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VEXILLA REGIS... >>
Uscito? Così per tempo? E perché? La signorina Alvina
Lander, tanto alta di statura, quanto nel corpo magra; lunga di gambe e le
braccia ossute, ciondoloni; l'enorme volume dei capelli ritinti d'un color
d'oro scialbo e cascanti su gli orecchi, su la fronte e, in neglette
trecce, su la nuca; picchiò con le grosse nocche su un uscio del
corridojo in penombra e attese, abbassando le palpebre su i vivi occhietti
ceruli mobilissimi.
Per infermità di
molti anni era insordita, e per questa cagione potentissima; benché non
fosse questa sola. Ce n'erano altre, ciascuna delle quali avrebbe potuto
fare più che infelice una donna, non che tutte insieme, com'ella spesso
soleva esporre all'avvocato Mario Furri, della cui figliuola Lauretta era
da tredici anni governante. E innanzi tutto, la perdita di tanta vita
inutilmente; poi, un certo tradimento, di cui il signor avvocato era a
conoscenza, e per cui quello stato di servitù in Italia; e la debolezza,
se non la vecchiaja, venuta prima del tempo e la ignoranza. Infine delle
cose del mondo, causa di tanti mali e di tanti mancamenti, per i quali
veniva accusata, quand'invece avrebbe dovuto essere, non solo scusata, ma
compatita e soccorsa anche; mah! mah!
Sospettava la
signorina Lander che nell'animo delle persone con cui praticava fossero
impressi due falsi concetti di lei I uno di malizia, l'altro di ipocrisia;
del che era pur forse cagione la sordità. Ma questo sospetto era in lei
ormai invecchiato, e lei nel sospetto. Così pure erano invecchiati e
tenacemente radicati nell'aspra sua gorga tedesca alcuni errori di
pronunzia, non ostante che ella intendesse benissimo l'italiano; troncava,
per esempio, certe parole giusto dove non doveva e diceva sighnora
e sighnor, con grazia particolare; come si ostinasse a non voler
intendere che gli altri dicevano signora e signore.
Quante volte intanto
Lauretta aveva gridato avanti o herein? La signorina Lander
attendeva ancora lì, paziente e assorta, stirandosi lo scialletto di seta
verdastra, che teneva sempre addosso: «primavera su le spalle e giugno in
testa» come Lauretta soleva dire. E giugno erano i capelli color di messe
affienita. L'uscio s'aprì di furia, sbacchiando contro la strombatura e
facendo sobbalzare la sorda, a cui Lauretta coi capelli disciolti, le
belle braccia nude e un asciugamani sorretto col mento sul seno, ripeté
stizzita:
- Avanti! Avanti!
Avanti!
Scuse della
signorina Alvina: ecco, eh già, non aveva inteso perché aveva la mente
altrove: si scervellava da un'ora a imaginare che cosa potesse mai essere
accaduta al sighnor avvocato uscito di casa sehr umwölkt,
così per tempo.
- Uscito? Come? -
domandò Lauretta.
Uscito. Il portiere
gli aveva recato, al solito, la posta; ma lettere e giornali erano lì
ancora, su la scrivania; quelle, non aperte; questi, sotto fascia.
- Was soll man
denken, Fraulein Laura?
Lauretta impallidì,
con gli occhi appuntati nel sospetto che le balenava davanti: che il
padre, oh Dio, fosse venuto a conoscere da qualche lettera la morte della
sorella la morte della zia Maddalena, che lei da circa tre mesi gli
nascondeva? Ma e perché era uscito? Rannuvolato sehr umwölkt,
come diceva la Lander? Indossò in fretta l'accappatojo e corse alla
camera del padre, seguita dalla Lander, che ripeteva: - Was soll man
denken? -.
Che pensare? Ma sì,
questo, senza dubbio: che aveva saputo della disgrazia. Però, dov'era la
lettera? Le lettere erano lì, ancora chiuse; ma erano tutte? Ah, ecco una
busta sul tappetino, strappata Subito Lauretta si chinò a raccoglierla:
una busta listata a nero con un francobollo tedesco! L'indirizzo, di
minutissima scrittura, diceva Furi in luogo di Furri. La
signorina Lander vi fissò gli occhi, impallidendo lei, questa volta, e
indicando: - Francobollo tetesco... - tolse di mano a Lauretta la
busta; la esaminò, e aggiunse: - Scrittura feminina
- Sì, carattere di
donna, - confermò Lauretta
- Ach Fräulein!
- esclamò allora la signorina Lander, portandosi alla fronte le grosse
mani da maschio e sollevando la mèsse dei capelli: - Discrazia! discrazia!
Certo lettera per me . Oh Je'! oh Je'!
- Per lei? Perché
per lei? Ma no, - s'affrettò a replicare Lauretta, non ostante che
l'interpretazione della signorina Lander che la lettera fosse per lei, le
paresse in fondo giusta - Guardi, - aggiunse, per esortarla a far buon
animo - è indirizzata a papà E poi, se fosse come lei sospetta perché
sarebbe uscito papà? Sarebbe venuto da me, a dirmelo
- Ach nein! nein!
- negò subito, recisamente, la Lander scotendo il capo e frignando in
modo comicissimo
- Come no! Certo, -
replicò Lauretta, frenando a stento il riso per quel modo di piangere. Ma
la signorina Lander seguitò a dir di no col capo e a frignare, mentre
Lauretta: - Perché no? - avrebbe voluto insistere; ma ritorse invece a se
stessa la domanda, guardando la vecchia governante che per la prima volta
le appariva come strappata a una vita lontana, a lei ignota e a cui ella
non aveva mai avuto occasione di rivolgere il pensiero, non avendo mai
concepito nella Lander un essere che per sé esistesse o che avesse potuto
esistere fuori dei rapporti di vita con lei che, da bambina se la era
veduta sempre attorno. - Per chi teme del resto? - le domandò. - Se lei
lassù non ha più nessuno?
- Doch! -
esclamò tra le lagrime la sorda levando gli occhi dal fazzoletto.
- Ah sì? - fece
Lauretta. - E chi?
- Das darf ich
nicht Ihnen sagen! - rispose la governante, nascondendosi la faccia
tra le mani. - Non posso né debbo dirglielo. - E se ne uscì, ripetendo
tra il pianto la preferita esclamazione: - Oh Je'! oh Je'! -.
Quando
Mario Furri tornò a casa, Lauretta era ancora lì, nella camera di lui,
appoggiata alla scrivania e assorta.
- Oh babbo! Che è
accaduto?
Il Furri guardò la
figlia quasi in uno smarrimento di vertigine, come se la vista di lei e la
subitanea domanda gli avessero dentro arrestato con freno violento un
tumulto. Era pallido; impallidì vieppiù, mentre pur si sforzava a
sorridere.
- Che è accaduto? -
domandò a sua volta, con voce mal ferma.
- Sì, alla
signorina Alvina. Sta a piangere di là; sostiene che tu hai ricevuto una
lettera per lei dalla Germania.
- Per lei? Va',
dille che è matta! - rispose il Furri urtato, con asprezza.
- Ecco appunto! non
era per lei! - esclamò Lauretta. - Gliel'ho detto; e lei, no: oh Je'!
oh Je'! Abbiamo trovato questa busta per terra e, che vuol? tu non sei
mai uscito di casa così presto; abbiamo temuto che tu sì... siamo
entrate. - Un improvviso rossore infiammò il volto di Lauretta, come se
le fosse nato il dubbio d'aver commesso un'indiscrezione. Si smarrì. Il
padre allora sorrise mestamente dell'imbarazzo della figliuola e,
carezzandola sotto il mento, le disse:
- Non è nulla, non
è nulla. Va' di là, lasciami veder la posta.
- Sì, sì... io,
guarda: ancora spettinata... - fece Lauretta scappando via sorridente e
tuttavia confusa.
Ma poco dopo, ecco
picchiare all'uscio del signor avvocato la signorina Lander con gli occhi
rossi dal pianto frenato a stento dal fazzoletto che teneva in mano
pronto, se mai, a porre un altro argine.
- Che vuole da me? -
le disse il Furri duramente, senza darle tempo d'aprir bocca. - Chi le ha
detto che ho ricevuto una lettera per lei? Lei entra qua; fruga tra le mie
carte; trova una busta che non le appartiene, e subito le salta in capo
non so che cosa. Ma mi dica un po', di grazia, chi può mai averle scritto
da Wiesbaden? e che sciagura potrebbe esserle occorsa? So, so ch'ella
commette l'inqualificabile leggerezza di scrivere ancora alla sorella di
quel signor Wahlen che ha moglie e figliuoli e debbo sperare non si curi
più di lei né punto né poco. Può esser morta la sorella? può esser
morto lui? Che gliene deve importare? scusi.
- Ach nein! -
strillò a questo punto, ferita nel cuore, la signorina Lander. - Patre di
famiglia! No, no, non dica questa cosa, sighnor! Morto? morto?
- Non è morto
nessuno! - gridò a sua volta il Furri. - Le ripeto che la lettera non è
per lei, e non mi faccia perdere la pazienza con codeste follie. Guardi
del resto il bollo postale: Wiesbaden, vede? Se non si rassicura,
telegrafi a chi sa lei, e mi lasci in pace! Voglio restar solo; è
permesso?
