CONCORSO PER
REFERENDARIO
AL CONSIGLIO DI STATO
I pochi avventori del Romitorio, esiliati lassù
in vetta al Monte, da un pezzo sentivano la vociaccia di Natale il somararo,
su per l'erta faticosa sotto la macchia:
- Sci... bsrrr!
Sc... brrr!
E nella calura
asfissiante, nell'ozio opprimente, fra lo stridor lontano, continuo, delle
cicale e gli zighi acuti dei grilli vicini, ansiosi di sapere se quello
stortaccio conducesse lassù qualche nuovo compagno di sventura o un
visitatore momentaneo, si affacciavano di tanto in tanto alle finestre
dell'ex-convento, ridotto da alcuni anni ad albergo.
Il convento, a dir
vero, era rimasto tal quale, con le sue anguste cellette, fornite di un
tettuccio così stretto che a mala pena ci si poteva rigirare, d'un
rustico tavolino, d'un lavamano e di tre o quattro seggiole impagliate;
tal quale, col suo refettorio, coi suoi lunghi e cupi corridoi
rintronanti, con le grige scalette logore e la chiesuola accanto, ora
sempre chiusa.
Gli avventori, pe'
primi giorni, tolleravano quella mancanza d'ogni comodità in grazia dello
strano sapor di vita claustrale; poi si annoiavano, pur senza volerlo
riconoscere. E al signor Lanzi che aveva avuto la peregrina idea d'assumer
l'impresa di quel sedicente albergo lassù e che prometteva ogni anno per
l'anno venturo un albergo nuovo, levato di pianta, di tipo svizzero, e la
funicolare:
- Eh sì, -
dicevano. - Perbacco! È un vero peccato! Questo è un luogo delizioso di
villeggiatura.
- Senonché, -
rispondeva sospirando e grattandosi il capo il signor Lanzi, - senonché,
quando io ci avrò rimesso l'osso del collo e avrò loro offerto tutti i
comodi, come sul Generoso o sul Pilatus, lor signori diranno che i prezzi
son cari e non verranno, o penseranno: « Tanto vale andarcene in
Isvizzera! Si fa miglior figura! » E allora Pilato qua resterò io, con
tutti i miei comodi, e un palmo di naso.
Non sarebbe dunque
mai sorto l'albergo di tipo svizzero lassù?
Ma sì, l'anno
venturo senza dubbio.
E il signor Lanzi,
per distrarre i suoi avventori, mostrava loro il punto preciso dove la
nuova costruzione sarebbe sorta, e la descriveva coi più minuti
particolari, la faceva vedere, lì, come se già ci fosse, - che
splendore! - e discuteva e accettava i sennati consigli di questo e di
quello; e poi parlava degli studii già compiuti per la costruzione della
funicolare. Tutto pronto. Al prossimo ottobre.
- Bravo, bravo,
signor Lanzi! Una vera indecenza, quel Natale co' suoi somarelli
arrembati!
- Sci... brrr!
Sci... brrr!
La voce di Natale si
sentiva ora, a mano a mano, più prossima, sotto la macchia.
Il signor Lanzi con
l'ex-deputato Quagliola, calvo e botracciuolo, il giovane professor di
liceo Tancredi Picinelli, rosso di pelo, magro, lentigginoso,
compitissimo, si fecero su la spianata innanzi al convento. Trovarono
affacciati alle finestre delle cellette gli altri quattro avventori, in
attesa: la bionda signora Ardelli, il cui marito (uomo da bene, anzi da
benissimo) veniva ogni sabato sera dalla città vicina, ov'era impiegato
già cavaliere; l'avvocato Mesciardi che faceva la corte alla signora;
Quagliolino, il figlio del deputato, che tentava di farle la corte anche
lui, e si rovinava la salute, da povero collegiale; e infine il pretino
don Vinè che ne fuggiva la tentazione.
Prima comparve
l'asino e cadde: si abbandonò disperatamente, con le orecchie ciondoloni,
gli occhi chiusi, tutto trafelato e sbuffante, come a dire che proprio non
ne poteva più. Sopravvenne, arrovellato, come una furia d'inferno,
Natale, col randello brandito.
- Su, maiale! su!
Perché pare che un
asino si debba offendere a sentirsi dare del maiale. Ma invece no. Forse
Natale lo comprese e cominciò allora anche a sonargli randellate di santa
ragione. Però l’asino, - Suona! - come se non le dessero a lui.
Soltanto si provò a levare a metà un'orecchia spelata, quasi per sentire
da qual parte venissero.
Terzo, stronfiando,
arrangolato, comparve il nuovo avventore, l'avvocato Pompeo Lagùmina: un
gigante miope, furibondo contro la propria lente che non gli si reggeva più
sul naso sudato. Le ampie tese del cappello di tela bianca gli s'erano
ammoscite e appiccicate sul faccione, dal troppo sudore. Si precipitò su
l'asino, gridando a Natale che si cacciò la testa tra le spalle:
- Me lo carico io,
mascalzone, come Morgante il caval de la badia!
