LA TARTARUGA Parrà
strano, ma anche in America c'è chi crede che le tartarughe portino
fortuna. Da che sia nata una tale credenza, non si sa. E' certo però che
loro, le tartarughe, non mostrano d'averne il minimo sospetto. Mister
Myshkow ha un amico che ne è convintissimo. Giuoca in borsa e ogni mattina,
prima d'andare a giocare, mette la sua tartaruga davanti a uno scalino: se
la tartaruga accenna di voler salire, è sicuro che i titoli che lui vuol
giocare, saliranno; se ritira la testa e le zampe, resteranno fermi; se si
volta e fa per andarsene, lui giuoca senz'altro al ribasso. E non ha mai
sbagliato. Detto
questo, entra in un negozio dove si vendono tartarughe; ne compra una e la
mette in mano a Mister Myshkow: -
Approfittàtene. Mister
Myshkow è molto sensibile: portandosi in casa la tartaruga (ih! ah!) freme
in tutta l'elastica personcina pienotta e sanguigna per brividi, che son
forse di piacere, ma anche di ribrezzo un po'. Non si cura se gli altri per
via si voltino a guardarlo con quella tartaruga in mano; lui freme al
pensiero che quella che pare una pietra inerte e fredda, non è una pietra
no, è abitata dentro da una misteriosa bestiola che da un momento all'altro
può cacciar fuori, sulla sua mano, quattro zampini biechi rasposi e una
testina di vecchia monaca rugosa. Speriamo che non lo faccia. Forse Mister
Myshkow la getterebbe a terra, raccapricciando da capo a piedi. In
casa, non si può dire che i suoi due figli, Helen e John, facciano una gran
festa alla tartaruga, appena lui la posa come un ciottolo sul tappeto del
salotto. Non
è credibile quanto vecchi appajano gli occhi dei due figli di Mister
Myshkow a confronto con quelli bambinissimi del padre. I
due ragazzi, su quella tartaruga posata come un ciottolo sul tappeto, fanno
cadere il peso insopportabile dei loro quattro occhi di piombo. Poi guardano
il padre con una così ferma convinzione che non potrà dar loro una
spiegazione plausibile della cosa inaudita che ha osato fare, posare una
tartaruga sul tappeto del salotto, che il povero Mister Myshkow si sente
subito appassire; apre le mani; apre le labbra a un sorriso vano e dice che,
dopo tutto, quella non è altro che un'innocua tartaruga con cui, volendo,
si può anche giocare. Da
quel brav'uomo ch'è sempre stato, un po' ragazzone, vuol darne la prova: si
butta carponi sul tappeto e cautamente, con garbo, si prova a spinger di
dietro la tartaruga per persuaderla così a cacciar fuori gli zampini e la
testa e farla muovere. Ma sì, Dio mio, non foss'altro, per rendersi conto
della bella gaja casa tutta vetri e specchi, dove lui l'ha portata. Non
s'aspetta che suo figlio John trovi d'improvviso e senza tante cerimonie un
più spiccio espediente per fare uscir la tartaruga da quello stato di
pietra in cui s'ostina a restare. Con la punta del piede John la rovescia
sulla scaglia, e subito allora si vede la bestiolina armeggiar con gli
zampini e spinger col capo penosamente per tentar di rimettersi nella sua
posizione naturale. Helen,
a quella vista, senza punto alterare i suoi occhi da vecchia, sghignazza
come una carrucola di pozzo arrugginita per la caduta precipitosa d'un
secchio impazzito. Non
c'è, come si vede, da parte dei ragazzi alcun rispetto della fortuna che le
tartarughe sogliono portare. C'è al contrario la più lampante
dimostrazione che tutti e due la sopporteranno solo a patto ch'essa si
presti a esser considerata da loro come uno stupidissimo giocattolo da
trattare così, con la punta del piede. Il che a Mister Myshkow dispiace
moltissimo. Guarda la tartaruga, rimessa subito a posto da lui e ritornata
al suo stato di pietra; guarda gli occhi dei suoi ragazzi, e avverte di
colpo una misteriosa relazione che lo turba profondamente tra la vecchiaja
di quegli occhi e la secolare inerzia di pietra di quella bestia sul
tappeto. E' preso di sgomento per la sua inguaribile giovanilità, in un
mondo che accusa con relazioni così lontane e inopinate la propria
decrepitezza: lo sgomenta che lui, senza saperlo, sia forse rimasto ad
aspettare qualcosa che non arriverà mai più, dato che ormai sulla terra i
bambini nascono centenari come le tartarughe. Torna
ad aprire le labbra al suo vano sorriso, più smorto che mai, e non ha il
coraggio di confessare per qual ragione il suo amico gli ha regalato quella
