Sostenitore di quel "ritorno a Kant" che grande successo ebbe negli ambienti culturali tedeschi a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, Heinrich Rickert (Danzica 1863-Heidelberg 1936), filosofo, professore nelle università di Friburgo e di Heidelberg, allievo di Wilhelm Windelband, fu, col maestro, promotore della "
filosofia dei valori", corrente di pensiero neokantiana che ebbe a Heidelberg e nella scuola di Baden il centro propulsore. Tra le sue opere meritano di essere menzionate: L'oggetto della conoscenza (1892), I limiti della formazione dei concetti scientifici (1896-1902), Scienza della natura e scienza della cultura (1899), Filosofia della storia (1905), Filosofia della vita (1920), Sistema di filosofia (1921), Kant come filosofo della cultura moderna (1924), Problemi fondamentali della filosofia (1934), Immediatezza e significato (1939, postumo). Rickert riprese e rielaborò i temi del discorso di Windelband. Egli pure sottolinea che un contenuto conoscitivo deve incarnare un valore riconosciuto e riconoscibile come tale in modo necessario e universalmente. Sbagliano Nietzsche, Bergson, James e Dilthey a ritenere che i valori siano mere espressioni del fluire incessante della vita e puri e semplici prodotti storici: al contrario, essi sono – asserisce Rickert – le eterne ed immutabili condizioni del processo storico; pur essendo trascendenti, sono essi a conferire un senso alla storia, un senso che essa, di per sé, non avrebbe. Analogamente anche sul piano etico ed estetico. Anzi egli specifica il numero e le caratteristiche dei "domini di valore". Essi sono sei: logico, estetico, mistico, etico, erotico, filosofico-religioso. I loro rispettivi "valori" sono: verità, bellezza, santità impersonale, moralità, felicità, santità personale. In ognuno di questi domini l'uomo raggiunge un "bene": scienza, arte, uno-tutto, comunità libera, comunità d'amore, mondo divino. Ognuno d'essi poi comporta una specifica "relazione": giudizio, intuizione, adorazione, azione autonoma, unificazione, devozione. E infine ciascuno implica una particolare "intuizione del mondo": intellettualismo, estetismo, misticismo, moralismo, eudemonismo, teismo o politeismo. Ma ciò ch'è piú valido nell'elaborazione di Rickert è invece lo sviluppo di un'idea già esposta da Windelband: quella della necessaria distinzione tra scienze della natura e scienze storiche. Windelband aveva caratterizzato le seconde come "idiografiche", cioè descrittive della specificità del singolo fatto, in relazione alla particolarità e alla determinatezza della situazione storica in cui esso sussiste; le prime invece come "nomotetiche", cioè tendenti a "porre leggi" dei fatti. Rickert, riprendendo il discorso elaborato dal maestro, ripropone la distinzione, e specifica che essa non dipende dall'oggetto ma dal metodo. La stessa realtà empirica può esser giudicata sia come natura sia come storia. Nel primo caso, essa viene valutata in relazione alla sua universalità, nel secondo in relazione alla sua particolarità. Nel primo caso la si tratta con il metodo delle scienze naturali, nel secondo con quello delle scienze storiche. È evidente, egli sottolinea, che l'"individuale" assunto ad oggetto delle scienze storiche dev'esser solo quello "significativo". Pertanto, l'individuale da trattare è sempre "scelto" dallo studioso. Ma la scelta è effettuata in base al "valore" ch'esso esprime. Ciò non significa però che lo storico pronunci giudizi di valore sui valori che quel fatto esprime; lo storico si limita solo a "riconoscerli" là dove sussistono. I valori tuttavia non vengono "prodotti" né "si trasformano" nella e con la storia. Essi sussistono in sé, intangibili, e pertanto sono pre-posti agli eventi. Sono cioè "assoluti" e non "storicizzati". Anzi, la storia stessa acquista senso nel suo farsi in quanto è guidata e orientata dai valori. Errano quindi quegli "storicisti" che ritengono che essi siano da considerarsi totalmente storicizzati; con tale convinzione essi rivelano solo una concezione relativistica e quindi riduttiva dei valori stessi; concezione peraltro che toglie validità alla conoscenza storica. Di fronte al tragico crollo di tutti i valori che stava percorrendo l’Europa di quegli anni e colto con estrema acutezza da Nietzsche, Rickert e Windelband si oppongono richiamandosi direttamente a quella tradizione metafisica che, da Platone in poi, si era appellato ai valori del bello, del buono, del giusto. Contro tutte le filosofie contemporanee, miranti ad azzerare i valori, Rickert si schiera a viso aperto nel suo scritto del 1920, La filosofia della vita.
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