L'IMBECILLE
Ma che c'entrava, in fine, Mazzarini, il deputato Guido
Mazzarini, col suicidio di Pulino? - Pulino? Ma come? S'era ucciso Pulino?
- Lulù Pulino, sì: due ore fa. Lo avevano trovato in casa, che pendeva
dall'ànsola del lume, in cucina. - Impiccato? - Impiccato, sì. Che
spettacolo! Nero, con gli occhi e la lingua fuori, le dita raggricchiate.
- Ah, povero Lulù! - Ma che c'entrava Mazzarini?
Non si capiva
niente. Una ventina di energumeni urlavano nel caffè, con le braccia
levate ( qualcuno era anche montato sulla sedia), attorno a Leopoldo
Paroni, presidente del Circolo repubblicano di Costanova, che
urlava più forte di tutti.
- Imbecille! sì, sì,
lo dico e lo sostengo: imbecille! imbecille! Gliel'avrei pagato io il
viaggio! Io, gliel'avrei pagato! Quando uno non sa più che farsi della
propria vita, perdio, se non fa così è un imbecille!
- Scusi, che è
stato? - - domandò un nuovo venuto, accostandosi, intronato da tutti
quegli urli e un po' perplesso, a un avventore che se ne stava discosto,
appartato in un angolo in ombra, tutto aggruppato, con uno scialle di lana
su le spalle e un berretto da viaggio in capo, dalla larga visiera che gli
tagliava con l'ombra metà del volto.
Prima di
rispondere, costui levò dal pomo del bastoncino una delle mani
ischeletrite, nella quale teneva un fazzoletto appallottolato, e se la
portò alla bocca, su i baffetti squallidi, spioventi. Mostrò così la
faccia smunta, gialla, su cui era ricresciuta rada rada qua e là una
barbettina da malato. Con la bocca otturata, combatté un pezzo,
sordamente, con la propria gola, ove una tosse profonda irrompeva,
rugliando tra sibili; in fine disse con voce cavernosa:
- Mi ha fatto aria,
accostandosi. Scusi, lei, non è di Costanova, è vero?
(E raccolse e
nascose nel fazzoletto qualche cosa.) Il forestiere, dolente, mortificato,
imbarazzato dal ribrezzo che non riusciva a dissimulare, rispose:
- No; sono di
passaggio.
- Siamo tutti di
passaggio, caro signore.
E aprì la bocca,
così dicendo, e scoprì i denti, in un ghigno frigido, muto, restringendo
in fitte rughe, attorno agli occhi aguzzi, la gialla cartilagine del viso
emaciato.
- Guido Mazzarini,
- riprese poi, lentamente, - è il deputato di Costanova. Grand'uomo.
E stropicciò
l'indice e il pollice d'una mano, a significare il perché della
grandezza.
- Dopo sette mesi
dalle elezioni politiche, a Costanova, caro signore, ribolle ancora
furioso, come vede, lo sdegno contro di lui, perché, avversato qui da
tutti, è riuscito a vincere col suffragio ben pagato delle altre sezioni
elettorali del collegio. Le furie non sono svaporate, perché Mazzarini,
per vendicarsi, ha fatto mandare al Municipio di Costanova... - si scosti,
si scosti un poco; mi manca l'aria -. un regio commissario. Grazie. Già!
un regio commissario. Cosa... cosa di gran momento... Eh, un regio
commissario...
Allungò una mano
e, sotto gli occhi del forestiere che lo mirava stupito, chiuse le dita,
lasciando solo ritto il mignolo, esilissimo; appuntì le labbra e rimase
un pezzo intontissimo a fissar l'unghia livida di quel dito.
- Costanova è un
gran paese, - disse poi. - L'universo, tutto quanto, gràvita attorno a
Costanova. Le stelle, dal cielo, non fanno altro che sbirciar Costanova; e
c'è chi dice che ridano; c'è chi dice che sospirino dal desiderio
d'avere in sé ciascuna una città come Costanova. Sa da che dipendono le
sorti dell'universo? Dal partito repubblicano di Costanova, il quale non
può aver bene in nessun modo, tra Mazzarini da un lato, e l'ex-sindaco
Cappadona dall'altro, che fa il re. Ora il Consiglio comunale è stato
sciolto e per conseguenza l'universo è tutto scombussolato. Eccoli là:
li sente? Quello che strilla più di tutti è Paroni, sì, quello là col
pizzo, la cravatta rossa e il cappello alla Lobbia; strilla così, perché
vuole che la vita universa, e anche la morte, stiano a servizio dei
repubblicani di Costanova. Anche la morte, sissignore. S'è ucciso
Pulino... Sa chi era Pulino? Un povero malato, come me. Siamo parecchi, a
Costanova, malati così. E dovremmo servire a qualche cosa. Stanco di
penare, il povero Pulino oggi si è...
