CARTESIO E PASCAL


 

 

Il tema della preghiera diventa particolarmente rilevante nella modernità, quando si consuma la scissione tra la filosofia e la religione: è in quel momento, infatti, che la preghiera comincia ad essere indagata dalla filosofia in quanto tale.

Benché non tematizzato, il problema è già presente in Cartesio, il quale è insieme un filosofo e un sincero credente, un credente quasi ingenuo, se si tiene presente che fece il voto di andare al santuario di Loreto per aver scoperto il metodo, quel metodo da cui scaturirà l’ateismo moderno. Con Cartesio e col suo cogito, la ragione acquista un’autonomia che è insieme gnoseologica ed ontologica. È vero che Cartesio dimostra razionalmente l’esistenza di Dio,in modo geometrizzante, ma lo fa per ricercare un punto stabile sul quale fondare la certezza del cogito: egli cerca un Dio che abbia una valenza sistematica e pertanto, come dirà Pascal, il suo è “il Dio dei filosofi”. Cartesio tematizza la finitezza per giungere all’infinito, ma ciò è compiuto soltanto in termini speculativi e logici. Ma – chiediamoci – Dio cartesiano è un Dio che si può pregare e col quale relazionarsi come con una persona? Già Pascal rispondeva in modo negativo a tale domanda: e proprio la polarità tra Cartesio e Pascal è la scaturigine della modernità e delle due strade diverse che essa ha percorso. Tale alternativa sta tutta nel modo in cui è diversamente giocato il rapporto tra il finito e l’infinito. Anche Pascal tematizza la finitezza dell’uomo, ma lo fa non in termini logici, bensì con un gesto esistenziale. Egli vuole tenere insieme il finito e l’infinito, anche a costo di sferrare un attacco alla ragione: ai suoi occhi, la finitezza che Cartesio scruta è una finzione logica che è clamorosamente smentita dal principio del cogito, col quale la finitezza si espande a dismisura. In Pascal, la finitezza è spinta così in là da investire la ragione stessa e da mettere sotto scacco la pretesa autonomia del cogito. La necessità della fede, in Pascal, non è un’istanza antifilosofica, ma è piuttosto l’approdo di un diverso inizio filosofico, è l’altra faccia della modernità: una faccia che non assolutizza la ragione ma ne predica i limiti e scorge in ciò un possibile rapporto con la trascendenza.

Da questa polarità tra Cartesio e Pascal non si esce: e la storia del pensiero moderno è la storia di questa polarità, anche se nel razionalismo moderno tenderà a prevalere la linea cartesiana.

I biografi di Cartesio attestano che egli pregava, benché il Dio da lui scoperto in sede filosofica non fosse certo tale da essere pregato: è una scissione così radicale quella tra la coscienza di Cartesio e la sua filosofia, che egli non può neppure avvertirla; ma la avverte Pascal, che proprio in forza di ciò conduce la filosofia a fare un passo indietro, a togliersi dallo spazio che deve essere quello della fede. Pascal si impegna in tutti i modi per liberarsi dal “Dio dei filosofi” e dalle prove che della sua esistenza i filosofi hanno fornito, le quali, per quanto siano logicamente impeccabili, approdano a un essere supremo e necessario che non è però il “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”. Questa delimitazione pascaliana della filosofia a favore della fede è naturalmente a sua volta un atto filosofico. Tuttavia, in questa polarità si individua una non perfetta simmetria, perché, a differenza di Cartesio, Pascal conosce quella scissione, non la elude, ma decide esistenzialmente per una delle due alternative. Così, Cartesio prega come uomo ma non come filosofo; invece, Pascal, per poter pregare come uomo, deve condurre la filosofia alla coscienza dei propri limiti. Entrambi assumono l’estraneità tra filosofia e preghiera, ma in modi diversi: infatti, ciò si manifesta in Cartesio nell’impossibilità di pregare il Dio scoperto con la ragione, in Pascal nell’esplicito rifiuto di quel Dio in nome di un altro Dio irraggiungibile dalla ragione. È all’inizio della filosofia moderna che si afferma nel pensiero umano quel principio di immanenza inaugurato dal cogito, implicato dal “Dio dei filosofi” e che è già ateismo in nuce. È un Dio che nulla ha da offrire all’uomo e col quale non ha senso cercare di instaurare un rapporto: tale Dio non solo è compatibile con una sorta di “ateismo strisciante”, ma forse lo richiede. È precisamente questo che toglie alla preghiera ogni senso e ogni fondamento: per il pensiero che si pone su questa linea, la preghiera potrebbe rappresentare l’abdicazione nei confronti della centralità dell’uomo, ovvero l’abdicazione nei confronti della libertà umana. Che altro è il cogito cartesiano se non un netto rifiuto della possibilità che il proprio fondamento sia esterno? Con Cartesio, il soggetto assume piena autonomia e dunque non ha più bisogno di cercare un fondamento che sia altro da sé. Nelle correnti successive (deismo, empirismo, ecc) sarà questa la linea vincente, che porterà sempre con sé – implicita o tematizzata – una negazione del significato della preghiera o, come nel caso di Spinosa, una sua accettazione al livello ingenuo “delle donne e dei bambini”. Nel caso opposto dell’Idealismo, è la coscienza stessa che si fa assoluta e che dunque non cerca più qualcosa fuori di sé: sicché anche l’Idealismo è figlio del cogito cartesiano.

 

 


INDIETRO