La signorina Lander
non rispose; si portò il fazzoletto agli occhi e si mosse per uscire,
scotendo il capo, certo col sospetto che ora ella non avrebbe potuto
assicurarsi più che qualche lettera potesse capitare nelle sue mani, che
non fosse prima aperta dal signor avvocato. Il Furri, quantunque avesse
ben altro per il capo, la seguì con gli occhi, compreso di stupore: -
Quella vecchia lì, ingannata in gioventù e tradita dall'amante
ammogliatosi poi con un'altra donna, non solo si occupava ancora, dopo
tant'anni, della vita di lui fino a farne segretamente la vita stessa del
suo cuore; ma, sapendolo nella miseria, gli faceva pervenire, per via
indiretta, tutti i suoi risparmii, e pareva non avesse altro piacere o
sollievo se non quanto di lui pensava fantasticando dietro le notizie che
gliene dava una sorella, con la quale era in corrispondenza, o davanti al
ritratto di lui custodito in un cofanetto insieme con quelli dei figliuoli
non suoi, ma che come suoi ella amava - quella vecchia lì.
- Signorina! - chiamò
il Furri improvvisamente, scotendosi, mentr'ella stava per varcare la
soglia.
La vecchia signorina
si volse di scatto; tese le lunghe braccia e ruppe in singhiozzi: - Morto,
è vero? Morto! Morto! -.
- No, perdio! Vuol
proprio farmi uscire dai gangheri questa mattina? - tuonò il Furri. -
Voglio sapere qualcosa da lei... Segga, la prego.
La Lander non
piangeva più: imbalordita, con gli occhi rossi, guardava il Furri, e
nell'attesa, era a tratti scossa da certi singulti nel naso. Il Furri
stette un po' con una mano su gli occhi, come per vedere quel che pensava
dentro e studiare il modo di manifestarlo.
- Ricordo che lei una
volta, molt'anni or sono, mi disse che conosceva la famiglia de Wichmann,
è vero?
- Sì, - rispose con
esitanza la Lander, non intendendo il perché di quella domanda, perché
ormai non poteva più fare a meno di riferir tutto al suo segreto
tormento. - La famiglia de Wichmann, conosco benissimo. Frau de Wichmann
non stava molto lontano d'abitazione da me, ciusto nella
Wenzelgasse.
- Lo so, lo so, -
disse il Furri recisamente, per impedire che la vecchia governante,
richiamata dal ricordo al paese natale, si perdesse in inutili
particolari, a lui per altro notissimi. - Mi dica: oltre alla vecchia zia
della signora (quella Frau Lork che abitava a Colonia) sa ella se la
famiglia de Wichmann avesse altri parenti in altre città della Germania?
- La città di
nascita della sighnora de Wichmann, - rispose la Lander dopo aver
cercato nella memoria - è Braunschweig.
- Lo so! -
interruppe di nuovo il Furri. - Sono andato fin lassù; ma la madre della
signora, che vi abitava ormai sola, era morta da circa un anno, come morta
trovai pure a Colonia Frau Lork, la zia. A Braunschweig mi dissero che a Düsseldorf
abitava un cugino della de Wichmann: ma a Düsseldorf il cugino non c'era
più. Vorrei sapere da lei qualche notizia, se per caso ne avesse, dei
parenti del marito.
- Il luogotenente de
Wichmann, - s'affrettò a rispondere la signorina Lander con insolita
scioltezza di lingua - è morto cloriosamente nella cuerra del Settanta!
Ma non so la città di nascita, non so che famiglia.
- Né lui né la
signora erano nativi di Bonn, dunque, - riprese il Furri. - Vi è nata
soltanto la signorina?
- Sì, Anny! la mia
Aennchen: Hans, come tutti la chiamavano, come maschio, perché era
così... come si dice? tutto spirito... un cafallino... Hans l'ha
conosciuta lei, sighnor?
- Sì, - rispose, più
col cenno del capo che con la parola, il Furri.
- Qui in Italia?
Il Furri ripeté il
cenno.
- Sono ancora in
Italia? - domandò esitante la Lander.
- No.
- A Bonn, tue
anni, non erano più tornate, dopo loro viatcio in Italia: venduta
casa, mobilio, tutto.
- Lo so, lo so. Io,
andando in Germania, dovevo... dovevo rimettere nelle loro mani una
lettera importantissima da Roma. Non le ho trovate: sono andato in giro
per loro, ma così, senza nessuna traccia...
- E dove sono
allora? - domandò costernata la Lander.
- Mi arriva ora una
lettera da Wiesbaden. Speravo perciò che lei sapesse dirmi, se vi avesse
mai avuto residenza qualche parente della famiglia de Wichmann. Se lei non
sa, non ho altro da dirle. Le raccomando... - S'interruppe; stava per
aggiungere: - le raccomando di non far parola a Lauretta di questo nostro
colloquio -; ma poi, temendo non farle intendere più che non bisognasse,
la pregò d'uscire, e quella uscì stordita, ma pur rassicurata per sé,
sebbene con la certezza che ci doveva esser sotto qualcosa di grave, se il
sighnor era così umwölkt a cagione della lettera per cui
tanto ella aveva lagrimato.
-
Hans! - sospirò il Furri, appena rimasto solo, tentennando leggermente il
capo. E quasi imitando una voce che venisse da molto lontano, aggiunse: - Riesin...
meine liebe Riesin... -. Strizzò gli occhi, contrasse il volto come
per un interno spasimo insopportabile, e si mise a passeggiare per la
camera mormorando a capo chino: - Ora! Ora! -. Gli occhi a un tratto gli
andarono sulla busta, lì su la scrivania; la prese, e rilesse, con gli
angoli della bocca contratti in giù dallo sdegno:
- Furi. Ha
dimenticato finanche il nome.
Trasse di tasca la
lettera listata a nero, ma non ebbe animo neanche di posarvi lo sguardo, e
la richiuse nella busta lacerata.
Si rimise a
passeggiare.
Poco dopo, quasi
attirato dalla propria imagine, si fermò davanti allo specchio
dell'armadio e, nel vedersi così stravolto, impallidì e si premé forte
con una mano il grosso capo calvo, guardandosi fiso negli occhi, imponendo
a se stesso di calmarsi, di domare l'interna agitazione. Sparve subito
infatti la contrazione della fronte, gli ritornò agli occhi, quasi velati
da costante cordoglio, Lo sguardo fioco, che s'intonava al pallore del
volto contornato da una corta barba brizzolata. Tutto il corpo stanco
dimostrava una senilità precoce.
Di questo suo rapido
deperire s'era fatta il Furri una tremenda fissazione, una costernazione
non ovviata mai, alla quale dava in apparenza sostegno di ragione o di
scusa il fatto, che veramente nessuno della sua numerosa famiglia era
pervenuto al limite d'età superato da lui (ma in quelle condizioni), da
lui e dalla sorella Maddalena, credeva ancora per la pietosa cura di
Lauretta, vana cura in parte, perché i nipoti lontani, per scusare la
mancanza di caratteri di colei, in ogni lettera erano costretti a ripetere
che incessanti infermità le impedivano di scrivere.
Ogni giorno per lui
poteva essere l'ultimo'
Certo, avvertiva una
grande debolezza alle gambe, come un abbandono di tutte le membra divenute
pesanti. Mormorava di tanto in tanto qualche frase su quel suo stato, e
tendeva l'udito alle lugubri parole, come per sentire egli stesso con che
voce le pronunziava. Le improvvise, impulsive ribellioni a quest'incubo
sortivan sempre lo stesso effetto: una maggiore angoscia, la riprova
ch'egli era un essere ormai finito. Non era terrore della morte, no: la
morte l'aveva tante volte sfidata, da giovine; ma quel doverla aspettare
così, quasi spiandola, quel sapere che di minuto in minuto poteva
sopravvenire, quell'infinita sospensione nell'attesa che a un tratto
qualcosa dovesse mancargli dentro: ecco il terrore, ecco l'orrenda
ambascia.
- Mario Furri, -
mormorò additando e fissando con torvo sdegno la propria imagine nello
specchio. Ma l'imagine ritorse e appuntò contro a lui l'indice teso, come
se volesse significare: «Tu, non io: se tu ridessi, io riderei».
Sorrise, difatti,
tristemente.
Poco dopo si staccò
dallo specchio, fermo nel proponimento di non pensare più, per il
momento, alla lettera inattesa e di studiare poi pacatamente quel che gli
sarebbe convenuto di fare.
Ritornò alla
scrivania per leggere le altre lettere ricevute la mattina. Scorse la
prima, scorse la seconda, a metà della terza piegò il capo sulle mani,
sentendo l'incapacità di continuare e quasi la voglia d'addormentarsi.
Balzò in piedi: la sonnolenza lo atterriva; ma simulò a se stesso che
non tanto la paura d'addormentarsi lo avesse spinto ad alzarsi, quanto un
pensiero sortogli in mente all'improvviso: - Era meglio, sì, era meglio,
per prudenza, raccomandare alla Lander di non far cenno di quella lettera
a Lauretta -.
Non aveva voluto far
mai consapevole di nulla la vecchia governante. Si pentiva ora d'averle
rivolto quelle inutili domande con la sciocca speranza di potere dalle
risposte di lei trarre un filo per uscire dal labirinto delle tante sue
supposizioni. Ma l'avergli la Lander domandato se egli conoscesse Anny lo
assicurava che non aveva sospetti di sorta. G1i era poi sovvenuta a tempo
la scusa verisimilissima della sua ricerca infruttuosa in Germania, quella
lettera importante, cioè, da recapitare alla de Wichmann.
Anny! Anny! Se egli
la conosceva!
