SCHIAVISMO SERVAGGIO CAPITALISMO
Dallo schiavismo al servaggio esiste un progresso nell'emancipazione sociale del lavoratore che il marxismo classico non ha mai sottolineato nella giusta misura.
I pregiudizi nei confronti del mondo rurale si sono riflessi nell'interpretazione del feudalesimo, che viene positivamente considerato solo in riferimento a quelle realtà sociali e istituzionali che poi portarono alla nascita del capitalismo (p.es. l'Italia comunale o in genere il basso Medioevo).
Il marxismo occidentale non ha ipotizzato l'idea che con una maggiore resistenza contadina al servaggio si sarebbe potuta verificare una transizione diversa da quella che farà nascere il capitalismo. C'è voluto il leninismo prima di ipotizzare un salto dal feudalesimo al socialismo.
La storia in realtà s'è incaricata di dimostrare che dal servaggio al lavoro salariato esiste più che un progresso nell'emancipazione sociale, un progresso nell'ipocrisia di tale presunta emancipazione.
Esiste infatti un falso progresso sul piano della libertà giuridica, la quale viene costantemente contraddetta dalla schiavitù sociale. Si è "liberi" di vendere la propria forza-lavoro, ma senza possibilità di contrattare sul prezzo e senza certezze che qualcuno sarà disposto a comprarla. In sostanza si è liberi o di fare lo schiavo o di morire di fame.
L'operaio salariato è più simile allo schiavo romano che non al servo della gleba. La differenza sta solo nella maggiore libertà giuridica, che però è del tutto formale.
Rispetto al servaggio è migliorata una situazione formale ed è peggiorata la condizione sostanziale. Di questo non ci si accorge nei tre poli dell'imperialismo mondiale: Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone semplicemente perché il peso delle contraddizioni tra capitale e lavoro viene prevalentemente scaricato sull'80% dell'umanità che vive nei paesi del Terzo e Quarto Mondo.
Le formazioni precapitalistiche nel pensiero di Marx
Nell'esaminare il pensiero di Marx relativamente alle formazioni precapitalistiche bisognerebbe partire dalle seguenti premesse:
Nel cap. 36 egli afferma, in maniera ricorrente, che "il capitale usuraio è tanto più forte quanto più è dominante la piccola produzione dei contadini e degli artigiani". Ma se questa tesi può essere vera per il basso Medioevo, non lo è anche per l'alto Medioevo.
Un'altra tesi ricorrente, molto generica e sostanzialmente errata, è questa: "se e quando il capitale usuraio porta alla nascita del capitalismo, ciò dipende dal grado di sviluppo della società".
Anche perché lo stesso Marx sembra sostenere il contrario: "il capitale usuraio distrugge la società pre-capitalistica senza crearne una capitalistica; il capitale industriale invece distrugge e crea".
Dunque, cosa intende Marx per "grado di sviluppo della società"? Qualunque riferimento all'economia in ultima istanza non spiega nulla.
Finché esiste solo il capitale usuraio, la società pre-capitalistica ha più possibilità di autoconservarsi di quante non ne abbia se si sviluppa il capitalismo, ovviamente a condizione che esista un'opposizione collettiva del lavoro all'usura. Viceversa, se si sviluppa il capitalismo, la conservazione della memoria del passato diventa impossibile e l'anticapitalismo non può essere che un sinonimo di post-capitalismo, cioè di socialismo.
In una lettera a Engels, Marx ammette d'aver avuto dei pregiudizi nei confronti della questione contadina. Lo scrive dopo aver preso contatti col populismo russo. Come noto, i pregiudizi non dipendono sempre dalle insufficienti conoscenze. Marx mostra di averne nei confronti del mondo rurale sin dal suo esordio giornalistico nella "Rheinische Zeitung" (1842-43). Molto interessanti sono le lettere spedite da Marx a Engels nel 1856 (29/02, 16/10, 30/10). Rilievi negativi nei confronti delle istituzioni comunitarie dei popoli slavi si trovano anche in Per la critica dell'economia politica (p. 21), nei Lineamenti... (p. 646) e nello stesso Capitale (I, p. 272).
