REIMARUS
A cura di Diego Fusaro
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Nel 1774, Lessing pubblica un’opera a cui pone il
titolo di Frammenti dell'Anonimo di Wolfenbüttel. Nel pubblicarla, Lessing
precisa che si tratta di un’opera che non ha scritto lui e dalla quale anzi
dissente profondamente: l’ha pubblicata semplicemente perché l’ha ritenuta
utile per lo sviluppo del dibattito filosofico sulla religione. Quest’opera si
presenta come una vera e propria bomba che esplode nel panorama filosofico
tedesco del Settecento, scuotendone le fondamenta. Il suo vero autore era Hermann
Samuel Reimarus (Amburgo 22/12/1694 - 1/3/1768): egli studiò teologia e filosofia a Jena, divenne docente presso l’università di Wittenberg nel 1716 e nel 1720 compì un viaggio che lo portò in Inghilterra e in Olanda. Nel 1727 divenne docente di linguistica ebraica ed orientale ad Amburgo, dove la sua casa si trasformò in un vero e proprio cenacolo di intellettuali. Reimarus si era già fatto conoscere scrivendo un trattato
significativamente intitolato Trattato sulle principali verità della
religione naturale, pubblicato nel 1754: al cuore di quest’opera vi è una
critica serrata del miracolo, concepito spinozianamente come atto assurdo
perché contraddittorio con l’idea di un Dio creatore di un mondo perfetto.
L’ardita conclusione a cui Reimarus giungeva nello scritto era la messa in
discussione del concetto stesso di Rivelazione, rigettando in tal modo ogni
possibile conciliazione fra la religione naturale e quella rivelata. La
religione rivelata dev’essere buttata a mare come inutile orpello dogmatico.
Una fede ragionevole
nella Rivelazione è una cosa del tutto impossibile per quella che è di gran
lunga la parte maggiore del genere umano; giacché in primo luogo devono essere
diffusi a tutti quanti gli uomini l'annuncio e le notizie fondamentali della
Rivelazione, e tradotti in tutte le lingue del mondo; ciascuno deve essere
giunto all'età in cui si è pienamente in grado di comprendere; deve concepire
in precedenza il desiderio di sottoporre a esame tale Rivelazione, e non essere
trattenuto dal far ciò da nessun pregiudizio o da nessuna forza esterna; deve
avere il libro a portata di mano e poterlo leggere e, una volta letto,
comprenderlo e spiegarlo, e trarne fuori una dottrina con il solo aiuto della
propria intelligenza; quindi, dopo di questo, giudicarne imparzialmente della
verità del racconto, delle dottrine e del carattere divino delle profezie e dei
miracoli, cosicché ciascuno, anche se gli potessero essere date in mano tutte
le notizie fondamentali, dovrebbe in piú possedere dal canto suo la conoscenza
di molte lingue, delle antichità, della storia, della geografia, della
cronologia, e inoltre riflessione, perizia nell'esegesi, conoscenze filosofiche
e altre scienze, acume ed esercizio della ragione, rigore e libertà di
pensiero. E tutto ciò se egli non vuole credere ciecamente, ma se vuole
veramente sapere che cosa, e a chi, e perché egli crede; ciò che, tra un
milione di appartenenti a tutto il genere umano, può essere richiesto appena a
uno. [...] Una fede nella Rivelazione che si fondi su sufficiente ricerca e
convinzione, o che si accontenti di ciò che genitori e maestri, catechismo e Bibbia
dicono: nell'uno e nell'altro caso è chiaro che una Rivelazione, che tutti gli
uomini e ogni singolo possano e debbano accettare senza alcuna possibilità di
giustificazione, è cosa totalmente impossibile. Nella sua sapienza e bontà Dio,
se vuol rendere beati tutti quanti gli uomini, non può rendere mezzo necessario
e unico per la beatitudine ciò che alla grande maggioranza di essi è
impossibile ad attuarsi; ne consegue che la Rivelazione non deve essere
necessaria, né l'uomo deve essere fatto per la Rivelazione. Rimane quindi una unica
via per la quale una cosa possa veramente diventare universale: la lingua e il
libro della natura, le opere di Dio e le tracce della perfezione divina che in
essa si mostrano chiaramente come in uno specchio a tutti gli uomini, ai dotti
come agli indotti, ai barbari come ai Greci, agli Ebrei come ai cristiani, in
tutti i luoghi e in tutti i tempi. (Apologia in difesa degli adoratori
razionali di Dio, III, 20)