Tredici anni erano
trascorsi dal suo viaggio in Germania, che gli si ridestava adesso nella
memoria come un sogno turbinoso. Nessuna traccia di lei, né vicina, né
lontana. Ma quante notizie tuttavia e quanta parte della vita d'Anny non
aveva raccolte a Bonn! Aveva voluto visitare finanche la casa abbandonata
nella Wenzelgasse, come ogni altro luogo della città, per investigare la
prima vita di lei; perché nulla, con l'ajuto delle notizie, al cospetto
delle cose intorno, gli restasse ignoto. Lì, per la Poppelsdorf-allée,
ella era certo andata a passeggio con le amiche, e lì, su l'ampio e lungo
argine del Reno aveva certo atteso il piccolo battello a vapore che tutto
il giorno, come una spola, riallaccia la vita di Bonn a quella di Beuel
dirimpetto; o era andata fin dove l'argine termina in un sentieruolo su la
riva che conduce a Godesberg, a diporto, i dì festivi. Tutto, tutto aveva
voluto vedere, quasi con gli occhi di lei. E qual segreta corrispondenza
non gli era parso di sorprendere tra l'aspetto di quei luoghi e l'indole
di Anny! E come le notizie apprese su l'antecedente vita di lei e della
madre lo avevano confermato nel concetto ch'egli s'era formato di loro!
Della madre aveva sentito che tutti parlavano male, non quanto però
l'odio che egli le portava avrebbe desiderato: era antipatica a tutti per
le sue arie e velleità nobilesche così poco fondate, come quel de
davanti al cognome, in luogo del von, dimostrava. Notizie, notizie;
ma nessuna traccia: nessuna! Come mai ora, improvvisamente, da Wiesbaden,
quella lettera? Da Wiesbaden egli era pur passato; vi si era trattenuto
otto giorni; ma c'era Anny allora? Veramente non aveva più alcun indizio
per cercarla in quella città. Era morta dunque a Wiesbaden la signora de
Wichmann, come la lettera di Anny annunziava? Quand'era morta? Anny non
precisava né il tempo né il luogo; non precisava nulla, fuor che il
giorno che sarebbe arrivata a Roma.
Coi gomiti su la
ribalta della scrivania, la testa tra le mani e gli occhi chiusi, il Furri
s'immerse negli antichi ricordi. Era come se si conficcasse una lama in
una vecchia ferita. Ma il pudore dell'età, la coscienza dello stato in
cui era ridotto, non gli consentivano indugio nella tenerezza di certi
ricordi. Ricordando, voleva giudicare; e, giudicando, raffermarsi in un
proposito irremovibile. Dietro una porta chiusa, un mondo di cose morte: là
dentro il sole non poteva né doveva più penetrare; vi entrava lui per
cercare, ma con tal sentimento, come se dovesse trovarvi fra l'altro
bambole e giocattoli appartenuti a bambini morti, cose che le mani d'un
vecchio dovevano scostare e sfuggire; dopo, avrebbe richiuso la porta e si
sarebbe messo a guardia contro chiunque avesse voluto forzarla. In quel
nascondiglio bujo dei ricordi era pure una culla abbandonata: la culla di
Lauretta ignara.
- Sì, la mamma è
morta, figliuola mia; morta nel darti alla luce.
- E ritratti di lei
non ne hai?
- No, nessuno.
- E com'era, babbo?
Com'era? Il Furri,
al ricordo di questo lontano dialogo con la figlia fanciulletta, s'addentò
furiosamente una mano per soffocare i singhiozzi irrompenti che gli
scotevano tutta la persona.
-
Si parte, Lauretta! Domani andiamo via, - annunziò il Furri, uscendo
dalla sua camera per la colazione.
- Si parte? e per
dove? - domandò Lauretta sorpresa. - Domani, babbo, è la settimana
santa!
- Che importa?
Domani mercoledì, è vero? l'essere santo impedisce forse di
partire?
- No, ma domani è
impossibile, babbo! Se non mi do prima a preparare ciò che fa bisogno!
Avresti dovuto dirmelo avanti, che quest'anno intendevi anticipare di
tanto la partenza.
- Ma non si
anticipa! Andremo soltanto per una breve ricognizione. Mi spiego:
quest'anno non vorrei andare in montagna, o andarci tardi. E allora ho
pensato: la primavera qua, ai Castelli; poi al mare, per te; e, se mai,
l'ultimo mese in montagna, al solito. Ora andremmo per tre o quattro
giorni: una visitina ai Castelli. Ti sceglierai il nido, e ritorneremo.
Via, padroncina, dite di sì; ne ho bisogno.
- Quand'è così! -
esclamò Lauretta.
- Grazie, e le
mie civiltà - disse il Furri inchinandosi.
Lauretta rise del
buon umore del padre. Le mie civiltà era il modo d'accomiatarsi
nelle lettere d'un mercante di Torino che provvedeva Lauretta delle stoffe
per gli abiti. A tavola poi concertarono l'itinerario della gita.
Il Furri non disse
alla figlia, che il giovedì avrebbe dovuto lasciarla sola con la
governante. «E allora perché partire domani?» avrebbe potuto
domandargli Lauretta, che ora si mostrava tutta lieta di quella partenza
improvvisa, e già proponeva, giusto per giovedì, un'ascensione a Monte
Cavo E mentre il Furri ascoltava il caro chiacchierio, pensava: «Perché
si parte? Se io te lo dicessi, figlia mia bella, figlia mia che ridi».
Anny sarebbe appunto
arrivata giovedì. Bisognava ch'egli si trovasse ad accoglierla alla
stazione. L'interno sconvolgimento gli dava intanto un'insolita vivacità
di gesti e di parole. Lauretta non ricordava d'aver mai veduto il padre
così. E il Furri, nel compiacersi del buon effetto della sua
dissimulazione, pigliava animo per la tremenda prova che lo attendeva, pur
con la coscienza che quello sforzo avrebbe amaramente scontato, se pure
non gli sarebbe riuscito addirittura fatale. E anche di questo faceva
segretamente carico a colei, e non tanto per sé, quanto per la figliuola.
Pensando alla quale, un dubbio angoscioso gli teneva tuttavia l'animo
sospeso. Come sarebbe rimasta Lauretta, quando, tra poco, e forse anche
per questo colpo improvviso, egli non sarebbe più? Non era forse
provvidenziale e quasi un annunzio della sua prossima fine, la venuta di
colei? In premio della tua vita intemerata, in compenso del tuo lungo
soffrire e dei tuoi sacrificii, non morrai angosciato dal pensiero di
lasciare sola tua figlia e senz'ajuto: «eccoti la madre, che viene a
prendere accanto a lei il tuo posto». Mario Furri era credente, e
inoltre, per la sua fissazione, tenuto e legato da superstizioni. Se non
che, quale madre veniva a prendere il suo posto? Per Lauretta la sua mamma
era morta. Chi sarebbe stata ora costei? Un'estranea, un'intrusa che,
comunque, non avrebbe mai potuto incarnare l'imagine che la figliuola,
fantasticando in un passato senza ricordi, s'era creata della propria
madre morta nel darle la vita. Quale comunione d'affetti, da un altro
canto, avrebbe potuto stabilirsi tra colei e la figlia se egli le avesse
detto tutto? Era meglio aspettare, prima di prendere una decisione;
vederla, parlarle. Soltanto - ah questo sì! - condurre lontano la figlia,
sottrarla a ogni probabile pericolo.
Partirono la mattina
dopo.
Non fu possibile a
Lauretta impedire che la signorina Lander si mettesse un cappellaccio di
paglia, che pareva un canestro rovesciato su la mèsse dei capelli. La
vecchia governante portava con sé il cofanetto, ove erano custoditi i
ritratti del signor Wahlen e famiglia; e s'ostinava intanto a sorprendere
di tratto in tratto evidentissime somiglianze tra quel lembo laziale e le
contrade del Reno presso Bonn. Lauretta ebbe l'ingenuità di mettersi a
discutere con lei, ravvicinando piuttosto Monte Cavo coi boschi e i laghi
a un pezzo di Svizzera, 1ì - che delizia! - a due passi da Roma, con di
più il mare, che di lassù si scorge benissimo, specie nelle notti di
luna. Ma no; Monte Cavo con la vetta incoronata d'aceri e faggi, per la
signorina Lander era, naturalmente, tal quale il Drachenfels; tanto vero
che, ove 1ì, su la vetta, ci sono le rovine d'un antico castello, qui c'è
un convento tal quale! E se n'appellava al sighnor avvocato Il
Furri non badava a quei discorsi; guardava fuori, dal finestrino.
Ricordava, e gli pareva di sognare: ora, come allora, in treno: da Novara
andava a Torino, gli era nata una bambina; andava in fretta per una balia;
la bambina era là, dietro quei monti, in una campagna presso Novara, con
la madre...
- Babbo, scommessa
fatta! - gridò a un tratto Lauretta. - Rinunzio al mare, rinunzio alle
Alpi: quest'estate, a Bonn sul Reno!
- Che scommessa? -
domandò il Furri, turbato.
- Tra me e Fräulein
Lander.
- No, io... -
balbettò la signorina Alvina, per scusarsi.
- Ecco, si scende! -
interruppe entrambe il Furri. - Vedremo poi, vedremo.
Si sforzò di parer
lieto tutto quel giorno a Castel Gandolfo, ad Albano: la sera, rientrando
all'albergo per la cena, annunziò alla figlia che la mattina seguente,
per tempo, avrebbe dovuto trovarsi a Roma per un affare che s'era
dimenticato di sbrigare.
- E Monte Cavo? -
domandò Lauretta contrariata.
Ma infine si rimise.
Dalla finestra dell'albergo, la mattina dopo, gridò al padre che partiva:
- Aspetto di
scrivere, che tu sia ritornato!
