<<
REQUIEM AETERNAM DONA EIS, DOMINE! >>
Erano dodici. Dieci uomini e due donne in commissione.
Col prete che li conduceva, tredici.
Nell'anticamera
ingombra d'altra gente in attesa, non avevano trovato posto da sedere
tutti quanti. Sette erano rimasti in piedi, addossati alla parete, dietro
i sei seduti, tra i quali il prete in mezzo alle due donne.
Queste piangevano,
con la mantellina di panno nero tirata fin sugli occhi. E gli occhi dei
dieci uomini, anche quelli del prete, s'invetravano di lagrime, appena il
pianto delle donne, sommesso, accennava di farsi più affannoso per
l'ergere improvviso di pensieri, che facilmente essi indovinavano.
- Buone... buone...
- le esortava allora il prete, sotto sotto, anche lui con la voce gonfia
di commozione.
Quelle levavano il
capo, appena, e scoprivano gli occhi bruciati dal pianto, volgendo intorno
un rapido sguardo pieno d'ansietà torbida e schiva.
Esalavano tutti,
compreso il prete un lezzo caprino, misto a un sentor grasso di concime,
così forte, che gli altri aspettanti o storcevano la faccia, disgustati,
o arricciavano il naso; qualcuno anche gonfiava le gote e sbuffava.
Ma essi non se ne
davano per intesi. Quello era il loro odore, e non l'avvertivano; l'odore
della loro vita, tra le bestie da pascolo e da lavoro, nelle lontane
campagne arse dal sole e senza un filo d'acqua. Per non morir di sete,
dovevano ogni mattina andare con le mule per miglia e miglia a una gora
limacciosa in fondo alla vallata. Figurarsi dunque, se potevano sprecarne
per la pulizia. Erano poi sudati per il gran correre; e l'esasperazione, a
cui erano in preda, faceva sbomicare dai loro corpi una certa acrèdine
d'aglio, ch'era come il segno della loro ferinità.
Se pur
s'accorgevano di quei versacci, li attribuivano alla nimicizia che, in
quel momento, credevano d'avere da parte di tutti i signori, congiurati al
loro danno.
Venivano dalle
alture rocciose del fèudo di Màrgari; ed erano in giro dal giorno
avanti; il prete, fiero, tra le due donne, in testa; gli altri dieci,
dietro, a branco.
Il lastricato delle
strade aveva schizzato faville tutto il giorno al cupo fracasso dei loro
scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, massicci e scivolosi.
Nelle dure facce
contadinesche, irte d'una barba non rifatta da parecchi giorni, negli
occhi lupigni, fissi in un'intensa doglia tetra, avevano un'espressione
truce, di rabbia a stento contenuta. Parevano cacciati dall'urgenza d'una
necessità crudele, da cui temessero di non trovar più scampo che nella
pazzia.
Erano stati dal
sindaco e da tutti gli assessori e consiglieri comunali; ora, per la
seconda volta, tornavano alla Prefettura.
Il signor prefetto,
il giorno avanti, non aveva voluto riceverli; ma essi, a coro, tra pianti
e urli e gesti furiosi d'implorazione e di minaccia avevano già esposto
il loro reclamo contro il proprietario del fèudo al consigliere delegato,
il quale invano s'era scalmanato a dimostrare che né il sindaco, né lui,
né il signor prefetto, né sua eccellenza il ministro e neppure sua maestà
il re avevano il potere di contentarli in quello che chiedevano; alla
fine, per disperato, aveva dovuto promettere che avrebbero avuto udienza
dal signor prefetto, quella mattina, alle undici, presente anche il
proprietario del fèudo, barone di Màrgari.
Le undici eran già passate da un pezzo, stava per sonare mezzogiorno, e
il barone non si vedeva ancora.
Intanto l'uscio
della sala ove il prefetto dava udienza rimaneva chiuso anche agli altri
aspettanti.
- C'è gente, -
rispondevano gli uscieri. Alla fine l'uscio s'aprì e venne fuori dalla
sala, dopo uno scambio di cerimonie, proprio lui, il barone di Màrgari,
col faccione in fiamme e un fazzoletto in mano; tozzo, panciuto, le scarpe
sgrigliolanti, insieme col consigliere delegato.
I sei seduti
balzarono in piedi, le due donne levarono acute le strida, e il prete
fiero si fece avanti, gridando con enfasi, sbalordito:
- Ma questo...
questo è un tradimento!
- Padre Sarso! -
chiamò forte un usciere dall'uscio della sala rimasto aperto.
Il consigliere
delegato si rivolse al prete:
- Ecco, siete
chiamato per la risposta. Entrate, voi solo. Calma, signori miei, calma!