E si provò davvero
a caricarsi l'asino, tra le risate fragorose degli spettatori.
- Ma se è una
montagna! - gemette l'asinaio, per scusarsi col principale.
- E son venuto a
piedi! - gridò, sollevandosi, Pompeo Lagùmina. - Codesto tuo asino non
si regge su le gambe, più asino di te!
- Con quella cassa
piena di piombo... - grugnì allora Natale.
- Di scienza,
bestia! Sono libri! - incalzò Pompeo Lagùmina, prendendo per le spalle
Natale e dandogli un poderoso scrollone.
- E perciò l'asino
non li porta, - osservò placidamente l'ex-deputato Quagliola; mentre il
Lagùmina, infuriato, diceva a Natale:
- Non ti pago! Non
avrai mercede!
Il signor Lanzi
s'interpose, pieno di garbo:
- Faccia come vuole,
signore; ma si levi di qua, prego: è troppo sudato: può prendere un
malanno.
- Grazie. Non c'è
pericolo, - rispose il Lagùmina, protendendo il possente torace. - Lei è
l'albergatore?
- A servirla.
- Favorirmi, grazie.
Dunque senta: io l'asino non l'ho toccato Mi son provato a cavalcarlo: i
piedi mi strisciavano per terra, poi, a un certo punto, mi si piegò
sotto.
- Gli ha rotto il
filo della schiena! - tornò a brontolare Natale.
- T'uccido! - tonò
Pompeo Lagùmina, voltandosi e alzando, terribile, un pugno. - Non
fiatare!
La signora Ardelli,
dalla finestra, sbruffò un'irrefrenabile risata. Il Lagùmina alzò il
capo, irato; ma vide che il riso era partito da una signora e provò a
spiccicarsi dal capo sudato il cappello di tela, sorridendo anche lui,
come un buon bamboccione.
- Non se ne parli più!
Lo prende in grazia lei, signora?
Ma la signora
Ardelli era già scappata via dalla finestra.
- Son venuto qua
appositamente per studiare, - riprese il Lagùmina, rivolgendosi
all'albergatore e facendosi all’improvviso molto serio, quasi scuro. -
Avrei bisogno d'una stanza appartata.
- Ah, qua son tutte
cellette di frati, - disse il signor Lanzi, - fatte apposta per lo studio
e per la meditazione signore. Ecco, venga a vedere.
- Signori, - salutò
con un profondo inchino il Lagùmina, e seguì impettito, con passo da
granatiere, il signor Lanzi.
L'ex-deputato
Quagliola e il professor Picinelli alzarono il capo a guardare quelli che
si erano goduta la scena dalle finestre. Il Mesciardi si stropicciò le
mani, come per dire: - « Allegri! è venuto lo spasso! » - e Quagliolino
domandò:
- Piombo, Natale?
Hai ragione.
- Mi ha ammazzato
l'asino, mannaggia! - sacrò questi, mentre sudava a svincolar con le mani
e coi denti la corda che teneva legato il carico sul basto.
Il Picinelli si provò
a persuadere con le buone l'asino a rialzarsi; ma la povera bestia, che
conosceva soltanto il linguaggio del bastone, alle amorevoli esortazioni
drizzò le orecchie e le ribassò subito, chiudendo gli occhi e pensando
evidentemente: « Non dicono a me! ».
Poco
dopo, tramontato il sole, gli avventori del Romitorio si
disponevano a desinare sotto gli alberi della vetta, dalla parte di
levante.
Pompeo Lagùmina
s'era tutto rinfrescato con abbondanti abluzioni, e venne a prender posto,
beato e sorridente nell'ampio faccione di gigante pacifico, tra il
professor Picinelli e i due Quagliola. Portava sotto il braccio un grosso
libraccio rilegato.
- Eh, - sospirò,
chiudendo gli occhi e deponendo il libro su la tavola. - Non ho proprio un
minuto da perdere.
Ciascuno degli
avventori aveva il suo tavolino, solo i due Quagliola desinavano insieme.
L'avvocato Mesciardi tese l'orecchio per sentire ciò che diceva il nuovo
venuto: avrebbe voluto goderselo anche lui; ma non voleva lasciare il
posto accanto alla signora Ardelli. Ebbe un'idea: trasse dal porta togli
un biglietto da visita e andò a presentarsi al Lagùmina.
- Poiché lei s'è
fatto monaco con noi...
- Giustissimo!
Obbligatissimo! - esclamò il Lagùmina.
Si alzò e, con
molto garbo, distribuì in giro il suo.
- Io sono il più
anziano, - disse il Quagliola, - ma, in considerazione della statura, sarà
meglio cedere a lei, avvocato Lagùmina, il priorato del nostro convento.
- Accetterei molto,
molto volentieri, - rispose dolente il Lagùmina, - e saprei, non dubiti,
istituire (col beneplacito del nostro don Vinè) un nuovo Ordine coi
fiocchi, di romiti gaudenti: brigata spendereccia. Ma proprio non posso:
ho i minuti contati! Debbo prepararmi a un concorso difficilissimo: quello
di referendario al Consiglio di Stato.
