POSIDONIO DI APAMEA

 

Posidonio di Apamea (città della Siria) fu il diretto continuatore dello stoicismo di Panezio (lo stoicismo della cosiddetta "Media Stoà"). Nato nella città di Apamea in una data incerta tra il 140 e il 130 a.C., nell’86 a.C. capeggiò un’ambasceria inviata a Roma dai Rodesi; il suo soggiorno nella capitale gli permise di stringere durevoli rapporti coi circoli ellenizzanti e di rinsaldare quel ponte fra le due culture già creato da Panezio, tanto che – dieci anni dopo – Cicerone si recò a Rodi per ascoltare le sue lezioni. Un forte legame di carattere personale e politico fu quello che lo unì a Pompeo, di cui condivise il programma moderato e filosenatorio e che celebrò in una monografia di carattere storico. Mosso dalla sua curiosità di scienziato e di erudito, compì parecchi viaggi nei paesi del Mediterraneo e anche nell’Europa del nord, ma fissò la sua dimora a Rodi, ove fondò la già menzionata scuola. Morì forse a Roma, durante uno dei suoi soggiorni nella capitale, verso il 50 a.C., quasi alla vigilia dello scontro di Farsalo fra Cesare e Pompeo. Della vasta produzione di Posidonio – di cui purtroppo restano solamente frammenti e testimonianze – conosciamo poco più di venti titoli, che si riferiscono a opere di carattere filosofico (Sulle passioni, Sul dovere, Sul cosmo, Sugli dei, Sull’anima, Sul fato, Sulla divinazione, Sull’ira), retorico/letterario (Sul sublime) e scientifico (Sull’Oceano, Sui corpi celesti, Sulla grandezza del sole). Un posto a sé occupavano gli scritti di carattere storico, il maggiore dei quali era costituito dai 52 libri delle Storie dopo Polibio, che narravano gli avvenimenti tra il 145 e l’85 a.C. (vittoria di Silla su Mitridate). Benché quest’opera sia andata del tutto perduta, possiamo farcene un’idea abbastanza precisa dalle tracce evidenti che essa ha lasciato nella Biblioteca di Diodoro Siculo, soprattutto nella parte riguardante le rivolte servili in Sicilia (135-101 a.C.), da brani conservati nei Sofisti a banchetto di Ateneo e da alcune preziose testimonianze di Stradone. Oltre ai frequenti excursus etno-geografici, ciò che caratterizzava l’opera era una spiccata attenzione per la problematica sociale e politica, che conduceva l’autore ad esprimere lucidi giudizi sul trattamento riservato agli schiavi: pur condannando – da buon filoaristocratico - le sanguinose insurrezioni dei servi, egli non mancava di mettere in luce le colpe di una classe dirigente che concepiva il rapporto servo/padrone solo in termini di spietato e disumano sfruttamento. Dietro questa riflessione sociologica (che nasce anche dall’avversione di Posidonio per l’emergente ceto equestre) non è difficile scorgere il riflesso della filanqrwpia stoica, che troverà la sua massima espressione nelle riflessioni di Seneca (Epistole a Lucilio, 47), che a riguardo degli schiavi dirà: "servi sunt, immo homines". Procedendo sulla linea dell’antidogmatismo e dell’eclettismo paneziano, anche Posidonio apporta modifiche di rilievo allo stoicismo di Zenone di Cizio, ormai incompatibile – per via del suo rigorismo soffocante - con la nuova temperie culturale. Tuttavia Posidonio riprende alcuni aspetti peculiari della filosofia stoica che erano stati espunti da Panezio: ad esempio, egli riporta in auge la dottrina della conflagrazione universale (ekpurosiV) e sostiene la validità dell’arte mantica. Pur con la cautela suggerita dall’incerta paternità di alcune testimonianze, si possono attribuire a Posidonio la teoria della sumpaqeia, ovvero del rapporto di reciproca influenza che legherebbe insieme tutte le parti dell’universo (il che, tra l’altro, giustifica il ricorso alla divinazione, ossia la lettura del futuro sulla base dei segni del presente), e l’identificazione della divinità col cielo. Meno sicura appare l’escatologia attribuitagli da diversi studiosi, specie sulla scorta del noto passo di Cicerone (De divinatione I, 64) in cui si attribuisce a Posidonio la dottrina dell’aria come sede di anime immortali ("plenus aer sit immortalium animorum") e di altre testimonianze più dubbie, le quali lascerebbero intendere che le anime stesse abbiano origine dal sole e che ad esso tornino dopo un periodo di permanenza sulla luna. Riportiamo il passo ciceroniano:

