PUBERTA'
L'abitino alla marinara non era più per lei: la nonna
avrebbe dovuto capirlo.
Certo, trovare un modo grazioso di vestirla, che non fosse più da
ragazzina e non ancora da grande, non era facile. Aveva visto jeri la
Gianchi: che orrore, poverina! Impastojata in un sottanone grigio peloso
lungo fin quasi alla noce del piede, non sapeva più come muoverci dentro
le gambe.
Anche lei però, con tutto quel seno in quella giubbetto da bimba!
Sbuffava e scoteva con stizza la testa.
L'avvertimento della fragrante esuberanza del suo corpo, in certe ore, la
congestionava. L'odore dei suoi capelli densi, neri, un po' ricciuti e
aridi, quando se li scioglieva per lavarseli; l'odore che le esalava da
sotto le braccia nude quando le alzava per sollevare il soffocante volume
di quei capelli; l'odore della cipria intrisa di sudore, le davano smanie
più di nausea che d'ebbrezza: per le tante cose segrete e ingombranti che
quell'improvvisa e violenta crescenza le aveva d'un tratto rivelate.
Cose che, certe sere mentre si spogliava per andare a letto, se ci fissava
appena il pensiero o un'immagine le balzava davanti, dalla rabbia e dallo
schifo che n'aveva, avrebbe scaraventato le scarpette contro l'armadio
laccato bianco a tre luci, dirimpetto, dove si vedeva tutta, così mezza
nuda, con una gamba tirata un po' sconciamente sull'altra. Si sarebbe
presa a morsi, graffiata, a piangere da non finir più. Poi le veniva da
ridere, convulsa, tra le lagrime; e se pensava d'asciugarsi quelle
lagrime, ecco che si buttava a piangere di nuovo. Forse era una sciocca.
Chi sa perché, una cosa così naturale, le doveva parer tanto curiosa?
Già con quella prontezza che hanno le donne a capire da uno sguardo che
s'è fatto un pensiero su loro, se un uomo la guardava per via, abbassava
subito gli occhi.
Non capiva ancora in che potesse consistere il pensiero che un uomo può
fare su una donna. Turbata con gli occhi bassi, provava un irritante
ribrezzo, rafffigurandosi nell'incertezza, senza volerlo, qualche intimo
segreto del suo corpo, come se lo conosceva.
Senza più guardare, si sentiva guardata.
E si struggeva d'indovinare che cosa guardassero gli uomini a preferenza
in una donna. Ma questo, forse, l'aveva già indovinato.
Appena sola, in casa, si lasciava cader di mano i libri di scuola o i
guanti, apposta per chinarsi a raccattarli. Chinandosi, dalla scollatura
si sbirciava il seno. Non aveva però finito d'intravederselo e
d'avvertirne appena il peso, che s'acchiappava il grosso nodo del
fazzoletto nero di seta sotto il bavero della giubbetta alla marinara e se
lo strappava subito in su, in su, fino agli occhi, disgustatissima.
Un momento dopo, raccoglieva con l'una e con l'altra mano da ambo le parti
la stoffa di quella giubbetto; se la stirava in giù, perché le aderisse
al busto eretto; andava davanti allo specchio; si compiaceva anche della
promettente curva dei fianchi:
- Seducentissima signorina!
E scoppiava a ridere.
Sentì la voce bizzosa della nonna, che la chiamava giù,
dall'hall del villino, per la lezione d'inglese.
La nonna, per farla stizzire, la chiamava al solito Dreina e non Dreetta
come lei voleva esser chiamata. Bene: sarebbe discesa, quando finalmente
alla nonna sarebbe venuto in mente di chiamarla Dreetta e non Dreina.
- Dreetta! Dreetta!
- Eccomi, nonna.
- Eh, santo Dio. Fai aspettare il professore.
- Scusami. Ho sentito ora.
D'estate, nel pomeriggio, per ordine della nonna tutte le finestre del
villino erano tenute ermeticamente chiuse. Dreetta, s'intende, le avrebbe
volute tutte spalancate. Le piaceva tanto, perciò, che il sole
prepotentissimo, in quell'ombra voluta, ch'era quasi bujo, trovasse pur
modo di penetrare.