E il padre, già in
vettura per la stazione, assentì sorridendo. Una veste nuova di mezza
stagione e un cappellino di paglia: ecco a che pensava in quel momento la
figlietta sua.
«La
riconoscerò?» domandava a se stesso il Furri passeggiando su la banchina
della stazione, in attesa del treno da Firenze.
Socchiudendo gli
occhi, richiamava l'imagine di lei, rilevata e spirante nella sua memoria,
di lei a diciannove anni: in una testina da birichino, coi capelli
tagliati a tondo maschilmente, due occhietti furbi brillanti e provocanti,
quasi armati di spilli luminosi, e la bocca accesa, dai piccoli denti
pari, aperta sempre a un riso vibrante di fremiti, dalla quale sgorgava la
voce tutta trilli e scivoli; alto il corpo agile e svelto su l'esilissima
vita, ma dovizioso il seno e incarnate le guance.
E ora?
Il Furri computava
gli anni: doveva già averne trentacinque, e poiché aveva potuto
abbandonare la figlia appena nata e vivere tant'anni senza domandarne
notizia, ignorandone finanche il nome, poteva essere, nell'anima e nel
corpo, se non più troppo giovane come prima, molto giovane ancora;
a ogni modo, giovane.
E lui ?
Non che sperare,
riteneva il Furri assolutamente inammissibile ch'ella potesse riconoscere
in lui, in quel suo corpo cadente, nel volto già disfatto, il Mario
d'allora, il gigante: il Riese, come lei lo chiamava pretendendo
ch'egli chiamasse lei Riesin, gigantessa, meine liebe Riesin,
e ne rideva, giacché quel Riesin lui lo pronunziava così dolcemente,
come se le dicesse invece: fiorellino.
Molta gente
attendeva con lui il treno da Firenze già in ritardo. Il Furri pensò di
piantarsi presso l'uscita, per modo che tutti i viaggiatori gli passassero
sotto gli occhi.
Fu dato finalmente
il segnale d'arrivo. I numerosi aspettanti s'affollarono, con gli occhi al
treno che entrava sbuffando strepitoso nella stazione.
- Roma! Roma!
Si schiusero i primi
sportelli; la gente accorse ansiosa, cercando da una vettura all'altra. Il
Furri non seppe trattenersi alla posta, spinto quasi dall'ansia degli
altri. A un tratto si fermò: «Eccola! Dev'esser lei!».
Una signora bionda,
vestita di nero, sporse il capo dal finestrino, e lo ritrasse subito: un
signore aprì dall'interno lo sportello. Il Furri aspettò poco discosto.
La signora fece per discendere, ma sul predellino si volse verso l'interno
della vettura ad abbracciare e baciare un bambino di circa due anni:
- Adieu, adieu,
mon petit rien!
Era la voce di
lei.
- Anny!
Si voltò, saltò
agile e svelta dal predellino, guardò il Furri fermandosi e strizzando un
po' gli occhi, quasi in dubbio che la voce non fosse partita da lui. Ma
egli le tese la mano.
- Oh... - fece Anny
accorrendo imbarazzata, con un sorriso nervoso su le labbra. - Aspetta! Le
valigie, - aggiunse subito, volgendosi verso la vettura.
Il signore che aveva
aperto lo sportello gliele porgeva. Il Furri spinse subito un facchino a
prenderle, e Anny ringraziò in francese il signore; poi si rivolse al
Furri aprendo la borsetta da viaggio a tracolla e, traendone uno
scontrino, aggiunse in tedesco:
- Subito subito, il
mio piccolo povero Mopy! Povera bestia! Non vede da tre giorni la sua
padroncina! E poi - (trasse altri due scontrini dalla borsetta) - i bauli!
Il Furri, quantunque
stupito da tanta disinvoltura, intuì subito che questa non veniva da
sfrontatezza, per come aveva malignato all'annunzio dell'arrivo, ma da
vera e propria incoscienza: lo dimostrava l'eleganza dell'abito da
viaggio, tutta l'accurata persona ancora fresca e florida, sebbene di
forme più complesse, ma forse perciò più piacente. Ecco, ed era venuta
col cagnolino, e non si dava pensiero d'altro, appena giunta.
- Subito! subito!
Prese quasi esitante
quegli scontrini; avrebbe voluto gridarle: «Ma guarda prima a chi li dai!
Guardami! mi vedi? Come la vista mia non ti fa cadere le braccia?». Si
mosse, e lei dietro.
- Prima Mopchen! la
povera bestia! Poi i bauli... Sei venuto solo... - riprese ella. -
M'aspettavo che...
Il Furri piegò il
capo sul petto, alzando le spalle, come se ella lo avesse colpito di
dietro.
- Come si chiama?
Non rispose: seguitò
ad andare con le spalle alzate.
- Come si chiama?
- Non qui! non qui!
- pregò smaniando il Furri. - Lauretta.
- Ah, Laura...
Bionda?
Egli chinò il capo
più volte.
- Bionda! E ora tu,
tutto bianco! povero vecchio Riese. E dimmi...
Parleremo poi, ti
prego! parleremo poi! - la interruppe il Furri, non reggendo più alla
tortura di quelle domande.
Appena ella ebbe tra
le mani il cagnolino che guagnolava e si storcignava tutto dalla gioja,
cominciò a sbaciucchiarlo, a confortarlo con frasucce carezzevoli, e gli
diceva che tra poco avrebbe trovato un'altra padroncina: - Laura, Mopchen,
si chiama Laura... bionda, Mopchen, e tu così nero: me quest'altro tuo
padrone così bianco... e brutto... e cattivo, che non vuol dirti nulla...
Fa' vedere, Mopchen, come bacerai la nuova padroncina... Un bacio! Così...
bravo, Mopchen! Basta... basta... Adesso prendi... -. Aprì la borsetta da
viaggio e ne trasse una zolla di zucchero per la bestiola festante.
- I bauli, - disse
il Furri con voce roca, come se le parole gli facessero groppo alla gola,
- i bauli sarà meglio lasciarli qui.
- Come! - esclamò
sorpresa Anny.
- Sì, domani, se
mai, manderemo a prenderli.
- Ma no, caro! E
come faccio io? Vuoi che rimanga così? Uno almeno è necessario portarlo
con noi. Vieni, ti dirò io quale dei due.
Montati finalmente
in vettura, Anny cominciò a sentirsi un po' a disagio accanto al
compagno, che si teneva chiuso e quasi ristretto in sé, come se sentisse
freddo. Egli non la guardava, guardava innanzi a sé, con le ciglia un po'
aggrottate, triste e assorto.
- Quante cose
abbiamo da dirci, - bisbigliò Anny, prendendogli una mano.
Egli aggrottò
maggiormente le ciglia accennando di sì col capo e traendo un lungo
sospiro.
- Non mi stringi la
mano? Non sei contento ch'io sia venuta? - domandò sommessamente, poco
dopo; e aggiunse: - Eh. Io so... Ma vedrai... non ci ho colpa. La mamma...
-. S'interruppe; si portò subito il fazzoletto agli occhi. Il Furri si
voltò a guardarla: il fazzoletto era listato di nero.
- Parleremo poi, ti
prego, Anny! - ripeté, più commosso che intenerito.
- Sì sì, a casa.
Quieto, Mopy! Oh, ma non credere che sia venuta così... Non sarei venuta,
se non avessi incontrato nel Kuhrgarten a Wiesbaden... indovina chi? il
Giovi... l'amico nostro di Torino... che m'ha parlato tanto di te... Io
pensavo... non so... pensavo tra l'altro... sì... che tu ti fossi
ammogliato... pensavo che la piccina... potesse anche non vivere più...
«Vive!» m'ha detto il Giovi. «Sta con lui...» E io sono corsa ad
annunziarlo a questo mostro qui! E vero, Mopchen? Come t'ho detto? Vive!
vive! la padroncina vive! Noi l'abbiamo chiamata Mary, è vero? Il Giovi
m'ha anche detto che tu hai preso per lei una governante tedesca, una
vecchia, è vero? Laura dunque parla il tedesco, mentre io non so più
parlare l'italiano. Ho provato col Giovi: l'ho fatto ridere. Ah, com'egli
si diverte a Wiesbaden! È sempre quello di prima... soltanto, non ha più
quell'enorme barbone... Io non l'avrei riconosciuto. M'ha riconosciuta
lui. Ma a momenti non ha più nemmeno i baffi! Diventa tutto bianco, e non
volendo ricorrere ai cosmetici, taglia, taglia, capisci? sarchia anche i
baffi, quel bel pajo di baffi! «Perché, Giovi?» gli domandai. Dice, non
lo sa neppure lui «per istinto giovanile», m'ha risposto; ma poi s'è
tolto il cappello e battendosi con una mano il capo calvo ha esclamato: «Eppure,
ecco qua: Piazza della Vecchiaja!». M'ha detto che sei calvo anche
tu. Fa' vedere!
Il Furri ebbe quasi
l'impeto di saltare dalla vettura, fuggire. - Scommetto, - disse, - che tu
non hai un solo capello bianco, è vero?
- Ah, neppure uno! -
esclamò Anny trionfante. - Ti sfido a trovarmene uno! Vedrai. Ma anche la
mamma, sai, poverina! M'è morta, sai, con tutti quei suoi capelli ancora
biondi come l'oro! Ah i capelli della mamma... Io non ne ho neanche la metà.
«E ora mi parla
della madre!» pensava il Furri stupito e, ormai, dall'incoscienza di
colei irritato più a sdegno che a ira.
