LA DOTTRINA DELLE IDEE |
L’oggetto artistico ci provoca piacere; ma com’è possibile, visto che non è collegato alla nostra volontà, ai nostri fini? L’esperienza estetica è esperienza di un piacere disinteressato, come già disse Kant nella Critica del Giudizio. Quando cogliamo il bello, noi cogliamo le idee platoniche rappresentate da esso. Il soggetto di tale esperienza è un soggetto conoscente depurato dalla volontà, è pura intelligenza senza scopi. La volontà scompare del tutto dalla coscienza e proprio per questo noi proviamo gioia e piacere nel contemplare il bello. La possibilità di soffrire è completamente eliminata. L’esperienza estetica ha come oggetto le idee platoniche e come soggetto un soggetto ridotto a pura contemplazione.
Il conoscere, si è detto, sorge come strumento della volontà e deve servirla: così, al servizio del volere, è sia l’intelletto degli animali che quello degli uomini comuni. Esso si basa sul principio di causalità: coglie le relazioni delle cose fra loro e delle cose con il mio corpo. Che relazioni hanno le cose con il mio volere? Questo è ciò che interessa alla volontà e che rende un oggetto interessante per l’intelletto, al servizio della volontà.
Questo atteggiamento interessato del nostro conoscere, che cerca le relazioni tra le cose utili alla volontà, investe tutti i livelli, dal più basso a quello scientifico: le scienze indagano il nesso fra i fenomeni, le leggi che li regolano, per una maggior conoscenza di essi in relazione all’Io e perché siano ancora più utili.
La più elementare forma di conoscenza, la percezione, e le scienze, hanno in fondo gli stessi obiettivi: non si chiedono cosa siano le cose in sé, ma cosa esse siano per noi. Le domande che si pongono sono “quando, dove, perché, a che scopo”, non “che cosa”: tutto è sempre in funzione dello scopo che ha per me. Tutto ci interessa in quanto utile a noi stessi: non perdiamo mai troppo tempo nella contemplazione. La matematizzazione delle scienze è il culmine del processo di dominio della volontà sul mondo: l’uomo elabora piani, progetti, scienze nuove e macchine sempre più sofisticate.
Ma il progresso scientifico modifica intrinsecamente la natura umana? No: lo stesso termine “macchina”, che in greco significa “astuzia”, è ironico perché l’uomo non si rende conto di essere egli stesso macchina della volontà. Il progresso scientifico è un po’il mito dell’uomo volgare. Schopenhauer condanna la ragione calcolatrice, ma non in assoluto: critica la sua pretesa di cambiare la vita umana. Il conoscere è sempre inficiato dall’interesse della volontà, forza segreta che corrompe la conoscenza. Ciò si può intendere in due sensi: uno è che l’intelletto si rapporta alle cose non in forza del loro essere, ma del loro scopo (il suo sguardo è sempre inquinato, non le lascia mai sussistere nella loro oggettività propria in quanto non è mai indifferente); l’altro prospetta un conoscere intenzionale o inintenzionale. Intenzionale perché influenzato dall’interesse storico di questo o quell’Io: il nostro intelletto è sempre tendenzioso. Inintenzionale perché favorisce sempre l’interesse particolare della volontà.
Gli individui sono quasi tutti delle maschere, che celano i loro interessi particolari e l’egoismo; sono maschere le concezioni che abbiamo in ogni campo (politica, economia, ecc.). Esse sono così efficaci da nasconderci non solo agli altri, ma anche a noi stessi.
In una massima, La Rochefoucauld dice:«Non v’è disgrazia del nostro amico più caro che in qualche misura non ci rallegri». Il mascheramento, la legalità, le buone maniere sono socialmente utilissimi; e poi, nel mondo dominato dalla volontà di vivere non si può che accettare, per limitare i danni, l’etica dell’utile e il patto sociale. Il problema, secondo Schopenhauer, non è tanto smascherare le maschere, le ideologie: bisogna smascherare il fondamento, il principio di ogni maschera, la volontà di vivere. «Il nostro mondo civile è una grande mascherata».
Insomma, il conoscere è pensiero soggettivo, dove la soggettività è costituita dall’Io-volontà con i suoi desideri e passioni che obnubilano l’intelletto.
