SPEUSIPPO
A cura di Roberta Musolesi
La vita e le opere
Le notizie che si hanno della vita di Speusippo derivano da molteplici fonti.
Una delle testimonianze più ricche e precise è quella di Filodemo, con la sua Vita Speusippi Herculanensis; quest’opera, ripresa anche da Diogene Laerzio, è costruita sui dati di Filocoro, attidografo del III secolo, e integrata con le memorie di Diodoro.
Nella testimonianza di Filodemo si parla di Speusippo che, in qualità di erede di Platone, ricevette la scuola quando era già malato; si precisa che “egli ricevette la scuola per successione”, aspetto questo che sembra avvalorare l’ipotesi di un passaggio delle consegne senza alcun procedimento elettivo.
Nella testimonianza poi si fa riferimento al fatto che Speusippo avrebbe edificato le immagini delle Grazie quando già era a capo dell’istituzione e su queste immagini vi sarebbe stata impressa la seguente dicitura: “Queste immagini delle dee Cariti Speusippo dedicò alle dee Muse, offrendole in contraccambio delle loro rivelazioni”.
Questa informazione consente di aprire una piccola parentesi circa la natura e le caratteristiche dell’Accademia platonica. L’Accademia, fondata da Platone presumibilmente dopo il suo primo ritorno dalla Sicilia, intorno al 380, è, fra tutte le scuole antiche, l’istituzione su cui si è più discusso e dibattuto: in quanto prima e vera scuola dell’Ellade, è stata un modello per altre scuole che si sono susseguite, in primo luogo del Liceo, sua diretta emanazione, poi di altre scuole ellenistiche. Molte fonti hanno parlato dell’Accademia nei termini di associazione di culto o tiaso delle Muse, ma in tempi recenti questa valutazione è stata messa in discussione. Secondo alcuni critici infatti è probabile che si sia equivocato circa le condizioni giuridiche del periodo: la situazione dal punto di vista normativo ad Atene era abbastanza fluida e tale da consentire ad una associazione filosofica di sussistere ed operare senza dover necessariamente assumere il carattere di una corporazione religiosa; relativamente alla presenza in un tempio dedicato alle Muse, il cui culto è collegato alla musica e all’istruzione primaria di cui la musica stessa faceva parte, questa si ricollega alla precedente funzione di ginnasio che la scuola aveva assunto. Rispetto poi alle Grazie, o Cariti, il culto di queste era già stato rilevato al tempo di Socrate: una testimonianza raccolta da Diogene Laerzio, Pausania e Plinio attribuisce appunto a Socrate, nella sua attività giovanile di scultore accanto al padre Sofronisco, l’immagine delle Cariti presente sull’Acropoli in Atene. Relativamente alla possibilità che l’istituzione avesse assunto principalmente la connotazione dell’associazione di culto, questa prospettiva potrebbe essersi realizzata non tanto con Speusippo, quanto piuttosto con l’avvento e la nomina di Senocrate, il quale, in quanto straniero, difficilmente avrebbe potuto porsi a capo di una proprietà comprendente anche una porzione di territorio pubblico e potrebbe essergli stato possibile guidarla solo nella forma dell’associazione di culto. E’ quindi verosimile che l’Accademia abbia assunto connotazione di associazione di culto solo a partire dall’elezione di Senocrate e che sia stata trasmessa, conservando inalterate le sue caratteristiche, a Speusippo in forma naturale per la sua stretta relazione di parentela con Platone, anche se la questione presenta comunque delle difficoltà, in quanto lo stesso Speusippo era discendente di Platone in linea femminile, poiché figlio di una sorella, mentre il testamento avrebbe avuto come beneficiario un altro nipote, Adimanto il giovane, figlio di un fratello.
Filodemo, nel precisare che Speusippo, nel momento in cui prese la guida dell’Accademia, che guidò per otto anni, aveva già le gambe paralizzate, fa riferimento ad un procedimento elettivo che sarebbe avvenuto all’interno dell’Accademia stessa e dal quale sarebbe risultato che la scelta degli allievi più giovani sarebbe caduta su Senocrate, anche perché Aristotele era già partito per la Macedonia per ricoprire l’incarico di precettore di Alessandro e altri due possibili candidati, Menedemo di Pirra ed Eraclide del Ponto, sarebbero stati superati per pochi voti; si fa riferimento inoltre al fatto che Menedemo avrebbe colto l’occasione per abbandonare la scuola e il suo nome si ritroverà più tardi fra gli allievi di Aristotele. Filodemo, rispetto alla presunta elezione di Senocrate, prosegue riferendo che gli Accademici avrebbero scelto quest’ultimo anche perché affascinati dalla sua saggezza; Speusippo invece sarebbe stato piuttosto incline all’ira ed incapace di dominarsi, oltre al fatto di essere debole nei confronti dei piaceri, cosa che sarebbe stata la causa della paralisi alle gambe. Nella testimonianza di Filodemo compare infine il nome di Diodoro, un discepolo di Speusippo di cui non si conosce nulla, ma che avrebbe scritto di lui, della sua natura acre e tagliente, della sua grande memoria e del fatto che si sarebbe occupato di ogni questione in modo esauriente.
La seconda testimonianza che permette di raccogliere informazioni circa la vita, l’opera e la personalità di Speusippo è quella riportata nelle Vitae philosophorum di Diogene Laerzio. Anche in questo caso si fa riferimento alla successione alla guida dell’Accademia in qualità di erede diretto, in quanto figlio di un non ben noto Eurimedonte, ateniese del demo di Mirrinunte, e di Potone, sorella di Platone. La narrazione di Diogene Laerzio fornisce indicazioni precise circa il periodo di scolarcato di Speusippo, che avrebbe assunto la guida dell’Accademia a cominciare dall’Olimpiade 108, che va dal 348 al 344 a.C., ed avrebbe quindi iniziato a dirigere la scuola intorno al 348-347, data della morte di Platone. Viene confermata anche da Diogene Laerzio la notizia riportata nella testimonianza di Filodemo, relativa alla edificazione delle immagini delle Grazie, con la precisazione che il tempio delle Muse sarebbe stato costruito nell’Accademia per opera di Platone e Speusippo vi avrebbe aggiunto le immagini delle Grazie, tesi questa che sarebbe avvalorata dalla presenza del già citato epigramma aggiunto alle immagini stesse. Diogene Laerzio prosegue nella sua narrazione sottolineando come Speusippo si sarebbe tenuto fedele, forse anche in un modo un po’ dogmatico, al pensiero di Platone, ma non ne avrebbe in nessun modo imitato lo stile di vita, in quanto manifestava una forte propensione all’ira e una notevole debolezza nei confronti del piacere. Sarebbe stato proprio Platone, così come è riportato da Plutarco e confermato anche nel De ira di Seneca, senza assumere atteggiamenti improntati alla severità o alla durezza, ma, al contrario, mostrando tranquillità e benevolenza, a distogliere Speusippo dalla sfrenatezza che gli era propria e di ispirargli il desiderio di imitarlo e di dedicarsi alla filosofia.
Nel testo di Diogene Laerzio si fa inoltre riferimento a due discepole, Lastinea di Mantinea ed Assiotea di Fliunte, che sarebbero accolte nell’Accademia e che vengono ricordate, anche da Filodemo, come le ultime due allieve di Platone; nella testimonianza si fa riferimento al fatto che Speusippo, diversamente da Platone che tendeva ad esentare dai tributi coloro che entravano nella sua scuola, avrebbe preteso invece pesanti tributi dai suoi allievi e una delle due allieve, Lastenia, viene presentata come sua amante.
