NENE'
e NINI'
Nené aveva un anno e qualche mese, quando il babbo le
morì. Ninì non era ancor nato, ma già c'era: si aspettava. Ecco: se Ninì
non ci fosse stato, forse la mammina, quantunque bella e giovane, non
avrebbe pensato di passare a seconde nozze: si sarebbe dedicata tutta alla
piccola Nené. Aveva da campare sul suo, modestamente nella casetta
lasciatale dal marito e col frutto della sua dote.
Il pensiero d'un
maschio da educare, così inesperta come lei stessa si riconosceva e senza
guida o consiglio di parenti né prossimi né lontani, la persuase ad
accettar la domanda d'un buon giovine, che prometteva d'esser padre
affettuoso per i due poveri orfanelli.
Nené aveva circa
tre anni e Ninì uno e mezzo, quando la mammina passò a seconde nozze.
Forse per il troppo
pensiero di Ninì, non badò che si potesse dare il caso d'aver altri
figliuoli da questo secondo marito. Ma non trascorse neppure un anno, che
si trovò nel rischio mortale d'un parto doppio. I medici domandarono chi
si dovesse salvare, se la madre o le creaturine. La madre, s'intende! E le
due nuove creaturine furono sacrificate. Il sacrifizio però non valse a
nulla perché, dopo circa un mese di strazii atroci, la povera mammina se
ne morì anche lei, disperata.
Così Nené e Ninì restarono orfani anche di madre, con uno che non
sapevano neppure come si chiamasse, né che cosa stésse a rappresentar lì
in casa loro.
Quanto al nome, se
Nené e Ninì lo volevano proprio sapere, la risposta era facile: Erminio
Del Donzello, si chiamava; ed era professore: professore di francese nelle
scuole tecniche. Ma quanto a sapere che cosa stésse più a far li, ah non
lo sapeva nemmeno lui, il professor Erminio Del Donzello.
Morta la moglie,
morte prima di nascere le sue creature gemelle: la casa non era sua, la
dote non era sua, quei due figliuoli non erano suoi. Che stava più a far
lì? Se lo domandava lui stesso. Ma se ne poteva forse andare?
Lo chiedeva con gli
occhi rossi e quasi smarriti nel pianto a tutto il vicinato che, dal
momento della disgrazia, gli era entrato in casa, da padrone,
costituendosi da sé tutore e protettore de' due orfanelli. Di che lui
forse, si sarebbe dichiarato gratissimo, se veramente il modo non lo
avesse offeso.
Sì, sapeva che
molti, purtroppo, giudicano dati apparenza soltanto, e che i giudizii che
si davano di lui forse erano iniqui addirittura, perché, effettivamente,
la figura non lo aiutava troppo. La eccessiva magrezza lo rendeva ispido,
e aveva il collo troppo lungo e per di più fornito d'un formidabile pomo
d'Adamo, la sola cosa grossa in mezzo a tanta magrezza; e ruvidi i baffi,
ruvidi i capelli pettinati a ventaglio dietro gli orecchi; e gli occhi
armati di occhiali a staffa, poiché il naso non gli si prestava a reggere
un più svelto paio di lenti. Ma, perdio, da quel suo collo così lungo
egli credeva di saper tuttavia cavar fuori una seducentissima voce e
accompagnare le sue frasi dolci e gentili con molta grazia di sguardi, di
sorrisi e di gesti, con le mani costantemente calzate da guanti di filo di
Scozia, che non si levava neanche a scuola, impartendo le sue lezioni di
francese ai ragazzini delle tecniche, che naturalmente ne ridevano.
Ma che! Nessuna
pietà, nessuna considerazione per lui, in tutto quel vicinato, per la sua
doppia sciagura. Pareva anzi che la morte della moglie e delle sue
creaturine gemelle fosse giudicata da tutti come una giusta e ben meritata
punizione.
Tutta la pietà era
per i due orfanelli, di cui in astratto si considerava la sorte. Ecco qua
il patrigno, adesso, senza alcun dubbio, avrebbe ripreso moglie: una
megera, certo, una tiranna; ne avrebbe avuto chi sa quanti figliuoli, a
cui Nené e Ninì sarebbero stati costretti a far da servi, fintanto che,
a furia di maltrattamenti, di sevizie, prima l'una e poi l'altro,
sarebbero stati soppressi.
Fremiti di sdegno,
brividi d'orrore assalivano a siffatti pensieri uomini e donne del
vicinato; e impetuosamente i due piccini, in questa o in quella casa,
erano abbracciati e inondati di lagrime.
