JOHANN SALOMON SEMLER
A cura di Diego Fusaro
Johann Salomon Semler (1725-1791) fu un allievo di Baumgarten che passò alla storia per aver congedato una volta per tutte il vecchio metodo ermeneutica di stampo “logico-sistematico” per fare spazio all’indagine storica pura. Mentre Baumgarten era ancora vivo, Semler, a Halle, teneva lezioni di ermeneutica e prendeva pubblicamente posizione contro il “vecchio metodo”, consistente – lo ricordiamo – nel suddividere e nell’organizzare sistematicamente, tramite distinzioni di tipo scolastico, il contenuto della Sacra Scrittura. Ora, un simile metodo è per Sempler del tutto inadeguato e deve essere sostituito con un metodo che tenga conto delle effettiva natura degli scritti biblici, considerando la Bibbia non già come una totalità unitaria e in sé compiuta, ma, piuttosto, considerandola nelle sue differenze, e più precisamente nelle differenze che affiorano nei diversi libri di cui essa è composta. Tali differenze sono di varia natura: linguistiche, storiche, critiche. L’unità della Scrittura – fino ad allora assunta come presupposto indubitabile – viene da Semler dardeggiata nella sua celeberrima opera Abhandlung von freier Untersuchung des Kanons: suddivisa in quattro parti, l’opera venen data alle stampe tra il 1771 e il 1775. non bisogna più leggere la Bibbia nella sua totalità – spiega Semler –, ma bisogna piuttosto – secondo un insegnamento già prospettato da Turretini – indagare sui singoli libri di cui è composta la Bibbia e, per di più, condurre tale indagine con gli stessi princìpi interpretativi con i quali si interpretano tutti gli altri scritti profani. Ed è proprio sulla base di quseti presupposti metodologici che Semler studia i singoli libri del Nuovo Testamento, alla luce del loro carattere “locale”, vale a dire delle specifiche condizioni storiche che ne hanno accompagnato, a suo tempo, la genesi. In questo modo, egli sottolinea con enfasi l’elemento temporale, che si esprime con forza in ciascun libro del Nuovo Testamento. Traspare inoltre dalla teoria di Semler l’influenza generale dello “spirito del tempo” – l’Illuminismo –, che tanto aveva insistito sul problema del riconoscimento delle opinioni umane e delle loro ineliminabili differenze: il problema delle differenze è, come già abbiamo detto, centrale nel metodo semleriano. Semler insiste anche, a più riprese, sulla differenza tra il compito interpretativo e il compito dogmatico, nel tantino di spezzare il circolo in cui si era mossa l’ermeneutica protestante fin dai tempi di Flacio. L’attenzione all’uso linguistico e l’autonomia del metodo storico come princìpi interpretativi ponevano tuttavia a Semler seri problemi: tra questi, il maggiore riguardava la difficoltà di distinguere, all’interno dei testi biblici, la parte riconducibile alle conoscenze, alle opinioni e alle credenze umane, da quella in cui a esprimersi erano direttamente le verità rivelate. Dove e come si può tracciare il confine tra i due ambiti? Secondo Semler, lo si può tracciare tramite il criterio che permette di distinguere quel che è posto al servizio del divino. Nell’additare questo criterio, però, Semler lasciava al libero gioco della soggettività interpretante il compito di tracciare quel confine. Ma in questo modo – e sarà lo stesso Dilthey a rinfacciarglielo – voltava le spalle a uno degli scopi che aveva egli stesso dichiarato di voler perseguire a tutti i costi: ossia la chiara distinzione, tramite il ricorso al metodo dell’interpretazione storica, tra il nucleo fondamentale e costante della religione e il variare prospettico (e potenzialmente infinito) delle opinioni umane.