L’uomo come possibilità e scelta tra valori e disvalori. La categoria ontologica del singolo

Di Antonietta Pistone

 

 

 

Incessante fonte di disorientamento per l’uomo contemporaneo, sono l’attuale carenza, in ambito filosofico, di un sistema organicistico e razionale, in grado di infondere certezze, e parallelamente il progredire accelerato delle acquisizioni in ambito scientifico e tecnologico, insieme al nichilismo dei valori in sede morale e politica. Quanto più cresce la richiesta di evidenze, traducibile per l’intellettuale come nostalgia delle passate filosofie rassicuranti, ed insieme come constatazione dell’assenza di una nuova sintesi del pensiero occidentale, tanto più l’individuo prende atto del limite insito nella sua esistenza, che si fa precaria e vuota. Si sente, oggi, il peso di questa solitudine, di questo abbandono a se stessi, in mancanza di punti solidi di riferimento, fosse anche nell’aggancio ai motivi religiosi di una trascendenza attualmente dissacrata per la constatazione amara che anche le istituzioni ecclesiastiche sono state travolte in questa crisi dei valori, quanto più si sperimenta un bisogno forte di avvicinamento all’altro, e dunque a Dio. Il parallelo riscontro dei limiti dell’esistenza, chiusa nella sua misera solitudine e finitezza, impotente ad uscire dai confini della precarietà temporale, ma con grandi aspirazioni romantico-idealistiche nei più intimi meandri della coscienza e del sogno, fanno dell’uomo un individuo unico e irripetibile, nei confronti degli altri viventi, ed univocamente di ogni uomo verso i suoi propri simili. Emerge dal fondo della realtà umana la categoria sostanziale dell’uomo contemporaneo, che è l’uomo della solitudine, dell’incertezza, del disorientamento e della precarietà, ma è anche il singolo, colui che si costruisce, si progetta in modo assolutamente autentico nei confronti di se stesso, alla continua ricerca di risposte mai definitive. L’uomo che rientra continuamente in gioco, perché ha la capacità di rimettersi sempre in discussione: in relazione alle sue acquisizioni, alla sua sussistenza ed al suo posto nel mondo. Mettersi in discussione equivale a dire che non vi è certezza assoluta di essere, ma significa anche esaltare la valenza positiva di tale carenza ontologica, per conferirle un senso. Ciascuno è un singolo, perché le esperienze di ognuno sono differenti da quelle di chiunque altro, a cominciare dal nascere e dal morire. L’attimo del venire al mondo è un momento di grande dolore e fatica per il piccolo che si trova ad affrontare, così giovane, una prova tanto grande: è però un’esperienza di solitudine perché nessuno, per quanto lo ami, potrà mai sostituirsi al nascituro nell’attimo doloroso del distacco tra sé e la madre, del giungere alla luce. Ugualmente è momento di solitudine quello della morte, perché per quanto si possa essere vicini a colui che muore, ciononostante l’esperienza del morire può farla solo il morente. Ogni attimo di gioia e di dolore è del tutto singolare e irripetibile, come lo sono l’ambiente in cui l’uomo vive, la storia della sua famiglia e quella del suo paese, il livello culturale emergente nel suo status sociale. E tutto ciò lo formerà e condizionerà inequivocabilmente, perché chiunque non voglia sottrarsi a se stesso, non potrà sottrarsi nemmeno alla sua propria storia. La categoria del singolo è perciò categoria della storicità dell’essere, del limite, della precarietà e della finitezza dell’uomo, così come è categoria del dolore e della solitudine, ma al tempo stesso è spiraglio di luce che si getta nel buio dell’incertezza, dell’indecisione, dell’approssimazione di ciascuno al suo essere più proprio, al suo poter essere.

 

 

 

 

 

 

 

Schema della categoria ontologica del “singolo”

 

singolo

 

libertà

 

                                 possibilità = angoscia del nulla

 

 

 

                              scelta

 

 

 

valori

 

                                                                    nessuna scelta

                          disvalori

 

 

 

disperazione

 