Diogene Laerzio prosegue poi sottolineando le capacità intellettuali e i meriti teoretici di Speusippo, che sarebbe stato in grado di intuire l’interdisciplinarietà fra le varie scienze e che tentò di porre in rapporto le une con le altre. Viene riferito anche, riportando la testimonianza di un certo Ceneo, che Speusippo avrebbe rivelato i “segreti” di Senocrate; dietro questo Ceneo, secondo alcuni interpreti, in particolare secondo F. Jacoby, si celerebbe l’epicureo Idomeneo di Lampsaco, autore dell’opera Dei socratici, ma, in effetti, è più probabile che Ceneo non sia altro che una frettolosa trascrizione di Aphareus, figlio adottivo di Isocrate. Relativamente poi ai suddetti “segreti” rivelati, non si tratterebbe di dottrine politiche, quanto piuttosto di detti o di parole d’ordine; la notizia tuttavia fa pensare ad una certa vicinanza, se non appartenenza, di Speusippo ad ambienti isocratei. Diogene Laerzio parla anche dell’invenzione, da parte di Speusippo, della tecnica di intrecciare canestri a partire da fuscelli, “techne” che è stata attribuita da Diogene anche a Protagora.
La testimonianza di Diogene Laerzio prosegue con il riferimento a due fatti: il primo, non veritiero, fa riferimento al possibile trasferimento, da parte di uno Speusippo ormai immobilizzato dalla paralisi, della guida dell’Accademia a Senocrate, e il secondo, dedotto sicuramente da una fonte ostile all’Accademia, parla invece di un possibile incontro fra Speusippo e Diogene il cinico, durante il quale quest’ultimo, nel rispondere ad un saluto dello stesso Speusippo, gli avrebbe suggerito di porre fine alla sua vita, ormai solo colma di sofferenze e tribolazioni. Diogene Laerzio, nella sua testimonianza, sembra voler avvalorare l’ipotesi del suicidio di Speusippo, ipotesi che tuttavia non risulterebbe sostenuta da nessuna testimonianza; alcuni critici accettano il fatto che, ad un certo punto, vinto dagli stenti, Speusippo si sarebbe lasciato morire. Relativamente alle cause della morte, Diogene Laerzio riporta una notizia ricavata dalla Vita di Lisandro e Silla di Plutarco, secondo la quale la morte di Spesippo sarebbe stata provocata dalla pediculosi; in effetti non esiste alcuna prova a sostegno di questa informazione, che è derivata da Timoteo, un autore particolarmente ostile ai filosofi, di cui voleva porre in rilievo la morte indecorosa a contrasto con le belle parole. Il racconto di Diogene Laerzio si conclude con l’elencazione delle opere di Speusippo, presentate in modo nel complesso piuttosto disordinato, a causa presumibilmente di un difetto di interpretazione. In ogni caso le opere comprenderebbero:
a) dialoghi: Della ricchezza, Del piacere, Della giustizia, Della filosofia, Dell’amicizia, Sugli dei, Il filosofo, A Cefalo, Cefalo (Cefalo sarebbe il padre dell’oratore Lisia), Clinomaco e Lisia, Il cittadino, Dell’anima, A Grillo (Grillo sarebbe il figlio di Senofonte, morto nel 362 nella battaglia di Mantinea), Aristippo, Confutazione delle arti
b) commentarii: Dialoghi ipomnematici, Dell’arte, Dialoghi sulla scienza e simili, Divisioni e ipotesi sui simili, Esempi di generi e specie, Contro l’orazione “Senza testimoni” di Isocrate (che sarebbe stata viziata dal dato tecnico di essere stata condotta in assenza di testimonia da ambo le parti), Encomio di Platone (un elogio solenne a Platone, pronunciato in occasione del banchetto funebre), Lettere a Dione, Dioniso, Filippo, Della legislazione, Lo scienziato, Mandrobulo, Lisia, Definizioni, Commentarii distribuiti in ordine. Alcuni di questi titoli farebbero riferimento ad opere di carattere dialogico secondo lo stile platonico.
Il catalogo delle opere di Speusippo non è completo, in quanto mancano, ad esempio, gli epigrammi e sono state collocate insieme le lettere a Dione, Dioniso e Filippo, che sarebbero, a parte forse solo una, delle pseudoepigrafi. Di enorme importanza sono invece gli Оμοια, I simili, che vengono presentati in due parti, Dialoghi e Divisioni, anche se probabilmente si tratta di una stessa opera divisa in due parti, la seconda delle quali presentata come giustificazione delle premesse della prima. Nello scritto, che avrebbe lo scopo di determinare e delimitare gli enti singolari, Speusippo porta avanti il tentativo di classificare l’intera realtà secondo relazioni di specie e di genere e, secondo questa prospettiva, la definizione di un ente presuppone la conoscenza di tutte le differenze rispetto a tutti gli altri enti e quindi una conoscenza onnicomprensiva dell’essere. L’assunzione di una tale possibilità, che verrà, come si vedrà in seguito, duramente negata da Aristotele, implica una rigorosa articolazione degli universali, che Speusippo riprese, con alcune modifiche, dalle “dottrine non scritte” di Platone: dal suo punto di vista unità e molteplicità erano elementi e non generi dell’essere, che si ritrovano in forma analoga e specifica in ciascun ambito, in quello dei numeri matematici, delle grandezze matematiche, dell’anima del mondo e dei corpi sensibili.
La narrazione di Diogene Laerzio si conclude con la notizia, attribuita a Favorino di Arles, ma priva di consistenza storica, dell’acquisto da parte di Aristotele dell’intera biblioteca di Spesippo per tre talenti, acquisto che non si sarebbe mai realizzato vista la non vendibilità dei testi.
Rispetto al temperamento e alla personalità di Speusippo, è possibile ricavare alcune informazioni anche da Filostrato. Egli, per descrivere l’avidità di ricchezze propria del successore di Platone, narra di un suo viaggio in Macedonia per partecipare al banchetto di nozze di Cassandro, in occasione del quale avrebbe composto dei poemi di scarsissimo valore, che poi avrebbe recitato per guadagnare del denaro. A proposito della condizione economica di Speusippo, Chio di Eraclea riferisce che avrebbe ricevuto in moglie la più grande delle nipoti di Platone, con una dote di trenta mine inviata da Dioniso, e che sarebbe stato nel complesso piuttosto povero di risorse.
Relativamente alla fedeltà di Speusippo al pensiero di Platone, Cicerone, nel citarne a più riprese tutti i successori, parla non solo di Speusippo e di Senocrate, ma anche di Polmone, Cratere e Cantore, che avrebbero tenuto fede con scrupolo al pensiero del maestro. Questa notizia è confermata da Numenio, che cita Speusippo, Senocrate e Polmone come facenti parte di un tutt’uno nella loro fedeltà a Platone, fedeltà comunque relativa perché in effetti non si mantennero completamente in linea con la dottrina del maestro. Eusebio, al contrario, mostra invece come i tre successori avessero dissolto la dottrina platonica, introducendovi principi ad essa estranei e determinando la fine del pensiero platonico.
IL PENSIERO: I FRAMMENTI TRATTI DA OPERE CERTE
Le diverse interpretazioni dei frammenti
Dell’opera di Speusippo si possiedono concretamente solo pochi frammenti, limitati ad espressioni tipiche, semplici termini e brani isolati e forse una lettera; il resto delle testimonianze proviene da citazioni di altri filosofi e uomini di cultura. La principale fonte è il contemporaneo Aristotele, che tuttavia è conosciuto solo nell’edizione curata da Becker, quindi già dopo l’intervento di revisione e correzione di Andronico di Rodi. Aristotele, nella Metafisica, non cita quasi mai direttamente Speusippo fra i seguaci di Platone cui intende contrapporsi, quindi sono stati i commentatori, in particolare Alessandro d’Afrodisia, Aspasio, Simplicio, che hanno aiutato a scoprire tracce del spensiero speusippeo nei passi aristotelici che parlano di questioni affrontate da Platone.