- Ah! - fece Anny
improvvisamente, sollevando la mano di lui, che teneva ancora nella sua. -
Il mio anellino! Fa' vedere! - E poiché egli ritrasse la mano quasi
istintivamente: - Fa' vedere! - insisté Anny. - Oh, come ti stringe il
dito! Puoi tenerlo ancora? Non ti fa male? Io, il tuo... la mamma me lo
levò... Credevo lo tenesse nascosto. L'ho cercato, non l'ho trovato. Chi
sa che n'avrà fatto; l'avrà buttato via.
- Ha fatto bene! -
disse il Furri, quasi senza volerlo.
- Ah no! guarda: -
esclamò Anny, mostrandogli le due mani bellissime. - Non ne ho più
tenuto, da allora!
Il Furri la guardò
fisso e quasi con durezza, come non potesse più trattenere le tante
domande che gli facevan ressa alle labbra.
- Nessuno! - ripeté
Anny con fermezza. - Soltanto per pochi giorni quello tolto dalla mano
della mamma morta: era l'anello nuziale del babbo: una sacra memoria.
La carrozza si fermò
davanti all'Albergo della Minerva.
- Ah, stai qui? -
domandò Anny, alzandosi col cagnolino in braccio; ma subito aggiunse: -
Questo è un albergo. Intendo, intendo. Ma, bada, Laura voglio vederla
subito, io!
Entrati nella camera
loro assegnata, Anny riprese:
- Ora, lasciami
sola. Tre giorni di viaggio: non ne posso più. Il baule è qui: farò la
mia toletta. Tu intanto va' a casa, e conducimi qui subito subito Laura.
- Ma no, cara, -
fece il Furri - non è a Roma.
- Non sta con te?
Qua, Mopy, qua, - gridò Anny correndo dietro al cagnolino che col musetto
aveva aperto l'uscio accostato e se n'era uscito sul corridojo. Poco dopo
rientro con Mopy in braccio, e buttandolo sul canapè, gli gridò: -
Cuccia lì! -.
- Dobbiamo prima
parlare. - riprese il Furri severamente.
- Chiudi l'uscio, ti
prego. Ho fatto male a venire: vuoi dirmi questo? Dimmelo semplicemente,
ti prego, senza turbarti. Senti. - Esitò alquanto, grattandosi celermente
l'insenatura tra la pinna destra del naso e la guancia, con un gesto che
il Furri le riconobbe abituale. - Senti. La colpa non è mia, la colpa è
del Giovi. Sono venuta spontaneamente, sì, ma egli m'assicurò più volte
che tu vivevi solo solo e sempre in casa e malfermo in salute anche.
Dunque ho supposto che - scusami, se rido - che, via! sarei potuta venire.
Ho supposto male? Hai ragione: oh, non te ne fo, né potrei fartene un
torto. Rido, vedi? La mia parte, infatti, non è bella, ora. Vorrei
pigliarmela con quel burlone del Giovi. Ma, poveretto: gli amici non sono
obbligati a saper tutto. Via, confessalo, Mario. Non stare così.
Il Furri s'era
portate ambo le mani su la faccia, premendovele vieppiù a ogni parola
d'Anny.
- Guardami negli
occhi, - riprese questa, cangiando tono, ma pur quasi affettando una seria
preoccupazione: - Il caso è grave? altri figliuoli?
- Tu non sai ciò
che voglia dire averne una! - disse egli con voce vibrante di sdegno,
scoprendo il volto irosamente e stringendo le pugna come per trattenersi.
- Prima di
rimproverarmi aspetta che ti dica. Credi forse, Mario, ch'io non abbia mai
pianto? La mamma non c'è più, per dirtelo. Ma l'essere venuta così, col
pericolo di rappresentare per te, ora, una parte poco gradita, non è una
prova?
- Prova di che? -
domandò il Furri interrompendo. - Prova della tua incoscienza, per non
dire altro! E non già per quello che tu supponi di me, e che io potrei
prendere per un'irrisione, se tu non fossi proprio incosciente: è la
parola! Ma non hai neanche occhi per vedermi? Non parliamo di me, non
parliamo di me, ora. Vuoi dire che l'essere tu venuta è una prova del tuo
affetto per tua figlia?
- Aspetta, - disse
Anny. - Parleremo di questo e di tutto, ma con calma, ti prego. Io mi
confondo. Siedi. Ma prima apri, ti prego, quella finestra: un po' d'aria.
Così, grazie! Oh, siedi, ora: qua, accanto a me; dammi una mano, codesta
con l'anellino mio. Ora è vero? ti senti vecchio tu, povero Riese!
Ma non importa. Senti: codeste due rughe cattive su le ciglia te le
spianerò io. Senti: rientrando in Italia dal treno guardavo la campagna e
le ville sparse qua e là. Non era lo stesso paesaggio della nostra
villetta del nostro nido presso Novara ch'io vedo ancora, chiudendo gli
occhi, e che ho sempre sempre ricordato; ma era Italia anche lì e
campagna, e quel cielo, quell'aria, e io respiravo, correndo in treno,
come nel bel tempo passato, con gli occhi a una villetta lontana, finché
non spariva, e poi a un'altra, che gli occhi subito cercavano per non
interrompere il sogno; e intanto il cuore mi si riempiva dell'antico
amore, e non imaginavo che tu dovessi accogliermi così. Mi guardi? Non
piango, no! vuoi crederlo tu, che sia tutto finito, non io. Perché,
Mario? Me lo dici?
- Hai bisogno che te
lo dica? Ma non mi vedi, ma non lo senti, Anny? Per te era quasi naturale
imaginare che potesse accoglierti il Mario d'allora: tu sei la stessa, e
non sai quello che hai fatto. Lasciami dire così: è l'unica scusa che
potrei trovare per te. Dici di no? E quale altra dunque, sentiamo? Ma lo
sai, lo sai tu quello che hai fatto? Lo sai che hai abbandonato la figlia?
Per me forse, no; per quanti sforzi abbia fatto, non sono riuscito a
uccidere il ricordo di te. Per me forse no, non eri morta, mi
sopravvivevi. Ma lo sai che per tua figlia tu sei morta, morta davvero, e
ch'ella è cresciuta e che adesso ha quasi gli anni che avevi tu quando la
mettesti al mondo? Lo sai tutto questo? Posso ora dire a mia figlia: No,
sai, bambina, non è vero, io ho mentito con te tant'anni, mi sono
divertito a straziare il tuo coricino dicendoti che la tua mamma era morta
nel darti alla luce: no, sai, la mamma vive, si rifà viva dopo tanto
tempo, ed eccola qua, te la presento. Perché ho mentito? bisogna pure che
glielo dica. E allora? Ma lo intendi? Come vuoi, che vuoi che le dica?
- Non le hai detto
nulla? - domandò Anny sorpresa e addolorata.
- Ah, tu credevi?
- No: imaginavo
ch'ella dovesse credermi morta; ma supponevo che tu in questi tre
giorni...
- L'avrei preparata?
Come? Ma dimmi, dimmelo tu, quel che avrei potuto dirle...
- La verità.
- Quale verità? La
verità, dici? E che ne so io? Quella che so io, no! è troppo brutta: non
potevo dirgliela. Perché farti rinascere davanti agli occhi di lei, e
farti morire nello stesso tempo nel suo cuore?
Anny si levò da
sedere e, lisciandosi con ambo le mani i capelli dietro la nuca, disse:
- Ma vedo che tu,
mio caro, mi credi, non saprei... Mi fai accorgere d'essere venuta con
altre, oh ben altre idee delle tue in mente e con ben altri sentimenti nel
cuore. Ma già, dopo tanti anni... Ma perché io non sono mutata? Lo
riconosci tu stesso... Capisco, lo dici in male... Ma si fa presto, sai, a
giudicare dai fatti.
- E da che vuoi che
giudichi?
- Scusa, si reggono
i sacchi vuoti? No; e così i fatti, se tu li vuoti degli affetti, dei
sentimenti, di tante cose che li riempivano.
- Affetti?
sentimenti? E quale altro più forte di quello per la propria figlia?
- L'ho abbandonata:
tu vedi il fatto. Ma se la piccina, quando sono partita, piangeva, credi
che non piangessi anch'io?
- E intanto...
- Intanto sono
partita, in quello stato, dopo tre giorni... e sperando di morire, sai,
durante il viaggio, senza dirlo a nessuno. Potevo anche morire, solo che
mi sopravvenisse una febbre. Dio non volle. Sperai in seguito ch'egli
volesse invece esaudire il mio voto, quello che feci segretamente baciando
per l'ultima volta la creaturina: «Ci rivedremo, quando Dio vorrà!». La
mamma è morta; sono corsa qui; e non Dio, ma tu pare che non voglia
farmela vedere.
- Ah sì? E c'entra
anche Dio, nella tua partenza? La volle Dio? Perché te ne partisti?
- Ma lo sai, la
mamma...
- Ah, la mamma! E
non potevi tu dirle: «Come pretendi che la figlia non abbandoni la madre,
mentre vuoi che io abbandoni la mia creaturina?».
- Ragioni bene; ma
non osservi due cose. Prima: che ella, madre, mi avrebbe abbandonata, se
io mi fossi ricusata di seguirla: e non dovevo, capisci?, non dovevo,
perché noi non avevamo più nulla, tranne una misera pensioncina: tutto
quello che avevamo era mandato a me, a me soltanto dal fratello di mio
padre, di cui dovevo raccogliere, com'ho raccolto, l'eredità. Per certe
sue idee quel mio zio non poteva soffrire la mamma. Ella dunque se ne
sarebbe andata sola, incontro alla miseria... oh credi! non era donna
d'accettare da me ajuto, se la lasciavo andar via. Era cosiffatta:
piuttosto morire di fame! Potevo permetterlo?