- Nientemeno! -
esclamò il Mesciardi.
- Eh, purtroppo,
come si fa? - sospirò il Lagùmina. - Per me è vitale! Se non
riuscissi... ma che! ma che! non voglio neanche metterlo in dubbio. Ho però
solo un mese davanti a me. Quando ci penso, mi sento mancar l'animo.
Non l'appetito, però,
per dire la verità. Divorava. Si calò pulitamente nella voragine dello
stomaco un bislungo di risotto senza accorgersene, discorrendo del
concorso. Tanto che, quando con la forchetta nel bislungo, frugando, non
trovò più nulla, guardò in giro i commensali, poi il cameriere, e
disse:
- Se non m'inganno,
m'è parso buono. Vogliamo fare un bis? Portamene un altro. Eh,
l'aria montanina! Peccato che non possa goderne. Ma mi... mi... mi
conforta, ecco, mi conforta il pensiero che lo studio è stato sempre la
mia passione.
- Anche il risotto,
direi, - osservò piano il Quagliola, rivolto al Picinelli.
E anche, bisogna
dire la verità, anche le cotolette e il pollo e l'insalata, e via
seguitando. Don Vinè, magrolino e disappetente, ne rimase addirittura
esterrefatto.
E il libro? Un po'
di pazienza: a fin di tavola.
- Qua si sta
d'incanto! - esclamò, levandosi insieme con gli altri e prendendosi il
ventre con le mani, soddisfatto, satollo
- E ora, un tantino
al rezzo, eh? Proprio ci vuole.
E andò a sdrajarsi,
più là, a piè d'un faggio.
- Oggi è sabato...
Arrivo adesso... - si mise a pensare poco dopo, accendendo il sigaro,
beatamente. - Domani, domenica... Meglio cominciar da lunedì, per
assuefarmi prima, almeno un po', e togliermi ogni curiosità del luogo.
E guardava, intanto,
laggiù in fondo, azzurre e lievi nella lontananza, le giogaie degli
Appennini.
- Buona spina
dorsale della patria nostra!
Ecco: belle idee,
così nell'ozio, senza starci a pensare, gliene venivano, di tanto in
tanto, e qualche immagine robusta. Via via, l'avrebbe superata, quella
prova tremenda. Non era uno sciocco, perbacco! «Gli Appennini, spina
dorsale della patria.« - Chi sa se qualcuno lo aveva mai detto prima di
lui?
La testa gli
riposava male, appoggiata al tronco dell'albero: si tirò più giù e la
posò sul libro. Poco dopo ronfava, contemplato dagli altri avventori,
accorsi in punta di piedi al richiamo del terribile Quagliolino.
- Zitti! Studia... -
disse alla fine Quagliola padre, ponendosi un dito su le labbra. - Non lo
disturbiamo. È già entrato al Consiglio di Stato.
Ma ve lo lasciarono
star poco! Ogni sabato sera, la colonia del Romitorio accoglieva
con rumorosa festa il cavaliere Ardelli di ritorno dalla città. Alle
risa, al frastuono, il Lagùmina si svegliò di soprassalto, e poiché
aveva sognato gli esami e aveva avuto paura, d'un subito si tolse il libro
di sotto il capo per mettersi a leggere, con gli occhi gonfi e rossi dal
sonno interrotto. Quegli sfaccendati intanto gli vennero sopra, portando
in trionfo su l'asino l'Ardelli, che per la statura rivaleggiava col
Quagliola, ma aveva in compenso un testone da Golia.
- Ecco la novità! -
esclamò il Mesciardi, indicando il Lagùmina. - Le presentiamo il nostro
padre priore!
Il Lagùmina si alzò
sorridente.
- Ho detto che non
posso accettare. Mi vedono? Sto qui a rompermi la testa. Perdio, è già
sera? Leggendo, non me n'ero accorto.
- Lei ci perderà la
vista; glielo dico io! - esclamò con molta serietà il Quagliola.
Domenica.
Veramente, ecco,
s'era proposto di non perdere neppure un giorno, neppure un minuto. Ma non
aveva già la sera avanti stabilito con se stesso, che avrebbe cominciato
da lunedì? Sì, per assuefarsi un po' alla montagna, ecco. E poi, era già
troppo tardi.
- Le nove?
Perbacco, che
dormitona! Domani, lunedì, alle cinque, in piedi!
Si levò, si vestì,
si cacciò un altro librone sotto il braccio, e scese su la spianata.
Quanta gente!
Signore, signorine, venute su, giocondamente, coi somarelli dai paesi
vicini. Dalla parte di levante, tra due alberi, l'altalena: vi montavano a
turno altre signorine, con gridolini d'allegro spavento, a ogni spinta un
po' troppo forte dei giovanotti, ai quali, fingendo di non badarci, di non
pensarci, lasciavano intanto ammirare, nelle volate, i bei polpacci
stretti nelle calze colorate e traforate, e anche...