- Impiccato?
- All'ansola del
lume, in cucina. Eh, ma così, no, non mi piace. Troppa fatica,
impiccarsi. C'è la rivoltella, caro signore. Morte più spiccia. Bene;
sente che dice Paroni? Dice che Pulino è stato un imbecille, non perché
si è impiccato, ma perché, prima di impiccarsi, non è andato a Roma ad
ammazzar Guido Mazzarini. Già! Perché Costanova, e conseguentemente
l'universo, rifiatasse. Quando uno non sa più che farsi della propria
vita, se non fa così, se prima d'uccidersi non ammazza un Mazzarini
qualunque, è un imbecille. Gliel'avrebbe pagato lui il viaggio, dice. Con
permesso, caro signore.
S'alzò di scatto;
si strinse, da sotto, con ambo le mani lo scialle attorno al volto, fino
alla visiera del berretto; e, così imbacuccato, curvo, lanciando
occhiatacce al crocchio degli urloni uscì dal caffè.
Quel forestiere di
passaggio restò imbalordito; lo seguì con gli occhi fino alla porta: poi
si volse al vecchio cameriere del caffè e gli domandò, costernatissimo:
- Chi è?
Il vecchio
cameriere tentennò il capo amaramente; si picchiò il petto con un dito;
e rispose, sospirando:
- Anche lui... eh,
poco più potrà tirare. Tutti di famiglia! Già due fratelli e una
sorella... Studente. Si chiama Fazio. Luca Fazio. Colpa della madraccia,
sa? Per soldi, sposò un tisico, sapendo ch'era tisico. Ora lei sta così,
grossa e grassa, in campagna, come una badessa, mentre i poveri figliuoli,
a uno a uno... Peccato! Sa che testa ha quello lì? e quanto ha studiato!
Dotto; lo dicono tutti. Viene da Roma, dagli studii. Peccato!
E il vecchio
cameriere accorse al crocchio degli urloni che, pagata la consumazione, si
disponevano a uscire dal caffè con Leopoldo Paroni in testa.
Serataccia, umida, di novembre. La nebbia s'affettava. Bagnato tutto il
lastricato della piazza; e attorno a ogni fanale sbadigliava un alone.
Appena fuori della
porta del caffè tutti si tirarono su il bavero del pastrano, e ciascuno,
salutando, s'avviò per la sua strada.
Leopoldo Paroni,
nell'atteggiamento che gli era abituale, di sdegnosa, accigliata fierezza,
sollevò di traverso il capo, e così col pizzo all'aria attraversò la
piazza, facendo il mulinello col bastone. Imboccò la via di contro al
caffè; poi voltò a destra, al primo vicolo, in fondo al quale era la sua
casa.
Due fanaletti
piagnucolosi, affogati nella nebbia, stenebravano a mala pena quel lercio
budello: uno a principio, uno in fine.
Quando Paroni fu a
metà del vicolo, nella tenebra, e già cominciava a sospirare al barlume
che arrivava fioco dall'altro fanaletto ancor remoto, credette di
discernere laggiù in fondo, proprio innanzi alla sua casa, qualcuno
appostato. Si sentì rimescolar tutto il sangue e si fermò.
Chi poteva essere,
lì, a quell'ora? C'era uno, senza dubbio, ed evidentemente appostato; lì
proprio innanzi alla porta di casa sua. Dunque, per lui. Non per rubare,
certo: tutti sapevano ch'egli era povero come Cincinnato. Per odio
politico, allora... Qualcuno mandato da Mazzarini, o dal regio
commissario? Possibile? Fino a tanto?
E il fiero
repubblicano si voltò a guardare indietro, perplesso, se non gli
convenisse ritornare al caffè o correre a raggiungere gli amici, da cui
si era separato or ora; non per altro, per averli testimonii della viltà,
dell'infamia dell'avversario. Ma s'accorse che l'appostato, avendo udito
certamente, nel silenzio, il rumore dei passi fin dal suo entrare nel
vicolo, gli si faceva incontro, là dove l'ombra era più fitta. Eccolo:
ora si scorgeva bene: era imbacuccato. Paroni riuscì a stento a vincere
il tremore e la tentazione di darsela a gambe; tossì, gridò forte:
- Chi è là?
- Paroni, - chiamò
una voce cavernosa. Un'improvvisa gioia invase e sollevò Paroni, nel
riconoscere quella voce:
- Ah, Luca Fazio...
tu? Lo volevo dire! Ma come? Tu qua, amico mio? Sei tornato da Roma?