Fra le altre testimonianze, se ne può individuare una sola di un contemporaneo di Speusippo, Teofrasto, il quale può fornire quindi informazioni dirette. Tali informazioni sono tratte presumibilmente da un’opera, intolata anch’essa Metafisica, scritta come chiarimento della Metafisica di Aristotele
Altra fonte è Giambico che, parlando di Speusippo, della perfezione del numero e del suo culminare nei numeri che rappresentano la piramide, si ha l’impressione che si stia riferendo ad un testo che sta citando in originale.
Anche Proclo sembra citare direttamente Speusippo, presentandolo, in una sua opera, come un io narrante che riporta la sapienza degli antichi, ma esistono dubbi circa l’attendibilità della citazione, in quanto viene attribuita a Speusippo la dottrina dell’uno incapace di generare qualcosa d’altro senza una dimensione di dualità, dottrina che in effetti è di Senocrate.
Dei filosofi
Diogene Laerzio, nelle sue Vite dei filosofi, cita, a proposito di Parmenide, l’opera speusippea Dei filosofi; questo titolo non compare effettivamente nel catalogo delle opere di Speusippo, mentre compare un Filosofi, che quasi sicuramente è il titolo più esatto. Speusippo non era un autore di biografie e il suo reale interesse era rappresentato dall’analisi di un certo modello teorico di vita filosofica, quindi è abbastanza improbabile che al successore di Platone possa venir attribuita una raccolta sistematica di vite dei filosofi.
Molto interessante è comunque il riferimento alla personalità di Parmenide. Speusippo fa infatti riferimento ad un Parmenide politico e legislatore e indica nella nomotetica, cioè nell’arte di produrre le leggi, l’attività più elevata nell’ambito di quella che è la vita politica nel suo complesso. Si tratta di un motivo questo tipicamente speusippeo, che tuttavia ritornerà anche in Aristotele, per il quale l’attività legislativa è annoverata come “architettonica”, quindi direttiva rispetto al resto dell’attività politica in generale.
A Cleofonte
Clemente Alessandrino cita, attribuendola a Speusippo, l’opera A Cleofonte, nella quale, riferendosi ad un ragionamento di Platone, si parla del valore nobile della legge in quanto prodotto dell’attività del re, il solo vero sapiente. Il discorso attribuito a Speusippo procede infatti dalla constatazione della superiore bontà del potere monarchico, dalla quale discende la bontà della legge. E’ necessario tenere conto del fatto che il concetto di legge cui fa riferimento Speusippo non è tanto la legge della città, ma piuttosto la legge propria del re, cioè la legge tradizionale di cui il buon re, il re saggio che vede come modello Minosse, non potrà mai fare a meno, valendosene come norma e regola nell’agire.
Tale idea del potere monarchico è stata tipica del programma politico perseguito da Platone a Siracusa ed appare perfettamente in conformità con l’ideale di legalità che l’Accademia in generale, e Speusippo in particolare, vedevano incarnato nella monarchia legittima e tradizionale di Filippo in Macedonia.
Dei numeri pitagorici
Anche questa opera manca nell’indice delle opere di Speusippo riportato da Diogene Laerzio, anche se è probabile che almeno una parte di essa fosse indicata nelle Vite dei filosofi con il titolo di Mathematicos. La prima parte dell’opera trattava probabilmente di cinque corpi cosmici e delle varie figure geometriche, piane e solide, mentre nella seconda parte il discorso verteva intorno alla decade, o tetractide, di modello pitagorico, come modello di perfezione dell’essere e modello cosmico. Il trattato di Speusippo doveva presentarsi come una sorta di rifacimento del Timeo platonico, privato della presenza del demiurgo, razionalizzato con l’eliminazione della connotazione mitologica e ridotto in termini più concretamente pitagorici.
Relativamente alla decade, oggetto, come già detto, della seconda parte del testo speusippeo, essa viene presentata come ciò che rappresenta il culmine della perfezione stessa. La decade è quindi il concetto principale che Speusippo desume dalla tradizione pitagorica a lui anteriore e che assume la funzione che nel Timeo, e nella concezione platonica generale, avevano le idee. Per Speusippo il numero in generale è modello della realtà cosmica, ma è anche, nel contempo, struttura del reale; il numero viene quindi in un certo qual modo calato nella realtà concreta, differentemente da quanto accadeva per le idee platoniche, che non sono mai state concepite da Platone stesso come collegate in un qualche modo al piano dell’immanenza.
La tetrade, come numero perfetto, vede la sua perfezione affidata al suo equilibrio interno e i fattori che le assicurano questo equilibrio vengono così elencati da Speusippo stesso:
1) la decade inizia con il numero 1, dispari, e culmina nel 10, che è pari. Speusippo in questo frangente si esprime per il carattere dispari dell’uno-numero, accogliendo la teoria pitagorica più antica. Speusippo inoltre, oltre a separare l’uno e il due come i primi fra i numeri, distingue l’uno come numero dall’uno come principio, indicato come adiaforico, cioè indifferente. L’uno in quanto principio ha una adiaforicità di partenza che non ne fa nemmeno un essere vero e proprio, ma solo la condizione prima dell’essere; l’uno invece in quanto numero è un principio unicamente nel senso di inizio e ha la stessa natura dei numeri della serie;
2) nella decade si trovano i logoi, cioè le ragioni del più e del meno, oltre che dell’uguale, il che conferisce alla decade stessa la sua completezza;
3) la decade contiene in sé la totalità dei rapporti spaziali, perché è costituita da 1, il punto, 2, la linea, 3, il triangolo, quindi la superficie, 4 , la piramide, quindi i solidi.
Appare evidente come Speusippo abbia tratto molto dal pitagorismo più antico, ma ha arricchito i concetti pitagorici attribuendovi, nel momento in cui ne parla come modelli organici dell’universo, caratteri marcatamente platonici.
La parte finale dell’opera di Speusippo è dedicata alla teoria del secondo principio, la forma materiale, la cui introduzione appare come un tentativo di correzione del Timeo platonico, in quanto, secondo la prospettiva speusippea, la tetrade, materializzata in una piramide, si sostituisce al triangolo quale base della realtà. In base alla tetradicità che domina il tutto, Speusippo formula la teoria delle quattro piramidi che sussistono ciascuna per ogni elemento della realtà; dal suo punto di vista, qualora si pongano dei triangoli alla base della realtà, non si procede oltre il numero tre, mentre solo la progressione fino al quattro ci fornisce la pienezza della perfetta tetradicità, cosa che si ottiene solo ponendo quattro forme piramidali alla base del tutto. La prima è il tetraedro regolare, che Platone aveva già posto all’origine dell’elemento fuoco, la seconda invece, e qui si osserva una novità introdotta da Speusippo, è la piramide a base quadrata. Questo solido non è né un tetraedro né una figura regolare, ma è stata suggerita a Speusippo dalla figura della piramide egizia e per questo può perfettamente riferirsi alla terra. La terza piramide ha infine per base un semitriangolo isoscele e la quarta un semitriangolo scaleno.
I simili
Homoia (I simili), opera organizzata in dieci libri, appare molto interessante perché consente di chiarire molti aspetti del pensiero di Speusippo, in particolare l’aspetto della priorità ontologica che egli, differentemente da Platone, attribuisce al particolare, cioè agli enti singolari e alle realtà sensibili, piuttosto che all’universale e all’eterno. In quest’opera il criterio della sovratemporalità delle idee, fondamentale in Platone, viene mantenuto, ma appare secondario rispetto alla priorità attribuita alle entità e ai rapporti matematici, come è testimoniato dall’uso del termine omoion, che assume il significato matematico di proporzionale.
