SALUSTIO
A cura di Marco Machiorletti
Gli studiosi sono concordi nell’identificare Salustio con Saturnino Salustio Secondo, elevato da Giuliano, nel 361 d.C., alla carica di prefetto d’Oriente (e al quale fu dedicato, tra l’altro, il discorso Ad Helios Re).
Il suo trattato Sugli dei e il mondo (G. Rochefort sulla base di una serie di elementi plausibili ne fissa la data di composizione fra il marzo e il giugno 362 d.C.) rientra con tutta probabilità nel quadro della politica di restaurazione del politeismo pagano promossa da Giuliano, ed è una sorta di manifesto della fede politeistica o un catechismo degli articoli essenziali di essa.
Lo scritto – di formidabile chiarezza e lucidità – costituisce uno sforzo cospicuo di purificazione delle credenze pagane in modo da renderle competitive nei confronti della religione cristiana.
La maggior parte delle idee esposte nel breve trattato non sono originali. In alcuni punti, tuttavia, l’autore, per via della rivalità con la concezione cristiana, sostiene alcune tesi inconsuete.
Così, per esempio, egli sostiene che la Provvidenza esiste per i popoli, per le città, e anche per l’uomo singolo.
Relativamente all’origine del male, Sallustio afferma che nulla è male per sua natura, ma diviene male per le azioni degli uomini, o meglio, di alcuni uomini.
Inoltre, il male non è commesso dagli uomini per sé, ma perché si presenta falsamente sotto l’apparenza di un bene, come aveva già insegnato in certa misura Socrate.
I mali nascono sempre e solo a causa di una falsa valutazione dei beni.
La conoscenza dell’esistenza degli Dei, per Salustio come per tutti i Neoplatonici, è naturale.
L’ateismo è considerato da Salustio nei termini di un castigo.
Riportiamo le sue parole:
“Non è infine inverosimile che anche l’irreligiosità costituisca una forma di castigo, dato che è ragionevole supporre che quanti, in una vita anteriore, ebbero modo di conoscere gli dei, ma non li tennero nel rispetto dovuto, siano privati, in una successiva, anche del privilegio della conoscenza di questi; così come era necessario che Dike, Giustizia, facesse precipitare lontano dagli dei veri quanti onorarono i propri re come dei” (Salustio, Sugli dei e il mondo - 18, 2).
I Demoni, dice Salustio, non sono i soli a punire le anime, ma è anche l’anima stessa che «dà a se medesima il proprio castigo».
Egli riprende la dottrina della metempsicosi:
“Si può dedurre la trasmigrazione dall’osservazione dei difetti congeniti (perché mai, altrimenti, alcuni verrebbero al mondo ciechi, altri storpi, altri, ancora, menomati nell’anima stessa?), così come dall’osservazione che le anime – che sono atte, per natura, a reggere un corpo – non possono, una volta salta fuori di quello, restarsene a poltrire per l’eternità” (Ibidem - 20, 2).
Ed ecco le conclusioni del suo trattato:
“Felici sotto ogni rispetto e – in particolare – separate dall’anima irrazionale, e pure da ogni contatto corporeo, le anime che abbiano vissuto secondo virtù si uniscono agli dei e reggono con quelli il mondo intero.
Ma anche se nulla di tutto ciò fosse vero: senza contare il piacere e la gloria, che da quella discendono assieme a una vita priva di crucci e senza servitù, la virtù stessa basterebbe da sola a render felici quanti scelsero di vivere secondo virtù, e ne furono capaci” (Ibidem – 21, 1-2).