Pompeo Lagùmina
distolse gli occhi da quello spettacolo, aggrottando le ciglia. Ah, lui,
no! lui non doveva più guardare donne. Ne portava una nel cuore, e basta.
L'uomo serio, quando abbia preso un impegno, sia da vicino sia da lontano,
deve rispettarlo, fedele anche col pensiero. Via, via! E s'intenerì
pensando alla sua Sandra, alla sua modesta Sandrina, che da due anni si
consumava d'amore, aspettando il giorno delle nozze e lottando contro
l'arcigna madre che le teneva continuamente tra i piedi un cugino ricco,
quello stupido Mimmino Orrei, a cui Sandrina non risparmiava né sgarbi né
beffe. Povera Sandrina! Ma che poteva farci lui? Il cuore, sì, largo: un
mare! Quanto a cuore, Creso; quanto a soldi... - eh? Diogene... sì,
Diogene quando buttò via anche la ciotola, per bere nel cavo delle mani.
Ma veramente Diogene non quadrava bene al caso. Quel che sarebbe andato a
capello veramente - ah! - entrare al Consiglio di Stato. Allora sì la
madre avrebbe acconsentito alle nozze. Ma come studiare, come prepararsi
al concorso, lì, in città, dopo tante ore passate al Ministero di
Agricoltura Industria e Commercio, con la voglia matta di correre dalla
fidanzata? Impossibile! Ci voleva un mesetto di licenza, e andar lontano,
in qualche posto solitario. Ma ci volevano anche i mezzi.
Per miracolo a
Pompeo Lagùmina non spuntarono le lagrime, li, in presenza di tanta
gente, pensando a quello che aveva saputo fare Sandrina per lui. Aveva
messo da parte, di nascosto, chi sa con quanto stento quelle mille lire
che gli aveva date a viva forza per mandarlo via, lontano da lei, a
studiare. E tutto ora dipendeva da quell'esame.
Subito Pompeo Lagùmina
aprì il libro.
- Anche qui? fra
tanto chiasso? - venne a dirgli l'avvocato Mesciardi, il quale per far
dispetto alla signora Ardelli che in quel giorno era tutta del marito, se
ne stava a guardar le gambe delle signorine su l'altalena.
- Ha ragione! -
sospirò il Lagùmina. - Qua non è possibile! Il nostro convento è
invaso oggi dalle demonia!
E rise. (Ecco!
un'altra bella frase, di sapore classico. Erano il suo forte. Gli venivano
spesso, così, a lampi, spontaneamente!) Si alzò, pensò d'internarsi giù
nella macchia che vestiva, nel rigidissimo pendio, tutto il monte.
Che bellezza! Che
ombra! Che frescura!
- Ohi ! ohi!
Niente. Un
ruzzolone. Perbacco, bisognava andar cauti, con tutto quel pacciame di
foglie per terra, lubrico tappeto. S'era fatto un po' male all'osso sacro.
E il libro? Guarda, era scivolato fino a quel tronco laggiù...
Il Lagùmina non
ebbe più coraggio di muovere un passo: si teneva aggrappato a un
cespuglio e provava ad allungare un piede... via... fino a quel tronco...
là! Ma il naso, no! che c'entrava? E per miracolo non gli s'erano rotte
le lenti, urtando nel tronco. Via, con più cautela... Era pur divertente
quell'andar così, a volate. Un'altra... e poi un'altra... Giù giù, di
tronco in tronco, si ridusse fin quasi a piè del monte.
- Bravo, Pompeo! E
ora a risalire ti voglio!
E il libro? Ma
guarda un po'! se l'era dimenticato per terra, lassù... E come
ritrovarlo, adesso? fra tanti alberi?
- Se non lo trovo,
son rovinato! Su... su...
Lo ritrovò, per
fortuna, dopo circa tre ore di smaniosa ricerca: lo ritrovò lì aperto,
tra le foglie secche a piè del tronco, con un segno evidentissimo che un
uccellino vi s'era posato a leggere, a studiare in sua vece e a digerir
per lui, subito subito, tutte le cognizioni apprese in un batter d'occhio.
- Ma che
sporcaccione!
Riguadagnò infine
la vetta, infocato strappato sbracato, in un mar di sudore e con un
formidabile appetito.
Lunedì
Prima di tutto, i
libri a posto! - Erano le cinque in punto; l'ora stabilita; e Pompeo Lagùmina,
contentone, si diede una fregatina alle mani.
Ma il tavolino...
eh, troppo piccolo per tutti quei grossi libri! voleva averli sotto gli
occhi, tutti, a portata di mano. Un tavolino più grande, intanto, non
sarebbe entrato nella colletta. Come fare? Un lampo! dei suoi! La cassa,
su due seggiole, accanto al tavolino. Ecco fatto!
