Sintesi di La scienza: congetture e confutazioni
A cura di Mario Trombino
Premessa
E' il testo di una conferenza tenuta a Cambridge nell'estate del 1953 nell'ambito di un corso sugli sviluppi e le tendenze della filosofia britannica contemporanea, organizzato da British Council.
Il testo è apparso dapprima nella pubblicazione che raccoglieva le conferenze di questo corso, poi è entrato a far parte di una raccolta di conferenze e saggi, edita nel 1962, a cui Popper ha dato il titolo di Congetture e confutazioni. Di questa raccolta è il primo testo, e in qualche modo il più importante (la somiglianza dei titoli della conferenza e della raccolta è in effetti significativa), perché in esso Popper esprime le sue idee generali sulla scienza. La breve prefazione al volume, in cui Popper raccoglie il nucleo centrale delle sue idee, è in effetti una estrema sintesi proprio delle tesi di questa conferenza iniziale.
Non vi sono idee nuove rispetto agli scritti precedenti, in particolare rispetto alla sua opera fondamentale, la Logica della scoperta scientifica (1934).
Come vedremo nella sintesi che segue, in questa conferenza Popper racconta il percorso che lo ha portato alla elaborazione delle sue tesi, e non presenta tesi nuove. In una Appendice, però, elenca senza affrontarli nel dettaglio una serie di problemi aperti, prevalentemente di natura scientifica e logica.
Sintesi
La conferenza ha inizio con l'esposizione dell'argomento: Popper dichiara che presenterà una sintesi dei suoi lavori sulla filosofia della scienza a partire dal 1919. Allora, giovane studente a Vienna, il suo problema era il seguente: "esiste un criterio per determinare il carattere scientifico di una teoria?" Se esiste un simile criterio, sulla questa base si potrà "stabilire una linea di demarcazione fra scienza e pseudoscienza". Dunque, ciò di cui si discute è il problema della demarcazione: come distinguere una teoria scientifica da una che non lo è?
Popper riferisce che nel 1919 si discuteva molto di psicoanalisi e di marxismo, oltre che dell'ultima novità della Fisica, la teoria della relatività elaborata da Einstein tra il 1905 e il 1915. In che cosa erano diverse queste teorie scientifiche? In questo:
La differenza è evidente: nel caso della teoria della relatività "la cosa che impressiona è il rischio implicito nella previsione". Negli altri due casi è la facilità con cui si ottengono conferme, a patto di interpretare i dati alla luce della teoria (la chiave in questo caso è il concetto di interpretazione di un fatto). Da qui la tesi: "il criterio dello stato scientifico di una teoria è la sua falsificabilità, confutabilità, o controllabilità". Dunque la psicoanalisi e il marxismo non fanno parte della scienza, sono al di là della demarcazione (il che non significa che non siano utili o che non contengano verità: significa solo che non rispettano un criterio necessario per essere definite scienze; su di essi forse domani sarà possibile costruire delle vere scienze, perché in fondo tutte le vere scienze storicamente derivano da miti)
Naturalmente anche se una teoria è confutabile, ed è quindi scientifica, di fronte a dati che la confutano vi è chi tenta di salvarla: in questi casi c'è chi mette in atto una "reinterpretazione ad hoc della teoria, in modo da sottrarla alla confutazione. Una procedura del genere è sempre possibile, ma essa può salvare la teoria solo al prezzo di pregiudicare il suo stato scientifico". Popper chiama tale operazione di salvataggio "mossa o stratagemma convenzionalistico".
Sulla base del suo criterio di falsificabilità per la soluzione del problema della demarcazione, Popper prende posizione contro Wittgenstein. Questi nel Tractatus logico-philosophicus (1921) sostiene che le proposizioni filosofiche e metafisiche (e quindi i relativi problemi) sono del tutto prive di significato, e quindi non hanno senso. Infatti per Wittgenstein tutte le proposizioni dotate di senso rimandano a fatti d'esperienza. Dunque appartengono alla scienza soltanto le proposizioni (e quindi le teorie) che possono essere dedotte da fatti osservati. Popper ne conclude che per Wittgenstein il carattere scientifico è dato dalla verificabilità, e dunque che ci troviamo di fronte ad un "rozzo criterio di demarcazione basato sulla verificabilità".