Perché il
professor Erminio Del Donzello, ora, ogni mattina, prima di recarsi a
scuola, per ingraziarsi quel vicinato ostile e dimostrar la cura e la
sollecitudine che si dava de' due orfanelli, dopo averli ben lavati e
calzati e vestiti, se li prendeva per mano, uno di qua, l'altra di là, e
li andava a lasciare ora in questa ora in quella famiglia tra le tante che
si erano profferte.
Era - s'intende -
in ciascuna di queste famiglie più delle altre caritatevoli e in pensiero
per la sorte dei piccini, almeno una ragazza da marito; e tutte, senza
eccezione, queste ragazze da marito sarebbero state mammine
svisceratamente amorose di quei due orfanelli perfida tiranna, spietata
megera sarebbe stata solo quell'una, che il professor Erminio Del Donzello
avrebbe scelto tra esse.
Perché era una
necessità ineluttabile, che il professor Erminio Del Donzello riprendesse
moglie. Se l'aspettava di giorno in giorno tutto il vicinato, e per dir la
verità ci pensava sul serio anche lui.
Poteva forse durare
a lungo così? Quelle famiglie si prestavano con tanto zelo di carità ad
accogliere i piccini, per adescarlo; non c'era dubbio. Se egli avesse
fatto a lungo le viste di non comprenderlo, tra un po' di tempo gli
avrebbero chiuso la porta in faccia; non c'era dubbio neanche su questo. E
allora? Poteva forse da solo attendere a quei due piccini? Con la scuola
tutte le mattine, le lezioni particolari nelle ore del pomeriggio, la
correzione dei compiti tutte le sere... Una serva in casa? Egli era
giovine, e caldo, quantunque di fuori non paresse Una serva vecchia? Ma
lui aveva preso moglie perché la vita di scapolo, quell'andare accattando
l'amore, non gli era parso più compatibile con la sua età e con la sua
dignità di professore. E ora, con quei due piccini...
No, via: era, era
veramente una necessità ineluttabile.
L'imbarazzo della
scelta, intanto, gli cresceva di giorno in giorno, di giorno in giorno lo
esasperava sempre più.
E dire che in
principio aveva creduto che dovesse riuscirgli molto difficile trovare una
seconda moglie, in quelle sue condizioni!
Gliene bisognava
una? Ne aveva trovate subito dieci, dodici, quindici, una più pronta e
impaziente dell'altra!
Sì, perché in
fondo, via, era vedovo, ma appena: si poteva dire che quasi non avuto
tempo d'essere ammogliato. E quanto ai figliuoli, sì, c'erano, ma non
erano suoi. La casa, intanto, fino alla maggiore età di questi, ch'erano
ancor tanto piccini, era per lui, e così anche il frutto della dote, il
quale insieme col suo stipendio di professore faceva un'entratuccia più
che discreta.
Questo conto se
l'erano fatto bensì bene tutte le mamme e le signorine del vicinato. Ma
il professor Erminio Del Donzello era certo che si sarebbe attirate
addosso tutte le furie dell'inferno, se avesse fatto la scelta in quel
vicinato.
Aveva sopra tutto,
e con ragione, paura delle suocere. Perché ognuna di quelle mamme
disilluse sarebbe certo diventata subito una suocera per lui; tutte quante
si sarebbero costituite mamme postume della sua povera moglie defunta, e
nonne di quei due orfanelli. E che mamma, che nonna, e suocera sarebbe
stata, ad esempio, quella signora Ninfa della casa dirimpetto, che più
delle altre gli aveva fatto e seguitava a fargli le più pressanti
esibizioni d'ogni servizio, insieme con la figliuola Romilda e il figlio
Toto!
Venivano tutti e
tre, quasi ogni mattina, a strappargli di casa i piccini, perché non li
conducesse altrove. Via, uno almeno! ne d'esse loro uno almeno, o Nené o
Ninì; meglio Nenè, oh cara! ma anche Ninì, oh caro! E baci e chicche e
carezze senza fine.
Il professor
Erminio Del Donzello non sapeva come schermirsi; sorrideva, angustiato: si
volgeva di qua e di là; si poneva innanzi al petto le mani inguantate;
storceva il collo come una cicogna:
- Vede, cara
signora... carissima signorina.... non vorrei che... non vorrei che...
- Ma lasci dire,
lasci dire, professore! Lei può star sicuro che come stanno da noi, non
stanno da nessuno! La mia Romilda ne è pazza, sa? proprio pazza, tanto
dell'una quanto dell'altro. E guardi il mio Toto! Eccolo là... A
cavalluccio, eh Ninì? Gioja cara, quanto sei bello! To', caro! to',
amore!
