo della camera un bastone dal manico
ricurvo e, tenendosi stretta alle gambe la veste, prese il bastone per la
punta e si provò ad aprire con esso, cosí discosta, il cassetto. Ma, nel
tirare, invece del cassetto, venne fuori agevolmente dal bastone una
lucida lama insidiosa. Non se l'aspettava; n'ebbe ribrezzo e si lasciò
cadere di mano il fodero dello stocco.
In quel punto,
un altro squittío la fece voltare di scatto, in dubbio se anche il primo
fosse partito da qualche rondine sguizzante davanti la finestra.
Scostò con un
piede l'arma sguainata e trasse in fuori tra i due sportelli aperti il
cassetto pieno d'antichi abiti smessi del marito. Per improvvisa curiosità
si mise allora a rovistare in esso e, nel riporre una giacca logora e
stinta, le avvenne di tastare negli orli sotto il soppanno come un
cartoncino, scivolato lí dalla tasca in petto sfondata; volle vedere che
cosa fosse quella carta caduta lí chi sa da quanti anni e dimenticata; e
cosí per caso Anna scoprí il ritratto della prima moglie del marito.
Impallidendo,
con la vista intorbidata e il cuore sospeso, corse alla finestra, e vi
rimase a lungo, attonita, a mirare l'immagine sconosciuta, quasi con un
senso di sgomento.
La voluminosa
acconciatura del capo e la veste d'antica foggia non le fecero notare in
prima la bellezza di quel volto; ma appena poté coglierne le fattezze,
astraendole dall'abbigliamento che ora, dopo tanti anni, appariva goffo, e
fissarne specialmente gli occhi, se ne sentí quasi offesa e un impeto
d'odio le balzò dal cuore al cervello: odio di postuma gelosia; l'odio
misto di sprezzo che aveva provato per colei nell'innamorarsi dell'uomo
ch'era adesso suo marito, dopo undici anni dalla tragedia coniugale che
aveva distrutto d'un colpo la prima casa di lui.
Anna aveva
odiato quella donna non sapendo intendere come avesse potuto tradire
l'uomo ora da lei adorato e, in secondo luogo, perché i suoi parenti
s'erano opposti al matrimonio suo col Brivio, come se questi fosse stato
responsabile dell'infamia e della morte violenta della moglie infedele.
Era lei, sí,
era lei, senza dubbio! la prima moglie di Vittore: colei che s'era uccisa!
Ne ebbe la
conferma dalla dedica scritta sul dorso del ritratto: Al mio Vittore,
Almira sua - 11 novembre 1873.
Anna aveva
notizie molto vaghe della morta: sapeva soltanto che il marito, scoperto
il tradimento, l'aveva costretta, con l'impassibilità di un giudice, a
togliersi la vita.
Ora ella si
richiamò con soddisfazione alla mente questa condanna del marito,
irritata da quel "mio" e da quel "sua" della dedica,
come se colei avesse voluto ostentare cosí la strettezza del legame che
reciprocamente aveva unito lei e Vittore, unicamente per farle dispetto.
A quel primo
lampo d'odio, guizzato dalla rivalità per lei sola ormai sussistente,
seguí nell'anima di Anna la curiosità femminile di esaminare i
lineamenti di quel volto, ma quasi trattenuta dalla strana costernazione
che si prova alla vista di un oggetto appartenuto a qualcuno tragicamente
morto; costernazione ora piú viva; ma a lei non ignota, poiché n'era
compenetrato tutto il suo amore per il marito appartenuto a quell'altra
donna.
Esaminandone il
volto, Anna notò subito quanto dissomigliasse dal suo; e le sorse a un
tempo dal cuore la domanda, come mai il marito che aveva amato quella
donna, quella giovinetta certo bella per lui, si fosse poi potuto
innamorare di lei cosí diversa.
Sembrava bello,
molto piú bello del suo anche a lei quel volto che, dal ritratto,
appariva bruno. Ecco: e quelle labbra si erano congiunte nel bacio alle
labbra di lui; ma perché mai agli angoli della bocca quella piega
dolorosa? e perché cosí mesto lo sguardo di quegli occhi intensi? Tutto
il volto spirava un profondo cordoglio; e Anna ebbe quasi dispetto della
bontà umile e vera che quei lineamenti esprimevano, e quindi un moto di
repulsione e di ribrezzo, sembrandole a un tratto di scorgere nello
sguardo di quegli occhi la medesima espressione degli occhi suoi allorché,
pensando al marito, ella si guardava nello specchio, la mattina, dopo
essersi acconciata.