C’è però anche un pensiero più oggettivo, dovuto alla diminuzione della pressione su di esso della volontà: è quindi più disinteressato. Più ci dimentichiamo di noi stessi, del nostro Io-volontà, più abbiamo una conoscenza oggettiva, non egoistica.
Ecco alcuni esempi:
1. Contemplando il cielo stellato e la luna, per un attimo ci si sente sollevati da timori e angosce; questo perché sono oggetti che non coinvolgono direttamente la volontà, non suscitano reale interesse. «Le stelle non le si concupisce, ci si rallegra della loro magnificenza» (W. Goëthe). Del resto, molti poeti romantici hanno cantato la luna e la quiete del cielo notturno in contrasto con l’ansia di vivere.
2. il conoscere Paesi e genti stranieri da turisti: costoro non hanno diretta relazione con la volontà, quindi riusciamo anche a conoscere in modo più imparziale. Il viaggiare è un lenitivo della volontà.
Tutti gli oggetti non direttamente in contatto con la nostra volontà ci consentono un conoscere più disinteressato. Siamo molto più bravi e più lucidi nel giudicare di cose in cui non siamo direttamente coinvolti, anzi proviamo quasi piacere a notare i mali altrui: questo perché la nostra volontà ci dà un po’ di tregua.
A volte, poi, riusciamo a guardare noi stessi con un certo distacco, con freddezza, “con gli occhi di un altro”; il soggetto, in questi casi, è più conoscente che volente. Il parlare e il riflettere sono un sollievo perché ci fanno prendere le distanze dalla volontà, infrangono momentaneamente questa coincidenza. Soffro ma, nel momento in cui rifletto, soffro un po’meno in quanto non sono tutto sofferenza ma anche riflessione. Questo spiega tutto quel fiorire di poesie e di diari durante l’adolescenza, la fase in assoluto più dolorosa dell’esistenza. È un prendere le distanze da essa.
Il volere, però, lungi dall’essere allontanato definitivamente, è solo per poco messo in disparte.
In una sola esperienza il pensiero si fa tutto oggettivo fino a essere contemplazione disinteressata tacitante l’interesse. Questa è l’esperienza artistica, in cui mutano radicalmente soggetto e oggetto rappresentato.
Nell’esperienza estetica noi siamo pura contemplazione dell’oggetto di per sé a prescindere dalla sua relazione con noi stessi. Si tratta, è ovvio, di un’esperienza particolare, non di una qualsiasi visione di una qualunque opera. Il soggetto non si cura dell’ “a che scopo”, ma è interamente occupato dal “che cosa” dell’opera d’arte.
Ciò che l’artista raffigura non è l’oggetto comune ma l’IDEA PLATONICA, inaccessibile al singolo individuo come tale: bisogna elevarsi al di sopra di ogni volere e individualità e arrivare a identificarsi con il puro soggetto del conoscere. L’arte è raffigurazione di idee da parte del puro soggetto del conoscere, quindi è disinteressata e procura piacere, ma non il piacere della volontà, bensì il piacere dell’assenza di volontà.
L’arte, la vera arte, è RAFFIGURAZIONE DELL’IDEA: Schopenhauer riprende le dottrine di Aristotele e dei Neo-platonici, per i quali l’arte è rappresentazione dell’universale nell’individuale. Raffigurando un uomo, il romanziere pensa non alla particolarità del personaggio, ma all’uomo universale: il miracolo dell’arte è il trasfigurare l’individuale nell’universale.
Cos’è l’idea che l’arte rappresenta? L’idea platonica, ovvero la rappresentazione di un oggetto nella sua infinita ed inesauribile pienezza. Ogni possibile e particolare rappresentazione di quel dato oggetto è già sempre e simultaneamente inclusa nell’idea. Non c’è versione dell’oggetto a cui l’idea non sia superiore “eminentiori modo”, cioè in modo più perfetto. L’idea è atemporale, aspaziale e dunque sovrasensibile, quindi il soggetto in grado di conoscerla deve per forza avere un’intuizione intellettuale che in un colpo solo colga tutto il mondo delle idee. Deve essere, allora, un soggetto sovraempirico, pura e mera contemplazione: se non fosse pura conoscenza, le idee non sarebbero colte in tutta la loro perfezione. Oggetto e soggetto sono protagonisti dell’arte.
