MICHELE FEDERICO SCIACCA
A cura di F. Gualco e D. Fusaro
Michele
Federico Sciacca nasce a Giarre, in provincia di Catania, il 12 luglio 1908.
Fra il 1918 e il 1926 nasce la sua vocazione alla ricerca di una verità capace
di dar senso alla vita. Studente liceale, Sciacca si scopre vorace lettore: in
questo periodo fra i suoi autori preferiti primeggiano i nomi di Leopardi, dei
pensatori greci Democrito e Epicuro, dei filosofi tedeschi Kant e Fichte i
quali, pur lasciandogli quesiti irrisolti sul piano morale, lo orientano
temporaneamente verso l'idealismo trascendentale. Gli anni che vanno dal 1926 al
1930 coincidono con la sua formazione universitaria. Nel 1926 entra come
studente di filosofia nel Sicolorum Gymnasium di Catania, ma come lui stesso
racconta nelle pagine de La clessidra (L'Epos, Palermo 1993), il desiderio di
cambiare aria è fortissimo: «l'insofferenza dell'ambiente di provincia e della
vita familiare; il dèmone dell'insoddisfazione di tutto (...) la sete
dell'avventura che mi ha spinto alle più svariate esperienze letterarie,
filosofiche e anche di vita, come il conflitto di due tendenze, allo studio in
meditazione solitaria e alla mondanità, aspirazioni imprecise e sogni di tutto
mi spinsero a lasciare Catania e la Sicilia». In questo stesso anno, indeciso a
stabilirsi a Napoli oppure a Roma (dove insegnava Giovanni Gentile), alla fine
sceglie il capoluogo campano. Qui segue le lezioni di Antonio Aliotta e Adolfo
Omodeo. Ed è con Aliotta che, nel 1930, consegue la Laurea in Filosofia con la tesi «La filosofia di Tommaso Reid», pensatore appartenente alla
cosiddetta Scuola Scozzese. (Cfr. La filosofia di Tommaso Reid, Marzorati,
Milano 1963) I suoi primi contatti intellettuali con le opere di Croce, che
quell'epoca spartiva con Gentile grande parte del dibattito filosofico
italiano, non furono certo un successo. Le dottrine crociane, a differenza di
quelle di Gentile, hanno su Sciacca un'incidenza pressoché nulla. L'incontro
con Gentile, invece, rappresenta per il giovane un incontro decisivo sotto vari
aspetti. La stima di Sciacca nei confronti di Gentile viene espressa eloquente:
«suoi scritti teoretici, negli anni giovanili, furono non solo la mia assidua e
meditata lettura, ma la mia filosofia (...) alcune indimenticabili lezioni
ascoltate a Roma, prima e dopo la laurea, mi diedero la misura della sua
capacità formativa e dell'autenticità dell'uomo e del filosofo, mi
affezionarono a lui per sempre». Anche se, al di là della stima e dell'affetto
sinceri, sul piano intellettuale Sciacca ben presto si accorge delle aporie del
pensiero gentiliano: il punto di partenza di Gentile è che nulla è al di fuori
del pensiero e ciò per Sciacca rappresenta una assolutizzazione del pensiero
stesso, che consente processi logici ma non può contemplare principi fondanti. Sempre
nel 1930, pochi mesi dopo il conseguimento della laurea, comincia la sua
carriera di insegnante: supplente di storia e filosofia nei licei di Tolmino,
Pisino e L'Aquila; professore di ruolo all'Istituto Magistrale di Lagonegro al
Liceo Classico di Aquila, al Liceo Scientifico "V. Cuoco" di Napoli.
Il periodo 1931-1936 è tempo di incertezza teoriche, di inquietudini
intellettuali: attualista sulla scia degli insegnamenti gentiliani, la sua
voglia di trascendenza, anche se sul momento confusa, lo porta a sondare
ampiamente campi non solo strettamente filosofici, ma anche letterari. Non a caso
in Sciacca le capacità argomentative del filosofo più rigoroso convivono in
modo quasi costante con la verve creativa dello scrittore: caratteristica
propria di chi esprime lo stesso contenuto sia tramite concetti che attraverso
immagini. In questa prospettiva, all'interno delle sua vasta produzione
intellettuale, non mancano esempi eminenti: testi dall'intonazione
"mistica" come Così mi parlano le cose mute (Milano, Marzorati) e
soprattutto lo splendido Come si vince a Waterloo (Milano, Marzorati 1963) il
cui tema portante è il rapporto fra il silenzio e la parola quali elementi
essenziali ed indivisibili del linguaggio, sia umano che divino.Dal 1938 è
professore ordinario di Storia della Filosofia a Pavia. Nel 1946 fonda la
rivista internazione "Il Giornale di Metafisica" che dirige fino alla
sua morte. Nel 1947 accetta la cattedra di Filosofia Teoretica ala Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università di Genova, in cui prima di passare alla
cattedra di Filosofia della Facoltà di Magistero, dirige per anni l'Istituto di
Filosofia. Nel 1947 accetta la docenza di Filosofia Teoretica alla Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università di Genova, prima di passare alla cattedra
di Filosofia della Facoltà di Magistero, sempre a Genova, suo ultimo approdo accademico.