E si mise con molta
diligenza a disporre i libri per materia, poi preparò la carta per gli
appunti, temperò il lapis nero e poi quello rosso e turchino, per certi
suoi segni particolari (espedienti mnemonici!) e finalmente si sedette per
intraprendere la grande preparazione.
- Avvocato Lagùmina!
Avvocato Lagùmina!
Ecco gli
sfaccendati!
Pompeo Lagùmina
sbuffò, scotendo in aria, rabbiosamente le pugna. Ma li avrebbe lasciati
cantare. Perbacco, era una vera indiscrezione! Sapevano bene che egli non
era venuto lassù per divertirsi.
- Padre Lagùmina!
- Padre Priore!
E dàlli col priore!
Intanto, a non rispondere, chi sa per quanto tempo avrebbero seguitato a
chiamarlo; e poi potevano anche credere che egli se ne stesse ancora a
dormire.
S'affacciò alla
finestra:
- Signori miei,
chiedo scusa. Sto qui dalle cinque a studiare. Già lo sanno.
- Non so nulla! -
gridò il signor Ardelli montando su l'asino - Io me ne ritorno in città
e voglio essere accompagnato da tutta la comunità fino all'uscita della
macchia!
- Non posso, mi
scusi, - rispose il Lagùmina. - Lei ha già tanta bella compagnia. Mi
lasci studiare.
Non sento ragione! -
rispose l'Ardelli. - Non posso rinunziare al priore.
- Ma è l'onorevole
Quagliola il priore...
E allora io, priore,
- disse questi, - le ordino di scendere per accompagnare il nostro frate
cercatore.
Benissimo!
Benissimo! - approvarono gli altri.
E il Mesciardi
aggiunse:
- Via, avvocato Lagùmina,
pensi che una passeggiatina di buon mattino fa bene al cervello,
schiarisce le idee.
- Questo è vero, -
si piegò a dire il Lagùmina, per cortesia, e anche... sì, perché era
indubitabile che una passeggiatina...
Non l'avesse mai
detto! - Dunque scenda! dunque scenda! - gridarono a coro gli sfaccendati.
Poteva più rifiutarsi? Si ritrasse dalla finestra; sbuffò un'altra
volta, e scese.
- Presto però! Mi
raccomando! - premise.
- Il tempo di
scendere e di risalire... - gli risposero.
Ma così nello
scendere come nel risalire, lo fecero parlar tanto del suo difficilissimo
concorso, che si ridussero su la vetta del monte all'ora della colazione.
Pompeo Lagùmina se
ne mostrò inconsolabile. Protestava di non voler mangiare.
- Una mattinata
perduta!
- Eh via, che ci
vuol fare adesso? - gli disse il Mesciardi. - Pazienza! Studierà dopo.
- Ma si studia bene
di mattina, lo sanno, - gridò stizzito il Lagùmina. - Mi lascino
andare... Non mi trattengano...
- Se lei non si
nutre, - osservò con la solita serietà flemmatica il Quagliola, - glielo
dico io, non potrà resistere all'enorme fatica. È vero, signora Ardelli?
- Ma l'avvocato
mangerà: - concluse questa. - Vorrà scusarci, se non abbiamo saputo fare
a meno della sua graziosa compagnia...
- Ma che dice mai,
signora! - esclamò, con subita commozione, il Lagùmina. - Ma io sarei
felicissimo... se non mi trovassi in queste angustie...
- Le promettiamo, -
riprese la signora Ardelli, - che non la disturberemo più. Va bene così?
E ora mangi: faccia questo piacere a me.
Così, quella
mattina, proprio per far piacere a quella gentilissima signora che lo
aveva pregato con tanta insistenza, Pompeo Lagùmina mangiò. Mangiando,
chiacchierando, dimenticò la stizza e il dispiacere, e poté fare onore
al suo appetito: tanto che stentò non poco, alla fine, a sollevarsi dalla
seggiola. Ma - nessuna remissione, adesso: - studiare!
- Lor signori vanno
a dormire! Io ritorno ai miei libri. Buon riposo!
E salì alla sua
celletta. Veramente, armato di tutta la buona volontà, si mise a
studiare. Sentiva in sé, specialmente su le pàlpebre, il nemico
invasore, il sonno; e voleva con tutte le forze resistergli; ma,
impegnando così, in quello sforzo, tutta l'attenzione, leggeva e non
capiva. Si agitò smaniosamente su la seggiola, e riprese daccapo la
lettura. Ora però, concentrando invece sul libro tutta l'attenzione,
allentava per conseguenza lo sforzo di resistenza al sonno. Così, pian
piano, il nemico lo invase, senza ch'egli se n'accorgesse: gli occhi gli
si chiusero da sé. A un crollo più forte del capo, si svegliò,
intontito. Si guardò attorno: vide il letto. Era inutile, via! Bisognava
assolutamente che si concedesse, dopo tutto quel pasto, con tutto quel
caldo, un'oretta di sonno: un'oretta sola.
Si svegliò, che era
già quasi sera.