tartaruga. Ha
una rara ignoranza di vita Mister Myshkow. La vita per lui non è mai nulla
di preciso, né ha alcun peso di cose sapute. Gli può accadere benissimo
qualche mattina, vedendosi nudo con una gamba alzata per entrare nella vasca
da bagno, di restare stranamente impressionato del suo stesso corpo, come
se, in quarantadue anni che lo ha, non l'abbia mai veduto e se lo scopra
adesso per la prima volta. Un corpo, Dio mio, non presentabile, così nudo,
senza una grande vergogna, neppure ai suoi propri occhi. Preferisce
ignorarselo. Ma fa un gran caso tuttavia del fatto che non ha mai pensato
che con questo corpo, così com'è in tante parti che nessuno di solito
vede, nascoste sotto gli abiti e la calzatura, per quarantadue anni lui s'è
aggirato nella vita. Non gli par credibile che tutta la sua vita lui l'abbia
vissuta in quel suo corpo. No, no. Chi sa dove, chi sa dove,
senz'accorgersene. Forse ha sempre sorvolato, di cosa in cosa, tra le tante
che gli sono occorse fin dall'infanzia, quando certamente il suo corpo non
era questo, e chi sa come era. E' davvero una pena e uno sgomento non
riuscire a spiegarsi perché il proprio corpo debba essere necessariamente
quello che è, e non un altro diverso. Meglio non pensarci. E nel bagno,
torna a sorridere del suo vano sorriso, ignorando di trovarsi già da un
pezzo nella vasca. Ah, quelle luminose tendine di mussola insaldate ai vetri
della grande finestra, e di su quelle bacchette d'ottone quel lieve grazioso
dondolìo nell'aria primaverile delle cime degli alti alberi del parco. Ora
lui si sta asciugando quel corpo veramente brutto; ma deve, pur non di meno,
convenire che la vita è bella, e tutta da godere anche in quel suo
corpaccio che intanto, chi sa come, è potuto entrare nella più segreta
intimità con una donna talmente impenetrabile qual è Mistress Myshkow, sua
moglie. Da
nove anni ch'è ammogliato, lui è come avvolto e sospeso nel mistero di
quella sua unione inverosimile con Mistress Myshkow. Non
ha mai osato farsi avanti, senza restare incerto, dopo ogni passo, se
potesse darne un altro; e così alla fine ha provato sempre come un formicolìo
d'apprensione in tutto il corpo e di sbigottimento nell'anima nel trovarsi
arrivato già parecchio lontano per tutti quei passi sospesi che gli han
lasciato fare. Doveva sì o no inferire che dunque doveva farli? Così, un
bel giorno, quasi senz'esserne certo, s'era trovato marito di Mistress
Myshkow. Lei
è ancora, dopo nove anni, così distaccata e isolata da tutto, dalla
propria bellezza di statuetta di porcellana e così chiusa e smaltata in un
modo d'essere così impenetrabilmente suo, che proprio pare impossibile che
abbia trovato il modo d'unirsi in matrimonio con un uomo così di carne e
sanguigno come lui. Si capisce invece benissimo come dalla loro unione siano
potuti nascere quei due figli imbozzacchiti. Forse, se Mister Myshkow avesse
potuto portarli in grembo lui, invece della moglie, non sarebbero nati così;
ma dovette portarli in grembo lei, per nove mesi ciascuno, e allora,
concepiti probabilmente interi fin dal principio e costretti a rimanere
chiusi per tanto tempo in un ventre di majolica, come confetti in una
scatola, ecco, s'erano così tremendamente invecchiati prima ancora che
nascessero. Per
tutti i nove anni di matrimonio lui naturalmente è vissuto in apprensione
continua che Mistress Myshkow trovasse in qualche sua parola impensata o
gesto inopinato il pretesto di domandare il divorzio. Il primo giorno di
matrimonio era stato per lui il più terribile perché, come si può
facilmente immaginare, c'era arrivato non ben sicuro che Mistress Myshkow
sapesse che cosa lui dovesse fare per potersi dire effettivamente suo
marito. Ma poi non gli aveva lasciato intendere in alcun modo che si
ricordasse della confidenza che lui s'era presa. Proprio come se nulla ci
avesse mai messo di suo, perché lui se la potesse prendere, e lei poi
ricordare. Eppure una prima figliuola, Helen, era nata; e poi era nato un
secondo figliuolo, John. Mai niente. Senza dar segno di nulla, se n'era
andata tutt'e due le volte alla clinica e, dopo un mese e mezzo, era
rientrata in casa, la prima volta con una bambina e la seconda con un
bambino, l'uno più vecchio dell'altra. Cosa da far cadere le braccia.