L’introduzione della dottrina delle idee consente a Schopenhauer di spiegare alcuni aspetti del conoscere del mondo non ancora chiariti. Le idee che l’arte ci fa scoprire consentono una completa, anche se momentanea, oggettivazione della volontà. L’esperienza artistica è trasfigurazione dell’oggetto, dell’opera d’arte: è oggetto finito, temporale, epifania dell’idea.
Schopenhauer fa riferimento ai grandi pittori olandesi del ‘600, pittori di nature morte e di interni; nel tempo, i quadri rappresentano stati d’animo e qualità di persone. Ma il tempo interno al quadro non è storico, è eterno, atemporale, come immobile, sospeso. Attraverso la raffigurazione delle cose, il pittore raffigura le idee, quindi il suo oggetto è “sub specie aeternitatis”. Avviene, però, anche una trasfigurazione del soggetto, che passa da soggetto individuale a soggetto universale di un assoluto conoscere.
La dottrina delle idee è costitutiva dell’estetica, ma anche della gnoseologia di Schopenhauer: le idee precedono le cose come condizioni della loro possibilità (naturalmente, non si tratta di un procedere cronologico, soltanto logico). Noi ci rappresentiamo le cose come ce le rappresentiamo perché prima ci rappresentiamo le idee; solo le idee rendono comprensibile il fatto che le diverse serie di oggetti si possano raggruppare in famiglie, in specie. Le cose sono in rapporto fra loro o secondo identità, o secondo differenza: i leoni, i cavalli, le rose, ecc., tutti i membri delle specie si somigliano fra loro. A spiegare tale somiglianza non è il soggetto conoscente con le sue categorie: egli si ritrova le cose già così e si limita a classificarle.
Tra la volontà come cosa in sé assoluta e la molteplicità empirica degli enti dobbiamo supporre la mediazione delle idee. I leoni, i cavalli, le rose si somigliano perché sono le particolarizzazioni delle loro idee perfette. Le nostre rappresentazioni si spiegano quindi con il fatto di essere delle limitazioni particolari della perfetta rappresentazione, che ne è il presupposto.
In cosa differiscono idee e specie? La specie è l’insieme delle singole rappresentazioni empiriche di individui facenti capo a una certa idea: è quindi un fenomeno spazio-temporale perché composta dalla molteplicità dei fenomeni aventi per oggetto gli appartenenti alla specie. L’idea, invece, è rappresentazione sovrasensibile ed è condizione della specie, di una data specie di individui; è come se essa vivesse una “seconda vita temporale” nella specie, che ne è ri-produzione empirica. L’idea non può essere oggetto di conoscenza empirica: l’intuizione sovrasensibile che la coglie è la perfetta conoscenza del mondo come rappresentazione. Solo chi si innalza alla contemplazione delle idee è in grado di cogliere la perfezione e la verità del mondo; il puro soggetto del conoscere, così, non è più molestato dalla volontà, è pura contemplazione. A questa condizione si innalza il genio, specialmente il genio artistico, talvolta anche quello filosofico.
Il genio filosofico conosce le idee platoniche del mondo e della vita, è sempre in grado di cogliere, in ogni ente, la vera essenza, per cui in ciascuno ne vede altri mille, che sono le infinite possibili alternative a esso. L’idea è simile a un organismo vivente che si sviluppa ed è dotato di forza generatrice: fa nascere, nella mente del filosofo, un’infinità di enti simili allo stesso tempo.
Le idee sono perfetta oggettivazione della volontà: esse sono presupposto del mondo come rappresentazione, dell’esperienza artistica e della liberazione dalla volontà.
Le nostre rappresentazioni delle cose empiriche presuppongono una rappresentazione di idee da parte di un puro soggetto conoscente; ma ciò vuol dire che la volontà come cosa in sé assoluta si è già da sempre obiettivata come idea prima ancora di obiettivarsi nel mondo empirico che conosciamo. L’idea è adeguata obiettivazione della volontà, mentre l’obiettivazione delle forme a priori del soggetto empirico è sempre mediata e imperfetta.