- Ma ella poteva
rimanere qua con noi!
- Ecco l'altra
osservazione. Doveva stare con te e ti odiava. Sosteneva che tu le avessi
sedotta la figlia. Per quanto io le dicessi, non riuscii mai a toglierle
quest'idea dal capo. Quante volte le chiedemmo perdono, ricordi? a te
faceva le viste di perdonare, perché dentro meditava la fuga e temeva che
tu, scorgendo ancora in lei avversità per il nostro matrimonio, non mi
sottraessi a lei un'altra volta; ma a me, no, no, mai! E invano io ti
difendevo, e le dicevo che le tue intenzioni erano state oneste, sempre,
tanto vero che le avevi prima chiesto la mia mano, che la nostra fuga da
Torino era avvenuta dietro il suo rifiuto. Ah sì! vedi, questo le
toglieva appunto la ragione: che noi con la violenza e col tradimento
avessimo voluto forzare la sua volontà. E i primi mesi, lì in campagna,
ricordi? ti portò per le lunghe, prima con la scusa delle mie carte da
sbrigare a Bonn, poi con l'altra del mio stato che non comportava più di
presentarmi in chiesa e al municipio. E intanto per non legarmi
maggiormente con cure e sollecitudini alla creaturina che portavo in
grembo, non volle, ricordi? ch'io preparassi da me il corredo: volle che
tu lo facessi venire bell'e fatto da Torino. E come ci spiava, ricordi? Io
ti consigliavo pazienza: e tu ne avevi, povero Riese, sperando
compenso nell'avvenire. Ah, quei mesi! quei mesi!
- Tu sapevi dunque,
- disse il Furri concitato, - il delitto che tua madre meditava, e non me
ne dicesti nulla?
- No, no! all'ultimo
lo seppi! negli ultimi sei giorni! Voleva abbandonarmi; allora; in quel
punto; quand'io avevo più paura e più che mai bisogno di lei!
- Infame! - muggì
il Furri tra i denti.
- No, non dirlo! -
pregò Anny. - Aveva in petto il suo cuore! Se ci avesse avuto il tuo o il
mio, non l'avrebbe fatto! Per lei l'infame eri tu, e io la colpevole da
punire. La pregai, la scongiurai! figurati come, in quel punto! E lei
irremovibile. E allora io promisi... sì, ebbi paura... e poi pensai a lei
- vecchia, senz'ajuto - e a me - sola, senza più la mamma accanto, in un
paese che non era il mio...
- E a me non
pensasti? a me? a tua figlia?
- Sì, sì, Mario...
Ma in quel punto, senza mia madre, sentii di non poter vivere. Ti
conoscevo da così poco... ti amavo! sì, ma avevo tanta soggezione di te:
io non so, tu, col tuo carattere con la tua serietà, mi avevi domata...
io ero una bambina allora... e in quel punto, in quel punto...
- E poi? - domandò
egli.
- Poi? Partii con la
fiducia che la mamma si sarebbe piegata tra breve, assistendo ogni giorno
al mio tormento. Andammo a Neuwied, cioè ci fermammo colà, perché io
non potei più proseguire il viaggio; mi ammalai, fui per morire, Mario:
quattro mesi a letto. Ah, se tu mi avessi vista, quando mi rialzai!
Scrissi allora, sai? di nascosto, scrissi a quel signor Berti che era a
Novara, e che veniva qualche volta a trovarci in villa, mi désse notizia
della bambina, mi dicesse soltanto: vive! nient'altro; non lo
disturberei più, mi indirizzerei in séguito ad altri, e se ad altri non
potessi, mi terrei paga d'una sua sola notizia, la meno precisa ma me la
desse. Nulla, non ebbi risposta. Attesi, attesi. Poi volli persuadermi che
la creaturina fosse morta, e che il Berti, non avesse voluto darmi questa
notizia... o che, se viva, ero morta io per lei... almeno fintanto che la
mamma... ma vedi: questo mi ripugnava: sperare su la morte della mamma.
- E su quella della
figlia, no! per distrarti...
- È vero: mi sono
distratta. Dopo la malattia. Mi parve d'uscire da un sogno angoscioso, e
che tutto fosse finito. Ma com'io abbia vissuto, non te lo saprei dire.
Non lo so nemmeno io: perché non sapevo nulla di voi. E la mamma intanto
mi spingeva, mi assediava, cercava ogni mezzo per divagarmi. E se tu ti
eri ammogliato? e se la bambina era morta davvero ? Tanti pensieri...
tanti sogni... e nulla di certo, né per me, né per voi... Ma sempre
dentro di me qualcosa che m'impediva d'accogliere la vita, all'infuori
delle minute frivolezze o dei piccoli avvenimenti senza vero interesse e
senza scopo. Così ho vissuto fino alla morte della mamma. Che debbo dirti
di più?
- A Neuwied! -
mormorò il Furri assorto, dopo un lungo silenzio. - Quanto ti ci sei
trattenuta?
- Oh, a lungo! Più
di un anno. Poi siamo andate a Coblenza.
- Eri dunque a
Neuwied! E io ci passai, al ritorno.
- Tu?
- Io. Venni a
cercarti; senza nessuna traccia. Fui a Bonn, a Colonia, a Braunschweig, a
Düsseldorf, seguendo qualche indicazione raccolta qua e là. Passai da
Neuwied, ritornando in Italia, ma non mi fermai: già non ti cercavo più!
Fui anche a Wiesbaden.
- Povero Mario! -
fece Anny con tenerezza. - Ma a Wiesbaden eravamo andate in quest'ultimi
anni soltanto, per invito dello zio, che è morto, poveretto, due anni fa:
era solo, vecchio e infermo: ci volle in casa, dimenticando gli antichi
dissapori con la mamma. Dopo un anno e mezzo è morta lei: quattro mesi
come l'altro jeri.
- Se ti avessi
trovata allora! - sospirò il Furri, alzandosi.
- Ma vedi, ora, -
disse Anny, - son venuta a trovarti io.
- A trovare chi? A
trovare un morto! Oh Anny! Non vedi? non vedi? Fra tua madre e me e nostra
figlia hai scelto quella. Che vuoi ora da me? Tua madre è morta; ma sei
morta anche tu per Lauretta!
- Oh no, Mario! -
fece con orrore Anny.
- Aspetta. Anny.
Vedi: davanti a te, m'è caduto lo sdegno: io non so più parlarti, come
forse dovrei. Ma è evidente che tu non sai renderti conto di quello che
hai fatto, del tempo che è passato, di tutto quello che è avvenuto in
questo tempo. Scommetto, che tu imagini ancora Lauretta come una bambina,
ed è alta, sai, quanto te: è una donna davanti a cui tu, se ora la
vedessi, resteresti come davanti a una estranea. Per te il tempo non è
passato: lo vedo, lo sento. Tu sei ancora come una ragazza - quella di
prima e, vedi, parlandoti, mi viene da piangere, perché io sono vecchio,
Anny, vecchio, vecchio e finito. No, no, lasciami piangere. Non ho mai
pianto. Ma mi vedo davanti ciò che ho perduto, ciò che tu mi hai rubato,
e vedi: vorrei qua, sotto i piedi, la fossa di tua madre per calcarci
sopra la terra con tutta la forza del mio odio! Ah, nessun fiore, se c'è
Dio, crescerà su quella fossa, come nuda e senza un sorriso è stata la
culla della figlia mia, e squallida e muta la mia vita, per causa di lei,
e tua, e tua... Ti copri la faccia? Ah, c'è da inorridire davvero! Non è,
non è reparabile quello che avete fatto. Ora tutto è finito! tutto e per
sempre! Non può intenerirmi il tuo pianto. Non ti fo piangere io, ma tua
madre. Domandane conto a lei. Ha spezzato la mia vita e la tua: ti ha
uccisa per tua figlia. È stata lei: che vuoi ora da me? Io sono morto;
non posso farti rivivere. -
Anny era caduta sul
canapè e piangeva arrovesciata sulla spalliera. Il Furri passeggiò un
tratto per la camera, poi andò presso la finestra e vi si trattenne,
fermo nell'odio, contro ogni suggerimento pietoso che potesse venirgli dai
singhiozzi di lei. Il cagnolino nero si levò su le quattro zampette sul
canapè, cacciando il musetto sotto il braccio della padrona; ma Anny lo
respinse col gomito; allora Mopy si rizzò con le due zampette anteriori
sul bracciolo, e si mise a ringhiare contro il Furri alla finestra, poi
abbaiò. Anny si voltò subito a lui, e se lo strinse al petto piangendo.
Il Furri si tolse dalla finestra senza guardare Anny. Entrambi stettero a
lungo in silenzio. Poi ella, rimesso alla cuccia il cagnolino, si alzò,
prese da una seggiola una valigetta e l'aprì per trarne un altro
fazzoletto anch'esso listato di nero, col quale si asciugò a lungo gli
occhi. Finalmente disse con durezza nella voce:
- Mia figlia... non
debbo vederla?
Il Furri notò
l'espressione torva del volto di lei e, urtato dal tono della voce,
rispose:
- Te ne nasce tardi
il desiderio.
- Io me ne riparto
subito! - riprese Anny con la stessa espressione, ma più fiera, e la
stessa voce. - Però mia figlia voglio vederla.
E scoppiò di nuovo
in singhiozzi, nascondendo la faccia nel fazzoletto.
- Come potrei
fartela vedere? - disse il Furri. - E poi, perché?
