SILVIO SPAVENTA
A cura di Andrea Pili
Vita
Nacque a Bomba, nei pressi di Chieti, il 10 maggio 1822 da un’agiata famiglia abruzzese; fratello minore di Bertrando e figlio di Eustachio e Marianna Croce la cui famiglia era la stessa del filosofo Benedetto. Dopo aver ricevuto la prima educazione a casa, nel 1836 prosegue gli studi nel seminario di Chieti e poi in quello di Montecassino dove insegnava suo fratello.
Nel 1843 giunse a Napoli e fece da precettore ai suoi cugini, figli di Benedetto Croce nonno dell’omonimo pensatore. Nella capitale del Regno delle Due Sicilie viene a contatto con gli ambienti liberali ed introdotto al pensiero di Hegel. Il Regno era allora dominato del potere dispotico di Ferdinando II di Borbone che non vede di buon occhio l’orientamento politico liberale.
Così il filosofo abruzzese è costretto a lasciare Napoli per dirigersi in Toscana, a Firenze, dove frequenta i circoli dei moderati.
Intanto, Re Ferdinando si decise a concedere la Costituzione suscitando le speranze di Spaventa che tornò a Napoli nel febbraio 1848 e fondò il quotidiano Il Nazionale il cui primo numero uscì il 1° marzo dello stesso anno. Il quotidiano divenne il punto di riferimento principale per la borghesia liberale ma trovò una grande stima anche tra i conservatori ed i filoborbonici.
Inoltre, fu eletto deputato e si impegnò per far partecipare le truppe del regno borbonico alla prima guerra d’Indipendenza. La sua dedizione alla causa fu inizialmente premiata dal Re, che inviò le sue truppe comandate da Guglielmo Pepe in appoggio al Regno di Sardegna contro l’Austria.
Tuttavia, le opinioni di Ferdinando cambiarono molto presto ed il 15 maggio effettuerà il suo ignominioso colpo di stato: revoca la Costituzione concessa poco prima e fa bombardare Napoli per fiaccare una possibile rivolta. La guerra, però, continua e Pepe combatte strenuamente per difendere Venezia ma a Napoli è sostenuto solo da Spaventa e non più dalla corte.
A causa di questo suo appoggio venne arrestato il 15 maggio 1849 e rinchiuso nel carcere di San Francesco; sottoposto a processo, l’8 ottobre 1852 fu condannato a morte per impiccagione con l’accusa di cospirazione alla sicurezza interna dello Stato. La pena fu commutata in ergastolo e per sei anni il filosofo rimase nel carcere di Santo Stefano, dedicandosi agli studi politici e filosofici.
L’11 gennaio 1859 la sua pena viene ulteriormente rivista e trasformata in esilio perpetuo. Il piroscafo Stewart avrebbe dovuto condurre in America 69 prigionieri politici tra cui il nostro Spaventa; grazie però ad un ammutinamento organizzato da un ufficiale della marina britannica la nave giunse in Irlanda. Da qui il pensatore raggiunse Londra e poi Torino, in cui fece un fondamentale incontro con Cavour diventando uno dei più grandi fautori della sua politica.
Dedito alla causa dell’Unità d’Italia, nel luglio 1860 viene inviato a Napoli per preparare il meridione all’annessione al Regno di Sardegna, cercando di fare prima di Garibaldi che con i suoi Mille è diretto verso la capitale del Regno borbonico ora comandato dall’inetto Francesco.
L’eroe dei due Mondi autoproclamatosi dittatore supera il filosofo ed in settembre lo espelle; Spaventa ritorna a Napoli un mese dopo per assumere la carica di Ministro della Polizia impegnandosi da novembre al luglio 1861 per fronteggiare la difficile situazione napoletana.
Nel neonato Regno d’Italia assunse molte cariche politiche a partire dalla lunga permanenza da deputato (dal 1861 al 1889) tra le file della Destra storica. Fu inoltre sottosegretario all’Interno (1862-64), consigliere di Stato (1868) e ministro dei Lavori Pubblici (1873-1876). Nel 1889 viene nominato Senatore del Regno.
Tra il suo operato politico spicca la strenua difesa della sicurezza interna dello Stato culminata nella repressione del brigantaggio meridionale e delle manifestazioni torinesi in protesta con lo spostamento della capitale a Firenze. Come consigliere di Stato divenne celebre il suo discorso sulla giustizia nell’amministrazione pronunciato il 6 maggio 1880. In qualità di ministro dei Lavori Pubblici provocò la caduta della Destra storica (1876) dopo il suo progetto di nazionalizzazione delle ferrovie.
Dopo il terremoto di Casamicciola (1883), diede ospitalità al giovane Benedetto Croce rimasto orfano, nella sua casa romana in via della Missione, oggi sede dei gruppi parlamentari della camera dei deputati.