Il singolo come possibilità

Aristotele aveva definito l’uomo animale razionale, cioè sinolo di materia e forma, spiegando che la materia è in atto e la forma in potenza. Ciò significa che ogni materia, dotata di forma in atto, può sempre assumere un’altra forma in potenza. Cioè ogni realtà materiale è soggetta a modifiche ed è in evoluzione. Poiché l’uomo è anche realtà materiale, in quanto corpo e spirito, anche l’uomo potrà acquisire una forma diversa da quella attuale, ed è una realtà in evoluzione e in movimento. Inoltre se l’uomo è realtà materiale è anche finito. Tutte le modificazioni del suo stato sono possibili a partire dal presupposto che esse si svolgano nell’arco della sua esistenza. Altrettanto sottolineava Heidegger sostenendo che l’uomo fosse poter essere in quanto essere per la morte. In questa definizione, infatti, è implicita l’idea evolutiva dell’uomo che cambia, ma anche la sua finitezza. Dove l’idea del finito conduce agli a-priori kantiani dello spazio e del tempo. Max Scheler definisce l’uomo «essere illimitatamente aperto al mondo», e Arnold Gehlen parla di «poter essere». L’uomo è dotato di intelletto finito e razionale, in un carpo caduco, cioè mortale, e tutte le sue esperienze si muovono nello spazio e nel tempo. Tutte le forme di conoscenza umana sono storiche e, proprio per questo, hanno il carattere della possibilità. Tale possibilità acquisisce perciò valenza storica e filosofica ma anche biologica, oltre che scientifico-conoscitiva, nel lavoro che Gehlen pubblica nel 1940, titolandolo L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo. Nel trattato antropologico in questione egli asseconda, in contrapposizione a quanto sosteneva Darwin nella sua teoria dell’evoluzione, l’idea che l’uomo, derivando dalla scimmia, avesse perso tutte le specializzazioni proprie del mondo naturale, e che tale perdita potesse essere definita in termini scientifici condizione e presupposto di ritardo, da parte dell’uomo, ad acquisire una sua propria e specifica forma mentale. Tale ritardo egli chiamava neotenia. Si può allora concludere che se la categoria ontologica dell’esistenza è il singolo, il singolo è tale in quanto possibilità e poter essere, cioè capace in potenza di realizzare il suo proprio se stesso senza alcun limite derivante da specializzazione, dunque in libertà. Caratterizzato da un certo ritardo nell’acquisire una forma specifica, e dunque neotenico. 

 

Schema di definizione del singolo come possibilità

 

Aristotele

Animale razionale = sinolo di materia e forma

Max Scheler

Essere illimitatamente aperto al mondo

Arnold Gehlen

Poter essere

Heidegger

Essere per la morte = finito

UOMO

intelletto finito                         corpo caduco

 

razionale                                   animale

 

spazio-tempo                            mortale

(elementi kantiani a-priori

della conoscenza)

 

 

 

                                 poter essere = storicità = conoscenza limitata a-priori

 

                    spazio                 tempo

 

Categoria della possibilità

Se l’uomo è poter essere, cioè possibilità di realizzare il se stesso più proprio in una forma non prestabilita, importa dare conto dell’emergere, nel pensiero filosofico occidentale, della categoria della possibilità. Tale categoria, che sottolinea la dispersione e l’incertezza umana, anche in ambito etico, è propria dell’esistenzialismo, ma i suoi inizi sono già rintracciabili nella rivoluzione copernicana che Kant affronta in ambito gnoseologico, per culminare, dal positivismo, nella filosofia evoluzionistica di Darwin, e perciò nell’esistenzialismo filosofico. Kant, infatti, con la scoperta delle categorie dello spazio e del tempo, abbatte le certezze della gnoseologia aristotelica. Pensare non è più cogliere la realtà oggettiva, ma interpretarla attraverso il giudizio. E ciò significa storicizzare le conoscenze per metterle in relazione all’ambiente, alle circostanze e ai vissuti del soggetto conoscente. E mentre Bacone e Galilei sovvertivano l’universo scientifico di Aristotele, Bacone sostituendo l’induzione alla deduzione sillogistica attraverso la sperimentazione empirica, Galilei ponendo al centro della conoscenza scientifica le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni, i Positivisti esaltavano l’idea perfettibile dell’uomo con la loro fede nel progresso scientifico, attraverso il verificazionismo. Così la comparsa dell’evoluzionismo darwiniano rappresentò la rivalsa scientifica di un’idea di adattamento in progressivi accomodamenti osmotici dell’individuo nei confronti dell’ambiente verso il fissismo di Linneo, mutuato dal creazionismo biblico. Ancora oggi è accettato l’approccio darwiniano al mondo, tanto che l’epistemologo Piaget parla di equilibrio osmotico dell’uomo, cioè di un equilibrio sempre precario e comunque mai definitivo. L’ambito del possibile, interpretato con questa valenza di instabilità e incertezza, si apre come categoria principe nell’esistenzialismo filosofico.