In discussione è qui che cosa significa che una proposizione ha o non ha un significato (per Wittgenstein nel Tractatus ha significato e senso solo se fondata sulla esperienza). Popper nota che al tempo delle discussioni all'interno del Circolo di Vienna (anni Venti e Trenta) la sua posizione contraria a Wittgenstein era stata mal compresa. "Il mio contributo venne interpretato dai membri del Circolo come una proposta per sostituire al criterio del significato come verificabilità un criterio del significato come falsificabilità". In realtà, Popper dice di non essere affatto entrato nel merito del problema del significato ("mi è apparso sempre un problema verbale, un tipico pseudoproblema"), ma di avere proposto un problema diverso, appunto quello della demarcazione. Anche i problemi filosofici e metafisici, a suo avviso, hanno pieno significato, anche se non possono rientrare nel criterio di falsificabilità e quindi non sono problemi scientifici. Popper non rifiuta quindi una singola tesi di Wittgenstein, ma la sua stessa impostazione di fondo: l’idea che il senso di una proposizione, e quindi di un problema, dipenda dal suo rimando all’esperienza. Per Popper il significato e il senso dei problemi filosofici non dipendono affatto da questo (il tema sarà approfondito in altri saggi di Congetture e confutazioni)
Popper passa poi ad esaminare il problema dell'induzione. E' il problema con cui si è confrontato Hume: come si passa da una molteplicità di osservazioni ad una teoria che permette di prevedere il comportamento della natura? E' corretto e scientificamente affidabile il procedimento induttivo (che permette di passare da tanti casi particolari ad un enunciato generale)?
L'esempio tipico di Hume era questo: come possiamo essere certi che domani sorgerà il Sole sulla base del fatto che ogni giorno l'esperienza passata ci ha insegnato che il Sole è sorto? C'è una ragione per cui il futuro debba necessariamente somigliare al passato? La risposta di Hume era scettica (l'induzione non è uno strumento affidabile per la ricerca della verità); tuttavia l'uomo è portato a "credere" nell'induzione (a credenze del tipo "domani sorgerà il Sole") perché guidato dall'abitudine. Ciò che ho visto molte volte accadere mi porta alla credenza che lo rivedrò ancora accadere.
Popper nota che si tratta di una spiegazione psicologica poco convincente. "Come ammette lo stesso Hume, anche una singola osservazione rilevante può bastare a creare una credenza o un'aspettazione". E questo vale anche per gli animali: "Una sigaretta accesa fu avvicinata al naso dei cuccioli. Essi l'annusarono subito, ma scapparono e nulla li avrebbe più indotti ad riavvicinarsi alla sorgente dell'odore e ad annusarla ancora. Pochi giorni dopo reagirono alla sola vista di una sigaretta. O anche di un pezzo di carta bianca arrotolata, scappando via e starnutendo". In realtà Hume, secondo Popper, ha torto: l'idea centrale di Hume è che noi osserviamo delle similarità, notiamo la ripetizione e creiamo quindi una abitudine; ma la somiglianza è tale rispetto a un parametro, che deve essere precedente alle osservazioni: "assumiamo le situazioni come simili, le interpretiamo come ripetizioni. (…) Dunque si tratta di ripetizioni soltanto da un certo punto di vista. Ciò che è per me una ripetizione, può non apparire tale a un ragno. Ma ciò significa che deve (…) esserci sempre un punto di vista prima che possa darsi una qualsiasi ripetizione." Dobbiamo dunque "sostituire all'idea primitiva di elementi che sono simili la concezione di eventi cui noi reagiamo interpretandoli come simili".
Allora l'interpretazione dei fatti osservati con cui costruiamo una teoria non è il prodotto di una costruzione basata sull'esperienza (induzione) ma una vera e propria invenzione: una congettura, un lanciarsi in avanti a prevedere il futuro, ma una congettura rischiosa, nel senso che l'esperienza successiva si incaricherà di confutarla o convalidarla. Dunque congetture e confutazioni, o, più semplicemente, un procedere per tentativi ed errori.
C'è dunque qualcosa di creativo nella elaborazione di un teoria scientifica. Certo, a monte c'è ancora dell'esperienza, a catena, nel senso che lo scienziato elabora la sua teoria come risposta creativa a problemi posti dalla realtà che osserva (ma la teoria non ne deriva semplicemente: va oltre l'esperienza interpretandola, creando una nuova concezione, nuova rispetto alle osservazioni fatte che devono essere spiegate). Che cosa c'è all'origine prima delle prime esperienze?
Se risaliamo indietro nella storia troviamo miti, anch'essi interpretabili come congetture nel senso che Popper dà a questo termine. E più indietro ancora? Troveremo idee innate che stanno a fondamento del pensiero dell'uomo?
Popper lo nega. Ma qualcosa di innato che spieghi l'origine del meccanismo della congettura e della confutazione deve pur esserci. Un regresso all'infinito non è accettabile. Questo qualcosa di innato sono le reazioni o risposte innate: non certo consapevoli, ma al modo del bambino appena nato che "si aspetta di essere nutrito e, potremmo sostenere, di essere protetto e amato". "Siamo nati con delle aspettazioni", con una "conoscenza psicologicamente o geneticamente a priori, precedente, cioè a qualsiasi esperienza osservativa. Una delle più importanti tra queste aspettazioni è quella per cui ci attendiamo di trovare [nella natura] una qualche regolarità. Essa è legata alla propensione innata a ricercare delle regolarità, o a un bisogno di trovare delle regolarità, come possiamo constatare dal piacere del bambino che soddisfa questa esigenza".