- Voglio vederla! -
insisté Anny tra i singhiozzi. - Anche da lontano, e poi me ne ripartirò.
- Ma io... - fece
esitante il Furri.
- Temi che voglia
tenderti un agguato? Oh inorridisci tu adesso! Ma è così naturale
imaginare codesto sospetto in uno che ha accumulato tant'odio per
rovesciarlo senza alcuna considerazione su una morta! Basta, basta... Ogni
recriminazione è inutile! Sono accorsa a te, alla figlia, col cuore
d'allora: tu me l'hai assiderato. Basta! Comprendo ora anch'io d'aver
commesso una follia a venire.
- Sì, - disse il
Furri - come un delitto allora, nell'andartene. Questo è il mio giudizio.
Delitto - disse allora il mio cuore, quando tornai da Torino alla
villetta, ove trovai la bambina abbandonata. Follia - mi costringe ora a
dire lo stato in cui sono ridotto ed è veramente così, perché tu, che
avresti potuto imaginare com'io dovessi rimanere allora avresti potuto
anche supporre come necessariamente dovevi ritrovarmi adesso. Ma non t'è
passato neanche per la mente! Tu hai potuto scusare davanti a me quello
che hai fatto e addurre come una giustificazione l'essere tornata a noi,
dopo tant'anni! Via, via, Anny! Misura il baratro che s'è scavato tra noi
due: tu credi di poterlo saltare a piè pari? Ma io non posso, vedi: mi
reggo appena su le gambe, io. Basta, basta davvero. Perché vuoi vedere
tua figlia? Tu non la conosci...
- Voglio vederla
appunto per questo! - esclamò Anny tra le lagrime.
- Lo so, - riprese
il Furri. - Ma la ragione dovrebbe imporre un freno a codesto tuo
sentimento, nell'interesse tuo stesso.
- No, no! - negò
Anny. - Sono venuta qua; so che mia figlia è qua; vuoi che me ne riparta
senza vederla?
- Ma non è qua, non
è a Roma, ti ripeto.
- Non è vero! Stai
in campagna tu? O l'hai nascosta perché hai avuto paura, di' la verità!
- Ebbene, sì, ma
non giova rilevarlo, giacché deve essere così.
- Ah non giova! Per
te, si sa. Ma tu andrai a prenderla: voglio vederla, anche dalla finestra:
la farai passare di qui, o per via - io non so! Non temere: saprò
frenarmi.
- Ebbene... Ma è
una follia anche questa, Anny! Ascoltami: io non temo, perché l'affetto o
il desiderio che hai di vederla non potrebbe spingerti a commettere un
altro delitto: quello d'uccidere in lei l'ideale senza imagine che ella ha
della mamma sua; tu le sembreresti pazza, e tutt'al più, come pazza,
potresti farle pietà. Ma se ragioni, se la convinci, profanando l'idealità
vaga e pura e santa che ha di te morta per lei, non pietà né alcun altro
sentimento buono, credilo, potresti muovere in lei. Di questo sono
convinto: perciò non temo. Io dicevo per te.
- Oh grazie! Dopo
quello che hai detto, ti preoccupi ancora di un'altra spina che mi
porterei nel cuore? Quanta carità! E del mio avvenire, adesso, di', non
ti preoccupi? Che sarà di me? Ci penso anch'io.
Tacquero un tratto,
tutti e due assorti in questo nuovo pensiero; lui con gli occhi chiusi
dolorosamente, nell'atteggiamento di chi è solito crucciarsi in cuore
senza parola; lei con gli occhi alle punte aguzze delle scarpine.
- Ora sono sola, -
disse come a se stessa. - Tutto questo tempo sono stata... così per aria!
un'estranea curiosa e leggera in mezzo alla vita... di qua, di là. Di
vero, di concreto intorno a me, nulla: mia madre, che mi teneva posto di
tutto, è vero, ma... E la gioventù: un soffio... passata così, senza
nulla... - Si levò in piedi di scatto con un'esclamazione indeterminata:
- Bah! A Coblenza, sai? più d'uno chiese alla mamma la mia mano... e poi
tanti, uh! hanno perduto il tempo a corteggiarmi... Ora me ne ritornerò a
Wiesbaden, nella casa che m'ha lasciato lo zio; e chi sa, ci sarà qualche
altro ancora - benché io non sia più giovane che vorrà avere la
degnazione di credere che forse valga la pena di continuare a perdere un
po' di tempo a corteggiarmi, con fine onesto anche, perché no? sono
ricca; potrei permettermi il lusso della franchezza: dichiarare che non
sono zitellona come mi si crede, benché non sia né vedova, né
maritata... È proprio così! Rimango così! Bisogna dire che rimango
male... Mah! Tu in coscienza credi che non puoi né devi fartene un
rimorso. Infatti, dici bene: sono voluta andar via io: tu mi avresti
sposata subito, allora. Dell'esser io tornata, non vuoi tenere alcun
conto: non fa più comodo a te, adesso, di sposarmi: per mia figlia sono
morta, e ho commesso una follia a venire. Si deve dunque chiudere così la
mia vita? Convieni almeno, via! che la follia che ho commessa non è poi
brutta! Sono tornata; mi chiudi la porta in faccia; resto sola, senza più
neanche un dolce ricordo, con la memoria soltanto dell'accoglienza che
m'hai fatta, e senza alcuno stato. Via, via, lascia che veda mia figlia,
mi porterò almeno l'imagine di lei nel cuore; e questa imagine forse...
-. Non concluse, ritenuta improvvisamente dal fare, anche a se stessa
soltanto, una promessa che poteva esser sacra e che la vita, a una prima
svolta, poteva smentire. Domandò: - Come potrò vederla? -.
- Io torno questa
sera in campagna, - disse il Furri con voce arida, - domattina sarò a
Roma con Lauretta: domani è venerdì... ah; è il venerdì santo! in
chiesa... Senti: a San Pietro, domattina, per le funzioni: dalle dieci
alle undici. Ti troverai lì; io entrerò con mia figlia, e la vedrai.
- È religiosa?
- Molto, sì.
- Allora certo, in
chiesa, prega ogni volta per me... E se domani io la vedo inginocchiata,
dirò: eccola, prega per me.
- Anny, Anny...
- Vuoi che non
pianga? Io non sono morta, come tu le hai fatto credere. E a mia figlia
che prega per me non posso neanche dire: sono viva, guardami! sono viva e
piango per te.
Attese un tratto,
piangendo, che il Furri le dicesse qualcosa; poi si tolse il fazzoletto
dagli occhi e vedendolo chiuso nel cordoglio e col volto contratto, si alzò
e asciugandosi gli occhi, disse:
- Va'! va'! A
domani, dunque... Lasciami sola. Verrai a salutarmi? Partirò domani
l'altro: sabato.
- Verrò, - rispose
il Furri.
- Intanto, a domani.
Addio.
La
prima e più tremenda prova era superata. E quantunque il Furri, in treno
con la figliuola, si sentisse ancora sotto l'incubo della presenza di
colei, pure, come se da quel tuffo violento nel passato e dal cozzo
interno di tanti opposti sentimenti un po' dell'antico vigore si fosse
ridestato in lui, notava che egli, non che soffrisse il danno temuto da
quell'incontro, ne aveva quasi tratto insperata energia; e, più che
compiacersene, se ne stupiva. Uscito il giorno innanzi, come ebbro,
dall'albergo, gli era parso, è vero, che tutto gli fosse girato intorno,
e aveva avuto appena il tempo e la forza di chiamare una vettura e di
salirvi. Ma come aveva saputo poi dominarsi, la sera, in presenza della
figliuola!
Ora il rombar
cadenzato del treno imponeva quasi un ritmo al turbinare di tante
impressioni e di tanti sentimenti in lui. Si sentiva di tratto in tratto
ferire acutamente dalla spina del rimorso infertagli dalle ultime parole
d'Anny; e allora ripeteva a se stesso: - È passato! è passato! - come se
l'aver potuto jeri andar via a tempo, rendesse oggi tardivo e per ciò
inutile il rimpianto di non avere ceduto al sentimento di indulgente pietà
ispiratogli dalle lagrime di lei. Ma così del resto doveva fare! La dura
resistenza, per quanto in certi punti ora a lui stesso crudele, era
necessaria. E gli bastava posare lo sguardo sulla figlia che gli sedeva
dirimpetto per averne conforto e giustificazione. Lauretta gli parlava, e
lui guardandola intentamente chinava di tanto in tanto il capo in segno
d'approvazione, pur senz'intendere nulla di ciò che lei gli diceva.
- Ma no! ma no! se
non m'ascolti! - gli gridò a un certo punto Lauretta.
- Hai ragione... -
fece lui, riscotendosi e andando a sederle accanto. - Ma con questo
fracasso...
- E allora perché
dici di sì col capo, mentr'io invece dicevo di no, che non può essere?
- Che cosa? Scusami,
pensavo...
- Già! Come la
signorina Lander, quando le parlo e non mi sente.
- Che cosa? - domandò
la sorda, a sua volta, nel vedersi indicata da Lauretta.
- Nulla! nulla! non
dico più nulla! - fece questa indispettita, e si mise a guardar fuori.
- Brava Lauretta!
Oh, senti: se facciamo a tempo... dopo la compera dell'abito, vuoi che
andiamo a San Pietro per le funzioni?
- Bravo papà! -
approvò Lauretta. - Ma non facciamo a tempo. Se andassimo prima a San
Pietro? Però...
- Che cosa? -
ridomandò la sorda, vedendosi guardata da Lauretta.