A Genova, infatti, muore il 24 febbraio 1975. Su sua espressa richiesta, il suo
corpo viene sepolto sul monte Calvario di Domodossola, nella tomba dei Padri
Rosminiani.Gli anni 1937 -1938 coincidono con una svolta filosofica che passa
attraverso l'approfondimento di due pensatori che si riveleranno fondamentali
alla sua ricerca: Platone e Rosmini. Meditando sulla concezione greca
dell'esistenza Sciaccia ne scorge pregi ma soprattutto limiti, tant'è vero che
la meditazione del paganesimo, come lui stesso afferma, lo spinge in maniera
forte e decisa al cristianesimo. La ricerca di una risposta adeguata ai
problemi della persona, della libertà, del male e della sofferenza spingono
l'intelligenza di Sciacca verso orizzonti più ampi, ossia quelli forniti dalla
metafisica cristiana. Similmente ad Hannah Arendt, oppure a Ortega y Gasset,
Michele Federico Sciacca è un filosofo non catalogabile, difficilmente
inseribile in qualche corrente di pensiero ben definita: non a caso, come egli
stesso afferma, «vi sono pensatori che vivono di rendita o si ripetono, altri
che crescono su se stessi; per comprenderli è necessario conoscerli in tutto il
loro itinerario critico di approfondimento. Probabilmente io appartengo a
questi ultimi» (Ontologia triadica e trinitaria, L'Epos, Palermo 1990) Sciacca
è un filosofo felicemente "originale", direbbe Pareyson, perché
costantemente in dialogo con l'Origine. Seppur stimato e seguito da molti
giovani, egli amava definirsi non un maestro, ma un discepolo iscritto alla
scuola della verità, considerata come l'unica scuola da cui nessuno, almeno in
partenza, può essere escluso. Filosofo cattolico, sostenitore del primato della
persona e refrattario ad ogni forma di riduzione spirituale, morale,
antropologica ed esistenziale della persona stessa, Sciacca difende il primato
della metafisica sulla gnoseologia: ossia il primato di un sapere
sovrarazionale che fonda e sostanzia il conoscere razionale, che la svolta di
Cartesio, che segna l'inizio filosofico dell'epoca moderna, ha contribuito ad
intaccare. Nonostante l'insaziabile curiositas intellettuale, Sciacca predilige
i filosofi cosiddetti "classici"; i soli, egli sostiene, capaci di
essere perennemente contemporanei. Filosoficamente egli si situa principalmente
sulla linea teoretica formata da Platone - Agostino - Tommaso - Rosmini.
