L’immaginazione in Sartre
A cura di Anna Rita Murano
Gli studi sull’immaginazione e sull’immaginario, elaborati alla fine degli anni trenta, costituiscono il primo momento di riflessione teorica nell’opera di Sartre. Un interesse cosi pronunciato in quel periodo per la teoria dell’immagine risulta tutt’altro che ingiustificato o sprovvisto di motivazioni: s’inserisce, infatti, nel processo di acquisizione, nonché di rielaborazione delle fenomenologia husserliana, operato da Sartre in seguito al suo soggiorno a Berlino.
Nel tentativo di dare un nuovo statuto all’immagine e all’immaginario, sartre enuclea dei principi estetici che non solo saranno presenti e operativi in tutta la sua opera critica ma, pur subendo profonde rielaborazioni e modifiche, gli permetteranno di superare i limiti sorti con la teorizzazione delle letteratura impegnata.
Nell’Imagination, Sartre si applica a confutare, con notevole acutezza e indubbia parzialità, le principali teorie dell’immagine enucleate da Cartesio a Bergson.
Queste a suo vedere, sono tutte fondate su un particolare errore: l’illusione d’immanenza. Questo sviante atteggiamento teoretico consiste nel concepire l’immagine come un oggetto, ossia un possibile ed eventuale contenuto della coscienza.
Sartre al contrario, facendo propria la teoria husserliana dell’intenzionalità, afferma con decisione che l’immagine non è una cosa, bensì un atto di coscienza. L’immagine dunque non si offre con la consistenza di un dato reale, ma si risolve in un processo intenzionale: è un rapporto i cui poli sono la coscienza e l’oggetto verso cui essa si trascende.
Quella che egli descrive è una condizione di scissione della coscienza, nella quale si sente un eco del dualismo tra essere e pensiero.
La coscienza, quindi, da un lato è proiezione di sé nel mondo, è coscienza di qualcosa, quindi è un essere-nel-mondo.
Quindi possiamo affermare che l’immaginazione non è altro che negazione della realtà visibile, negazione di questo mondo e tensione verso un altro mondo.
Il tutto ovviamente può essere visto come un incantesimo destinato a far apparire l’oggetto desiderato, pensato in modo da poterne prendere possesso.
A questi ordini della coscienza, il nulla viene immerso nel mondo.
La capacità di nullificare che possiede la coscienza fonda la sua libertà assoluta, poiché essa può sempre trascendere il suo essere-nel-mondo.
Da un lato le cose,dall’altro la negazione delle cose: questo è l’essere ed insieme il nulla entro cui circola l’esistenza. Quindi, da un lato c’è un’esistenza gettata nel mondo, ed è quello che Sartre chiama l’essere-in-sé, ovvero l’essere cosa fra le cose. Dall’altro, c’è quello a cui dà il nome di l’essere-per-sé cioè il distacco dalla realtà, la nullificazione della realtà e della coscienza stessa.
Che cos’è dunque l’immagine per Sartre?
L’immagine non è altro che una forma della coscienza. Se non c’è immaginazione senza coscienza, non può esserci coscienza senza immagini. Quindi immagine e coscienza in Sartre rivelano il loro inestricabile co-appartenersi.
Come dicevamo poc’anzi l’immagine viene paragonata ad un incantesimo destinato a far apparire l’oggetto pensato, la cosa desiderata in modo che se ne possa prendere possesso. Ecco dunque perché è coscienza trascendentale. Ovviamente la coscienza per poter immaginare dice sartre , deve allontanarsi dalla realtà; deve cioè isolare la realtà, la deve annichilire. Quindi la realtà si pone alla coscienza immaginativa come dato assente.
Parlando del ricordo , ci poniamo una domanda fondamentale:
C’è differenza con l’immagine?
C’è differenza nel senso che nel caso del ricordo, la realtà non si pone come un dato assente, ma è semplicemente la memoria che porta al presente un avvenimento presente al passato. La coscienza al fine di poter immaginare non deve cessare di essere coscienza di qualcosa perché la sua natura consiste nell’essere coscienza intenzionale.
La coscienza deve quindi porre il mondo come nulla in rapporto con l’immagine. Questo perché la coscienza per poter immaginare, deve liberarsi dal reale, deve quindi oltrepassarlo.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi: l’immagine è un mondo negato? L’immagine non consiste nel negare tutto il mondo, ma nel negarlo solo in parte, cioè nella parte che permette di porre l’assenza o l’inesistenza di un oggetto che poi successivamente verrà reso presente in immagine.
Per intenderci Sartre fa l’esempio dell’unicorno. Ora, affinché l’unicorno sorga come irreale, è necessario che il mondo sia percepito come mondo-in-cui-l’unicorno-non-c’è. Ovviamente questo non è l’unico mondo della coscienza di superare il reale; tale superamento può anche avvenire ad esempio per opera dell’affettività.
Esempio tipico è quello dell’apparizione di una persone a noi cara scomparsa; ciò avviene ad opere di una motivazione affettiva che ci permette di apprendere una mancanza di questa persona nel reale. Questo per dire che la coscienza può immaginare solo se sia-nel-mondo e sia libera di realizzare la propria libertà immaginativa: infatti, l’uomo produce immagini perché è un essere-libero.
L’uomo in quanto essere razionale, tende a trovare una spiegazione ad ogni manifestazione sia immanente che trascendente, ma quando tende a razionalizzare il trascendente, è volto al fallimento. Questo accade perché l’uomo vuole comprendere il nulla, la morte.
Tutto questo in un certo qual mondo ci riporta a Bergson, quando in una sua opera intitolata: Il fondamento della morale, parla del tentativo dell’uomo di spiegare la religione e poiché non può per la sua natura finita ricorre all’attività fabulatrice.
L’immaginario, tornando a Sartre, non appartiene al mondo dei segni: le immagini non sono assimilabili alla prosa quale era stata tematizzata da Sartre in Qu’est-ce que là littètature? SE il segno rimanda a qualcosa di esterno a sé, l’immagine trascina la realtà nel nulla.
Per quanto concerne l’opera d’arte invece, Sartre riporta l’esempio di un ritratto di Carlo VIII.
Sartre ci fa intendere che fino a quando ci soffermeremo sulla tela, Carlo VIII non apparirà. Egli apparirà solo quando la coscienza attraverso un annichilimento della realtà, si darà ad essa come immaginativa.
Il più delle volte siamo portati a pensare che l’artista quando ha in mente un’immagine, è come se effettuasse un’operazione inversa ovvero, porta l’immaginario al reale. Questo è errato in quanto è reale tutto ciò che è, ossia le pennellate sulla tela, cosa che non fanno di un quadro un oggetto estetico. Il bello, non può darsi alla percezione in quanto è isolato dalla natura. La bellezza, giacché implica un annichilimento della realtà, è possibile percepirla solo nel nostro immaginario.
Molto confondono morale ed estetica: questo è un errore, perché i valori del bene presuppongono l’essere-nel-mondo.
Non possiamo dire che di fronte alla via si ha un effetto estetico, perché questo significherebbe confondere il reale con l’immaginario.