"Divinare autem morientes illo etiam exemplo confirmat Posidonius, quod adfert, Rhodium quendam morientem sex aequales nominasse et dixisse, qui primus eorum, qui secundus, qui deinde deinceps moriturus esset. Sed tribus modis censet deorum adpulsu homines somniare: uno, quod provideat animus ipse per sese, quippe qui deorum cognatione teneatur; altero, quod plenus aer sit immortalium animorum, in quibus tamquam insignitae notae veritatis appareant; tertio, quod ipsi di cum dormientibus conloquantur. ldque, ut modo dixi, facilius evenit adpropinquante morte, ut animi futura augurentur". (M. T. Cicero, De divinatione I, 64)

[Che i morenti abbiano capacità divinatoria lo dimostra anche Posidonio adducendo quel famoso caso: uno di Rodi, in punto di morte, fece i nomi di sei coetanei e disse quale di essi sarebbe morto per primo, quale per secondo, e così di seguito tutti gli altri. In tre modi, del resto, Posidonio ritiene che gli uomini sognino per impulso divino: nel primo, perché l'anima prevede da sé, essendo unita da parentela con gli dèi; nel secondo, perché l'aria è piena di anime immortali, nelle quali i segni della verità appaiono, per così dire, chiaramente impressi; nel terzo, perché gli dèi stessi parlano coi dormienti. E che le anime predicano il futuro avviene più facilmente all'appressarsi della morte, come ho detto or ora]

L 'opera di Posidonio è, in ogni caso, caratterizzata dalla vastità dei suoi interessi enciclopedici. Fu particolarmente attento alle condizioni geografiche e di vita delle varie popolazioni presso cui giunse nei suoi numerosi viaggi, ricavandone materia per i suoi scritti di geografia, storia ed etnografia. Ma si occupò anche di questioni astronomiche, del problema della misurazione della circonferenza della terra e dei fondamenti della geografia euclidea, contro attacchi mossi alla validità di essa da parte dell'epicureo Zenone di Sidone. Poche menti furono in Grecia così enciclopediche come Posidonio: a tal proposito, Giovanni Reale asserisce che "fu la mente più universale che la Grecia ebbe, dopo Aristotele". Questa concezione di un sapere universale era forse connessa - nel pensiero di Posidonio - alla nozione tipicamente stoica di simpatia, a cui abbiamo poc’anzi accennato: l'unità tra le parti del sapere non esprime altro che l' unità e la connessione tra le varie parti dell' universo. Su questa linea, egli difese anche, contrariamente a Panezio , l' astrologia e la divinazione. Anche Posidonio però manifesta libertà nei confronti di tradizioni dottrinali proprie della sua scuola: ciò appare in modo particolare nella sua critica al monismo psicologico di Crisippo. Secondo Posidonio, Crisippo non riesce a spiegare l'origine prima del vizio: come é possibile che essa dipenda dall' esercizio della stessa ragione? Nè é sufficiente imputarla ad influenze esterne, al processo educativo e alla società, perchè occorrerebbe spiegare da che cosa dipende la corruzione degli educatori e della società stessa. La soluzione di Posidonio consiste in una ripresa dell'impostazione propria di un'altra tradizione filosofica, quella platonico/aristotelica (il che testimonia l’eclettismo di Posidonio, componente che troviamo anche – forse in misura addirittura accentuata – in Cicerone). Egli ipotizza, infatti, l' esistenza di una facoltà irrazionale originaria dell'anima, alla quale possono essere imputate le passioni e l'insorgere del vizio. La terapia delle passioni potrà allora avvenire anche attraverso l'impiego di ciò che é piacevole e non razionale, in particolare della musica e della poesia, come già aveva sostenuto Platone.


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