Ebbe appena il
tempo di cacciarsi in tasca il ritratto: il marito si presentò,
sbuffando, sulla soglia della camera.
- Che hai
fatto? Al solito? Hai rassettato? Oh povero me! Ora non trovo piú nulla!
Vedendo poi lo
stocco sguainato per terra:
- Ah! Hai anche
tirato di scherma con gli abiti dell'armadio?
E rise di quel
suo riso che partiva soltanto dalla gola, quasi qualcuno gliel'avesse
vellicata; e, ridendo cosí, guardò la moglie, come se domandasse a lei
il perché del suo proprio riso. Guardando, batteva di continuo le pàlpebre
celerissimamente su gli occhietti cauti, neri, irrequieti.
Vittore Brivio
trattava la moglie come una bambina non d'altro capace che di quell'amore
ingenuo e quasi puerile di cui si sentiva circondato, spesso con fastidio,
e al quale si era proposto di prestar solo attenzione di tempo in tempo,
mostrando anche allora una condiscendenza quasi soffusa di lieve ironia,
come se volesse dire: "Ebbene, via! per un po' diventerò anch'io
bambino con te: bisogna fare anche questo, ma non perdiamo troppo
tempo!".
Anna s'era
lasciata cadere ai piedi la vecchia giacca in cui aveva trovato il
ritratto. Egli la raccattò infilzandola con la punta dello stocco, poi
chiamò dalla finestra nel giardino il servotto che fungeva anche da
cocchiere e che in quel momento attaccava al biroccio il cavallo. Appena
il ragazzo si presentò in maniche di camicia nel giardino davanti alla
finestra, il Brivio gli buttò in faccia sgarbatamente la giacca
infilzata, accompagnando l'elemosina con un "Tieni, è per te!".
- Cosí avrai
meno da spazzolare - aggiunse, rivolto alla moglie, - e da rassettare,
speriamo!
E di nuovo
emise quel suo riso stentato battendo piú e piú volte le pàlpebre.
Altre volte il
marito s'era allontanato dalla città e non per pochi giorni soltanto,
partendo anche di notte come quella volta; ma Anna, ancora sotto
l'impressione della scoperta di quel ritratto, provò una strana paura di
restar sola, e lo disse, piangendo, al marito.
Vittore Brivio,
frettoloso nel timore di non fare a tempo e tutto assorto nel pensiero dei
suoi affari, accolse con mal garbo quel pianto insolito della moglie.
- Come! Perché?
Via, via, bambinate!
E andò via di
furia, senza neppur salutarla.
Anna sussultò
al rumore della porta ch'egli si chiuse dietro con impeto; rimase col lume
in mano nella saletta e sentí raggelarsi le lagrime negli occhi. Poi si
scosse e si ritirò in fretta nella sua camera, per andar subito a letto.
Nella camera già
in ordine ardeva il lampadino da notte.
¾ Va' pure a
dormire - disse Anna alla cameriera che la attendeva. - Fo da me. Buona
notte.
Spense il lume,
ma invece di posarlo, come soleva, su la mensola, lo posò sul tavolino da
notte, presentendo - pur contro la propria volontà - che forse ne avrebbe
avuto bisogno piú tardi. Cominciò a svestirsi in fretta, tenendo gli
occhi fissi a terra, innanzi a sé. Quando la veste le cadde attorno ai
piedi, pensò che il ritratto era là e con viva stizza si sentí guardata
e commiserata da quegli occhi dolenti, che tanta impressione le avevano
fatto. Si chinò risolutamente a raccogliere dal tappeto la veste e la posò
senza ripiegarla, su la poltrona a piè del letto, come se la tasca che
nascondeva il ritratto e il viluppo della stoffa dovessero e potessero
impedirle di ricostruirsi l'immagine di quella morta.
Appena
coricata, chiuse gli occhi e s'impose di seguire col pensiero il marito
per la via che conduceva alla stazione ferroviaria. Se l'impose per
astiosa ribellione al sentimento che tutto quel giorno l'aveva tenuta
vigile a osservare, a studiare il marito. Sapeva donde quel sentimento le
era venuto e voleva scacciarlo da sé.