- Dio, che aria
rannuvolata! - gli gridò Quagliola dallo spiazzo, vedendolo alla
finestra. - Ho capito. Lei ci vuole proprio lasciar la pelle!
- Eh sì, difatti, -
borbottò il Lagùmina, passandosi una mano su la fronte e su gli occhi,
come se davvero avesse fin'allora studiato ma non tanto per farlo credere
agli altri, quanto per il bisogno angoscioso di crederlo egli stesso.
- Venga giù! Noi
abbiamo già desinato.
- No, più tardi, se
mai, - rispose il Lagùmina. - Adesso devo scrivere una letterina.
E scrisse alla sua
cara Sandra che egli lassù era solo, solo in compagnia d'un grosso cane
che i vecchi frati non avevano potuto indurre ad abbandonare l'antico
romitorio; e ch'egli lassù, in quella solitudine alpestre, sentiva
freddo, freddo anche dentro, nell'anima, così lontano da lei, e che per
consolarsi studiava ininterrottamente, anche durante il pasto frugale, che
ogni mattina un ragazzetto gli recava dal prossimo paesello, lì
nell'antico refettorio de' frati, deserto, mentre il vento urlava di
fuori, squassando gli alberi annosi della vetta e il grosso cane lo spiava
intento, coi grandi occhi buoni, pieni di silenzio...
S'intenerì fino
alle lagrime Pompeo Lagùmina rileggendo quella sua patetica lettera,
sincerissima nelle bugie, poiché egli di gran cuore, ardentemente,
avrebbe desiderato che fosse vero tutto ciò che aveva scritto. E discese,
poco dopo, cupo raffagottato, con un nodo alla gola, a cenare.
Martedì.
Per l'orrore che la
vista del letto gl'ispirava, dopo il tradimento del giorno avanti, il
martedì mattina Pompeo Lagùmina decise di recarsi a studiare nella
macchia, all'ombra, tranquillamente. Così anche nessuno lo avrebbe
disturbato.
Scelse il libro da
portarsi, prese il quaderno degli appunti, e via.
S'era da poco
internato nella macchia, quando un grido represso lo fece sobbalzare.
Quagliolino, tutto affocato in volto, con gli occhi lustri, s'era d'un
subito rivoltato, pancia a terra e lo guardava, sospeso e sorridente.
Il Lagùmina sorrise
anche lui, e gli domandò, crudele:
- L'ho disturbato?
- No. Niente, -
rispose, abbassando gli occhi, il giovinetto; e aggiunse: - Ha veduto...
di là?
- Che cosa? No sa?
stia tranquillo. Non ho veduto niente.
- Dico, se ha veduto
di là il bello spettacolo che offrono tra la macchia certi signori!
- Ah! E chi?
- Mah... vada a
vedere... di là...
E indicò un punto
nella macchia. Il Lagùmina, vivamente incuriosito, vi si diresse. Poco
dopo, Quagliolino lo raggiunse:
- Faccia piano... in
punta di piedi... Non so se ci siano ancora.
- Ma chi sono? -
domandò di nuovo il Lagùmina.
- Come? Non l'ha
ancora capito? Ma il Mesciardi e la signora Ardelli!
Pompeo Lagùmina
spalancò tanto d'occhi:
- Dice sul serio?
Fino a questo punto?
Quagliolino sospirò,
accigliato, dicendo di sì, col capo.
- E quel povero
cavaliere! - riprese il Lagùmina. - Eh, perciò ieri gli hanno fatto
tanta festa?
- Ma glie la fanno
ogni giorno! - raffibbiò Quagliolino.
- Eh... che vuole! -
esclamò il Lagùmina, traendo un tran sospiro. - Il luogo è tentatore!
traditore! L'ozio... la stagione... L'uomo, hic et haec, bestia,
sa? bestia vile... cede, cede... Non c'è buona volontà che tenga... Vede
me? Ero venuto qua, apposta, per studiare. Con questa notizia, lei m'ha già
tutto scombussolato... È orribile, non tanto, veda, questo tradimento che
ci avviene per caso di scoprire, quanto, in generale, l'accertamento della
comune miseria umana, della debolezza della nostra natura, esposta alla
mercé dei casi, delle circostanze propizie allo sviluppo dei germi del
male in tutte le sue gradazioni, dal più piccolo fallo fino al delitto più
mostruoso. Ah, il male è invincibile in noi, invincibile!
E seguitò su questo
tono, a lungo, a lungo, abbagliandosi lui stesso nei lumi del suo
discorso, e quasi inebriandosi della sua voce, felice, beato delle idee
originali e profonde che gli sgorgavano così facilmente dal cervello e
intontivano quel povero ragazzo che credeva di non meritarsi questo da
lui.
Quando poté
riprender fiato dallo stordimento, Quagliolino domandò:
- Vogliamo tentare
se ci riesce di scovarli?
Pompeo Lagùmina non
sapeva più di che si parlasse; voleva ripensare a quel che aveva detto, e
non ci riusciva. Disperazione! La sua intelligenza era proprio così a
lampi. Era capace, in certi momenti, di restare come un allocco davanti a
un ragazzina; e, in certi altri, di stordire il mondo.