Il prete, agitato,
sconvolto, rimase perplesso se accorrere o no alla chiamata, mentre i suoi
uomini, non meno agitati e sconvolti di lui, domandavano, piangendo di
rabbia per una ingiustizia, che sembrava loro patente:
- E noi? e noi? Ma
come? Che risposta?
Poi, tutti insieme,
in gran confusione, presero a vociare:
- Noi vogliamo il
camposanto! - Siamo carne battezzata! - In groppa a una mula, signor
Prefetto, i nostri morti! - Come bestie macellate! - Il riposo dei morti,
signor Prefetto! - Vogliamo le nostre fosse! - Un palmo di terra, dove
gettare le nostre ossa!
E le donne, tra un
diluvio di lagrime:
- Per nostro padre
che muore! Per nostro padre che vuol sapere, prima di chiudere gli occhi
per sempre, che dormirà nella fossa che s'è fatta scavare! sotto
l'erbuccia della nostra terra!
E il prete, più
forte di tutti, con le braccia levate, innanzi all'uscio del prefetto:
- E l'implorazione
suprema dei fedeli: Requiem aeternam dona eis, Domine!
Accorsero a quel
pandemonio, da ogni parte uscieri, guardie, impiegati che, a un comando
gridato dal prefetto dalla soglia, sgombrarono violentemente l'anticamera,
cacciando via tutti per la scala, anche quelli che non c'entravano.
Su la strada
maestra, al precipitarsi di tutti quegli uomini urlanti dal palazzo della
Prefettura, si raccolse subito una gran folla; e allora padre Sarso, al
colmo dell'indignazione e dell'esaltazione, pressato dalle domande che gli
piovevano da tutte le parti, si mise ad agitar le braccia come un naufrago
e a far cenni col capo, con le mani di voler rispondere a tutti, or ora...
ecco, sì... piano, un po' di largo... cacciato dall'autorità... ecco, sì...
al popolo, al popolo...
E prese ad
arringare:
- Parlo in nome di
Dio, o cristiani, che sta sopra ogni legge che altri possa vantare, ed è
padrone di tutti e di tutta la terra! Noi non siamo qua per vivere
soltanto, o cristiani! Siamo qua per vivere e per morire! Se una legge
umana, iniqua, nega al povero in vita il diritto d'un palmo di terra, su
cui, posando il piede, possa dire: « Questo è mio! » non può negargli,
in morte, il diritto della fossa! O cristiani, questa gente è qua, in
nome di altri quattrocento infelici, per reclamare il diritto della
sepoltura! Vogliono le loro fosse! Per sé e per i loro morti!
- Il camposanto! il
camposanto! - urlarono di nuovo tutti insieme, con le braccia per aria e
gli occhi pieni di lagrime, i dodici margaritani.
E il prete,
prendendo nuovo ardire dallo sbalordimento della folla, cercando di
sollevarsi quanto più poteva su la punta dei piedi per dominarla tutta:
- Ecco, ecco,
guardate, o cristiani a queste due donne qua... dove siete? mostratevi!
ecco: a queste due donne qua sta per morire il padre, che è il padre di
tutti noi, il nostro capo, il fondatore della nostra borgata! Or son più
di sessant'anni, quest'uomo, ora moribondo, salì alle terre di Màrgari e
sul dorso roccioso della montagna levò con le sue mani la prima casa di
canne e creta. Ora le case lassù sono più di centocinquanta, più di
quattrocento gli abitanti. Il paese più vicino, o cristiani, è a circa
sette miglia di distanza. Ognuno di questi uomini, a cui muore il padre o
la madre, la moglie o il figlio, il fratello o la sorella, deve patir lo
strazio di vedere il cadavere del parente issato, o cristiani, sul dorso
d'una mula, per essere trasportato, sguazzante nella bara, per miglia e
miglia di ripido cammino tra le rocce! E più volte s'è dato il caso che
la mula è scivolata e la bara s'è spaccata e il morto è balzato tra i
sassi e il fango del letto dei torrenti! Questo è accaduto, o cristiani,
perché il signor barone di Màrgari ci nega barbaramente il permesso di
seppellire in un cantuccio sotto la nostra borgatella i nostri morti, da
poterli avere sotto gli occhi e custodire! Abbiamo finora sopportato lo
strazio, senza gridare, contentandoci di pregare, di scongiurare a mani
giunte questo barbaro signore! Ma ora che muore il padre di tutti noi, o
cristiani, il vecchio nostro, con la brama di sapersi seppellito là, dove
in tante case ora arde il fuoco da lui acceso per la prima volta, noi
siamo venuti qua a reclamare, non un diritto propriamente legale, ma
d'u... che? che c'è?... dico d'umanità, d'u...
