NENIA
Con la valigia in mano, mi lanciai, gridando, sul treno
che già si scrollava per partire: potei a stento afferrarmi a un vagone
di seconda classe e, aperto lo sportello con l'aiuto d'un conduttore
accorso su tutte le furie, mi cacciai dentro.
Benone!
Quattro donne, lì,
due ragazzi e una bimba lattante, esposta per giunta, proprio in quel
momento, con le gambetto all'aria, su le ginocchia d'una goffa balia
enorme, che stava tranquillamente a ripulirla, con la massima libertà.
- Mamma, ecco un
altro seccatore!
Così m'accolse (e
me lo meritavo) il maggiore dei due ragazzi, che poteva aver circa sei
anni, magrolino, orecchiuto, coi capelli irti e il nasetto in sì,
rivolgendosi alla signora che leggeva in un angolo, con un ampio velo
verdastro rialzato sul cappello, speciosa cornice al volto pallido e
affilato.
La signora si turbò,
ma finse di non sentire e seguitò a leggere. Scioccamente, perché il
ragazzo - com'era facile supporre tornò ad annunziarle con lo stesso
tono:
- Mamma, ecco un
altro seccatore.
- Zitto,
impertinente! - gridò, stizzita, la signora. Poi volgendosi a me con
ostentata mortificazione: - Perdoni, signore, la prego.
- Ma si figuri, -
esclamai io, sorridendo.
Il ragazzo guardò
la madre, sorpreso del rimprovero, e parve che le dicesse con quello
sguardo: - «Ma come? Se l'hai detto tu!». - Poi guardò me e sorrise così
interdetto e, nello stesso tempo, con una mossa così birichina, ch'io non
seppi tenermi dal dirgli:
- Sai, carino? Se
no, perdevo il treno
Il ragazzetto
diventò serio, fissò gli occhi, poi, riscotendosi con un sospiro, mi
domandò:
- E come lo
perdevi? Il treno non si può mica perdere. Cammina solo, con l'acqua
bollita, sul biranio. Ma non è una caffettiera. Perché la
caffettiera non ha ruote e non può camminare.
Parve a me che il
ragazzo ragionasse a meraviglia. Ma la madre, con un fare stanco e
infastidito, lo rimproverò di nuovo:
- Non dire
sciocchezze, Carlino.
L'altra ragazzetta,
di circa tre anni, stava in piedi sul sedile, presso il balione, e
guardava attraverso il vetro del finestrino la campagna fuggente. Di tanto
in tanto, con la manina toglieva via l'appannatura del proprio fiato sul
vetro, e se ne stava zitta zitta a mirare il prodigio di quella fuga
illusoria d'alberi e di siepi.
Mi voltai
dall'altra parte a osservare le altre due compagne di viaggio, che
sedevano agli angoli, l'una di fronte all'altra, tutte e due vestite di
nero.
Erano straniere:
tedesche, come potei accertarmi poco dopo udendole parlare.
Una, la giovane,
soffriva forse del viaggio: doveva esser malata: teneva gli occhi chiusi,
il capo biondo abbandonato su la spalliera, ed era pallidissima. L'altra,
vecchia, dal torso erto, massiccio, bruna di carnagione, pareva stesse
sotto l'incubo del suo ispido cappelletto dalla falde dritte, stirate:
pareva lo tenesse come per punizione in bilico su i pochi grigi capelli
chiusi e impastocchiati entro una reticella nera.
Così immobile, non
cessava un momento di guardar la giovine, che doveva essere la sua
signora.
A un certo punto,
dagli occhi chiusi della giovine vidi sgorgare due grosse lagrime, e
subito guardai in volto la vecchia, che strinse le labbra rugose e ne
contrasse gli angoli in giù, evidentemente per frenare un impeto di
commozione, mentre gli occhi, battendo più e più volte di seguito,
frenavano le lagrime.
Quale ignoto dramma
si chiudeva in quelle due donne vestite di nero, in viaggio, lontane dal
loro paese? Chi piangeva o perché piangeva, così pallida e vinta nel suo
cordoglio, quella giovane signora?
La vecchia
massiccia, piena di forza, nel guardarla, pareva si struggesse
dall'impotenza di venirle in aiuto. occhi però non aveva quella disperata
remissione al dolore, che si suole avere per un caso di morte, ma una
durezza di rabbia feroce, forse contro qualcuno che le faceva soffrir così
quella creatura adorata.
Non so quante volte
sospirai fantasticando su quelle due straniere; so che di tratto in
tratto, a ogni sospiro, mi riscotevo per guardarmi intorno.
Il sole era
tramontato da un pezzo. Perdurava fuori ancora un ultimo tetro barlume del
crepuscolo: ora angosciosa per chi viaggia.
I due ragazzi si
erano addormentati, la madre aveva abbassato il velo sul volto e forse
dormiva anche lei, col libro su le ginocchia. Solo la bambina lattante non
riusciva a prender sonno: pur senza vagire, si dimenava irrequieta, si
stropicciava il volto
Coi pugnetti, tra
gli sbuffi della balia che le ripeteva sottovoce:
- La ninna, cocca
bella; la ninna, cocca...
E accennava,
svogliata, quasi prolungando un sospiro d'impazienza, un motivo di nenia
paesana.
- Aoòh! Aoòh!
A un tratto, nella
cupa ombra della sera imminente, dalle labbra di quella rozza contadinona
si svolse a mezza voce, con soavità inverosimile, con fascino
d'ineffabile amarezza, la nenia mesta:
Veglio, veglio sì te, fammi la ninna,
Chi t'ama più di me, figlia, t'inganna.
Non so perché, guardando la giovine straniera, abbandonata lì in
quell'angolo della vettura, mi sentii stringere la gola da un nodo
angoscioso di pianto. Ella, al canto dolcissimo aveva riaperto i begli
occhi celesti e li teneva invagati nell'ombra. Che pensava? Che
rimpiangeva?
Lo compresi poco
dopo, quando udii la vecchia vigile domandarle piano con voce oppressa
dalla commozione:
- Willst Du
deine Amme nah?
«Vuoi accanto la
tua nutrice?» E si alzò; andò a sederle a fianco e si trasse su l'arido
seno il biondo capo di lei che piangeva in silenzio, mentre l'altra
nutrice, nell'ombra, ripeteva alla bimba ignara:
Chi t'ama più di me, figlia, t'inganna.
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