- Oggi, - rispose,
cupo, Luca Fazio.
- M'aspettavi,
caro?
- Sì. Ero al caffè.
Non m'hai visto?
- No, affatto. Ah,
eri al caffè? Come stai, come stai, amico mio?
- Male; non mi
toccare.
- Hai qualche cosa
da dirmi?
Sì; grave.
Grave? Eccomi qua!
Qua, no: su a casa
tua.
- Ma... c'è cosa?
Che c'è, Luca? Tutto quello che posso, amico mio...
- T'ho detto, non
mi toccare: sto male.
Erano arrivati alla
casa. Paroni trasse di tasca la chiave; aprì la porta; accese un
fiammifero, e prese a salir la breve scaletta erta, seguito da Luca Fazio.
- Attento...
attento agli scalini...
Attraversarono una
saletta; entrarono nello scrittoio, appestato da un acre fumo stagnante di
pipa. Paroni accese un sudicio lumetto bianco a petrolio, su la scrivania
ingombra di carte, e si volse premuroso al Fazio. Ma lo trovò con gli
occhi schizzanti dalle orbite; il fazzoletto, premuto forte con ambo le
mani, su la bocca. La tosse lo aveva riassalito, terribile, a quel puzzo
di tabacco.
- Oh Dio... stai
proprio male, Luca...
Questi dovette
aspettare un pezzo per rispondere. Chinò più volte il capo. S'era fatto
cadaverico.
- Non chiamarmi
amico, e scostati - prese infine a dire. - Sono agli estremi.. No,
resto... resto in piedi... Tu scostati.
- Ma... ma io non
ho paura... - protestò Paroni.
- Non hai paura?
Aspetta... - sghignò Luca Fazio. - Lo dici troppo presto. A Roma,
vedendomi così agli estremi, mi mangiai tutto: serbai solo poche lire per
comperarmi questa rivoltella.
Cacciò una mano
nella tasca del pastrano e ne trasse fuori una grossa rivoltella.
Leopoldo Paroni,
alla vista dell'arma, in pugno a quell'uomo in quello stato, diventò
pallido come un cencio, levò le mani, balbettò:
- Che... che è
carica? Ohé, Luca...
- Carica, - rispose
frigido il Fazio. - Hai detto che non hai paura...
- No... ma, se, Dio
liberi...
- Scòstati!
Aspetta... M'ero chiuso in camera, a Roma, per finirmi. Quando, con la
rivoltella già puntata alla tempia, ecco che sento picchiare all'uscio...
- Tu, a Roma?
- A Roma. Apro. Sai
chi mi vedo davanti? Guido Mazzarini.
- Lui? a casa tua?
Luca Fazio fece di
sì, più volte, col capo. Poi seguitò:
- Mi vide con la
rivoltella in pugno, e subito, anche dalla mia faccia, comprese che cosa
stessi per fare; mi corse innanzi; m'afferrò per le braccia; mi scosse e
mi gridò: «Ma come? così t'uccidi? Oh Luca, sei tanto imbecille? Ma
va'... se vuoi far questo... ti pago io il viaggio; corri a Costanova, e
ammazzami prima Leopoldo Paroni!»
Paroni,
intontissimo finora al truce e strano discorso, con l'animo in subbuglio
nella tremenda aspettativa d'una qualche atroce violenza davanti a lui, si
sentì d'un tratto sciogliere le membra; e aprì la bocca a un sorriso
squallido, vano:
- ... Scherzi?
Luca Fazio si
trasse un passo indietro; ebbe come un tiramento convulso in una guancia,
presso il naso, e disse, con la bocca scontorta:
- Non scherzo.
Mazzarini m'ha pagato il viaggio; ed eccomi qua. Ora io, prima ammazzo te,
e poi m'ammazzo.
Così dicendo, levò
il braccio con l'arma, e mirò.
Paroni, atterrito,
con le mani innanzi al volto, cercò di sottrarsi alla mira, gridando:
- Sei pazzo?...
Luca... sei pazzo?
- Non ti muovere! -
intimò Luca Fazio. - Pazzo, eh? ti sembro pazzo? E non hai urlato per tre
ore al caffè che Pulino è stato un imbecille perché, prima
d'impiccarsi, non è andato a Roma ad ammazzar Mazzarini?
Leopoldo Paroni
tentò d'insorgere:
- Ma c'è
differenza, per dio! Io non sono Mazzarini!