- Andiamo?
- Ebbene, sì,
andiamo.
S'aggirarono per la
macchia come due segugi, parecchie ore, arrestandosi di tratto in tratto,
sospesi, ansiosi, a ogni minimo rumore, al crollo d'una foglia secca in
distanza. Pompeo Lagùmina si sentiva animato in quella ricerca da uno
spirito eroico, come se dovesse salvare l'umanità da una grande infamia.
- Povero cavaliere!
Ma, per quanto
cercassero, non riuscirono a scoprire i due colpevoli. E così, anche
quella mattina si fece l'ora della colazione, senza che Pompeo Lagùmina
avesse aperto il libro.
Mercoledì,
giovedì, venerdì...
Man mano che i
giorni passavano così vuoti, ora per una ragione, ora per un'altra, da
una parte l'avvilimento e il rimorso, dall'altra la trepidazione
angosciosa per gl'incombenti esami, crescevano nell'anima di Pompeo Lagùmina,
e certi giorni diventavano così pungenti e forti ch'egli non poteva più
star solo, lì nella celletta; si vedeva proprio costretto a scappare, per
parlar con qualcuno, e distrarsi. La vista di tutti quei libri, di cui già
avrebbe dovuto leggere almeno una buona parte, gli diventava
intollerabile; tutta quell'enorme materia di scienza politica, giuridica,
amministrativa, gli s'accumulava, gli sorgeva davanti agli occhi come una
montagna insormontabile che gli levava il respiro; e allora scappava,
disperato, si presentava su la spianata, ove, all'ombra degli alberi,
quegli altri beati se ne stavano in ozio, a sfrottolare.
- Una boccata
d'aria! Mi si gonfiano le tempie. Mi fuma la testa.
E ora si metteva a
parlare fervorosamente, per stordirsi, ora se ne stava muto, aggrondato, e
poco dopo riscappava, tornava su, a studiare, esortandosi a non perdersi
d'animo; e riapriva i libri, riprendeva la lettura. Dopo alcune pagine però,
scontrando la prima difficoltà, risentiva più profondo l’avvilimento;
e di nuovo la smania lo assaltava, come una vellicazione irritante allo
stomaco, un'angosciosa rabbia che lo rendeva crudele, feroce contro se
stesso. Si sarebbe preso a schiaffi; sgravata la faccia; mugolava coi
gomiti sul tavolino, il testone tra le mani che tenevano forte acciuffati
i capelli.
- Che colpa ha lui,
poveretto, - diceva intanto Quagliola ai compagni, su la spianata, dopo
essersi accertato che il suo figliuolo non stava lì ad ascoltarlo, - che
colpa ha lui, se la natura lo ha dotato di quel corpo così prepotente,
che vuol mangiare e dormire, e che quando ha mangiato, caschi il mondo,
non riceve più cognizioni di sorta? Chiude gli occhi, e buona notte! Può
tenerseli aperti per forza? Quando on si può, non si può.
E per carità di
prossimo, andava coi compagni sotto le finestre del Lagùmina e lo
chiamava, perché egli potesse addebitar loro la colpa del tempo perduto,
e per offrirgli così il pretesto di sottrarsi senza rimorso al suo
martirio.
- Debbo studiare! -
dichiarava l'infelice ogni volta, affacciandosi alla finestra.
- Va bene! va bene!
- gli rispondevano dalla spianata Mesciardi o il Quagliola o il Picinelli.
- Ma intanto venga un po' giù, che diamine, un momento di respiro. Guardi
abbiamo bisogno di lei; ci levi un dubbio!
E fingevano di
credere alla gran preparazione che egli diceva d'aver fatta in quel
giorno, e lo incoraggiavano:
- Bravo, avvocato!
Siamo già in porto! Ora si riposi un tantino!
Pompeo Lagùmina si
mostrava loro gratissimo di quel momentaneo sollievo, di quelle buone
parole: il cuore gli si gonfiava dalla tenerezza, gli spuntavano finanche
le lagrime, dietro gli occhiali. Se li sarebbe baciati! Si stizziva invece
contro di loro e arrivava a odiarli, quando si dimenticavano di lui, e lo
lasciavano lì solo, nella celletta, senza disturbarlo. Si affacciava
allora, non chiamato, alla finestra, per farsi vedere; e tendeva,
irresistibilmente, l'orecchio per sorprendere qualche parola dei loro
discorsi, e borbottava:
- Potrebbero parlar
più basso... Brutte bestie! Egoisti! si divertano... è giusto, durante
la villeggiatura... Ma potrebbero andarsene più al largo, a conversare...
Proprio qui, dove sanno che c'è un pover'uomo che deve studiare?
Così
si arrivò alla terza domenica del mese, durante la quale fu inaugurato su
la vetta il giuoco delle Grazie, coi cerchi e le bacchette portati da quel
demonio tentatore del cavaliere Ardelli, per innocente passatempo dei
poveri frati del Romitorio.