Divieto assoluto, tutt'e due le volte, d'andarle a far visita alla clinica.
Cosicché lui, non essendosi potuto accorgere né la prima né la seconda
volta che lei fosse incinta e non sapendo poi nulla né delle doglie del
parto né della nascita, s'era trovati in casa quei due figli come due
cagnolini comperati in viaggio, senza nessuna vera certezza che fossero nati
da lei e che fossero suoi. Ma
non ne ha il minimo dubbio Mister Myshkow, tanto che crede d'avere ormai in
quei due figli una prova antichissima e per ben due volte collaudata che
Mistress Myshkow trova nella convivenza con lui un compenso adeguato ai
dolori che il mettere al mondo due figliuoli deve costare. Non
riesce perciò a rinvenire dallo stupore allorché sua moglie, rientrando in
casa quel giorno da una visita alla madre scesa in albergo e prossima a
ripartire per l'Inghilterra, e trovandolo ancora in ginocchio sul tappeto
del salotto davanti a quella tartaruga, tra la derisione sguajatamente
fredda di quei due figli, non gli dice nulla, o meglio gli dice tutto
voltando senz'altro le spalle e ritornando immediatamente da sua madre
all'albergo, da cui dopo circa un'ora gli manda un biglietto, nel quale
perentoriamente è scritto che, o via da casa quella tartaruga, o via lei:
se ne partirà, fra tre giorni con la madre per l'Inghilterra. Appena
può rimettersi a pensare, Mister Myshkow comprende subito che quella
tartaruga non può esser altro che un pretesto. Così poco serio, via. Così
facile a levar di mezzo! Eppure, proprio per questo, forse più inovviabile
che se la moglie gli abbia posto per condizione di cangiar di corpo, e
almeno di levarsi dalla faccia il naso per sostituirlo con un altro di suo
maggiore gradimento. Ma
non vuole che manchi per lui. Risponde alla moglie che ritorni pure a casa:
lui andrà a metter fuori in qualche posto la tartaruga. Non ci tiene
affatto ad averla in casa. L'ha presa perché gli hanno detto che porta
fortuna; ma, agiato com'è, e con una moglie come lei, e con due figli come
i loro, che bisogno ne ha lui? che altra fortuna avrebbe da desiderare? Va
fuori, di nuovo con la tartaruga in mano, per lasciarla in qualche posto che
alla povera bestiola scontrosa possa convenire più che la sua casa. S'è
fatto sera e lui se ne avvede soltanto ora e se ne meraviglia. Pur abituato
com'è alla vista fantasmagorica di quella sua enorme città, ha sempre
occhi nuovi per lasciarsene stupire e anche immalinconire un po', se pensa
che a tutte quelle prodigiose costruzioni è negato di imporsi come durevoli
monumenti e stan lì come colossali e provvisorie apparenze di un'immensa
fiera, con quegl'immobili sprazzi di variopinte luminarie che danno a lungo
andare una tristezza infinita, e tant'altre cose ugualmente precarie e
mutevoli. Camminando,
si dimentica d'avere in mano la tartaruga, ma poi se ne sovviene e riflette
che avrebbe fatto meglio a lasciarla nel parco vicino alla sua casa; invece
s'è diretto verso il negozio dov'essa è stata comperata, alla 49ma Strada. Seguita
ad andare, pur essendo certo che a quell'ora troverà chiuso il negozio. Ma
si direbbe che tanto la sua tristezza quanto la sua stanchezza hanno proprio