Il professor
Erminio Del Donzello, costretto a cedere, se n'andava come tra le spine,
voltandosi a sorridere di qua e di là, quasi a chiedere scusa alle altre
vicine.
Ma nelle ore che
lui, sempre coi guanti di filo di Scozia, insegnava il francese ai ragazzi
delle scuole tecniche, che scuola facevano quelle vicine là, e
segnatamente la signora Ninfa con la figliuola Romilda e il figlio Toto, a
Nené e Ninì? che prevenzioni, che sospetti insinuavano nelle loro
arimucce? e che paure?
Già Nené, che
s'era fatta una bella bamboccetta vispa e tosta, con le fossette alle
guance, la boccuccia appuntita, gli occhietti sfavillanti, acuti e furbi,
tutta scatti tra risatine nervose, coi capelli neri, irrequieti, sempre
davanti agli occhi, per quanto di tratto in tratto se li mandasse via con
rapide, rabbiose scrollatine, s'impostava fieramente incontro alle minacce
immaginarie, ai maltrattamenti, ai soprusi della futura matrigna, che le
vicine le facevano balenare; e, mostrando il piccolo pugno chiuso,
gridava:
- E io l'ammazzo!
Subito, all'atto,
quelle le si precipitavano addosso, se la strappavano, per soffocarla di
baci e di carezze.
- Oh cara! Amore!
Angelo! Sì, cara, cara, così! Perché tutto è tuo, sai? La casa è tua,
la dote della tua mammina è tua, tua e del tuo fratellino, capisci? E
devi difenderlo, tu, il tuo fratellino! E se tu non basti, ci siamo qua
noi, a farli stare a dovere, tanto lei che lui, non dubitare, ci siamo qua
noi per e per Ninì!
Ninì era un
badalone grosso grosso, pacioso, con le gambette un po' a roncolo e la
lingua ancora imbrogliata. Quando Nenè, la sorellina, levava il pugno e
gridava: - E io l'ammazzo! - si voltava piano piano a guardarla e
domandava con voce cupa e con placida serietà:
- L'ammassi
davero?
E, a questa
domanda, altri prorompimenti di frenetiche amorevolezze in tutte quelle
buone vicine.
Dei frutti di questa scuola il professor Erminio Del Donzello si accorse
bene, alllorché, dopo un anno di titubamenti e angosciose perplessità,
scelta alla fine una casta zitella attempata, di nome Caterina, nipote
d'un curato, la sposò e la portò in casa.
Quella poverina
pareva seguitasse a recitar le orazioni anche quando, con gli occhi bassi
parlava della spesa o del bucato. Pur non di meno, il professor Erminio
Del Donzello ogni mattina, prima d'andare a scuola, le diceva:
- Caterina mia, mi
raccomando. So, so la nel mansuetudine, cara. Ma procura, per carità, di
non dare il minimo incentivo a tutte queste vipere attorno, di schizzar
veleno. Fa' che questi angioletti non gridino e non piangano per nessuna
ragione. Mi raccomando.
- Va bene; ma Nené,
ecco, aveva i capelli arruffati: non si doveva pettinare? Ninì, mangione,
aveva il musetto sporco, e sporchi anche i ginocchi: non si doveva lavare?
- Nené, vieni,
amorino, che ti pettino. E Nené, pestando un piede:
- Non mi voglio
pettinare!
- Ninì, via, vieni
tu almeno, caro caro fa' vedere alla sorellina come ti fai lavare.
E Ninì, placido e
cupo, imitando goffamente il gesto della sorella:
- Non mi vollo
lavare!
E se Caterina lo
costringeva appena, o s'accostava loro col pettine e col catino, strilli
che arrivavano al cielo!
Subito allora le
vicine:
- Ecco che
comincia! Ah, povere creature! Dio di misericordia, senti, senti! Ma che
fa? Ih, strappa i capelli alla grande! Senti che schiaffi al piccino! Ah
che strazio, Dio, Dio, abbiate pietà di questi due poveri innocenti!
Se poi Caterina,
per non farli strillare, lasciava Nené spettinata e sporco Ninì:
- Ma guardate qua
questi due amorini come sono ridotti: una cagnetta scarduffata e un
porcellino!
Nené, certe
mattine, scappava di casa in camicia, a piedi nudi; si metteva a sedere su
lo scalino innanzi all'uscio di strada, accavalciando una gambetta su
l'altra e squassando la testina per mandarsi via dagli occhi le ciocche
ribelli, rideva e annunziava a tutti:
- Sono castigata!