- Non dico a lei! -
rispose questa, accompagnando le parole con un gesto della mano
inguantata; e, rivolgendosi al padre, aggiunse: - Che ne facciamo di lei?
Non possiamo mica portarcela in chiesa con quel cappellaccio...
- Si sa! - rispose
il Furri. - Scendiamo prima a casa, e la lasciamo.
- Ma si fa a tempo?
- A momenti siamo
arrivati. Vedi che, se non t'ascoltavo, pensavo di farti un regalo con la
mia proposta. E tu, di' la verità, pensavi al negozio delle stoffe; e a
San Pietro, no.
- Non è vero! - negò
Lauretta. - Ma se tu, scusa, hai sentito il bisogno di muoverti giusto la
settimana santa... Se non fossimo andati via, all'abito forse non ci avrei
pensato, e avrei pensato certo d'assistere alle funzioni. Poi supponevo
che tu non mi ci volessi accompagnare. Hai tanto da fare, che jeri, prima,
hai dimenticato la mia commissione, - fortuna, dico io, perché così
scelgo da me e ti faccio spendere il doppio - e poi oggi, non so, mi
pareva che avessi la testa tra le nuvole. Figurati se ti avrei detto: Papà,
conducimi a San Pietro.
- Eh, lo sapevo! -
disse il Furri ridendo. - Hai sempre ragione tu!
- Vuoi essere
ringraziato?
- No no, - rispose
egli turbandosi. - Mi ringrazierai dell'abito piuttosto, se mi farai
spendere molto.
- Lo spero bene! -
esclamò Lauretta.
Il treno, entrato
nella stazione quasi scivolando sul binario, s'arrestò di schianto, e la
Lander, che già s'era alzata, ricadde improvvisamente a sedere
esclamando: - Oh Je'! - mentre il cappellaccio di paglia, urtando
contro la spalliera, pùmfete!, le saltava sul naso. Lauretta scoppiò a
ridere. Il Furri, che non s'era accorto di nulla, sconvolto alla vista
della stazione dal ricordo del giorno innanzi, si voltò di scatto al riso
della figlia, colpito: il riso della madre, lo stesso riso! Non l'aveva
mai notato.
- Se lei porta
cappelli inverosimili! - gridò aspramente alla Lander. E come se la
scoperta di quella somiglianza nel riso avesse avuto per lui un
significato di condanna, cadde in preda a un'agitazione rabbiosa, di cui
la signorina Lander volle per un buon tratto esser vittima ostinandosi a
scusare il suo cappello e a incolpare il treno che s'era fermato di
schianto, cosa che in Germania, naturalmente, non soleva mai avvenire.
L'agitazione del
Furri crebbe di punto in punto, fino a fargli perdere ogni dominio di sé,
davanti alla figlia; la quale, stupita dapprima ch'egli avesse potuto
prendere in così mala parte l'incidente occorso alla signorina Lander,
non intendeva ora perché avesse quell'angosciosa fretta di condurla in
chiesa.
- Se non puoi,
babbo, lasciamo andare! - gli disse.
- No no! - rispose
recisamente il Furri. - Andiamo subito, anzi!
E appena salito in
vettura, gli parve che conducesse la figliuola a un sacrifizio entro la
chiesa. Non tirava quasi più fiato dall'angoscia. E in quella tortura e
in quello smarrimento dei sensi non discerneva più se fosse costernato
maggiormente per sé o avesse paura per la figliuola. Più che determinata
paura, sentiva sgomento della chiesa, sapendovi in agguato, invisibile,
colei, piccola sotto la poderosa vacuità di quell'interno sacro.
Traversando la piazza immensa, sporse un po' il capo a guardar la
cordonata della chiesa in fondo: minuscole persone sparse vi salivano e
scendevano, altre erano ferme là in alto. Oh se tra queste colei si fosse
fermata ad aspettare! Strinse le pugna come per contenere in sé un impeto
rabbioso d'odio. Come, come passarle davanti, sotto gli occhi, con la
figliuola accanto? - Scese tremando dalla vettura.
- Babbo, tu non ti
senti bene, - gli disse Lauretta vedendolo così stravolto e quasi in
preda a brividi di febbre. - Torniamo a casa con la stessa vettura.
- No, - rispose, -
entriamo! Mi sono troppo strapazzato jeri e oggi. Non è nulla! Dammi il
braccio.
A ogni passo, su per
l'ampia cordonata, sentiva appesantirsi vieppiù le membra e l'ànsito
farsi più frequente e più corto - Aspetta! - diceva alla figlia. Si
provava a trarre un largo respiro, guardando intorno rapidamente, e
soggiungeva:
- Andiamo, non è
nulla, un po' d'asma.
Introdottisi
attraverso la pesante portiera di cuojo nella enorme basilica, egli lanciò
uno sguardo fino in fondo; ma Subito la vista gli s'intorbidò quasi
perduta nella vastità dell'interno, e chiamò sottovoce: - Lauretta -,
stringendo a sé il braccio di lei, quasi senza volerlo o come per
prevenirla di qualche cosa. - Lauretta! - ripeté forte, con schianto,
quasi trabalzando, nel vedere la figlia lasciare il suo braccio e correre
verso la pila a sinistra sorretta dai colossali angeletti. Nello
smarrimento, gli parve in un baleno ch'ella accorresse alla madre nascosta
lì dietro. Lauretta si voltò interdetta, e tornando a lui sorridente:
- Che sciocca!
Dimenticavo che oggi non c'è acqua benedetta. Tu lo sapevi?
- Non mi lasciare,
ti prego, - le disse egli non rimesso ancora dall'interno rimescolamento.
- Bella figura, se
qualcuno m'ha veduta! - aggiunse Lauretta, guardando intorno.
- Bada a me... bada
a me... Dove andiamo? Senti? che cosa cantano?
Dall'ala destra
della crociera in fondo venivano le parole confuse del canto.
- Sì, gl'improperia,
- disse Lauretta. - Vedi? è tardi. Andiamo qua a sinistra, al Sepolcro.
- Non tra la folla,
- pregò lui, vedendo in quest'altra ala della crociera un fitto
assembramento di gente curva inginocchiata presso la luminaria densa
dell'altare di fianco.
- No, vieni, vieni
qua, al di fuori... - rispose lei. - Qua -, e s'inginocchiò presso il
padre.
Il Furri a capo
chino si provò a volgere gli occhi in giro, ma li riabbassò subito su la
figlia inginocchiata, come se volesse nasconderla con lo sguardo. E non
osando dirlo a lei, diceva piano piano a se stesso: - Ancora? ancora? -
non resistendo più a vederla pregare. Era certo che colei la guardava da
un punto forse vicinissimo della chiesa, e gli correvano brividi per la
schiena, e tremava tutto, quasi in attesa che da un momento all'altro
colei, non sapendo più trattenersi, irrompesse tra la folla silenziosa,
piombasse sulla figlia. Ebbe un sussulto e guardò ferocemente una
signora, venuta a inginocchiarsi presso Lauretta. Si voltò: uno
scalpiccio confuso veniva dall'altro lato della crociera.
- Lauretta...
Lauretta... - chiamò.
Ella alzò gli occhi
al padre, ancora inginocchiata, e subito sorse in piedi, sgomenta: -
Babbo, che hai? -.
- Non resisto più...
- balbettò il Furri, ansimando.
Si mossero per la
navata di centro; ma si videro venire incontro solenne la processione
verso il Sepolcro. Parve al Furri che tutti gli occhi della folla
sopravveniente fossero appuntati su lui e sulla figlia, e che tutti gli
occhi fossero quelli di colei. In quel punto la madre sconosciuta
conosceva certamente la figliuola ignara. Il Furri, impedito d'andare,
stretto tra la folla, serrava con una mano convulsa il braccio di
Lauretta, e incoscientemente, con gli occhi annebbiati, vaganti in giro,
singhiozzava tra sé: - Eccola... eccola... - e cercava, tra tanti, due
occhi ben noti, su cui appuntare lo sguardo, come per tenerli lontani. -
Eccola... - diceva il suo sguardo a quei due occhi, che non riusciva a
scoprire tra la folla: - Eccola, è questa, tua figlia! -. E stringeva
vieppiù il braccio di Lauretta. - Questa, la figlia che tu hai
abbandonata, che ignora che tu, sua madre, sia qui, vicina, presente...
Guardala e passa senza gridare... È mia, mia unicamente... Io solo so
quanto mi sia costata, io che l'ho allevata tra le braccia, in vece tua,
piangendo tante notti il suo piccolo pianto, nel sentirmela sul petto
abbandonata da te...
- Vexilla Regis
prodent... - intonò in quel momento supremo il coro di ritorno dal
Sepolcro; e il Furri che non se l'aspettava, a quelle voci fu quasi per
cadere tramortito.
- Andiamo via!
andiamo via! - ebbe appena la forza di balbettare alla figlia.
Tornò,
il giorno dopo, all'albergo.
- La signora è
partita fin da jeri, - gli annunziò il cameriere ossequioso.
- Partita? - disse
il Furri come a se stesso; e pensò: «Partita! Ha veduto la figlia? Era
in chiesa jeri? O ha seguito il mio consiglio, ed è andata via senza
vederla, senza conoscerla? Meglio così! meglio così!»
Ritornò a casa e,
aprendo la porta si meravigliò sentendo Lauretta sonare, lieta e ignara,
il pianoforte. Si accostò pian piano e, intenerito, si chinò a baciarla
sui capelli:
- Suoni?
Lauretta, senza
smettere di sonare, reclinò il capo indietro e rispose sorridendo al
padre:
- Non senti che
hanno slegato le campane?
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