Nello sforzo
della volontà, che le produceva una viva sovreccitazione nervosa, si
rappresentò con straordinaria evidenza la via lunga, deserta nella notte,
rischiarata dai fanali verberanti il lume tremulo sul lastrico che pareva
ne palpitasse: a piè d'ogni fanale, un cerchio d'ombra; le botteghe,
tutte chiuse; ed ecco la vettura che conduceva Vittore. Come se l'avesse
aspettata al varco, si mise a seguirla fino alla stazione: vide il treno
lugubre, sotto la tettoja a vetri; una gran confusione di gente in
quell'interno vasto, fumido, mal rischiarato, cupamente sonoro: ecco, il
treno partiva; e, come se veramente lo vedesse allontanare e sparire nelle
tenebre, rientrò d'un subito in sé, aprí gli occhi nella camera
silenziosa e provò un senso angoscioso di vuoto, come se qualcosa le
mancasse dentro.
Sentí allora
confusamente, smarrendosi, che da tre anni forse, dal momento in cui era
partita dalla casa paterna, ella era in quel vuoto, di cui ora soltanto
cominciava ad assumer coscienza. Non se n'era accorta prima, perché lo
aveva riempito solo di sé, del suo amore, quel vuoto; se ne accorgeva
ora, perché in tutto quel giorno aveva tenuto quasi sospeso il suo amore,
per vedere, per osservare, per giudicare.
"Non mi ha
neppure salutata!" pensò; e si mise a piangere di nuovo, quasi che
questo pensiero fosse determinatamente la cagione del pianto.
Sorse a sedere
sul letto: ma subito arrestò la mano tesa, nel levarsi, per prendere
dalla veste il fazzoletto. Via, era ormai inutile vietarsi di rivedere, di
riosservare quel ritratto! Lo prese. Riaccese il lume.
Come se la era
raffigurata diversamente quella donna! Contemplandone ora la vera effigie,
provava rimorso dei sentimenti che la immaginaria le aveva suggeriti. Si
era raffigurata una donna, piuttosto grassa e rubiconda, con gli occhi
lampeggianti e ridenti, inclinata al riso, agli spassi volgari. E invece,
ora, eccola: una giovinetta che dalle pure fattezze spirava un'anima
profonda e addolorata; diversa sí, da lei, ma non nel senso sguajato di
prima: al contrario, anzi quella bocca pareva non avesse dovuto mai
sorridere, mentre la sua tante volte e lietamente aveva riso; e certo, se
bruno quel volto (come dal ritratto appariva), di un'aria men ridente del
suo, biondo e roseo.
Perché, perché
cosí triste?
Un pensiero
odioso le balenò in mente, e subito staccò gli occhi dall'immagine di
quella donna, scorgendovi d'improvviso un'insidia non solo alla sua pace,
al suo amore che pure in quel giorno aveva ricevuto piú d'una ferita, ma
anche alla sua orgogliosa dignità di donna onesta che non s'era mai
permesso neppure il piú lontano pensiero contro il marito. Colei aveva
avuto un amante! E per lui forse era cosí triste, per quell'amore
adultero, e non per il marito!
Buttò il
ritratto sul comodino e spense di nuovo il lume, sperando di
addormentarsi, questa volta, senza pensare piú a quella donna, con la
quale non poteva aver nulla di comune. Ma, chiudendo le pàlpebre, rivide
subito, suo malgrado, gli occhi della morta, e invano cercò di scacciare
quella vista.
- Non per lui,
non per lui! - mormorò allora con smaniosa ostinazione, come se,
ingiuriandola, sperasse di liberarsene.
E si sforzò di
richiamare alla memoria quanto sapeva intorno a quell'altro, all'amante,
costringendo quasi lo sguardo e la tristezza di quegli occhi a rivolgersi
non piú a lei, ma all'antico amante, di cui ella conosceva soltanto il
nome: Arturo Valli. Sapeva che costui aveva sposato qualche anno dopo,
quasi a provare ch'era innocente della colpa che gli voleva addebitare il
Brivio di cui aveva respinto energicamente la sfida, protestando che non
si sarebbe mai battuto con un pazzo assassino. Dopo questo rifiuto,
Vittore aveva minacciato di ucciderlo ovunque lo avesse incontrato,
foss'anche in chiesa; e allora egli era andato via con la moglie dal
paese, nel quale era poi ritornato, appena Vittore, riammogliatosi, se
n'era partito.