Frano fremiti e guizzi di luce per tutte le stanze, come scoppiettii di
riso infantile nella severità d'un silenzio comandato.
Anche lei, Dreetta, era spesso così tutta fremiti e guizzi, e tante volte
come abbagliata, avvolta e rapita da veri lampi di follia. Subito dopo
s'oscurava per il sospetto segreto che le venissero dalla madre ch'ella
non aveva mai conosciuta e di cui mai nessuno le aveva parlato. Del padre
sapeva soltanto che era morto giovane; non sapeva come. C'era un mistero,
e forse laido e truce, nella sua nascita e nella fine immatura dei suoi
genitori. Bastava guardare la nonna per intenderlo: la nonna, in quel suo
viso di cartilagine e in quegli occhi torbidi, su cui le grosse pàlpebre
pareva pesassero, una più e l'altra meno. Sempre vestita di nero,
aggobbita, se lo teneva stretto con tutt’e due le braccia dentro il
petto, quel mistero: le mani sotto la gola: l'una, a pugno chiuso;
l'altra, deformata dall'artrite su quel pugno. Ma Dreetta non voleva
conoscerlo. (già le pareva di saperlo, dal modo con cui tanti la
guardavano sentendola nominare, e dallo sguardo che poi si scambiavano tra
loro, esclamando quasi senza volerlo - Ah, è la figlia di... -. E non
aggiungevano altro. Fingeva di non udire. Del resto, c'era adesso per lei
lo zio Zeno, con la zia e le cuginette che venivano a prendersela quasi
ogni giorno e le procuravano ogni sorta di svaghi. Lo zio avrebbe voluto
averla in casa con sé, visto che zia Tilla, sua moglie, le voleva bene
quasi quanto alle sue figliuole; ma finché la nonna era in vita,
bisognava se ne stésse con lei.
Dreetta era sicura che la nonna, sempre con quel pugno sotto la
gola, non sarebbe mai morta. E questa era una delle cose che più spesso
le accendevano quei lampi di follia.
Avevano un bel mostrarle le cuginette la camera che le era già destinata,
e come gliel'avrebbero adornata, e inventar la vita come insieme sempre
tutt’e quattro la avrebbero allora vissuta; se ne compiaceva, diceva a
tutto di sì, si buttava a inventare anche lei; ma in fondo non si faceva
neppure la più lontana illusione che quel sogno si potesse avverare.
Se mai le fosse avvenuto di potersi liberare, la liberazione doveva
aspettarsela da un caso imprevedibile lì per lì: un incontro per via,
per esempio. Ragion per cui, andando a passeggio con lo zio e le cuginette,
o recandosi a scuola o ritornandone, era sempre accesa e come ebbra, in
un'ansia fremente che non le faceva prestare orecchio a quel che le
dicevano, intesa a guardare di qua e di là, con gli occhi lampeggianti e
un sorriso nervoso sulle labbra, come se veramente si sentisse esposta a
quel caso imprevedibile che doveva coglierla e rapirsela all'improvviso.
Era pronta. Nessun vecchio signore inglese o americano s'invaghiva di lei
fino al punto di venire a chiedere allo zio...
- la sua mano?
- no! che!
la concessione d'adottarla per portarsela via, via lontano dall'incubo di
quella nonna, dalla benevolenza così ostentatamente pietosa della zia; a
Londra, in America, per poi sposarla colà a un nipote o al figlio d'un
amico?
Questa stramberia del vecchio signore inglese o americano le era entrata
nella testa per non ammettere che, almeno subito, la liberazione le
potesse venire da un matrimonio. Da quelle torbide sensazioni che le
ingombravano impetuosamente l'animo di vergogna e di dispetto per le
precoci esuberanze del suo corpo, e anche da come gli uomini la guardavano
per via, glien'era già nata l'idea, come d'una cosa possibile, ma da
arrossirne: eh via, sì! sposare, alla sua età! Per non arrossirne, ci
metteva di mezzo, come a riparo, la inverosimiglianza di quel caso
d'adozione da parte di un vecchio signore inglese o americano; inglese o
americano perché, dovendo sposare - ah questo sì, sul serio - non
avrebbe sposato che un inglese o un americano, lavato a sette acque e con
un po' di cielo, con un po' di cielo almeno negli occhi.