Non poté
seguitare. Un folto manipolo di guardie e di carabinieri irruppe nella
folla e, dopo molto scompiglio, tra urla e fischi e applausi, riuscì a
disperderla. Padre Sarso fu preso per le braccia da un delegato e tradotto
insieme con gli altri dodici margaritani al commissariato di polizia.
Intanto, il barone
di Màrgari, che finora se ne era stato discosto, tra un crocchio di
conoscenti, stronfiando come se si sentisse a mano a mano soffocare e
schiacciare sotto il peso dello scandalo pubblico per l'oltracotante
predica di quel prete, e più volte aveva cercato di divincolarsi dalle
braccia che lo trattenevano per lanciarsi addosso all'arringatore; ora che
la folla si disperdeva, si mosse, attorniato da gente sempre in maggior
numero, e, terreo, ansimante, come se fosse or ora uscito da una rissa
mortale, si mise a raccontare che lui e, prima di lui, suo padre don
Raimondo Màrgari, rappresentati da quella gente là e da quel prete
ciarlatano come barbari spietati che negavano loro il diritto della
sepoltura, erano invece da sessant'anni vittime d'una usurpazione
inaudita, da parte del padre di quelle due donne là, uomo terribile,
soperchiatore e abisso d'ogni malizia. Disse che da anni e anni egli non
era più padrone di andare nelle sue terre, dove coloro avevano edificato
le loro case e quel prete la sua chiesa, senza pagare né censo, né
fitto, senza neanche chiedergli il permesso d'invadere così la sua
proprietà. Egli poteva mandare i suoi campieri a cacciarli via tutti,
come tanti cani, e a diroccar le loro case, non lo aveva fatto; non lo
faceva; li lasciava vivere e moltiplicare, peggio dei conigli: ognuna di
quelle donne metteva al mondo una ventina di figliuoli; tanto che, in meno
di sessant'anni, era cresciuta lassù una popolazione. Ma non bastava,
ecco, non erano contenti: quel prete avvocato, che viveva alle loro
spalle, che aveva imposto a tutti una tassa per il mantenimento della sua
chiesa, li metteva su, ed eccoli qua: non solo volevano stare nelle sue
terre da vivi, ci volevano stare anche da morti. Ebbene, no! questo, no!
questo, mai! Li sopportava da vivi; ma la soperchieria di averli anche
morti nelle sue terre, mai! Anche perché l'usurpazione loro non si
radicasse sottoterra coi loro morti! Il prefetto gli aveva dato ragione;
gli aveva anzi promesso di mandare lassù guardie e carabinieri per
impedire ogni violenza: perché il vecchio, da un mese moribondo per
idropisia, era uomo da farsi seppellire vivo nella fossa che già s'era
fatta scavare nel posto ove sognava che dovesse sorgere il cimitero,
appena le due figliuole e quel prete gli annunzierebbero il rifiuto.
Quando, di fatti, nel pomeriggio, padre Sarso e la sua ciurma furono
rimessi in libertà e si avviarono al fondaco, ove il giorno avanti
avevano lasciato le mule, vi trovarono in buon numero guardie e
carabinieri a cavallo, incaricati di scortarli fino alle alture di Màrgari,
alla borgata.
- Ancora? -
fremette padre Sarso, vedendoli. - Ancora? Perché? Siamo forse gente di
mal affare, da essere scortati così dalla forza? Ma già... meglio, sì...
anzi, se ci volete ammanettare! Su, su, andiamo! a cavallo! a cavallo!
Pareva che avesse
affrontato e sofferto il martirio. Gonfio di quanto aveva fatto, non gli
pareva l'ora d'arrivare alla borgata con quella scorta, che avrebbe
attestato a tutti lassù, con quanto fervore, con quale violenza egli si
fosse adoperato a ottenere al vecchio la sepoltura.
S'era già fatto
tardi, e si sapevano aspettati con impazienza fin dalla sera avanti. Chi
sa se il vecchio era ancora in vita! Tutti si auguravano in cuore che
fosse morto.
- O padruccio... o
padruccio... - piagnucolavano le due donne.
Ma sì, meglio
morto, nell'incertezza, con la speranza almeno, che essi fossero riusciti
a strappare al barone la concessione del camposanto!
Su, via, via...
Calava l'ombra della sera, e quanto più lungo si faceva il ritardo del
loro ritorno, tanto più forse si radicava e cresceva nel cuore di tutti
lassù quella speranza. E tanto più grave sarebbe stata allora la
disillusione.