Su questo punto Popper richiama Kant e la sua concezione della causalità come forma a priori. Kant avrebbe ragione nel proporre questa teoria per dare una soluzione non scettica alle ricerche di Hume. Ma Kant "volle dimostrare troppo. Nel tentativo di illustrare come è possibile la conoscenza, propose una teoria che aveva la conseguenza inevitabile di stabilire che la nostra esigenza di conoscere è sempre sicuramente soddisfatta, il che evidentemente non è esatto."
Popper propone quindi di distinguere due diversi atteggiamenti dell'uomo:
Naturalmente l'atteggiamento dello scienziato è il secondo. Ma quello dogmatico, non scientifico o pseudoscientifico, è anche in realtà semplicemente pre-scientifico, nel senso che è più antico: "l'atteggiamento critico, infatti, non è tanto opposto a quello dogmatico, quanto sovrapposto ad esso: la critica deve essere diretta contro credenze esistenti e influenti, bisognose di revisione critica - in altre parole contro le credenze dogmatiche." La credenze dogmatiche sono quindi la "materia prima" dell'atteggiamento critico. Nella scienza quindi le teorie non vengono trasmesse come dogmi, ma "piuttosto con la sfida a discuterle e migliorarle". E' la grande scoperta dei Greci, dei primi filosofi.
Naturalmente la logica ha un'importanza notevole per l'atteggiamento critico, perché i punti deboli di una teoria "si trovano generalmente solo nelle conseguenze logiche più remote che se ne possono derivare".
E' dunque razionale il procedimento per congetture e confutazioni (tentativi ed errori)? Certo, perché la nostra accettazione delle congetture è sempre provvisoria: non abbiamo di meglio, al momento. E "neppure c'è alcunché di irrazionale nel fare affidamento, a scopi pratici, su teorie ben controllate, giacché non ci è consentita nessuna condotta più razionale (…) del procedimento per congetture e confutazioni, che consiste
Le ultime pagine sono dedicate all'esame di problemi specifici legati alla teoria dell'induzione, ad esempio al tema della probabilità: c’è chi sostiene che, se anche l'induzione non ci permette di raggiungere conoscenze scientificamente certe, ci permette almeno conoscenze altamente probabili. Ma, rileva Popper, la probabilità di un asserto è tanto maggiore quanto minore è il contenuto da esso affermato: la probabilità è cioè inversamente proporzionale al contenuto o al potere deduttivo, e quindi al potere di spiegazione. Pertanto ogni enunciato interessante e potente deve avere una bassa probabilità; e, viceversa,
un'asserzione con un'elevata probabilità sarà scientificamente priva d'interesse, perché dice poco e non ha alcun potere di spiegazione".
Alla conferenza è allegata una Appendice dal titolo "Alcuni problemi della filosofia della scienza", di cui si dà una descrizione sommaria. Si tratta di problemi tecnici molto complessi (calcolo delle probabilità, teoria quantistica, e simili)
In Schema
Problemi esaminati nella conferenza |
Teorie e filosofi con cui Popper dialoga |
Tesi di Popper |
Esiste un criterio per determinare il carattere scientifico di una teoria? E' il problema della demarcazione |
Teoria della relatività di Einstein, Psicoanalisi, Marxismo |
Il criterio di demarcazione - tra una teoria scientifica e una che non lo è – è la falsificabilità della teoria |
Il significato e il senso dei problemi filosofici, e in particolare di quelli metafisici, dipendono dal rimando all’esperienza? |
Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein |
Il significato e il senso dei problemi filosofici, e in particolare di quelli metafisici, non dipendono dal rimando all’esperienza |
Problema dell’induzione: l’elaborazione di una teoria avviene per induzione? |
La teoria dell’abitudine di Hume |
L’elaborazione di una teoria non avviene per induzione: ogni teoria è in realtà una congettura che lo scienziato tenta di confutare e che accetta finché non vi riesce |
Poiché l’elaborazione di una teoria non avviene per induzione, ma è una congettura, qual è la sua fonte originaria? |
Kant, Critica della ragion pura |
E’ la reazione o risposta innata, non ancora consapevole |
E’ possibile salvare l’induzione come fonte di una conoscenza probabile, scientificamente valida? |
Teorici non indicati espressamente |
Le teorie scientifiche non sono probabili, al contrario sono altamente improbabili |