La ricerca di Speusippo non si limita all’ambito dei rapporti matematici, ma si pone in una prospettiva molto più generale: la ricerca delle similitudini fra esseri viventi nel mondo empirico, che cadono sotto la conoscenza sensibile e che sono legati a tutta la approssimazione indefinita che è tipica del sensibile, non è concepita unicamente all’insegna del quantitativismo di carattere matematico, ma tiene conto anche dell’aspetto qualitativo, che appare da questo punto di vista determinante. La stessa approssimatività che appare nell’uso della terminologia sembrerebbe riflettere la consapevolezza di Speusippo del fatto che, abbandonato il terreno di quelle realtà che sono sottoposte al puro metodo quantitativo-matematico e inoltrandosi nella ricerca intorno alla struttura generale della specie, anche il criterio della similitudine perde necessariamente il carattere rigorosamente analogico-proporzionale e accede a quel livello di approssimazione che è proprio dell’ambito sensibile. In questa ottica anche il procedimento diairetico, per come viene interpretato da Speusippo, assume una connotazione maggiormente orientata verso la dimensione empirica e si trasforma da metodo di ordine logico a strumento di classificazione sistematica e scientifica. Attraverso questo metodo quindi risulta possibile estendere la ricerca fino ad abbracciare la quasi totalità delle specie esistenti, con un processo che tuttavia non può procedere indefinitamente e che trova il suo punto di interruzione di fronte alla cosiddetta “specie infima”, oltre la quale si pone unicamente la dispersa e infinita molteplicità degli individui. L’organo conoscitivo adibito alla “raccolta” delle informazioni è per Speusippo la sensazione scientifica: guidata dal logos, di cui essa partecipa, offre la base per una conoscenza sistematica della qualità del sensibile e permette di raccogliere i singoli casi in modo da evitare la dispersione, aspetto questo che rappresenta, secondo il punto di vista speusippeo, il male radicale.
Appare chiaro quindi che l’iniziale rigoroso matematismo di Speusippo viene mitigato attraverso il confronto con l’elemento qualitativo e con la molteplicità, ambito in cui emerge una tendenza alla ricerca di unità per mezzo dell’individuazione delle analogie e delle differenze che caratterizzano il reale. Tale tendenza all’unità può essere, nell’ambito della molteplicità, semplicemente parziale: non solo ad ogni somiglianza si oppone una differenza che distingue fra loro i singoli oggetti, ma la stessa somiglianza non appare dotata di una proporzionalità assoluta e rigorosa e deve tenere conto delle condizioni cui è sottoposto ciò che è oggetto della conoscenza empirica.
Il banchetto funebre di Platone
L’opera viene citata da Diogene Laerzio, che ne parla a proposito del fatto che in essa sarebbe stato riportato un episodio riguardante la nascita di Platone: Aristone, il padre di Platone, avrebbe cercato di far sua Perittione, madre di Platone e giovane molto avvenente, ma poi, ripresosi dall’impeto, avrebbe avuto la visione di Apollo e si sarebbe quindi astenuto da ogni contatto con la ragazza fino a che questa non ebbe partorito. Il discorso speusippeo, scritto per il banchetto funebre organizzato in occasione della morte di Platone, testimonierebbe due aspetti importanti:
a) la pratica diffusa del culto di Apollo, che in seno all’Accademia si univa al culto delle Muse;
b) l’orgine divina di Platone in quanto ritenuto figlio di Apollo, questione che permette di sviluppare alcune considerazioni circa il tipo di culto che, presso l’Accademia, sarebbe stato attribuito al maestro. Il capo dell’Accademia sarebbe stato infatti oggetto di una vera e propria divinizzazione, come è testimoniato dal racconto dello stesso Speusippo, che ci presenta per Platone come figlio di un dio e di una mortale; a sostegno di questa interpretazione vi sarebbe inoltre la testimonianza relativa all’erezione di un altare in suo onore. La divinizzazione di Platone è stata tuttavia messa in discussione da altri critici che ritengono il racconto di Speusippo inattendibile e infarcito di informazioni non corrette (egli era infatti troppo vicino alla famiglia di Platone per non sapere che non era il primo, bensì il terzo figlio di Perittione); lo scopo di Speusippo tuttavia non era certo quello di fornire una versione storica della nascita di Platone, ma forse quello di dare inizio al culto di Platone nell’Accademia e al processo di eorizzazione, con tutti i caratteri mitologici che gli sono propri. Queste valutazioni quindi permettono a ragione di ritenere che Speusippo possa essere ritenuto l’iniziatore di quella tradizione che caratterizzerà l’immagine di Platone prevalente nella tarda antichità.
Epigrammi, epistole e pseudoepigrafi
Nelle Epistole Socratiche vengono presentate numerose lettere che Speusippo avrebbe scritto a vari personaggi suoi contemporanei.
La prima lettera da prendere in considerazione è l’epistola socratica XXVIII, non da tutti considerata autentica, indirizzata a Filippo di Macedonia. Questa sarebbe stata scritta nell’inverno del 343-342, prima che l’intervento ateniese costringesse Filippo a astenersi dalla conquista di Ambracia.
Fin dalle prime righe della missiva ha inizio una polemica anti-isocratea che si protrarrà per tutto il resto della lettera. Speusippo vuole denunciare uno scritto dei suoi avversari, l’Anti-Filippo, e ciò spiega anche perché la lettera possa essersi conservata, trattandosi in effetti di una lettera aperta, cioè di un vero e proprio libello polemico scritto in forma epistolare, genere letterario non ignoto presso la scuola di Platone (la famosa VII Epistola mostra lo stesso carattere). Non è escluso infine che lo scopo della lettera fosse quello di evitare la scelta, per il giovane Alessandro, di un precettore vicino ad Isocrate e far quindi cadere la scelta su uno degli allievi di Platone.
Altra lettera oggetto di interesse è l’epistola socratica XXX, rivolta da Speusippo a Senocrate e contenente invece la richiesta da parte di Speusippo allo stesso Senocrate di prendere la guida dell’Accademia. In realtà, come già prevalentemente rilevato, l’Index Academicorum, ripreso anche da Diogene Laerzio, parla di una regolare elezione di Senocrate da parte dei discepoli, ma ciò non appare in netta contraddizione con l’ipotesi di una chiamata diretta da parte di Speusippo. Il tono generale della missiva appare in questo caso conciliatorio, teso cioè a creare accordo e a stabilire un legame fra i due primi grandi scolarchi dell’Accademia. La lettera inoltre è costruita in modo da porre in risalto la figura di Senocrate, cui viene riconosciuta legittimità sulla base delle stesse volontà di Platone, che avrebbe addirittura predisposto la sua tomba accanto a quella del discepolo prediletto; la scelta del successore, pertanto, alla luce delle considerazioni sviluppate nella missiva, non sarebbe quindi stata realizzata dai condiscepoli dell’Accademia, ma sarebbe stata invece indicata dallo stesso Platone.
Nel testo della lettera emerge anche una sorta di velato rimprovero di Speusippo nei confronti di Senocrate: Platone non avrebbe mai immaginato che Senocrate potesse allontanarsi dalla scuola ed è quindi a suo nome che Speusippo lo richiama, ricordandogli il dovere degli onori nei confronti del maestro e il rispetto della funzione di continuatore della sua opera, funzione che lo stesso Platone gli avrebbe attribuito.