- Differenza? -
esclamò il Fazio, tenendo sempre sotto mira il Paroni. - Che differenza
vuoi che ci sia tra te e Mazzarini, per uno come me o come Pulino, a cui
non importa più nulla della vostra vita e di tutte le vostre
pagliacciate? Ammazzar te o un altro, il primo che passa per via, è
tutt'uno per noi! Ah, siamo imbecilli per te, se non ci rendiamo
strumento, all'ultimo, del tuo odio o di quello d'un altro, delle vostre
gare e delle vostre buffonate? Ebbene: io non voglio essere imbecille come
Pulino, e ammazzo te!
- Per carità,
Luca... che fai? Ti sono stato sempre amico! - prese a scongiurar Paroni,
storcendosi, per scansar la bocca della rivoltella.
Guizzava veramente
negli occhi di Fazio la folle tentazione di premere il grilletto
dell'arma.
- Eh, - disse col
solito ghigno frigido su le labbra. - Quando uno non sa più che farsi
della propria vita... Buffone! Stai tranquillo; non t'ammazzo. Da bravo
repubblicano, tu sarai libero pensatore, eh? Ateo! Certamente... Se no,
non avresti potuto dire imbecille a Pulino. Ora tu credi ch'io non ti
ammazzi, perché spero gioie e compensi in un mondo di là... No, sai?
Sarebbe per me la cosa più atroce credere che io debba portarmi altrove
il peso delle esperienze che mi è toccato fare in questi ventisei anni di
vita. Non credo a niente! Eppure, non t'ammazzo. Né credo d'essere un
imbecille, se non t'ammazzo. Ho pietà di te, della tua buffoneria, ecco.
Ti vedo da lontano, e mi sembri così piccolo e miserabile. Ma la tua
buffoneria la voglio patentare.
- Come? - fece
Paroni, con una mano a campana, non avendo udito l'ultima parola,
nell'intronamento in cui era caduto.
- Pa-ten-ta-re, -
sillabò Fazio. - Ne ho il diritto, giunto come sono al confine. E tu non
puoi ribellarti. Siedi là, e scrivi.
Gl'indicò la
scrivania con la rivoltella, anzi quasi lo prese e lo condusse a seder lì
per mezzo dell'arma puntata contro il petto.
- Che... che vuoi
che scriva? - balbettò Paroni annichilito.
- Quello che ti
detterò io. Ora tu stai sotto; ma domani, quando saprai che mi sono
ucciso, tu rialzerai la cresta; ti conosco; e al caffè urlerai che sono
stato un imbecille anch'io. No? Ma non lo faccio per me. Che vuoi che
m'importi del tuo giudizio? Voglio vendicar Pulino. Scrivi dunque... Lì,
lì, va bene. Due parole. Una dichiarazioncina. «Io qui sottoscritto
mi pento...» Ah, no, perdio! scrivi, sai? A questo solo patto ti
risparmio la vita! O scrivi, o t'ammazzo... «... Mi pento d'aver
chiamato imbecille Pulino, questa sera, al caffè, tra gli amici, perché,
prima d'uccidersi, non è andato a Roma ad ammazzar Mazzarini.»
Questa è la pura verità: non c'è una parola di più. Anzi, lascio che
gli avresti pagato il viaggio. Hai scritto? Ora seguita: «Luca Fazio,
prima d'uccidersi, è venuto a trovarmi...» Vuoi metterci armato di
rivoltella? Mettilo pure: «armato di rivoltella». Tanto, non
pagherò la multa per porto d'arma abusivo. Dunque: «Luca Fazio è
venuto a trovarmi, armato di rivoltella», hai scritto? «e mi ha
detto che, conseguentemente, anche lui, per non esser chiamato imbecille
da Mazzarini o da qualche altro, avrebbe dovuto ammazzar me come un cane».
Hai scritto, come un cane? Bene. A capo. «Poteva farlo, e non l'ha
fatto. Non l'ha fatto perché ha avuto schifo e pietà di me e della mia
paura. Gli è bastato che gli dichiarassi che il vero imbecille sono io.»
Paroni, a questo
punto, congestionato, scostò furiosamente la carta, e si trasse indietro
protestando:
- Questo poi...
- Che il vero
imbecille sono io, - ripeté, freddo, perentoriamente, Luca Fazio. - La
tua dignità la salvi meglio, caro mio, guardando la carta su cui scrivi,
anziché quest'arma che ti sta sopra. Hai scritto? Firma adesso.
Si fece porgere la
carta; la lesse attentamente; disse:
- Sta bene. Me la
troveranno addosso, domani.
La piegò in
quattro e se la mise in tasca.
- Consolati,
Leopoldo, col pensiero ch'io vado a fare adesso una cosa un tantino più
difficile di quella che or ora hai fatto tu. Buona notte.
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