Platone, attraverso le teorie dell'Eros, del Logos e dell'Anamnesis gli insegna
che la filosofia non è ricerca fine a se stessa, ma percorso sapienziale
finalizzato a svelare del senso della vita che non si riduce a
"questa" vita. (cfr. Platone, Milano, Marzorati 1967)Da Agostino di
Ippona, primo vero pensatore autenticamente occidentale, Sciacca apprende che
l'amore umano si perfeziona attraverso le conquiste e gli errori della sua
storia personale: un cammino che si compie, escatologicamente, nell'Amore
divino che, pur lasciando la creatura libera di collaborare o meno al progetto
storico di salvezza del Creatore, costantemente bussa alla porte della mente e
del cuore ed esorta ad una risposta costruttiva, sviluppa in armonia fra fede e
ragione, mistero ed evidenza: «recuperare Agostino significa riconquistare
(...) la nostra vera realtà umana, la nostra integrale natura (...) E mai come
oggi vi è stato tanto bisogno di riconquistare lo spirito inteso come sintesi
reale di tutta l'umana attività in tutta la sua forza normale». (cfr. Agostino,
L'Epos, Palermo 1991). Tommaso d'Aquino, per Sciacca, rappresenta il teorico
più profondo ed equilibrato della cosiddetta coscienza laica: è dire laicità
significa anche esprimere consapevolezza di un ordine di verità naturali con le
quali la persona coglie nella sua stessa natura quanto occorre alla sua
autonomia di creatura (cfr. Prospettiva sulla metafisica di San Tommaso,
L'Epos, Palermo 1991). L'interpretazione sciacchiana di Tommaso va contro
coloro che, sedicenti tomisti e ferventi "neoscolastici", si limitano
a citare L'Aquinate "per autorità", contribuendo a relegare una delle
più grandi menti che la cultura cattolica abbia mai espresso a reliquia del
passato ed evitando così di porre in luce la sua genialità, non solo teologica
ma anche mistica, valida anche per l'oggi.Rosmini è il pensatore
"intero", un potente fermento speculativo sia in senso filosofico che
teologico: colui che, come scrive A. M. Tripodi, sa frequentare proficuamente i
numerosi campi dello scibile umano radicandosi perennemente nella verità, luce
per la ragione; e nella rivelazione, luce della fede. (cfr. A. M. Tripodi, Il
rosminianesimo di Sciacca, in Aa Vv, La presenza dei classici nel pensiero di
Sciacca, Olschki, Firenze1995). Uomo di scuola con una spiccata vocazione
all'insegnamento e al dialogo, scrittore incredibilmente prolifico (l'elenco
delle sue pubblicazioni è consultabile grazie alla bibliografia curata da Pier
Paolo Ottonello: cfr. Bibliografia degli scritti di e su Michele Federico
Sciacca dal 1931 al 1995, Olschki Editore, Firenze 1996), apprezzato
conferenziere in Italia e all'estero (soprattutto in Spagna e nei paesi
latinoamericani), Sciacca è anche instancabile promotore culturale: ne sono
esempi il Centro di studi rosminiani di Stresa, la Cattedra "Rosmini", l'Istituto internazionale di studi europei "A.
Rosmini" di Bolzano.Persona dotata di intelligenza viva e vivace, di
profonda sensibilità, di una preparazione culturale straordinariamente vasta,
Sciacca ha modo di attingere molto da molti pensatori. Ma di essi non si limita
ad essere il ripetitore: al commento preferisce il rischio
dell'interpretazione; alla ripetizione predilige il ri-pensamento - anche
correndo il rischio del fraintendimento. Una delle caratteristiche principali
del suo modo di pensare è sintetizzabile nella convinzione secondo cui ogni
teoria, per quanto errata nella sua totalità, può sempre contenere una
parzialità di verità di cui doveroso tenere conto al fine di un sua corretto
reinserimento in quell'organismo del sapere che, con Rosmini, chiama il sistema
della verità. Per Sciacca essere filosofi non coincide con l'essere professori
di Filosofia, benché niente vieti ai professori di Filosofia di essere
filosofi. Come già accennato nelle pagine dedicate ad Hannah Arendt, l'uomo che
formula domande e tenta delle risposte è già filosofo, che ne sia conscio o
meno. La filosofia, in Sciacca, si traduce in filosofare: e filosofare
significa inserirsi in un percorso di ricerca della verità. Significa porsi
domande sul senso della vita, assumere i problemi che contemplano l'unità dei
momenti che la compongono nella responsabilità personale di rispettare
distinzioni e autonomie. Quel che ci asciuga le lacrime o ci fa sorridere può
essere tutto tranne che filosofia: perché, come si può leggere nelle pagine di
Atto ed Essere (L'Epos, Palermo 1991) il suo compito primario è e resta quello
«di chiarire me a me stesso nel mistero dell'Essere, in cui è la chiave dell'enigma
del mio essere». Sciacca, che è stato uno dei massimi esponenti del cosiddetto
«spiritualismo agostiniano» (declinato secondo modelli rosminiani e tomistici),
pone al cuore della propria riflessione la nozione di «interiorità oggettiva»,
specialmente in «Interiorità oggettiva» (1951), «Atto e essere» (1956) e
«L’uomo questo squilibrato» (1956). Quella che il filosofo siciliano è andato
elaborando è una sorta di «metafisica integrale» in forza della quale si tenta
di «risolvere in sé le due opposte metafisiche dell’essere e del pensiero,
conservando al pensiero e all’essere tutta la loro validità e positività
antimmanentistica e antistoricistica: aperta alla trascendenza e valorizzatrice
della persona» («Filosofia e metafisica», Morcelliana, Brescia 1950, pp. 10-11).