IL PENSIERO: LE TESTIMONIANZE
Logica e gnoseologia
Una delle testimonianze più interessanti, per ciò che concerne l’analisi del pensiero di Speusippo dal punto di vista logico e gnoseologico, è contenuta nell’ Adversos mathematicos di Sesto Empirico, in cui l’autore attribuisce a Speusippo stesso un elemento di forte novità, la distinzione fra pensiero scientifico e sensazione scientifica. Secondo Speusippo, che ricollega quindi la sensazione non all’ambito della doxa, così come accadeva in Platone, ma a quello dell’episteme, essa può assumere carattere scientifico in quanto, così come accade al tocco del flautista che è una capacità tecnica, ma illuminata dal coesercizio della ragione, partecipa della verità intelligibile.
Speusippo opera anche delle integrazioni alla distinzione platonica fra conoscenza intuitiva, in virtù della quale si coglie la realtà giungendo ad essa in modo immediato, e conoscenza discorsiva, che procede dalle premesse e giunge a forme di conoscenza secondaria, e utilizza a questo proposito costantemente il termine di “caccia”, di uso platonico: delle cose di cui il pensiero va appunto a “caccia”, alcune, di cui esso ha una conoscenza per contatto, quindi molto chiara, le predispone come base per le ulteriori ricerche, altre, che non possono essere afferrate direttamente, vengono ricercate secondo il loro ordine conseguente. La conclusione di Speusippo è che la conoscenza sensibile si sposta dall’uno all’altro dei suoi oggetti con un movimento rettilineo e non è quindi previsto alcun movimento di discesa dai presupposti all’oggetto specifico della conoscenza, come invece ammetteva Platone per le realtà matematiche.
Altro aspetto importante affrontato da Speusippo è la distinzione, piuttosto netta e decisa, fra problemi e teoremi, distinzione con cui cioè differenzia un ragionamento che enuncia una proprietà dell’oggetto da un altro che, data una certa proprietà, costruisce in base a questa un oggetto. Speusippo individua, nella definizione di problema, qualcosa di inadeguato al carattere di assoluta uguaglianza a sé e di assoluta immobilità che contraddistingue il procedere matematico e tale dizione va pertanto eliminata, a favore invece di quella di theoremata, che indica una procedura per mezzo della quale attingiamo la conoscenza da qualcosa che sia di per sé eterno. Per Speusippo, di eterno e costantemente uguale a se stesso non ci sono altro che numero e figura e l’espressione “scienza teoretica” si riferisce quindi ai procedimenti della scienza matematica, mentre le altre scienze si pongono come subordinate a questa.
Molte testimonianze, in ordine alle questioni logiche e gnoseologiche, si possono ricavare anche dalla lettura delle opere di Aristotele, che a più riprese polemizza e prende posizione nei confronti delle dottrine speusippee. Negli Analitici posteriori, ad esempio, Aristotele si oppone, riferendosi molto chiaramente a Speusippo, contro coloro che tendono ad un panorama estensivo ed esaustivo di tutte le realtà esistenti, distinte fra loro per mezzo del criterio della differenza; Speusippo utilizzava ampiamente questo criterio, insieme a quello dell’analogia, nello studio dei simili e riteneva comunque il procedimento diairetico di Platone uno strumento fondamentale del conoscere, anche se da applicare con opportuni adattamenti. Dal punto di vista di Aristotele, invece, che in questo caso denota una scarsa conoscenza del pensiero di Speusippo, il successore di Platone era estensore di una metodologia che in realtà presupponeva la conoscenza di tutte le singole cose, che ovviamente non può essere raggiunta né con il procedimento diairetico né con quello induttivo. Il procedimento diairetico, che in Platone si configurava come un metodo di indagine applicabile certamente nell’ambito degli oggetti sensibili, ma avente come obiettivo il raggiungimento di un’idea, un eidos, ritenuto ultimativo nella ricerca, viene impiegato da Speusippo per padroneggiare l’ambito delle realtà sensibili e inserire tutti i singoli esseri in una trama ordinata e razionale di relazioni. La conoscenza dei sensibili è quindi per Speusippo non una sorta di impossibile conoscenza di tutte le singole realtà, bensì il punto di arrivo di una processo conoscitivo che, partendo dall’ordine astratto dei numeri, giunge a prospettare, grazie all’intervento della sensazione scientifica, un ordine dei singoli aspetti del reale.
Interessante è una testimonianza di Simplicio che fa riferimento al procedimento speusippeo della divisione dei nomi. Speusippo infatti distingueva fra nomi tautonimi ed eteronomi; fra i nomi tautonimi distingueva nomi sinonimi ed omonimi e fra quelli eteronomi quelli che sono tali in senso proprio, quelli polionimi e quelli paronimi. Malgrado la fonte diretta di Simplicio fosse Porfirio e non Speusippo, in effetti questa distinzione fu creata da Speusippo stesso sulla base del criterio analogia-differenza. Rispetto ad Aristotele, che utilizzava una tale divisione riferendosi ad enti concreti, Speusippo opera unicamente una divisione dei nomi e, rispetto al procedimento aristotelico, quello speusippeo procede in una direzione diversa: dalle cose ai nomi quello aristotelico, dai nomi alle cose quello di Speusippo.
Nel contesto dell’apparato dottrinale di Speusippo, la teoria dei nomi risulta essere fondamentale. Speusippo infatti aveva rifiutato la dottrina platonica delle idee, ma non l’insegnamento dell’ultimo Platone, per il quale il nome si poneva come una prima forma di conoscenza dell’oggetto, e dal suo punto di vista il nome rappresenta una realtà alla quale è possibile applicare i criteri di medesimo e di altro. In questo modo anche per Speusippo i nomi possono essere considerati alla stessa stregua delle cose.