Certamente il livello degli studi delle formazioni precapitalistiche era ai suoi tempi relativamente modesto, ma sia Marx che Engels conoscevano le opere di Hanssen, Meitzen, Maurer, Morgan, e comunque non era assente l'esperienza del lavoro agricolo pre-capitalistico.
Marx conosceva le comunità asiatiche (specie dell'India), le comunità di villaggio rumene, le comunità "comunistiche" del Perù pre-colombiano... Tuttavia, mentre scriveva il Capitale, Marx non s'è mai interessato seriamente ai problemi dell'evoluzione dell'agricoltura medievale o della servitù della gleba. L'unica regione dell'Europa orientale citata nel Capitale è la Romania (vagamente i paesi danubiani).
E' stato semmai Engels a interessarsi maggiormente del Medioevo dell'Europa occidentale (soprattutto della Germania). In una lettera a Engels del 14/03/1868, Marx mette a confronto alcune caratteristiche dell'obscina russa con la marca tedesca: questo indurrà Engels ad approfondire l'argomento della rivoluzione contadina dei tempi di Lutero e il tema dell'Origine dello Stato, della famiglia....
Marx cominciò a superare i suoi pregiudizi non solo quando ebbe una chiara visione della comune agricola russa (grazie alle opere di Cernysevskij e di Kovalevskj), ma anche quando si rese conto che i populisti erano seriamente intenzionati a fare una sorta di "rivoluzione socialista" per impedire che il capitalismo distruggesse l'obscina definitivamente.
In una lettera a Kugelmann (17/02/1870), Marx difende esplicitamente l'obscina contro coloro che ritengono quest'ultima responsabile della miseria dei contadini. Cfr anche le lettere di Marx all'Otecestvennje Zapiski (novembre 1877), a Vera Zasulic (08/03/1881), di nuovo a Kugelmann (29/11/1869 e 27/06/1870) e a S. Meyer (21/01/70).
In quegli anni la posizione di Marx si può così riassumere:
Una questione bisognerebbe tuttavia chiarire: quando Michajlovskij sosteneva che, per come viene descritto nel Capitale, il processo di formazione del capitalismo pare debba valere come legge inevitabile della storia qua talis e che quindi non ci può essere rivoluzione socialista se prima non viene imposto il capitalismo su vasta scala - si tratta, questa, di una lettura sbagliata del Capitale o di una sua inevitabile interpretazione (conseguente a certe tesi marxiane)?
Marx si è difeso dicendo che intendeva riferirsi all'Inghilterra, ma lui stesso ha affermato d'aver scelto questo paese come "sede classica" dell'accumulazione capitalistica. Solo dopo aver preso contatti col populismo ha affermato di non aver voluto indicare una sorta di "filosofia della storia".
Qui tuttavia è impossibile discutere delle intenzioni di un grande economista quale fu Marx. Qui si vuole semplicemente discutere se oggettivamente talune sue tesi (o addirittura l'impostazione generale del Capitale) potevano portare alla conclusione che il capitalismo fosse una tappa fondamentale per la realizzazione del socialismo.
Che poi Marx abbia voluto fare autocritica solo in maniera indiretta, facendo concessioni, ammettendo alcune possibilità non previste... questo è un altro discorso.
Dal canto suo Marx non aveva dubbi nel considerare l'Europa occidentale e l'Inghilterra in particolare come l'area geografica più avanzata del mondo. Se a questo si unisce la sufficienza con cui Marx ha sempre guardato le formazioni economiche precapitalistiche, diventa una conseguenza inevitabile, anche se non esplicitamente ammessa, il ritenere che tutto lo sviluppo storico mondiale debba in qualche modo ripercorrere le fasi del capitalismo europeo.
