FERDINAND DE SAUSSURE
A cura di Diego Fusaro
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Ferdinand de Saussure nasce a Ginevra nel 1857 da una coltissima
famiglia di scienziati e di naturalisti, che lo inducono a intraprendere studi
di chimica e fisica. Ma egli ben presto abbandona tali studi per dedicarsi alla
linguistica. Prosegue a Lipsia e a
Berlino tali studi, approfondendo il persiano antico, l'antico irlandese, lo
slavo e il lituano. Nel 1878 pubblica Memoria sul sistema primitivo delle
vocali nelle lingue indoeuropee, in cui postula l’esistenza di entità
vocaliche astratte, definite dalla loro funzione strutturale e non
semplicemente dalla loro realtà fonetica. Nel 1880
consegue la laurea a Lipsia, per poi trasferirsi a Parigi e insegnare presso
l’Ècole des Hautes Ètudes. Nel 1891 torna nuovamente a Ginevra, ove risdiede
fino alla morte, sopraggiunta nel 1913. La sua opera più importante, apparsa
postuma nel 1916, è il Corso di linguistica generale: essa si presenta
come una raccolta di note autografe e di appunti trascritti da alcuni uditori
delle lezioni che egli tenne tra il 1906 e il 1911; l’opera è stata redatta da
alcuni allievi di Saussure (Charles Bally e Albert Séchehaye, con l’ausilio di
Albert Riedlinger). L’opera è di importanza capitale, poiché produce, in ambito
linguistico, una vera e propria rivoluzione che si rivelerà fondamentale anche
per l’avvento dello strutturalismo. Ad avviso di Saussure, la lingua è
un sistema di segni che esprimono idee. Se si ipotizza l’esistenza di una
scienza generale dei segni sociali (scienza allora non ancora esistente, e che
Saussure battezzò col nome di “semiologia”), allora la linguistica verrà ad essere una parte di
quest’ultima; e in particolare sarà la scienza che si occupa di quello
specifico segno che è il “segno verbale”; la semiologia, dal canto suo, studierà anche i segni non
verbali (scrittura, alfabeto dei sordomuti, riti simbolici, segnali militari, e
così via). Ma la linguistica non ha per oggetto specifico il linguaggio - esso
è una massa eterogenea analizzabile sotto diversi punti di vista (fisico,
psichico, fisiologico, e così via) - ma piuttosto quella sua parte essenziale
che è la lingua. Ed è a questo proposito che Saussure distingue nettamente tra
“lingua” e “parola”: la prima
rappresenta il momento sociale del linguaggio ed è costituita dal codice di
strutture e regole che ciascun individuo assimila dalla comunità di cui fa
parte, senza poterle inventare o modificare. La parola è invece il momento
individuale, cangiante e creativo del linguaggio, ossia la maniera in cui il
soggetto che parla “utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione
del proprio pensiero personale”.
Il fatto che lingua e parola siano realtà distinte è suffragato,
ad esempio, dalle afasie (il malato coglie i messaggi linguistici, ma ha perso
l’uso della parola) o dalle lingue morte (assimilabili anche se non si parlano
più). Un’altra importante conseguenza che discende dalla separazione della
lingua dalle parole è che “si separa a un
sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è
essenziale da ciò che è più o meno accidentale”. In
antitesi con la teoria “realistica” della lingua, Saussure spiega che il segno
linguistico, lungi dall’unire una “cosa” a un “nome” (come sostiene una
tradizione che va dalla Bibbia alla modernità), unisce un “concetto” a una
“immagine linguistica”. Su questo presupposto, Saussure distingue tra “significato” e “significante”: il
significato è ciò che il segno esprime; il significante è il mezzo utilizzato
per esprimere il significato (l’immagine acustica). Ma il significato e il
significante non sono separabili: come dice Saussure, sono come le due facce
dello stesso foglio. Ma pur essendo inseparabili, il rapporto tra i due è arbitrario: ciò è dimostrato dal fatto che, per esprimere uno stesso
significato (ad esempio, sorella), le diverse lingue usano significanti
diversi (sorella in italiano, soeur in francese, e così via). Ma
per Saussure “arbitrario” non vuol dire soggettivo e libero: ma piuttosto
“immotivato”, cioè non necessario in rapporto al significato che viene
espresso. L’inaggirabile limite che Saussure ravvisa nella linguistica a lui
precedente (e in particolare nella scuola “storico-comparativa”) sta nell’aver
indebitamente privilegiato la sfera evolutiva della lingua, a svantaggio di
quella sistematica: in termini strettamente saussuriani, è stata privilegiata
la sfera “diacronica” della lingua rispetto a quella “sincronica” (anche detta
“statica”). La linguistica sincronica studia la lingua nella sua simultaneità,
cioè come essa si presenta in un certo momento; la linguistica diacronica
(anche detta “dinamico-evolutiva”) studia invece la lingua nella sua
successione, cogliendone cioè lo sviluppo temporale. Anche se la sincronia non
esclude la diacronia, Saussure sostiene il primato
della dimensione sincronica: infatti, nella
misura in cui la lingua è un sistema di valori determinato dallo stato
momentaneo dei suoi termini, lo studioso della linguistica è necessitato a
badare alla sincronia, trascurando la diacronia. Detto altrimenti, “se dépit ha
significato in francese ‘disprezzo’, ciò non toglie che attualmente abbia un
senso completamente diverso”. Ciò vuol dire che la sincronia (il valore attuale
di un dato termine) e l’etimologia (la storia di un dato termine) sono assolutamente
differenti, sicché per comprendere la prima non è necessario aver compreso la
seconda, proprio come “in una partita a scacchi”, nella quale ogni posizione è
indipendente dalle precedenti (non conta se si è arrivati a quella data
posizione per una via piuttosto che per un’altra). Privilegiando la sfera
sincronica, diventa possibile (e diventa evidente soprattutto con la futura
“linguistica strutturale”) una considerazione matematico/quantitativa del
linguaggio, incentrata su modellizzazioni astratte. Anche se Saussure non parla
mai di “struttura”, innegabile è l’eredità da lui lasciata allo strutturalismo:
in primo luogo, l’idea del carattere sistemico della lingua (ogni elemento ha
un valore determinato dal rapporto con gli altri elementi); ma anche l’idea del
primato della lingua sul parlante, e l’idea dell’egemonia della sincronia sulla
diacronia. L’eredità saussureiana è decisiva anche nella cosiddetta “Scuola di
Ginevra”, che ha per esponenti principali gli allievi di Saussure stesso:
Charles Bally (1865-1947), Antoine Meillet (1866-1936). Importantissima fu la
rivista di linguistica fondata nel 1941 dalla Scuola di Ginevra: i Cahiers
Ferdinand de Saussure. “Ma che cos’è la lingua? Per noi, essa non si confonde
con linguaggio; essa non ne è che una determinata parte, quantunque, è vero,
essenziale. Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del
linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale
per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nella sua
totalità, il linguaggio è multiforme ed eteroclito; a cavallo di parecchi
campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche
al dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in
alcuna categoria di fatti umani, poiché non si sa come enucleare la sua unità”
(Corso di linguistica generale, Bari-Roma, Laterza, 1967, p. 19).