bisogno di andare a sbatter la faccia contro una porta chiusa. Arrivato,
sta un po' a guardare la porta del negozio chiusa effettivamente, e poi si
guarda in mano la tartaruga. Che farne? Lasciarla lì davanti? Sente passare
un tassì e lo prende. Ne scenderà a un certo punto, lasciandovi dentro la
tartaruga. Peccato
che la bestiola, così ancora rintanata nel suo guscio, non dia a vedere
d'avere molta fantasia. Sarebbe piacevole immaginare una tartaruga in
viaggio di notte per le strade di New York. No
no. Mister Myshkow se ne pente, come d'una crudeltà. Scende dal tassì. E'
ormai vicina la Park Avenue, con l'interminabile fila delle ajuole nel
mezzo, dalle ringhierine a canestro. Pensa di lasciare la tartaruga in una
di quelle ajuole; ma appena ve la posa, ecco che gli salta addosso un
poliziotto che è di guardia al traffico nel crocicchio della 50ma Strada,
sotto una delle gigantesche torri del Wardolf Astoria. Quel poliziotto vuol
sapere che cosa ha posato in quell'ajuola. Una bomba? Non proprio una bomba,
no. E Mister Myshkow gli sorride per dargli a vedere che non ne sarebbe
capace. Semplicemente una tartaruga. Quello allora gl'impone di ritirarla
subito. Proibito introdurre bestie nelle ajuole. Ma quella? Quella è
piuttosto una pietra che una bestia, vuol fargli osservare Mister Myshkow;
non crede che possa disturbare; e poi lui, per gravi motivi di famiglia, ha
bisogno assolutamente di disfarsene. Il poliziotto crede che voglia
prenderlo in giro e si fa brutto. Subito allora Mister Myshkow ritira dall'ajuola
la tartaruga che non s'è mossa. -
M'hanno detto che porta fortuna, - soggiunge sorridente. - Non vorreste
prenderla voi? Ve la offro. Quello
si scrolla furiosamente e con impero gli accenna di levarglisi dai piedi. Ed
ecco ora di nuovo Mister Myshkow con quella tartaruga in mano, in grande
imbarazzo. Oh Dio, potrebbe lasciarla dovunque, anche in mezzo alla strada,
appena fuori della vista di quel poliziotto che l'ha guardato così male,
evidentemente perché non ha creduto ai gravi motivi di famiglia. Tutt'a un
tratto, si ferma al baleno di un'idea. Sì, è senza dubbio un pretesto, per
la moglie, quella tartaruga, e levato di mezzo questo, lei ne troverà
subito un altro; ma difficilmente potrà trovarne uno più ridicolo di
questo e che più di questo possa darle torto davanti al giudice e a tutti
quanti. Sarebbe sciocco, dunque, non valersene. Lì per lì decide di
rientrare in casa con la tartaruga. Trova
la moglie nel salotto. Senza dirle nulla si china e le posa davanti sul
tappeto la tartaruga, là, come un ciottolo. La
moglie balza in piedi, corre in camera, gli si ripresenta col cappellino in
capo. -
Dirò al giudice che alla compagnia di vostra moglie preferite quella della
vostra tartaruga. E
se ne va. Come
se la bestiola dal tappeto l'abbia intesa, sfodera di scatto i quattro
zampini, la coda e la testa e dondolando, quasi ballando, si muove per il
salotto. Mister
Myshkow non può fare a meno di rallegrarsene, ma timidamente; batte le mani
piano piano, e gli pare, guardandola, di dover riconoscere, ma senza esserne
proprio convinto: - La fortuna! La fortuna! |