Gesù, Gesù! Che
strepito di cavalcature! Pareva una marcia di guerra. Chi sa come
sarebbero restati a Màrgari, vedendoli ritornare accompagnati così, da
tanta forza!
Il vecchio se ne
sarebbe subito accorto.
Moriva all'aperto,
in mezzo ai suoi, seduto innanzi alla porta della sua casa terrena, non
potendo più stare a letto, soffocato com'era dalla tumefazione enorme
dell'idropisia. Stava anche di notte lì seduto, boccheggiante, con gli
occhi alle stelle, assistito da tutta la borgata, che da un mese non si
stancava di vegliarlo.
Se fosse almeno
possibile impedirgli la vista di tutte quelle guardie...
Padre Sarso si
rivolse al maresciallo, che gli cavalcava a fianco:
- Non potrebbero
restare un po' indietro? - gli domandò. - Tenersi un poco discosti? Se si
potesse far credere pietosamente a quel povero vecchio, che abbiamo
ottenuto la concessione!
Il maresciallo tardò
un pezzo a rispondere. Diffidava di quel prete temeva di compromettersi
acconsentendo. Alla fine disse:
- Vedremo, padre;
vedremo sul posto.
Ma quando, dopo
molte ore d'affannoso cammino, cominciò la salita della montagna,
s'intravidero da lontano, non ostante il bujo già fitto, tali cose
straordinarie, che nessuno pensò più di poter fare al vecchio
quell'inganno pietoso.
Era su l'alta costa
rocciosa come un formicolìo di lumi. Fasci di paglia ardevano qua e là,
da cui salivano alle stelle spire dense di fumo infiammato, come nella
novena di Natale. E cantavano lassù, cantavano, sì, proprio come nella
novena di Natale, al lume di quelle fiammate.
Che era avvenuto?
Su, di carriera! di carriera!
Tutta la borgata
lassù si era raccolta quasi a celebrare un selvaggio rito funebre.
Il vecchio, non
sapendo più reggere all'impazienza dell'attesa, sperando requie alle
smanie della soffocazione, s'era fatto trasportare su una seggiola al
posto dove sarebbe sorto il camposanto, innanzi alla sua fossa.
Lavato, pettinato e
parato da morto, aveva accanto alla seggiola, su cui stava posato come
un'enorme balla ansimante, la sua cassa d'abete già pronta da parecchi
giorni. Eran preparati sul coperchio di quella cassa una papalina di seta
nera, un pajo di pantofole di panno e un fazzoletto, anch'esso di seta
nera, ripiegato a fascia che, appena morto, passato sotto il mento e
legato sul capo, doveva servire a tenergli chiusa la bocca. Insomma tutto
l'occorrente per l'ultima vestizione.
Attorno, coi lumi,
era tutta la gente della borgata, che cantava al vecchio le litanie.
- Sancta Dei
Genitrix,
- Ora pro nobis!
- Sancta Virgo
Virginum?
- Ora pro nobis!
E al formicolio di
tutti quei lumi rispondeva dalla cupola immensa del cielo il fitto
sfavillio delle stelle.
Sul capo del
vecchio tremolavano alla brezzolina notturna i radi capelli, ancora umidi
e tesi per l'insolita pettinatura. Movendo appena le mani enfiate, una sul
dorso dell'altra, gemeva tra il grasso rantolo, come per confortarsi e
averne refrigerio:
- L'erbuccia!...
l'erbuccia...
Quella che sarebbe
schiumata dalla sua terra, tra poco, là, su la sua fossa. E verso di essa
allungava i piedi deformati dal gonfiore, ridotti come due vesciche entro
le grosse calze di cotone turchino.
Appena attorno a
lui la sua gente levò le grida, vedendo accorrere tra strepito di
sciabole sì per l'erta una così grossa frotta di cavalcature, provò a
rizzarsi in piedi; udì il pianto e le risposte affannose dei
sopravvenuti; e, comprendendo, tentò di gettarsi a capofitto giù nella
fossa. Fu trattenuto; tutti gli si strinsero attorno, come a proteggerlo
dalla forza; ma il maresciallo riuscì a rompere la calca e ordinò che
subito quel moribondo fosse trasportato a casa e che tutti sgombrassero di
là.
Su la seggiola,
come un santone su la bara, il vecchio fu sollevato, e i margaritani,
reggendo alti i lumi, gridando e piangendo, s'avviarono verso le loro
casupole, che biancheggiavano in alto, sparse su la roccia.
La scorta rimase al
bujo, sotto le stelle a guardia della fossa vuota e della cassa d'abete,
lasciata lì, con quella papalina e quel fazzoletto e quelle pantofole
posate sul coperchio.
|