 

Rivoluzione scientifica post-rinascimentale e suoi effetti sulla gnoseologia kantiana e sul positivismo

La categoria della possibilità nasce dalla rivoluzione scientifica copernicana e dalla caduta del sistema di pensiero filosofico basato sull’Ipse dixit di aristotelica memoria. L’universo aristotelico, sia filosofico che scientifico, aveva origine dalla concezione che il posto dell’uomo fosse di assoluta centralità, non solo sulla terra ma anche nell’intero universo. Conseguenza di tale credenza era il ritenere l’uomo capace di acquisire conoscenze del tutto vere ed, in quanto tali, completamente conformi alla realtà, dunque oggettive. La scienza era perciò parimenti in grado di produrre teorie vere in assoluto, una volta per tutte, dunque non oggetto di errore, la presenza del quale avrebbe inficiato del tutto la valenza scientifica di ogni teoria come tale accreditata. Una tale concezione dell’uomo e della scienza come suo prodotto induce a pensare ad un’idea di conoscenza oggettiva, incontrovertibilmente vera, assoluta, dunque eterna. Nell’universo aristotelico, sia esso filosofico o scientifico che si voglia, manca del tutto la nozione ed il concetto di storicità, nozione che si andrà a scoprire attraverso la demolizione del suo sistema di pensiero nel corso di tutta la rivoluzione scientifica post-rinascimentale, che ha inizio con Copernico. Tale rivoluzione spazzerà via d’un sol colpo non solo il pensiero concettuale di Aristotele, ma anche e soprattutto le sue svariate interpretazioni rinascimentali. Copernico pone al centro del sistema solare il sole e non più la terra come voleva il sistema aristotelico-tolemaico, mentre Brahe sostituisce le orbite al posto delle sfere celesti materiali di Aristotele e, successivamente Keplero scopre la loro ellitticità contrapponendola alla circolarità delle sfere aristoteliche. Ma l’impulso alla svolta definitiva arriverà con Galilei, in ambito scientifico, e da Bacone, in ambito filosofico. Sia Galilei che Bacone, infatti, tra loro contemporanei, spostano l’attenzione sull’esperimento scientifico e sull’osservazione del fenomeno nella successiva ricostruzione in laboratorio, puntando all’uso di una logica di tipo induttivo, piuttosto che su deduzioni sillogistiche, con l’ausilio delle matematiche. Lo studio del particolare e la sua osservazione artificialmente riprodotta al fine di ricavarne una teoria scientifica, sostituiscono l’analisi deduttiva alla sintesi sperimentale. L’idea di Bacone espressa dal detto “scire est posse”,  sapere è potere e dominio dell’uomo sulla natura, è di notevole impulso all’introduzione degli strumenti idonei e qualificati ad ottenere un risultato scientifico. L’uso delle tecniche e delle tecnologie come strumento ausiliario di ricerca sarà un’innovazione introdotta dal pensiero baconiano e da Galilei, che per primo utilizza il telescopio per i suoi studi sui corpi celesti. L’effetto di tale rivoluzione scientifica, oltre che di pensiero, determina in ambito squisitamente filosofico, da un lato l’emergere di costruzioni razionali e di sintesi sistematiche, come quelle del dubbio metodico di Cartesio, del panteismo monistico e deterministico di Spinoza o del finalismo monadico ed ottimistico di Leibniz, dall’altra favorisce il sorgere di uno scetticismo empirico e nominalistico alla Locke, Berkeley ed Hume. Il punto di incontro tra razionalismo e scetticismo empirico è proprio il criticismo kantiano. Ormai era già emersa una rinnovata fede per il progresso scientifico, e tale fede per tutto l’uomo e per le sue capacità conoscitive si sarebbe trasmessa globalmente nel positivismo di Comte e di Spencer, che guardavano alla storia dell’uomo come ad un incessante progredire delle acquisizioni scientifico-conoscitive, interpretando tutto ciò come evoluzione e sviluppo dell’umanità in crescita. Ciononostante la rivoluzione scientifica aveva anche sconvolto profondamente la pretesa di assolutismo ed oggettività in ambito gnoseologico, avendo scardinato del tutto il sistema filosofico di Aristotele. Kant, perciò, si trovò a fare i conti con una concezione della scienza radicalmente mutata: una scienza bisognosa di sostegni filosofici che compendiassero la caduta di paradigmi certi, assoluti, oggettivi ed eterni: il venir meno dei quali era già schietta dimostrazione della loro vacuità. La scienza sperimentale di Galilei e Bacone era saldamente radicata all’osservazione in un preciso momento, in un dato luogo, in condizioni particolari: era perciò strettamente connessa all’attimo specifico della riproduzione artificiale del fenomeno studiato in natura; il suo paradigma non poteva che essere storico. Come tale era la negazione dell’eternità, della oggettività, dell’assoluto. Ma se il paradigma della scienza sperimentale era la storicità, allora le strutture mentali sottostanti tale paradigma erano di necessità gli a-priori spazio-tempo. Da Kant in poi, infatti, lo spazio ed il tempo saranno considerati condizione imprescindibile per l’osservazione del fenomeno, ed ogni acquisizione scientifica sarà sempre inquadrata nel suo ambiente e nella sua storia, denotandosi con la valenza della possibilità, come valenza intrinsecamente connessa alle strutture conoscitive proprie dell’uomo.