Metafisica
La fonte principale per l’analisi di questo aspetto del pensiero di Speusippo è sempre Aristotele, in particolare la sua Metafisica, in cui vengono mossi a Speusippo diversi rilievi:
1) in diversi passi, si afferma che Speusippo avrebbe posto più essenze a partire dall’uno e principi diversi per ciascuna di esse, in particolare un principio per i numeri, uno diverso per le grandezze e uno ancora differente per l’anima, con conseguente allargamento del numero delle essenze e ammettendo una pluralità, ritenuta da Aristotele dispersiva, dei principi stessi. E’ fondamentale tuttavia non prendere troppo alla lettera la critica di Aristotele, il cui modo di concepire il pensiero di Speusippo è all’origine di interpretazioni di impostazione neoplatonica, in cui cioè si propone uno sviluppo della realtà in senso derivativo, o di stampo cosmologico pitagorizzante, in base al quale si prospetterebbe uno sviluppo che procede dall’assoluta unità e che si conclude con il Bene. In realtà Speusippo avrebbe concepito la realtà come un sistema sviluppantesi non in senso derivativo, ma secondo una prospettiva costruttivistica; l’uno da cui egli prende il suo inizio non è semplicemente il primo numero come inizio della serie numerica, ma, cosa che Aristotele non aveva compreso, il principio unico da cui il numero dipende e che ha il suo corrispettivo nel molteplice da cui il numero è formato;
2) secondo Speusippo, accomunato in questo agli antichi cosmologi, il bene non sarebbe nel principio, ma comparirebbe, insieme al bello, solo nel procedere ulteriore della realtà. Aristotele quindi afferma che per Speusippo il bene deriverebbe da un processo naturale e non da numeri e grandezze che sono in realtà immobili. Le affermazioni di Aristotele sembrano far pensare ad un’interpretazione del sistema di Speusippo in senso progressivistico: il bene, che non sarebbe comunque escluso dall’ambito dei principi e degli enti matematici, con cui condividerebbe il carattere dell’immobilità, troverebbe però la sua pienezza solo nella realtà ad un grado ulteriore del suo sviluppo;
3) relativamente alla contrapposizione fra uno e molteplice, secondo Aristotele, il secondo principio speusippeo, inteso come molteplicità, come ineguale o come piccolo contrapposto al grande, diverrebbe male di per sé, motivo per cui Speusippo non ha voluto rapportare l’uno al bene, per evitare cioè che per opposizione il secondo principio potesse essere identificato con il male. Speusippo in effetti, proprio per evitare la situazione che Aristotele ha rilevato, ha presentato il secondo principio in una forma molto generale: il bene, nel sistema speusippeo, si riscontra solo in un momento determinato, quando cioè la natura del tutto abbia raggiunto un certo sviluppo, e il secondo principio non viene identificato con il male, ma potrà ingenerarlo solo nei suoi effetti ulteriori di divisione e di dispersione, anche se la divisibilità di per sé non rappresenta il male. Questo particolare aspetto della dottrina di Speusippo deve essere ricollegato al Parmenide di Platone, dove si presenta l’opposizione uno-molteplice come un’opposizione fondamentale, primitiva e reale e come il confronto di due termini che si pongono ai poli opposti della realtà;
4) se il male consiste nella divisibilità e se ogni termine che ha un contrario è definibile per mezzo di esso, allora, dal momento che il bene è il contrario del male, allora il bene consisterà nell’essere indivisibile. Secondo Aristotele, questo tipo di ragionamento non può essere considerato valido in quanto il procedimento viene compiuto avendo assunto come scopo la dimostrazione di una determinata essenza, ma poi, nell’intento di dimostrarla, la si assume nello stesso tempo in via preliminare. Il bene in ogni caso è inteso come indivisibile dallo stesso Speusippo, tesi questa che sarebbe comprovata dall’opera Sui numeri pitagorici, ma tale tesi non è del solo Speusippo, per il quale fra l’altro l’uno si pone solo nella serie del bene;
5) Aristotele, nel distinguere coloro che considerano idee e numeri come una sola natura da chi invece li considera come vere sostanze, vuole analizzare, in senso critico, la teoria dei numeri che trascendono il reale, questione che in parte si era già comunque presentata con le idee platoniche, in quanto essenze separate dal sensibile. Queste, così come i numeri per Speusippo, sono vere in quanto reali e la loro verità razionale dipende dalla loro posizione metafisico-ontologica, che ne fa la realtà essenziale e quindi privilegiata sul piano gnoseologico. Aristotele mette a confronto le posizioni di Speusippo, Platone e anche Senocrate, che rappresenta per Aristotele una sorta di terza via nell’ambito della problematica. Platone ha parlato di idee e di entità matematiche, alcuni, come Speusippo, hanno parlato solo di entità matematiche come prime realtà dell’essere ed altri ancora di entità matematiche intese però in senso non strettamente matematico, posizione questa assunta da Senocrate, che unifica idee e oggetti matematici e viene a far cadere fra questi distinzioni precise. Speusippo, pur non accogliendo l’ipotesi di un’identità piena fra idee e numeri, non identifica però i numeri che egli definisce come “primi fra tutti gli esseri” con i numeri matematici di uso comune: per Speusippo, la matematica è il modello razionale del reale, le cui proporzioni sono evidenti nel numero matematico e soprattutto nella decade, e i numeri sono entità reali, ma aventi una loro superiorità metafisico-ontologica.
In un altro passo della Metafisica Aristotele ritorna sul problema di come sia possibile, per Speusippo, ammettere gnoseologicamente l’esistenza di un numero separato, numero che peraltro per il successore di Platone non è causa di nulla, ma che si configura come natura sussistente di per sé. Questo passaggio è importante perché Aristotele ci permette di comprendere come nel sistema del successore di Platone la trascendenza degli enti matematici fosse fondata anche su una ragione di ordine gnoseologico; il loro carattere razionale puro deriva dalla loro esistenza separata dal sensibile, anche se Speusippo si è servito di questa loro caratteristica per rendere tali entità unicamente una sorta di nature esistenti di per sé, quindi isolate nell’ambito del reale, e non cause. Questa puntualizzazione richiama il rimprovero aristotelico già rivolto a Platone nella Metafisica, dove le idee vengono criticate per essere svuotate di ogni funzione rispetto al sensibile. Aristotele si spinge oltre nella critica a Speusippo rimproverandogli l’affermazione secondo cui delle cose sensibili non si darebbe scienza; Aristotele si sforza si dimostrare che la dottrina dei numeri trascendenti crea, rispetto a tali entità, tutti gli inconvenienti già denunciati per le idee e finisce per applicare anche a Speusippo l’assioma platonico secondo cui si dà scienza solo di ciò che ha natura puramente razionale. In realtà per Speusippo, oltre al fatto che i numeri, pur essendo trascendenti, erano comunque modello del reale, è attestata l’esistenza di una scienza della sensazione, o meglio, come già precedentemente illustrato, di una sensazione di carattere tecnico-scientifico; egli attribuiva inoltre enorme importanza al procedimento diairetico come metodo per identificare gli enti sensibili in base alla loro reciproca analogia e/o differenza. In base a queste considerazioni si deve ritenere la testimonianza di Aristotele distorta e non corretta;
6) Aristotele si riferisce in generale ai Pitagorici e in particolare a Speusippo per ciò che concerne la diatriba fra la teoria dinamica e la teoria statica delle dimensioni. Aristotele parla diffusamente della teoria statica delle dimensioni, ma mostra di conoscere anche quella dinamica e ciò mostra che ai suoi tempi tale dottrina era già nota. Secondo alcuni critici la teoria dinamica delle dimensioni sarebbe da attribuirsi ad Archita, come è attestato anche da Diogene Laerzio, ma altri la attribuiscono invece a Speusippo, cosa che tuttavia non appare sostenibile per vari ordini di motivi. Speusippo ha tenuto in scarsa considerazione la kinesis nella fissazione dei diversi stati dell’essere: di kinesis si parla infatti soltanto a proposito del tempo e da ciò è possibile comprendere come, dal suo punto di vista, il movimento fosse accidentale e legato alla pura realtà dei fenomeni e che non fosse pertanto opportuno considerarlo nell’ambito dei principi matematici dell’essere. Speusippo avrebbe quindi accolto e sviluppato, analogamente per certi versi a quanto era riscontrabile in Platone, una teoria statica delle dimensioni, escludendo ogni possibile contaminazione con i processi dinamici di formazione delle figure; la teoria dinamica è quindi estranea sia a Platone che a Speusippo ed appare invece compatibile con il dinamismo tipico di Archita pitagorico, un autore in cui lo studio delle forme geometriche si univa strettamente all’analisi dei processi fisici e che portava a risultati radicalmente diversi da quelli di Platone;
7) Aristotele, parlando della molteplicità, delinea molto più chiaramente la portata della teoria speusippea dei principi, nella quale uno e molteplice non sono più i principi generali del tutto, ma solo principi dei numeri, prime realtà. I loro primi analoghi, riguardanti le figure, sono il punto, come equivalente dell’uno, e la proiezione spaziale della molteplicità, intesa platonicamente da Speusippo come topos o luogo. Questo “luogo” è proprio degli enti matematici diversi dal numero, cioè delle grandezze e delle figure, che hanno una loro propria e specifica dimensione nello spazio. Aristotele entra però immediatamente in polemica con Speusippo per quanto concerne l’esistenza di principi da cui deriverebbero tutte le diverse realtà. Secondo lo Starigita, se non si ammette che tutte le realtà derivino da determinati principi, realtà altrimenti impensabili se non ponendo i principi stessi come loro condizioni, le realtà risultano slegate fra loro.
Oltre ad Aristotele, altri autori hanno analizzato e commentato il pensiero di Speusippo.