Morì a Roma il 23 giugno 1893, gli furono riservati degni funerali di Stato e la sua salma è sepolta nel cimitero del Verano.
Pensiero
L’impegno politico di Silvio Spaventa nelle file della Destra non deve trarci in inganno nel considerarlo solo un politico o un giurista e non un filosofo. Infatti, fu anche un filosofo nonostante la politica ed il problema dello Stato e della giustizia sia in lui centrale. Per Spaventa la filosofia non è inutile contemplazione ma comprensione dell’utile pratica quotidiana sino ad arrivare alle origini di questa nella coscienza della storia; dunque la filosofia assume il ruolo di investigatore delle azioni che fanno la realtà. Spaventa era un idealista ed un liberale; solo nello Stato infatti si può attuare la soluzione liberale.
· Idealismo
Il pensiero di Hegel fu importante per la sua formazione soprattutto negli anni napoletani, in cui dirigeva il quotidiano “Nazionale” e si dedicò allo studio del pensatore di Stoccarda di cui Bertrando fu storico interprete. Per il pensatore l’ “idealismo” è opposto ad un piatto materialismo ma è realista: concepisce l’uomo come «una dolente e potente creatura che vive di pane ed è materia, vive di idea ed è spirito».
Il primo problema che Spaventa si pone è quello della storia: tra la storia razionale hegeliana ovvero lo svolgimento necessario e la rivoluzione dogmatica o il mutamento improvviso. Se la storia è “ragione tutta spiegata” come nasce l’atto rivoluzionario e che diritto ha l’uomo di cambiare la storia? Il pensatore abruzzese risolve la questione con l’immanenza con cui lo spirito vive nell’individuo e la società nel cittadino, come la coscienza di un valore universale storico e civile in continua formazione. Non si tratta della scoperta dell’infinito che è la Società ma della piena consapevolezza di esso; per questo lo Stato non è più la verità dell’individuo come esterno da questo ma la verità della sua libertà.
È comprensibile a tutti quanto la sua visione della storia non sia tanto dissimile da quella di Hegel e della sua dialettica. Silvio Spaventa però ci mette del suo legando questa concezione al Diritto, da buon giurista. La libertà non è esterna alla legge ma una sintesi di arbitrio e volontà legale il cui risultato è il principio dello Stato.
· Stato
Il compito che Spaventa si diede fu quello di porre lo Stato in una posizione centrale nello spirito, senza nessuna trascendenza; per far questo era necessario formare il liberalismo superando il pensiero di Hegel e quello di Gioberti. Lo Stato non è per lui in contrasto con la libertà particolare, anzi, lo Stato rappresenta la perfezione della libertà del singolo che si fa Stato in quanto giunge a diventare l’autocoscienza della propria ragione. Quindi lo Stato si fa nazionale in quanto è concreto, determinato e storico, per cui non vi può essere trascendenza.
Lo Stato non può estendere senza confini la propria libertà: è il prodotto di un’elaborazione eterogenea, per questo è impossibile negare l’individualità e la volontà dei singoli individui nell’universale. Le individualità si muovono all’interno dello Stato e per lo Stato che dunque non può annullarle se non vuole minare la propria base- “come l’albero ha bisogno della propria radice come nutrimento della propria vita”- e se non vuole rischiare il ritorno ad un’epoca di degrado. Infatti, la volontà soggettiva è necessaria per il progresso della libertà e della legge e ne costituisce la forma primaria su cui si sviluppa quella perfetta della organizzazione statale.
Sulla base di queste teorie il filosofo legittima il regime rappresentativo in cui può esprimersi l’iniziativa particolare e giustifica l’esistenza dei valori politici locali quali il municipio, la provincia o la regione.
Allo stesso modo è assurda la negazione della statalità da parte degli elementi particolari. Quando si nega lo Stato si vuole allora affermarne un altro ed è questo l’atto rivoluzionario che si presenta come il nuovo che vuole abbattere l’antico. Tuttavia, quasi sempre la rivoluzione è figlia dello stesso regime che si vuole abbattere, inserito in un campo più vasto di giudizio.
Lo Stato spaventiano doveva essere: monarchico, laico e neutrale. Monarchico perché deve unificare democrazia ed aristocrazia, libertà ed autorità, governo rappresentativo e potere sovrano; solo la monarchia costituzionale sembra capace di far ciò.
Laico perché ha già in se stesso il divino e dunque una propria religione; questo concetto sta al centro della sua spiritualità anticlericale: la coscienza dell’infinito in cui si attua lo Stato- infinità temporale- esclude e supera ogni altra infinità e non può piegarsi a nessuna di queste. Era sua idea il fatto che un rinnovamento politico porti inevitabilmente anche un rinnovamento religioso; infatti, lo Stato nuovo crea già in sé la sua Chiesa: questa è la forma degli stati moderni colpiti dal protestantesimo. Spaventa non riesce a ben definire la sua laicità: si ferma ad un compromesso tra la statolatria e il riconoscimento di due libertà autonome: una della Chiesa e l’altra dello Stato.