 

 

Tavola storico-filosofica del periodo post-rinascimentale

Rivoluzione scientifica post-rinascimentale

 

 

Bacone

 

                                       Empirismo                          Razionalismo

                         (Locke-Berkeley-Hume)            (Cartesio-Spinoza-Leibniz)

convenzionalismo nominalismo scetticismo         meccanicismo monismo finalismo

 

 

 

criticismo kantiano (a-priori spazio-tempo)

Illuminismo (ragione)

 

                                        Idealismo (spirito) (Fichte-Schelling-Hegel)

 

                            Positivismo (razionalità positiva) (Comte e Spencer)

 

               Evoluzionismo (progresso) (Darwin)

 

                         Esistenzialismo (esistenza come apertura) (Kierkegaard)

 

Possibilità

Singolo                  scelta o angoscia

Schema della Rivoluzione scientifica post-rinascimentale

Copernico  De revolutionibus  1543

Il sole è al centro del sistema solare

Brahe

Sostituisce le orbite alle sfere materiali; la terra è al centro del sistema solare

Keplero

Le orbite sono ellittiche e non circolari

Galilei  Sidereus nuncius 1610; Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo 1632

Uso del telescopio. Cade l’aristotelismo. Non c’è distinzione tra la costituzione naturale del mondo celeste e del mondo terrestre. Ogni moto è relativo: non esiste un motore immobile. Lo stato di quiete e di moto sono persistenti (vedi leggi sul pendolo). La forza non produce moto ma accelerazione (principio di inerzia). Il moto è possibile nel vuoto. Il sapere scientifico parte dall’esperimento e dalla sua osservazione. La scienza descrive la realtà. Sensate esperienze e necessarie dimostrazioni.

Newton  Principia mathematica 1687

Teoria corpuscolare della luce contro teoria ondulatoria di Huygens (1629-1695). Semplicità ed uniformità ontologica della natura. Il mondo è una macchina. Tempo e spazio sono assoluti. Legge di gravitazione universale: la forza gravitazionale è direttamente proporzionale al prodotto delle masse ed inversamente proporzionale al quadrato delle loro distanze. Nasce la meccanica classica: legge di inerzia – cambiamento di stato (velocità ed accelerazione) – azione e reazione. Calcolo infinitesimale: piccole variazioni di grandezza – rapporti = derivate; somme = integrali. La retta è la traiettoria di un punto.

 

 

 

 

Schema dell’evoluzionismo darwiniano

 

Darwin  L’origine della specie  1859

 

Evoluzionismo

 

Organismi unicellulari (procarioti)

 

Organismo pluricellulari (eucarioti: ameba e paramecio)

 

Esseri viventi (flora-fauna-uomo)

 

Scimmia            Uomo

 

Selezione naturale

Sopravvivono le specie viventi che hanno accumulato, nel tempo, tutte le mutazioni genetiche necessarie a quell’ambiente.