Teofrasto, ad esempio, nella sua Metafisica, parla di Speusippo inserendolo fra coloro che vedono nel cosmo scarso e raro il bene e che lo vedono posto essenzialmente nella parte centrale. Questo particolare aspetto del pensiero speusippeo, al quale si è voluta dare erroneamente un’interpretazione cosmologica, vuole combinare la concezione del bene con la dottrina pitagorica del fuoco centrale: il sistema di Speusippo si sviluppa infatti dai principi ai numeri, alle grandezze, all’anima del tutto e comprende come termine ultimo le specie infime e le forme del sensibile, un sistema pertanto che prevede il bene al suo centro e che ha per estremi i principi da un lato e dall’altro la forma ultima cui lo sviluppo del reale mette a capo, il sensibile nella sua indefinita molteplicità. La teoria del bene come momento intermedio fra due estremi trova la sua corrispondenza nel sistema etico di Speusippo, in cui, analogamente, il bene si pone come momento intermedio fra un eccesso e un difetto che rappresentano estremità negative. Il modello del centro come momento medio fra due estremi, appare quindi per Speusippo uno schema di equilibrio genericamente riferibile al reale non solo sotto l’aspetto metafisico, ma anche sotto l’aspetto della stessa prassi.
Interessante è inoltre un altro brano della Metafisica di Teofrasto, in cui si fa riferimento al rapporto uno/diade infinita e alla possibilità che dall’uno derivino principi come il vuoto, il luogo, l’indefinito, l’anima e il tempo, ma che siano poi trascurate realtà importanti come il cielo. Teofrasto, in questo passaggio, afferma in definitiva che, una volta fissati i principi e le serie di realtà che da questi derivano, gli Accademici si disinteressano dell’estensione di tali serie fino all’osservazione particolareggiata delle realtà di ordine cosmologico. Speusippo in questo non rappresenta un’eccezione, mentre Senocrate si distaccherebbe dalla prospettiva accademica per la rilevanza attribuita alla cosmologia; in ogni caso, entrambi i filosofi si ricollegano alla tendenza di fissare due principi contrapposti del reale e a considerare le varie forme della realtà come riconducibili all’uno o all’altro dei due principi. Le realtà indicate come appartenenti alla serie dominata dal principio irrazionale sono il luogo, il vuoto e l’infinito, mentre quelle contrassegnate dalla razionalità, e quindi recanti in sé il contrassegno dell’ordine, dell’uguaglianza e della ragione, sono l’anima, il tempo e il cielo col suo movimento ordinato.
Teofrasto, in definitiva, con le sue considerazioni, vuole dimostrare che Speusippo, pur accogliendo l’idea pitagorica secondo cui i diversi aspetti della realtà derivano da due principi opposti, non fa poi alcuno sforzo per individuarli nella realtà stessa del cosmo, preferendo risolvere la questione con l’introduzione del criterio dell’analogia, in virtù del quale i principi stessi si ripetono nei diversi aspetti del reale.
Giamblico invece, nella rielaborazione di un brano speusippeo, individua come presupposti dei numeri matematici due principi, assolutamente primi e superiori a tutti, l’uno, che per il fatto di essere assolutamente semplice non può essere nemmeno ritenuto come qualcosa che è, e la molteplicità, o principio della divisione, che appare simile in tutto e per tutto ad una materia umida e ben plasmabile. Giamblico prosegue poi affermando che, sempre secondo Speusippo, da questi principi, l’uno e il molteplice, nasce il primo genere, quello dei numeri, che sono composti da ambedue i principi; solo quando la realtà ha compiuto un certo processo allontanamento dai principi, si manifesta prima il bello e, realizzatasi ancora una maggiore distanza dagli elementi primi, il bene. In conclusione, gli elementi primi, da cui derivano i numeri, non possono in nessun modo essere considerati né belli né buoni, ma è dall’unione dell’uno e della materia, causa della molteplicità, che si genera il numero e in esso per la prima volta si rivelano l’essere e il bello.
L’interpretazione di Giamblico appare in questo caso viziata da una spiccata nota di neoplatonismo in quanto l’uno viene collocato al di sopra di tutto l’essere e da esso deriva il bello, che si rivela prima negli enti matematici e poi, quando maggiore sia divenuta la distanza dai principi, nel bene. Il passo di Giamblico è interessante tuttavia per la precisazione relativa all’origine del male: esso si manifesterebbe non di per sé e al primo passaggio, ma al quarto o quinto passaggio, cioè come evento secondario del reale e quindi come una sorta di prodotto accidentale di esso. Questa interpretazione infine risulta essere contaminata anche da teorie stoicheggianti che ammettono lo sconfinamento della matematica nella fisica e che appare riferibile ad un’età molto più tarda e all’introduzione di temi non speusippei.
Teologia, cosmologia, psicologia
Teologia
La testimonianza più precisa che si ha della concezione del divino in Speusippo è presente nell’opera Placita di Ezio, in cui si afferma che per Speusippo la divinità è intelletto, non è simile né all’uno né al bene ed è dotato di natura propria.
A tale testimonianza sono state date diverse interpretazioni, così schematizzabili:
a) Speusippo, come Platone, avrebbe identificato dio con il nous, posizione che del resto nemmeno lo stesso Speusippo nega, anche se differenzia la divinità dal bene in sé e dall’uno;
b) al nous speusippeo potrebbe essere assegnato un determinato posto nella sclala dell’essere, che corrisponderebbe non a quello dell’anima universale, ma a quello degli enti matematici trascendenti;
c) il nous di Speusippo sarebbe semplicemente una parte dell’anima, così da negare nel suo pensiero la presenza di una concezione propria ed originale dell’intelletto, che finirebbe così per svolgere un ruolo assai modesto.
L’interpretazione più attendibile, che conferma, per questo aspetto, la vicinanza di Speusippo al pensiero del maestro, è quella che vede il nous come la parte più alta dell’anima del mondo, o meglio, come l’intelletto sovrano che la guida. A tale entità devono inoltre essere applicati predicati di bontà ed unità, anche se la sua natura specifica è diversa dall’essere buono o bello o dall’essere uno.
Cosmologia
Relativamente ai concetti di spazio e tempo, importanti sono le testimonianze contenute nella Metafisica di Aristotele e nelle Questioni platoniche di Plutarco.
Relativamente allo spazio, Aristotele critica Speusippo poiché, a suo avviso, collega il concetto di luogo agli enti matematici, concetto dal suo punto di vista è proprio invece degli esseri individuali, che sono separati proprio in virtù di questo. Probabilmente Speusippo, con tale concetto, voleva invece indicare una prima forma fisica di estensione delle forme matematiche, a cui attribuiva talvolta il nome di topos: per Speusippo il punto e il luogo, o spazio, che permette l’estensione geometrica, sono i principi della realtà spaziale, mentre per Aristotele non sarebbe corretto parlare di luogo senza dire esattamente anche “dove” questo luogo sia.
Relativamente invece al tempo, nella definizione propria di Speusippo manca il riferimento al concetto di numero, mentre è presente quello di quantità indeterminata; egli aggiunge un riferimento al movimento per chiarire la differenza che separa la grandezza temporale da quella spaziale, che è immobile. Questa definizione tuttavia non appare sostenuta da un sufficiente numero di testimonianze per poter provare in che termini di relazione si ponessero nel suo sistema il tempo, considerato come realtà a sé stante, e gli altri aspetti della realtà espressi in termini quantitativi.