Ma dalla
tristezza di questi avvenimenti da lei rievocati, dalla viltà del Valli
e, dopo tanti anni, dalla dimenticanza del marito, il quale, come se nulla
fosse stato, s'era potuto rimettere nella vita e riammogliare, dalla gioja
che ella stessa aveva provato nel divenir moglie di lui, da quei tre anni
trascorsi da lei senza mai un pensiero per quell'altra, inaspettatamente
un motivo di compassione per costei s'impose ad Anna spontaneo; ne rivide
viva l'immagine, ma come da lontano lontano e le parve che con quegli
occhi, intensi di tanta pena, colei le dicesse, tentennando lievemente il
capo:
- Io sola però
ne son morta! Voi tutti vivete!
Si vide, si
sentí sola nella casa: ebbe paura. Viveva, sí, lei; ma da tre anni, dal
giorno delle nozze, non aveva piú riveduto, neanche una volta, i suoi
genitori, la sorella. Lei che li adorava, e ch'era stata sempre con loro
docile e confidente, aveva potuto ribellarsi alla loro volontà, ai loro
consigli per amore di quell'uomo; per amore di quell'uomo s'era
mortalmente ammalata e sarebbe morta, se i medici non avessero indotto il
padre a condiscendere alle nozze. Il padre aveva ceduto, non consentendo,
però, anzi giurando che ella per lui, per la casa, dopo quelle nozze, non
sarebbe piú esistita. Oltre alla differenza di età, ai diciotto anni che
il marito aveva piú di lei, ostacolo piú grave per il padre era stata la
posizione finanziaria di lui soggetta a rapidi cambiamenti per le imprese
rischiose a cui soleva gettarsi con temeraria fiducia in sé stesso e
nella fortuna.
In tre anni di
matrimonio Anna, circondata da agi, aveva potuto ritenere ingiuste o
dettate da prevenzione contraria le considerazioni della prudenza paterna,
quanto alle sostanze del marito, nel quale del resto ella, ignara,
riponeva la medesima fiducia che egli in se stesso; quanto poi alla
differenza d'età, finora nessun argomento manifesto di delusione per lei
o di meraviglia per gli altri, poiché dagli anni il Brivio non risentiva
il minimo danno né nel corpo vivacissimo e nervoso, né tanto meno poi
nell'animo dotato d'infaticabile energia, d'irrequieta alacrità.
Di ben altro
Anna, ora per la prima volta, guardando (senza neppur sospettarlo) nella
sua vita con gli occhi di quella morta, trovava da lagnarsi del marito. Sí,
era vero: della noncuranza quasi sdegnosa di lui ella si era altre volte
sentita ferire; ma non mai come quel giorno; e ora per la prima volta si
sentiva cosí angosciosamente sola, divisa dai suoi parenti, i quali le
pareva in quel momento la avessero abbandonata lí, quasi che, sposando il
Brivio, avesse già qualcosa di comune con quella morta e non fosse piú
degna d'altra compagnia. E il marito che avrebbe dovuto consolarla, il
marito stesso pareva non volesse darle alcun merito del sacrifizio ch'ella
gli aveva fatto del suo amore filiale e fraterno, come se a lei non fosse
costato nulla, come se a quel sacrifizio egli avesse avuto diritto, e per
ciò nessun dovere avesse ora di compensarnela. Diritto, sí, ma perché
lei se ne era cosí perdutamente innamorata allora; dunque il dovere per
lui adesso di compensarla. E invece...
- Sempre cosí!
- parve ad Anna di sentirsi sospirare dalle labbra dolenti della morta.
Riaccese il
lume e di nuovo, contemplando l'immagine, fu attratta dall'espressione di
quegli occhi. Anche lei dunque, davvero, aveva sofferto per lui? anche
lei, anche lei, accorgendosi di non essere amata, aveva sentito quel vuoto
angoscioso?
- Sí? sí? -
domandò Anna, soffocata dal pianto, all'immagine.
E le parve
allora che quegli occhi buoni, intensi di passione, la commiserassero a
lor volta, la compiangessero di quell'abbandono, del sacrifizio non
rimeritato, dell'amore che le restava chiuso in seno quasi tesoro in uno
scrigno, di cui egli avesse le chiavi, ma per non servirsene mai, come
l'avaro. |