 

 

Adattamento

 

 

 

 

 

 

Teorie concernenti l’idea di origine della specie

 

 

Evoluzionismo di Darwin

 

 

Concetto di neotenia di Arnold Gehlen

(mitiga il concetto di evoluzionismo di Darwin)

 

 

Creazionismo biblico

(fissismo) Linneo (1707-1778)

 

 

 

 

La possibilità nell’esistenzialismo filosofico di Kierkegaard

Libertà ed eticità del singolo nella scelta

L’emergere della categoria della possibilità mutua la sua origine dalla rivoluzione scientifico-copernicana, e dalla interpretazione che di questa ne fa Kant, in ambito squisitamente filosofico-conoscitivo, storicizzando le acquisizioni umane; ma deriva al contempo anche dalla nascita del positivismo e dell’evoluzionismo darwiniano, che rappresentavano gli effetti a lungo termine espressi da tale rivoluzione scientifica. Infatti, tra la rivoluzione scientifico-copernicana e la sua interpretazione kantiana, ed il positivismo filosofico come precondizione dell’evoluzionismo darwiniano vi è, storicamente, tutto il Romanticismo idealistico che condiziona l’interpretazione della rivoluzione scientifica nel pensiero positivistico ed evoluzionistico e, conseguentemente, in tutto l’esistenzialismo filosofico che di tali precedenti filosofie è il prodotto storico. Culturalmente, infatti, il Romanticismo rappresenta la caduta della concezione enciclopedica del sapere, ancora di stampo aristotelico, insieme al crollo di una concezione razionale ed organicistica della realtà, prima ritenuta conoscibile in toto nella sua oggettività. E tutto questo avviene sia attraverso la storicizzazione delle conoscenze, sia attraverso la specializzazione delle varie branche del sapere che sempre più si andavano emancipando dalla filosofia per ricercare un’impostazione metodologica del tutto autonoma, nello statuto scientifico, da quella disciplina. Al tempo stesso l’uomo del romanticismo è l’espressione più completa della contraddizione esistente tra l’aspirazione a grandi ideali e la caduta di certezze, facendosi perciò simbolo di uno smarrimento storico e nostalgico nei confronti del passato e di illusori vagheggiamenti tanto più fallaci quanto più aspro si faceva il confronto con la realtà. Questo concerto di sentimenti, oltre che di conoscenze filosofiche e storico-scientifiche, eredita completamente l’esistenzialismo, che interpreta la categoria della possibilità come sua categoria per eccellenza. La novità del pensiero di Kierkegaard, padre dell’esistenzialismo filosofico, rispetto agli altri pensatori facenti parte della stessa temperie culturale, è tutta nel recupero di un’immagine integrale dell’uomo e del singolo, che muove da un’interpretazione etica e morale di quella categoria del possibile, e che dirigendosi in tale direzione permea di sé tutta la concezione umanistica che gli è propria e che, come tale, trasmette: l’uomo, e tutte le forme di conoscenza che pretendano di tenere in considerazione l’uomo, non possono più essere scisse dalla concezione del singolo come soggetto morale ed etico, in funzione del fatto che agisce. La possibilità viene allora interpretata come caratteristica propria del singolo ed al tempo stesso come precondizione della sua libertà, cioè del suo agire morale. Una concezione deterministica parmenidea dell’uomo, come era quella espressa dall’idealismo hegeliano preclude, infatti, ogni possibilità all’agire morale del singolo, i comportamenti del quale, perché possano essere detti propri dell’agire etico, devono presupporre la libertà come libertà di scelta. Ma la possibilità è fonte di vertigine e smarrimento per l’uomo il quale, di fronte alla responsabilità della propria coscienza nei confronti della sua libertà, dunque della sua possibilità, che in quanto tale è anche possibilità del nulla, oltre che possibilità dell’essere (come pienezza dell’agire morale, fonte di valori), genera il sentimento dell’angoscia. L’angoscia, dunque, come possibilità del nulla se non si tramuta in scelta, genera a sua volta un circolo vizioso che porta l’individuo alla disperazione. Kierkegaard propone, perciò, un antidoto alla disperazione nella decisione e nella scelta. Egli intravede tre possibili stili di vita: quello estetico del Don Giovanni che vive alla giornata, quello etico di chi predilige la progettualità morale propria della scelta matrimoniale, ed infine quello religioso di Abramo, il quale è disposto a sacrificare il figlio, dunque a ribellarsi alla legge etica, pur di non disobbedire al suo Dio. Tra i tre possibili stili di vita, dice Kierkegaard, bisogna operare una scelta, e tale scelta è portata a termine con il criterio della selezione dello stile a ciascuno più confacente: la dialettica della scelta è, perciò, quella dell’aut-aut, perché un tipo di vita esclude automaticamente un altro. Ma il recupero integrale dell’uomo è, nell’umanesimo di Kierkegaard, nella scelta che egli propone imprescindibilmente per salvare il singolo dalla disperazione. Tale scelta è quella dell’ideale di vita religiosa, che Kierkegaard interpreta come la vera scelta radicale e rischiosa per l’uomo: scelta che lo rimette sempre in discussione come singolo davanti alla possibilità del peccato e della caduta. La radicalità dell’umanesimo di Kierkegaard, rispetto a tutti gli altri pensatori esistenzialisti è tutta in questa riscoperta integrale dell’uomo come singolo davanti a Dio, proprio perché espressione di tale possibilità di caduta e di ripresa, che si realizzano costantemente nella concezione etica e morale della vita umana, libera di scegliere tra valori e disvalori, o addirittura di non scegliere, nella paralisi prodotta dalla vertigine della propria umanità come fragile e finita possibilità di potere. La morale che ne deriva non è quindi un intellettualismo socratico, fatto dai razionalisti alla Spinoza; né una morale di tipo formale, come quella di Kant; ma è una morale in cui tutte le potenzialità filosofiche e di pensiero sono espresse nella considerazione per quel recupero dell’integralità umana come corpo e spirito, più vicina all’umanesimo sofferto e profondo delle Confessioni di S. Agostino, e proprio per questo tanto più intimamente ispirata alla lettera dell’insegnamento evangelico.

