JOHANN JACOB RAMBACH
A cura di Diego Fusaro
Johann Jacob Rambach (1693-1735) è noto soprattutto per i suoi contributi allo sviluppo di una ermeneutica dei testi sacri, nel tentativo di mediare la lezione del pietismo con quella della teologia dogmatica luterana. L’opera più importante di Rambach è, in questo senso, la monumentale Institutiones hermeneuticae sacrae, (Istituzioni di ermeneutica sacra), del 1732, il cui obiettivo è palese fin dal titolo. In questo testo, che segna una vera e propria tappa decisiva nell’evoluzione della moderna ermeneutica, l’autore distingue attentamente tre diversi momenti della tecnica interpretativa: la investigatio, la explicatio e la adplicatio. Ad avviso di Rambach, la investigatio coincide con la ricerca del senso della Scrittura; la explicatio ha a che fare con l’esposizione e con la spiegazione ad altri del senso che si è compreso; la adplicatio riguarda invece la capacità di utilizzare in maniera edificante, al servizio di Dio e in vista della salvezza degli uomini, il risultato della comprensione. I primi due punti – explicatio ed explicatio – non sono, di per sé, novità. Innovativo è invece il terzo momento, quello della adplicatio, in quanto con esso emerge per la prima volta nella riflessione ermeneutica un problema che, pur presentissimo in ogni attività interpretativa, era sempre rimasto sullo sfondo, senza trovare un’adeguata concettualizzazione: il momento dell’applicazione del testo compreso e spiegato. Su questo problema l’ermeneutica del Novecento disputerò accanitamente. Rambach riprende un’idea già espressa da Hermann Francke (1663-1727): l’interpretazione della Scrittura è possibile solamente per chi è capace di rinascere in Cristo e, sulla base di ciò, postula l’esistenza di un significato mistico della Scrittura stessa, un significato che si situa al di là (e al di sopra) di quello grammaticale e letterale. In questo modo, resta sì vero che sono importantissimi, per la comprensione, i sussidi esterni, che provengono dalla considerazione degli elementi storici e geografici, oltre che dal contesto grammaticale, logico e retorico dei discorsi, dall’ordine e dalla cronologia dei diversi libri; come del resto rimane vero che il senso mistico di cui l’interprete è in cerca va pur sempre attinto dai testi e non deve essere il prodotto di elucubrazioni dell’interprete: ciò non di meno, Rambach parla espressamente dell’analogia fidei come di un sussidio primario, ossia non rinuncia alla supposizione di una comune ispirazione divina, presente in tutti gli autori dei sacri testi. Per quel che concerne la cosiddetta “teoria degli affetti”, Rambach condivide con Francke l’enfatizzazione del ruolo dell’amore cristiano, che gli permette di soffermarsi più che sui contenuti peculiari del messaggio, sui sentimenti che tramite quei contenuti trovano espressione e che trovano il modo di influenzare la vita del fedele tramite il momento della adplicatio. Per questa via, diventa evidente il ruolo assegnato da Rambach a questa parte dell’ermeneutica: l’interpretazione della Scrittura ha senso solamente in funzione della pratica, dell’edificazione dell’anima e della ricerca di salvezza. Tutto ciò che viene fatto in vista di altre finalità è votato all’insuccesso.