Infine lo Stato deve essere neutrale ma non nel senso di indifferenza bensì nel senso di amministrazione al di sopra delle classi. Questo, per Spaventa, deve essere il compito della politica e perciò chi amministra l’interesse pubblico assume un valore. Il filosofo di Bomba così definisce il suo Stato neutrale: lo “ Stato nasce come eguaglianza di tutte le classi nell’obiettività della legge, neutralità della sua azione, nella obiettività degli interessi”. Inoltre, la giustizia in uno Stato neutrale non deve essere intesa come mera tutela degli interessi individuali ma come comprensione degli interessi vitali e totali della società. Lo Stato non è il diritto contro l’individuo così come il cittadino non può essere l’individuo contro il diritto, bensì lo Stato è la coscienza del diritto e della giustizia che si attua nel cittadino ed è questa la forma della storia nazionale che assume i valori singoli senza annullarli. Sulla base di questo delinea il suo Stato di diritto in due sensi: la collettività per i suoi membri ed i membri per la propria comunità.
Per poter affermare il proprio divenire lo Stato non può rompere i legami con il passato ma neanche deve rifuggire dalla utopia. Ancora ritorna la dialettica hegeliana in cui ogni cosa si afferma (passato), si nega (utopia) e si supera (Stato).
· Liberalismo
Spaventa fu un grande liberale e giornalista esemplare. Il suo era un liberalismo particolare, quel “liberalismo italiano” tanto decantato dal grande Giovanni Gentile secondo cui il pensatore abruzzese direbbe ai liberali del novecento che hanno smarrito il senso dello Stato.
Infatti, vuole distanziarsi sia dal liberalismo anglosassone che dalla democrazia di sinistra; non ammetteva l’introduzione di valori economici nella politica liberale come divenne purtroppo tipico nella Destra “degenere”. Poiché in questa visuale economica del governo liberale, una classe non accetta più di essere uguale nella legge ma vuole anche modificare lo Stato secondo le sue concezioni del bene pubblico.
Come grande giornalista, Spaventa si impegnò per una stampa libera e da uomo politico ebbe sempre un occhio di riguardo per i giornalisti. La sua casa romana era luogo d’incontro per molti giornalisti e lui fu sicuramente il politico dell’epoca con maggiori contatti con loro.
La sua attività giornalistica iniziò a Napoli durante il 1848 come direttore del Nazionale, il giornale durò molto poco (sessantasei numeri in tutto) ma a causa della sua ispirazione liberale gli costò dieci anni di carcere. Esule a Firenze collaborò con la Nazione prima che il suo impegno politico prendesse il sopravvento.
Le sue idee sulla stampa sono tuttora attualissime e fu lungimirante quando, passata un’epoca in cui i giornali non si facevano rabbiosa concorrenza tra loro, affermò che si sarebbe corso il rischio di compromettere l’indipendenza della stampa. Infatti, questa, per potersi finanziare, si stava esponendo troppo all’influenza del potere politico ed economico.
La stampa deve anche avere una certa morale, poiché è essenziale il suo ruolo in un sistema politico democratico. Compito dei giornali, per lui, è quello di giudicare gli atti della politica e mettere così i cittadini nella situazione di potersi opporre a leggi autoritarie. Ciò non è in contraddizione con la sua idea di Stato forte dato che, come già abbiamo visto, questo doveva saper coniugare libertà ed autorità e quindi non era uno Stato autoritario. La morale della stampa doveva anche essere patriottica e badare agli interessi e alla dignità del proprio Paese; dunque, doveva fare a meno di pubblicare certe indiscrezioni sulla politica estera o sulla sicurezza interna soltanto per poter vendere più copie.
· Spaventa oggi
Analizzando la sua esemplare figura, si rimane scoraggiati e ci si accorge di quanto il nostro paese abbia purtroppo dimenticato Silvio Spaventa. La cosiddetta Destra odierna sembra averlo cancellato per inseguire il liberalismo anglosassone tutto su valori economici (vedi Forza Italia); i giornalisti d’oggi sembrano aver dimenticato il suo impegno per una stampa libera, morale ed indipendente e ci appaiono- salvo alcune eccezioni- sempre più servi di questo o quel politico o di questo o quello imprenditore e sempre attenti a vendere copie più di un quotidiano concorrente che ad offrire un reale servizio al paese ed ai suoi cittadini; i liberali italiani non lo citano mai preferendogli qualche figura anglosassone o anglicizzata. Infine si vuole negare e ripudiare lo Stato etico di Spaventa o Gentile affermando erroneamente che questi avrebbe legami con il totalitarismo. Sappiamo bene invece che ben diverse furono le intenzioni dell’idealista abruzzese e ben pochi o nulli i suoi legami con l’autoritarismo.