«L’idea è per noi l’obiettivazione immediata e quindi adeguata della cosa in sé, mentre la cosa in sé è la volontà in quanto non ancora obiettivata, non diventata ancora rappresentazione. L’idea è invece necessariamente oggettiva, è una cosa conosciuta, una rappresentazione, e quindi in ciò, ma anche solo in ciò, una cosa diversa dalla cosa in sé. L’idea non è ancora entrata nel fenomeno, del fenomeno ha adottato solo la componente prima e più universale, quella del rappresentare, e cioè dell’essere oggetto per un soggetto. Le altre forme (spazio, tempo, causalità) sono ciò che moltiplica l’idea nelle cose particolari, il cui numero è del tutto indifferente. Quindi l’idea è anche l’obiettivazione più adeguata possibile della cosa in sé in quanto essa non ha accolto alcun’altra forma propria del conoscere se non quella della rappresentazione in generale, cioè quella di essere oggetto per un soggetto».
L’oggetto è il mondo delle idee, il soggetto il puro soggetto conoscente, privo di qualsiasi intromissione del volere.
Quindi la volontà, oltre a sussistere come cosa in sé assoluta, sussiste anche come obiettivazione adeguata: essa rappresenta se stessa come mondo delle idee e si intuisce come tale. La volontà è, in sé, altro dalla conoscenza, ma, ab aeterno, sussiste altresì come altra da sè, come rappresentazione, ha assunto un diverso modus essendi. In questo modo, essa è assoluta e perfetta oggettivazione, compiuta compenetrazione nell’oggetto contemplato e completa fusione fra soggetto e oggetto. La volontà è talmente assorbita dall’oggetto che ne diviene indistinguibile: se se ne distinguesse, non sarebbe più puro conoscere. Essa è così ETERNO OCCHIO COSMICO sempre identico a se stesso , uno e medesimo, portatore delle idee permanenti, cioè dell’adeguata oggettivazione della volontà. In questo è l’equivalente del nous di Plotino e Proclo.
Chi è tutto preso da quest’intuizione non è l’individuo, è il puro SOGGETTO SOVRAINDIVIDUALE, che è superiore a tempo, dolore e volontà. Il volere è ancora presente nelle obiettivazioni empiriche individuali; non più in questa dimensione estetica di coincidenza fra conoscente e conosciuto.
Prima di questo nostro mondo, c’è il mondo della perfetta obiettivazione.
L’idea è perfetta obiettivazione della volontà nel senso che è volontà fattasi interamente rappresentazione e che si auto-contempla nel suo essere rappresentazione; solo a questo punto, dunque, essa si è fatta puro conoscere disinteressato, non più al servizio della volontà. Questo particolare conoscere annulla, risolve la volontà, la assorbe in sé; ma è la volontà stessa a decidere di farsi assorbire, di diventare puro atto conoscitivo. La volontà resta pur sempre il principio del mondo: è la sostanza a cui capita, fra gli altri, l’accidente di annullarsi nel conoscere, ma questo è appunto solo uno stato accidentale momentaneo. La volontà è già sempre tradotta in conoscere, ma resta sempre qual è, essendo l’essenza dell’idea, che è semplicemente uno stadio di quella stessa volontà. Il mondo delle idee non è altro che una trasformazione della volontà.
Nella perfetta conoscenza, la volontà si quieta, si perde, dimentica il suo essere volere: è uno stato estatico (da ex-stasis: uscire da sé) in cui la volontà già da sempre si trova.
Ma perché, allora, se essa è già da sempre obiettivata adeguatamente, si obiettiva anche inadeguatamente in noi, nella volontà particolare, nel mondo empirico? Questo è un ENIGMA INSOLUBILE; nel sovrasensibile, essa è pura volontà cieca, assoluta, arbitraria in quanto non sottosta al principio di causalità.
Il nostro mondo è come diviso in tre cerchi, che sono tre modi di essere diversi dello stesso principio, della volontà. La volontà già da sempre si obiettiva in due modi, uno adeguato, l’altro inadeguato; tutti i perché che ci vengono in mente sono destinati a restare senza risposta. L’obiettivazione inadeguata in cui noi ci troviamo è già sempre qui, c’è: il nostro mondo è una vera e propria caduta immotivata. L’arbitrio, la volontà motivata dal principio di causalità è un vero mistero.
Un mistero che può dirsi, invece, risolto è quello di come una certa conoscenza, come quella dell’esperienza artistica, sia in grado di annullare la volontà. Il secondario, l’accidentale, il conoscere può dunque temporaneamente dominare il sostanziale.
La fruizione dell’opera d’arte è un nostro conoscere momentaneo, ma in realtà è già da sempre esistito come obiettivazione adeguata; possiamo vederlo come un fugace ritorno della volontà alla sua dimensione originaria, un momentaneo ripristino.