Marx avrebbe fatto meglio ad ammettere che dopo essere venuto a contatto col populismo russo, cominciò a comprendere l'importanza delle società precapitalistiche europee e non, e di averle colpevolmente trascurate nella stesura del Capitale, proprio a causa di un personale pregiudizio nei confronti del mondo rurale (riscontrabile esplicitamente persino nel Manifesto del 1848).
La conclusione cui vogliamo arrivare è in sostanza la seguente: se Marx avesse compreso meglio le formazioni precapitalistiche, probabilmente avrebbe cercato di approfondire di più, sul piano culturale, i motivi che storicamente portarono alla nascita del capitalismo. L'aver ricondotto l'analisi della nascita del capitalismo entro gli angusti limiti dell'economia politica, implicava già di per sé una posizione nettamente sfavorevole nei confronti delle società precapitalistiche, dove il ruolo culturale di questa scienza era del tutto trascurabile. Implicava inoltre la decisione di considerare il capitalismo come una formazione sociale inevitabile.
Marx ovviamente non fu così ingenuo dal pensare che il capitalismo sarebbe potuto nascere in qualunque epoca storica (inclusa quella greco-romana, dove i commerci erano molto sviluppati). Tuttavia egli era convinto di due cose:
Le varianti a queste tesi non sono emerse che dal rapporto coi populisti russi (poi hanno trovato conferma negli studi di Morgan e di Maurer).
Non si può sostenere che Marx giudicasse inevitabile la transizione al capitalismo solo in Europa occidentale, non in Russia. Nessuna transizione è mai inevitabile, in nessun paese del mondo. Lo diventa solo se non vengono poste liberamente alcune condizioni per impedirla. Ma la possibilità di tali condizioni esiste sempre, ed è esistita anche in Europa occidentale, Non è un caso che Marx non si sia mai interessato delle lotte contadine antifeudali.
Per Marx l'inevitabilità del capitalismo dipendeva proprio dal fatto che si passava da una proprietà privata (quella dei piccoli agricoltori) a un'altra (quella dei capitalisti). In Russia, per realizzare il capitalismo, si doveva passare da una proprietà comune (l'obscina) a una privata (p.es. dei kulaki). Se questo seconda forma di transizione la si voleva considerare inevitabile, occorreva farla dipendere non dalle considerazioni (fatte nel Capitale) relative alla prima forma di transizione, ma da nuovi argomenti (vedi p,es. la lettera alla Zasulic).
Tuttavia neppure la prima forma di transizione avrebbe dovuto essere considerata inevitabile, non foss'altro perché in Europa occidentale sono esistite comunità di villaggio, proprietà comuni della terra ecc. Per Marx le comunità di villaggio sono esistite solo nelle formazioni pre-feudali.
Gli ultimi 12 anni della vita di Marx andrebbero studiati come un capitolo a parte della sua vita.
Questo periodo andrebbe intrecciato con quello coevo di Lenin, il quale, condizionato com'era da Plechanov, non riusciva ad afferrare l'importanza del populismo. Lenin, come tutti i marxisti russi, era convinto che il capitalismo sarebbe stato inevitabile in Russia e -questo però solo lui lo pensava- che si sarebbe potuto opporre un'efficacia resistenza non tanto con la comune agricola quanto con la rivoluzione proletaria. Solo molto più tardi Lenin penserà di utilizzare le rivendicazioni contadine per la realizzazione del socialismo. Di Lenin bisogna leggere Che cosa sono gli "Amici del popolo"... (1894).
Le domande cui bisognerebbe rispondere sono queste: se i marxisti russi si fossero alleati prima coi populisti, la rivoluzione bolscevica sarebbe scoppiata prima? sarebbe stata comunque dominata dagli intellettuali e dalle esigenze dell'industrializzazione? sarebbe stata ugualmente burocratica e statalistica? ci sarebbe stata la collettivizzazione forzata delle campagne?
Se si considera l'obscina russa come una possibilità praticabile che l'Europa aveva d'impedire il sorgere del capitalismo, oggi, essendo essa scomparsa, si deve necessariamente credere che per tutta l'Europa non sarà mai possibile alcuna transizione al socialismo?