 

 

 

Schema della possibilità nell’esistenzialismo di Kierkegaard (1813-1855)

 

singolo

 

libertà

 

possibilità = angoscia

 

                                                            disperazione                       

                                                              (peccato – caduta)

                           scelta                                                 

 

                       vita estetica                        Aut

 

                        vita etica                                              dialettica della   responsabilità

                  

                       vita religiosa                      Aut

 

rischio di rimettersi sempre in discussione

 

 

 

Categoria della scelta nella morale cattolica

Opzione fondamentale e scelta deliberata

«La riflessione razionale e l’esperienza quotidiana dimostrano le debolezze da cui è segnata la libertà dell’uomo. È libertà reale, ma finita: non ha il suo punto di partenza assoluto e incondizionato in se stessa, ma nell’esistenza dentro cui si trova e che rappresenta per essa, nello stesso tempo, un limite ed una possibilità. È la libertà di una creatura, ossia una libertà donata, da accogliere come un germe e da far maturare con responsabilità. È parte costitutiva di quell’immagine creaturale, che fonda la dignità della persona…È insieme inalienabile auto possesso e apertura universale ad ogni esistente, nell’uscita da sé verso la conoscenza e l’amore dell’altro…Ragione ed esperienza dicono non solo la debolezza della libertà umana, ma anche il suo dramma. L’uomo scopre che la sua libertà è misteriosamente inclinata a tradire questa apertura al Vero e al Bene e che troppo spesso, di fatto, egli preferisce scegliere beni finiti, limitati ed effimeri. Ancor più, dentro gli errori e le scelte negative, l’uomo avverte l’origine di una ribellione radicale, che lo porta a rifiutare la Verità e il Bene per erigersi a principio assoluto di se stesso: “Voi diventerete come Dio” (Gn 3,5)». Denso di significato e molto profondo è questo passo dell’Enciclica di Papa Giovanni Paolo II Veritatis Splendor, che mette in esaltata evidenza quella dispersione dell’uomo contemporaneo nell’esercizio della sua libertà, già ampiamente sottolineata e scientificamente e filosoficamente comprovata. Il problema emergente è, difatti, proprio quello dell’uso razionale che ciascuno dovrebbe fare dei meccanismi di scelta in ambito morale. Il superamento dell’angoscia esistenziale è nella scelta, ma la possibilità di ricaduta nel circolo vizioso della disperazione è, per l’uomo, sempre in agguato finché non divenga capace di gestire la sua possibilità di scelta morale dentro un sistema ben consolidato di valori. Ciononostante è sempre probabile la scelta errata, sia per ignoranza sia per consapevole decisione, ma qualora si riproponga la domanda sul senso dell’esistenza è necessario imprimere nel singolo la consapevolezza della sua propria responsabilità, ed il peso che da tale responsabilità deriva. Tutta la lettera Enciclica prende, infatti, proprio spunto dalla domanda fondante e fondamentale che il giovane ricco fa, sul senso della propria esistenza, a  Gesù. La risposta che gli viene offerta dal Maestro è di rispettare i comandamenti e, dopo aver abbandonato tutti i suoi averi per darli ai poveri, di seguirlo. Ma il giovane va via. L’insegnamento che giunge da questo brano del Vangelo, e dalla sua analisi fatta dal Papa nell’Enciclica, è