Nessuna delle
signorine venute lassù quel giorno si dimostrava destra in quel giuoco, e
neppure la signora Ardelli riusciva a insegnar loro il modo di lanciare il
cerchio con le due bacchette e di coglierlo poi a volo. Pompeo Lagùmina,
distratto continuamente dagli scoppii di riso di quelle signorine, s'era
affacciato più volte, furibondo, alla finestra. Neppure in quel giorno
festivo egli aveva voluto concedersi vacanza:
Voglio vedere chi la
vince! - aveva ripetuto più volte a se stesso, nella mattinata.
Ma era troppo il
chiasso giù. E più d'una volta, affacciato alla finestra, partecipando
con gli occhi, involontariamente, a quel nuovo divertimento, si era
sentito prudere le mani, perché - quantunque miope - era bravissimo, lui,
in quel giuoco. Finalmente, una volta, non seppe tenersi dal gridare a
quelle signorine:
Ma non così! Non
così, scusino!
Si voltarono tutte a
guardare verso la finestra, e la signora Ardelli lo pregò
insistentemente, lo supplicò di scendere a far da maestro.
- Solo per cinque
minuti... Mi raccomando! - premise il Lagùmina.
Insegnava da circa
un'ora - eh! oilà! oilà! - tutto sudato, come si lanciasse il cerchietto
delle Grazie, tra gli evviva e gli applausi di quella gaja frotta di
signorine, quando...
Fu proprio un
fulmine a ciel sereno.
Pompeo Lagùmina
rimase impietrito, con le due bacchette levate, e il cerchietto ch'era per
aria venne a insertarglisi su la fronte, come una corona. Risero tutti, e
rise anche lui, cercando di dominarsi e accorrendo verso Sandrina e la
madre, che stavano a osservarlo zitte zitte, con l'occhialetto - lì, su
lo spiazzo.
- Che bella
improvvisata!
- Bugiardo!
- Imbroglione!
- Come... ma no!
perché?
- Burattino!
- Buffone!
- Sandrina mia... Ma
sentite..`
- Vada via!
- Si vergogni!
Non vollero
lasciarlo parlare, non vollero sentir scuse appena egli apriva bocca,
subito gli esplodevano così a bruciapelo, un insulto per una. Poi gli
voltarono le spalle, e via, ridiscesero il monte senza riposarsi neppure
un momento, né voler bere neanche un sorso d'acqua.
Pompeo Lagùmina andò
a chiudersi nella celletta, e si buttò sul lettuccio, ove rimase un pezzo
in una tetraggine attonita, di cui egli stesso, a un certo punto, ebbe
sgomento. In quel vuoto orrendo, in quella sospensione terribile della
coscienza, una truce idea gli s'era affacciata, a cui egli, avvilito,
perduto, non sapeva ribellarsi. Pensò che non aveva armi con sé. Gli
sovvenne il racconto che il signor Lanzi aveva fatto alcuni giorni
addietro del suicidio d'un povero carabiniere, il quale, nello scorso
inverno, era venuto a buttarsi da uno dei rocchi del monte, dalla parte di
ponente. Orribile morte!
Ma, alla fine,
soccorso dalle risate delle signorine su la spianata, egli poté sottrarsi
all'incubo di quella idea spaventevole.
Si alzò dal letto e
decise di scrivere una lunga lettera di spiegazione a Sandrina;
proponendosi di rimeditare sul proposito violento, dopo la risposta della
fidanzata a quella sua lettera.
Naturalmente, in
quei giorni di tremenda attesa, non gli fu possibile studiare. E chi
avrebbe potuto, in quelle condizioni di spirito?
Scendeva,
angosciato, funebre, a desinare, e non s'accorgeva di mangiare; poi andava
a buttarsi di nuovo sul letto, e soltanto nel sonno trovava un po' di
requie.
Dopo due giorni,
arrivò la risposta; ma non di Sandrina. Gli scriveva la madre e gli
diceva che alla figlia era bastato lo spettacolo indecente di quel giorno,
perché rinsavisse e le desse finalmente la consolazione di accogliere il
suo saggio, antico consiglio: quello di accettar la mano del cugino
Mimmino Orrei immeritamente da lei respinto. Ogni relazione tra lui e
Sandrina era rotta per sempre.
Pompeo Lagùmina si
precipitò su la spianata con quella lettera in mano. Il suo spirito era
come ubriacato dal dispetto; ma il corpo gigantesco trionfava nella
ricuperata libertà, come se si fosse tolto un macigno dal petto.
- Allegri, signori!
- gridò agli amici sfaccendati. - Non debbo più dar l'esame; posso ora
assumere la carica di Padre Priore! Ehi, cameriere! Che diamo oggi a
questa brigata spendereccia?
Ogni mercoledì corredo grande
di lepri, starne, fasani e pavoni,
e cotte manze et arrosti capponi
e quante son delicate vivande... |