Studiava l'inglese per questo.
Curioso che, tenendo così lontana l'idea del
matrimonio per non arrossirne, non avesse finora veduto nella persona di
Mr. Walston, suo professore, vicinissimo l'inglese che avrebbe potuto
sposarla.
Subito diventò di bragia, come se Mr. Walston le stésse lì davanti per
questo; e si sentì raccapricciare da capo a piedi notando che anche lui,
a sua volta, arrossiva. Eppure sapeva bene che il signor Walston per sua
natura arrossiva di nulla: ne aveva tanto riso come di cosa ridicolissima
in un uomo di così potente corporatura, quantunque veramente dall'aria
bambinesca.
Pareva più enorme, lì in piedi, presso il gracile tavolinetto dorato del
salotto, davanti la finestra, dove di solito le impartiva la lezione.
Tutto vestito estivamente di grigio chiaro: la camicia celeste, le scarpe
gialle. E sorrideva d'un sorriso vano, scoprendo nell'apertura della larga
bocca i pochi denti che per una infermità delle gengive gli restavano.
Sorrideva, senza neppur sapere d'avere arrossito nell'alzarsi all'entrata
della sua piccola alunna, lontanissimo com'era dal pensiero che questa
aveva fatto su lui. Invitato a sedere, prese dal tavolino la grammatica
inglese, guardò di sopra le lenti con gli occhi azzurri inteneriti
l'alunna come a raccomandarsi di non essere interrotto nella lettura dai
soliti irrefrenabili scatti di riso alla pronunzia di certe parole; e si
mise a leggere, accavalciando una gamba sull'altra.
Ora avvenne che, così grosso com'era, nell'accavalciare la gamba scoprì
sopra la calza bianca di filo, quasi tutto il polpaccio, con l'elastico
tirato della vecchia giarrettiera color di rosa. Dreetta lo intravide e
subito ne provò schifo: quello schifo che pure attira a guardare. Notò
che la pelle di quel polpaccio era d'un bianco smorto e che su quella
pelle s'arricciolava qua e là qualche metallico peluzzo rossiccio. Nella
penombra tutto il salotto pareva in un'immobile attesa, come per fare
avvertire di più in più a Dreetta il contrasto tra la sua strana ansia
esasperata da quello schifo, quasi da un contatto scottante di vergogna, e
la placidità estranea e pensante di quel grosso inglese che leggeva, col
polpaccio scoperto, come un qualunque marito già sordo a tutte le
sensibilità della moglie.
- Present Time: I do not go, io non vado; thou dost not go,
tu non vai; he does not go, egli non va.
Tutt'a un tratto, Mr. Walston si sentì intronare le orecchie da un grido
e, sollevando gli occhi dal libro, vide stolzare la sua alunna, come se
qualche cosa le fosse passata per le carni all'improvviso, e precipitarsi
fuori del salotto urlando frenetica col viso nascosto tra le braccia.
Stonato, col volto in fiamme, si guardava ancora attorno per
raccapezzarsi, quando si vide davanti la vecchia nonna che quasi ballava,
convulsa dallo sdegno, gridando parole incomprensibili. Tutto poteva
immaginarsi il pover'uomo tranne che il sorriso vano, di smarrimento, nel
suo faccione affocato, potesse in quel momento esser preso come un sorriso
d'impudenza.
Si vide afferrare per il petto da un cameriere accorso alle grida e
cacciare a spintoni fuori della porta, nel giardino. Ebbe appena il tempo
d'alzare il capo a uno strillo che veniva dall'alto:
- Professore, mi prenda!
Intravide un corpo penzolante dal cornicione del villino: Dreetta
scarmigliata, con gli occhi lampeggianti di follia, che serrava i denti,
per terrore, e s'agitava come per riprendersi, pentita: poi, un riso
lacerante, che rimaneva un attimo nell'aria, scia dell'orribile tonfo di
quel corpo che s'abbatteva sfragellandosi ai suoi piedi.
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