per tutti identico, e si risolve nel comandamento principe di ogni cattolico “ama il prossimo tuo come te stesso”. La strada per seguire Cristo è, perciò, una strada tutta in salita, nella quale davvero si tratta di porre la propria libertà al servizio di principi più alti da cui discendono tutti gli altri valori morali. Il rispetto per l’integrità della vita, ed il rispetto per la vita in se stessa, come valore, insieme al rispetto per la dignità di ogni uomo e per la sua alterità, che è già contenuta nella soggettività del singolo, in quanto uomo, sono i primi principi da assumere come postulati nell’esercizio della libertà individuale. Sono, cioè, gli elementi cardine che costituiscono l’opzione fondamentale tra l’insieme delle scelte possibili per l’uomo. Ma il Papa così continua nell’Enciclica «…le scienze umane hanno giustamente attirato l’attenzione sui condizionamenti di ordine psicologico e sociale, che pesano sull’esercizio della libertà umana…». Tale constatazione, peraltro assai esatta dal punto di vista filosofico, ha portato alcuni a negare la libertà dell’uomo, interpretando la sua storia in un contesto provvidenziale o destinale, altri a propendere per uno scetticismo morale che ha avvalorato, per le scelte cosiddette deliberate, un insieme di atteggiamenti relativistici, variabili di volta in volta in relazione alle situazioni e alle caratteristiche del soggetto morale agente. Ben consapevole di tale degenerazione morale, i cui effetti sono peraltro sotto gli occhi di tutti, riverberati come sono in ambiti tra loro più disparati, il Papa richiama nell’Enciclica tutti i cattolici a confermare, anche nelle scelte deliberate, quell’opzione fondamentale della morale cattolica, che si rifà al sistema di valori, basati sul rispetto della vita e di tutti gli uomini in generale. Costanti si fanno, nel corso della Lettera, i riferimenti a questo insieme di valori, la cui profondità è nell’appartenere, prima che ad una morale di tipo cattolico, ad una legge naturale impressa nell’uomo ed in tutti gli uomini come tali. L’integrità della persona è fatta salva dal considerare ogni uomo un fine costante dell’agire morale, mai un mezzo o uno strumento atto al conseguimento di una finalità estrinseca a quella primaria del rispetto per la dignità del singolo e per la sua individuale alterità. Emerge dal discorso del Papa un’altissima considerazione per l’uomo come tale, per le sue possibilità di agire nel bene, e per la sua debolezza nell’operare il male, insieme al grande amore di dio nel perdono e nella redenzione. Il singolo, con le sue strutturali debolezze e con la sua umana grandezza, acquista proporzioni titaniche nell’agire morale, perché in esso solo trova la conferma della sua libertà finita e limitata, nel cui angusto spazio si apre lo spiraglio dell’incontro e del dialogo costruttivo con l’altro da sé. La possibilità dell’incontro dialogico con l’altro si muove sul terreno dell’azione morale e sul riconoscimento di sé nell’altro. L’antidoto all’angoscia è, in questa prospettiva, un avvicinarsi all’altro da sé attraverso i valori della comunicazione, della partecipazione e della solidarietà. L’esercizio di tali valori porta a lenire l’angoscia della solitudine e dell’abbandono a se stessi, perché riempie di significato il sé di ognuno e valorizza quella ricerca costante di forma per il se stesso più proprio del singolo, che non è uomo se non in quanto relazione e socialità all’altro.

 

 