Poco dopo, piano
piano, scendeva con le gambetto a roncolo Ninì, in carnicina e scalzo
anche lui, reggendo per il manico l'orinaletto di latta; lo posava accanto
alla sorellina, vi si metteva a sedere, e ripeteva serio serio, aggrondato
e con la lingua grossa:
- So' cattigato!
Figurarsi attorno
le grida di commiserazione e di sdegno delle vicine indignate!
Eccoli qua, ignudi!
ignudi! Che barbarie, con questo freddo! Far morire così d'una bronchite,
d'una polmonite due povere creaturine! Come poteva Dio permetter questo?
Ah sì, di nascosto, è vero? essi, di nascosto, erano scappati dal letto?
E perché erano scappati? Segno che i due piccini chi sa com'erano
trattati! Ah, già, niente... Gente di chiesa, figuriamoci! Diamo il
supplizio senza far strillare! Oh Dio, ecco le lagrime adesso, ecco le
lagrime del coccodrillo!
Una santa, anche
una santa avrebbe perduto la pazienza. Quella povera donna sentiva
voltarsi il cuore in petto, non solamente per la crudele ingiustizia, ma
anche per lo strazio di veder quella ragazzetta, Nené, così bellina,
crescere come una diavola, messa sì da quelle perfide pettegole,
sguajata, senza rispetto per nessuno.
- La casa è mia!
La dote è mia!
Signore Iddio, la
dote! Una piccina alta un palmo, che strillava e levava i pugni pestava i
piedi per la dote!
Il professor
Erminio Del Donzello pareva in pochi mesi invecchiato di dieci anni.
Guardava la povera
moglie che gli piangeva davanti disperata, e non sapeva dirle niente, come
non sapeva dir niente a quei due diavoletti scatenati.
Era inebetito? No.
Non parlava, perché si sentiva male. E si sentiva male, perché... perché
proprio portavano con sé questo destino, quei due piccini là!
Il padre era morto;
e la mamma, per provvedere a loro, s'era rimaritata ed era morta. Ora...
ora toccava a lui.
N'era profondamente
convinto il professor Erminio Del Donzello.
Toccava a lui!
Domani, la sua
vedova, quella povera Caterina, per dare a Nené e a Ninì una guida, un
sostegno, sarebbe passata, a sua volta, a seconde nozze, e sarebbe morta
lei allora, e a quel secondo marito toccherebbe di riammogliarsi; e così,
via via, un'infinita sequela di sostituti genitori sarebbe passata in poco
tempo per quella casa.
La prova evidente
era nel fatto, ch'egli si sentiva già molto, molto male.
Era destino, e non
c'era dunque né da fare né da dir nulla.
La moglie, vedendo
che non riusciva in nessun modo a scuoterlo da quella fissazione che lo
inebetiva, si recò per consiglio dallo zio curato. Questi, senz'altro, le
impose d'obbedire al proprio dovere e alla propria coscienza, senza badare
alle proteste infami di tutti quei malvagi. Se con la bontà quei due
piccini non si riducevano a ragione, usasse pure la forza!
Il consiglio fu
savio; ma, ahimè, non ebbe altro effetto, che affrettar la fine del
povero professore.
La prima volta che
Caterina lo mise in pratica, Erminio Del Donzello, ritornando da scuola,
si vide venire con le mani in faccia quel Toto della signora Ninfa seguito
da tutte le vicine urlanti con le braccia levate.
La moglie s'era
dovuta asserragliare in casa. E c'erano guardie e carabinieri innanzi alla
porta.
Tutto il vicinato
aveva apposto le firme a un protesta da presentare alla Questura per le
sevizie che si facevano a quei due angioletti.
L'onta, la
trepidazione per lo scandalo enorme furono tali e tanta la rabbia per
quella ostinata, feroce iniquità, che Erminio Del Donzello si ridusse in
pochi giorni in fin di vita, per un travaso di bile improvviso e tremendo.
Prima di chiuder
gli occhi per sempre, si chiamò la moglie accanto al letto e con un fil
di voce le disse:
- Caterina mia,
vuoi un mio consiglio? Sposa, sposa quel Toto, cara, della signora Ninfa.
Non temere; verrai presto a raggiungermi. E lascia allora che provveda
lui, insieme con l'altra, a quei due piccini. Stai pur certa, cara, che
morrà presto anche lui.
Nené e Ninì,
intanto, in casa d'una vicina avevano trovato una gattina mansa e un
pappagalletto imbalsamato, e ci giocavano, ignari e felici.
- Mao, ti strozzo!
- diceva Nené.
E Ninì,
voltandosi, con la lingua imbrogliata:
- Lo strossi
davero?
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