Ha senso sostenere che un'efficace lotta anticapitalistica non avrebbe potuto essere patrimonio esclusivo dei soli populisti, senza un collegamento con quella condotta dagli operai industrializzati?
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Nell'odierna Russia è riesploso il capitalismo perché col comunismo s'era cercato di fermarlo in maniera artificiosa. Non nel senso che, perché si realizzasse il comunismo, doveva prima affermarsi il capitalismo, ma nel senso che il comunismo russo non è riuscito a servirsi dei contadini in funzione anticapitalistica.
I contadini, a parte i primi momenti della rivoluzione, sono sempre stati subordinati agli operai. D'altra parte, gli intellettuali marxisti, essendo tutti atei, non potevano essere "organici" agli interessi dei contadini, che erano tutti credenti e che semmai si riconoscevano nei populisti.
Gli intellettuali marxisti avevano bisogno di affermare la necessità del capitalismo perché volevano essere "organici" a una nuova classe sociale: quella operaia dell'industria, la quale, essendo stata strappata dalla terra, aveva perso ogni legame con la religione.
La differenza tra Marx e gli intellettuali marxisti russi, riguardo alle forme pregiudizievoli verso il mondo rurale, stava semplicemente nel fatto che quest'ultimi si resero subito conto che in un paese prevalentemente agricolo non sarebbe stata possibile alcuna rivoluzione proletaria senza l'appoggio dei contadini. Di qui lo sviluppo di scienze politiche come la tattica e la strategia rivoluzionaria. Anche se ideologicamente Lenin era lontano dal mondo contadino, politicamente gli era vicino.
E' un fatto, tuttavia, che nella sua polemica contro i populisti, Lenin non abbia saputo trovare nelle istituzioni contadine del suo paese alcun elemento positivo.
Eppure i marxisti russi sapevano bene che in un paese arretrato come il loro il capitalismo, per imporsi, non poteva aspettare il consenso delle masse, doveva per forza agire usando gli strumenti più brutali: cosa che i contadini, stragrande maggioranza della popolazione, non avrebbero potuto tollerare. E' stata dunque una scelta assai infelice quella di aver attribuito un primato socio-politico al proletariato industriale.
Scrive Lenin, a proposito della classe operaia, in Che cosa sono gli "Amici del popolo": "nessun legame la unisce con la vecchia società, interamente basata sullo sfruttamento; le condizioni stesse del suo lavoro e il suo modo di vivere la organizzano, la costringono a pensare, le danno la possibilità di scendere sull'arena della lotta politica"(p. 80).
Per il Lenin antipopulista vi era solo un modo per distruggere il capitalismo: "la lotta di classe del proletariato contro la borghesia"(p. 87). Questo l'insegnamento di Marx mediato in Russia da Plechanov.
Quando Lenin arrivò a comprendere che la sola via d'uscita dal capitalismo non poteva essere che quella d'una lotta comune tra operai e contadini contro feudalesimo e capitalismo insieme, il suo rapporto col populismo era praticamente finito. E la fine di questo rapporto renderà precaria la consapevolezza che il ruolo dei contadini nella rivoluzione bolscevica non avrebbe potuto essere irrilevante.
D'altra parte non si deve dimenticare che i cosiddetti "marxisti legali" in Russia erano addirittura convinti che il capitalismo fosse in Russia del tutto inevitabile, per cui sarebbe stata vana qualunque forma di resistenza. Essi non avevano alcuna fiducia nel mondo contadino.
Ed erano altresì convinti che l'unica forma possibile di socialismo fosse quella industriale, post-capitalistica, del tutto estranea alle formazioni sociali pre-capitalistiche.
La Russia ha sempre sofferto di questa antinomia: la classe politica e intellettuale è tendenzialmente filo-occidentale, mentre la classe contadina è slavofila.
Enrico Galavotti galarico@inwind.it http://www.homolaicus.com/