Solitudine dell’uomo e scelta dei disvalori

Si è visto come il progredire della scienza, in quanto investigazione sperimentale del fenomeno, abbia avvalorato anche l’introduzione delle tecnologie come strumenti idonei a facilitare lo studio della natura. Purtroppo, l’uso indiscriminato ed irrazionale di tali ritrovati della tecnica, ha finito con l’accrescere il disordine esistenziale dell’uomo, anziché diminuirlo. L’idea di sapere come potere dell’uomo sulla natura è diventata tutt’uno con la presunzione di dominare e di creare una natura artificiosa da parte dell’uomo stesso. Inoltre, gli interventi dell’uomo sulla natura, posti al servizio di false idee politiche ed economiche rivolte ad un capitalismo selvaggio, erroneamente, o in mala fede, ritenuto fonte di benessere per tutti, ha aumentato l’entropia del sistema ecologico, riversando tale disordine anche sulla psicologia del sociale. La nobile idea di scienza come prodotto dell’intelligenza umana nella tecnica, di cui però resta sovrano e soggetto principe l’uomo, ha finito col soccombere dinanzi ad un progresso tumultuoso e trascinante di cui l’uomo stesso è divenuto l’oggetto passivo. L’evoluzione della storia è, così, diventata un accelerato susseguirsi di eventi cui nessuno più riesce a darsi una spiegazione razionale e serena, ma che tutti più o meno subiscono, come se fosse prodotto di qualche esistenza sconosciuta e aliena. Questo aumento della velocità delle informazioni e della produzione dell’uomo, a tutti i livelli, siano essi politici, economici, culturali, ha significato una progressiva perdita del senso dell’agire morale, intimamente connesso ad ogni atto produttivo. Determinando, parimenti, una perdita del senso della verità, significando, l’aumento di velocità, una diminuzione accelerata della domanda sul senso. La ricerca della verità dell’agire morale si è squalificata di pari passo con questa perdita del senso, invischiata da una mole emergente di informazioni, vuote di contenuti reali. La corsa accelerata di ognuno verso mete non ben definite, in vista di un accrescimento delle risorse economiche private, a discapito di qualsivoglia ordine e rispetto per se stessi prima che per gli altri; lo smodato ravvolgersi nella quotidianità, in vista del successo e della notorietà personale; il mito di un’America da raggiungere, sia pur idealmente, svuotano di significato ogni domanda sul senso, mentre nessuno si chiede più perché. Ed in tanto correre dispendioso di energie, ma generoso e magnanimo di stress, depressione, ed angoscia, si consumano giornalmente i delitti contro il rispetto della vita e l’alterità dell’altro. Quando poi ci si ferma un solo attimo non è difficile capire come un’esistenza così vuota e superficiale sia destinata a consumarsi in solitudine. E le persone che ne soffrono di più non sono gli affaccendati manager di successo, o l’uomo di mezza età. Le classi sociali costrette a subire gli effetti di questa vergognosa parodia del progresso contemporaneo sono quelle  che, per fascia di età, non sono in grado di tener testa a tanta gloriosa avanzata di eroi in accelerazione. Sono, perciò, i bambini, con i loro ritmi di crescita rallentati, e gli anziani, che quell’accelerazione hanno perso. Ma sono anche i giovani, con le loro noiose domande sul senso, per capire la contraddizione in cui si avviluppa la contemporaneità. Un progresso ignobile è questo che non consente di capire, pretendendo di trascinare; un progresso di cui diffidare perché si ammanta di facili sogni e di chimere, privando l’uomo di valori di solidarietà, rubando alla scienza la sua verità, spezzando il circolo della comprensione, per ottenere il consenso. Ma soprattutto un falso progresso che, in nome di una falsa scienza asservita all’uso immorale delle tecnologie, dimentica l’uomo come persona, l’uomo fonte di valori; calpesta il rispetto per la vita e la dignità, esaltando del poter-essere del singolo l’aspetto più deleterio della caduta di sé, della perdita di sé come possibilità di agire per l’uomo e per la sua totalità. Questo è il mondo dei disvalori: il nulla e la contraddizione senza giustificazione; svuotamento del senso e della domanda fondante sul senso; corsa accelerata ed impazzita al profitto, al traguardo sociale; noncuranza dimentica dell’altro. Il rappresentante di questa categoria pensa «la vita vale nulla». L’aggancio all’infinito è stato spezzato, l’uomo è precipitato nel suo abbandono, e la solitudine che ne discende è solo un suo insignificante corollario.

Corso di Scienze umane e sociologiche

Dispense del corso monografico “L’uomo come possibilità e scelta tra valori e disvalori”, tenuto dalla Prof.ssa Antonietta Pistone presso l’Università della terza età di Foggia, durante l’anno accademico 1993-1994

 

BIBLIOGRAFIA

 

1.     Arnold Gehlen, L’uomo, Feltrinelli editore, Milano 1983

2.     Emanuele Severino, La filosofia contemporanea, Biblioteca universale Rizzoli S.P.A., Milano 1992

3.     Giovanni Reale, Dario Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, Editrice La Scuola, Brescia 1983

4.     Lettera Enciclica di S.S. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1993



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