Relativamente alle altre questioni cosmologiche, l’opera di riferimento è il De caelo di Aristotele, in cui viene presentata la posizione cosmologica di Speusippo. Egli propone, secondo Aristotele, un cosmo incorruttibile ed ingenerato, idea che può trovare la sua ragione teorica nella concezione matematica dell’universo sensibile data dallo stesso Speusippo, secondo il quale il mondo si costruisce in virtù di operazioni matematiche e geometriche, con l’esclusione di qualsiasi processo di genesi.
Psicologia
Per quanto concerne la concezione dell’anima, importante è la testimonianza di Giamblico, in cui si prende in esame il pensiero di coloro che estendono all’essenza dell’anima l’essenza matematica, fra i quali egli annovera Speusippo, che l’avrebbe definita come “forma di ciò che è generalmente esteso”. Questa definizione, che pure ha generato molti dubbi interpretativi, in effetti potrebbe essere accolta: se per Speusippo vale in primo luogo il principio dell’analogia, non appare per nulla strano che al numero, come indivisibile unità, e al punto, come principio della grandezza spaziale, potesse corrispondere una forma, o idea, geometrica ulteriormente perfezionata, ma unitaria ed organica, collocata ai livelli superiori delle facoltà psichiche. Tale interpretazione dell’anima si colloca peraltro a pieno titolo nell’ambito del matematismo accademico ed è confermata anche da Senocrate, con la sua interpretazione dell’anima come numero movente se stesso.
Nel De anima di Aristotele emergerebbe inoltre un parallelismo, sempre per analogia, fra la tetractide speusippea e le varie facoltà conoscitive e funzioni psichiche; da questo punto di vista, quindi, l’intelletto corrisponderebbe all’uno, la scienza al due, poiché si procede univocamente verso un oggetto, il tre all’opinione e il quattro alla sensazione. Per quanto concerne i due primi aspetti, l’intellezione come uno e la scienza come facoltà che procede in senso univoco verso l’uno, quindi come due, il riferimento potrebbe essere ritrovato anche in Platone, ma i passaggi successivi, che identificano il tre con l’opinione e separano questa dal quattro, cioè la sensazione, non possono essere ricondotti a Platone poiché egli procedeva ad un’identificazione e non ad una distinzione fra questi due momenti. Lo schema interpretativo delle facoltà psichiche deve essere quindi interamente ricondotto alla tetractide di Speusippo, che assume nel suo pensiero il valore di modello perfetto dell’universo e di eidos dell’anima cosmica.
Altra testimonianza interessante è infine quella di Olimpiodoro, che, nel suo In Platonis Phaedonem, cita Speusippo, insieme a Senocrate, Giamblico e Plutarco, come sostenitori della distinzione dell’anima in una parte razionale, immortale, ed un irrazionale, soggetta a morte. Il termine utilizzato è quello di άλογία, con il quale si vuole intendere probabilmente la parte arazionale dell’anima, intesa come anima individuale e che conosce moti estesi anche oltre e al di fuori dell’ambito della razionalità. Rispetto a questo aspetto, la dottrina di Speusippo potrebbe essere ricondotta alla teoria prima pitagorica, poi passata al medio a al neoplatonismo, della metensmatosi, secondo cui sarebbe necessario ammettere la conservazione di forme psichiche puramente vitali anche oltre la morte del corpo; questa dottrina sarebbe stata presa in grande considerazione soprattutto da Senocrate, la cui religiosità era orientata in senso spiccatamente pitagorico. Con l’espressione άλογία si deve quindi intendere come ciò che si caratterizza per il fatto di essere arazionale o per il fatto di uscire dai limiti della razionalità, quindi come ciò che si distacca dalla componente logica.
Etica
Per quanto concerne il pensiero etico di Speusippo, una delle fonti più importanti è rappresentata dall’Etica Nicomachea di Aristotele. Qui lo Stagirita, partendo dal presupposto che ciò che è opposto a qualcosa che deve essere fuggito in quanto male deve necessariamente essere un bene e che quindi il piacere deve essere un bene, critica Speusippo che afferma invece che il più è opposto al meno così come all’uguale, argomentazione con la quale Speusippo nega al piacere lo statuto di bene.
La posizione etica di Speusippo è così riassumibile:
- il piacere è pura genesis o processo, e un processo non può mai essere un bene;
- il saggio deve evitare e fuggire i piaceri;
- il bene è prodotto della techne e pertanto il piacere non può essere un bene;
- al piacere aspirano anche gli esseri inferiori, come gli animali e i bambini, cosa che nuovamente prova che il piacere non è un bene;
- il piacere è uno stato fluido, una sorta di apeiron, comunque di carattere negativo.
In Speusippo inoltre lo schema dell’etica è su base tripartita, con due diversi mali opposti fra loro ed entrambi contrapposti a quello che è il vero bene, che coincide per Speusipo con l’assenza di dolore; in questo caso il piacere non è una vera situazione reale, ma un passaggio da una condizione all’altra. E’ possibile leggere la dottrina etica di Speusippo, malgrado la sua considerazione del piacere come di un qualcosa lontano dal bene, come saldamente fondata sull’ontologia platonica, in particolare quella del Filebo, dove viene presentata la teoria del medio che equilibra gli opposti più e meno, la dottrina cioè che individua un valore intermedio fra due non valori rappresentati da eccesso e difetto, in particolare piacere e dolore, e che si inquadrerebbe quindi senza difficoltà nell’ambito delle posizioni etiche platonico-accademiche.
Considerazioni conclusive
Rispetto
al rapporto con Aristotele, Speusippo, che pure aveva mostrato di condividere
con lo Stagirita una certa passione per le scienze naturali, restava da questo
distante e in eterna polemica a causa della dottrina delle idee-numeri; molte delle
pagine più vigorosamente polemiche della Metafisica di Aristotele hanno
come bersaglio proprio le posizioni di Speusippo. Eppure, al di là di questo aspetto
sicuramente significativo, il pensiero dei due filosofi non è così distante da
giustificare una polemica così accorata. Speusippo si era significativamente
allontanato dall'opposizione evidente in Platone fra la conoscenza sensibile e
conoscenza razionale ed attribuiva fondata importanza alla conoscenza
scientifica da intendersi come esperienza guidata dalla ragione; non
mostrava pertanto opposizione nei confronti di tutto ciò che proviene dai
sensi, ritenuti fonte di errore e causa di inganno, ma optava per una continua
dialettica tra il momento della percezione sensibile e quello della riflessione
razionale.
Tra Speusippo ed Aristotele vi era quindi una certa comunanza di vedute e l’Abbagnano
suggerisce addirittura che la critica alla dottrina delle idee formulata da Aristotele
sia da accreditarsi a Speusippo e lo Stagirita si sarebbe limitato a
riprenderla e rinvigorirla con nuovi argomenti.
Speusippo aveva dunque, malgrado le accuse di scarsa originalità filosofica, una propria personalità e non era un semplice riproduttore di dottrine platoniche e un ostinato custode del pensiero del maestro. Di questo accettò solo l'ultima svolta, quella centrata sull'uno e la diade, ed era convinto che il vero ordine divino, rintracciabile oltre le apparenze contraddittorie dei fenomeni, stesse in effetti nei numeri: la vera lingua della natura, dal suo punto di vista, era rappresentata dalla matematica e dalla geometria ed il cosmo appariva ai suoi occhi come un insieme ordinato da principi matematici, in cui le cose stavano in rapporto tra di loro secondo misura e proporzione.
Anche rispetto alla dottrina del Bene come principio del processo cosmico, Speusippo prese le distanze dall'illustre zio: tutti gli esseri viventi, dal suo punto di vista, manifestano una tendenza a passare da uno stato di imperfezione ad uno di perfezione ed il Bene rappresenta il punto conclusivo di un processo di continua crescita e non l'inizio. Il vero Bene è quindi, secondo Speusippo, una meta che l’uomo cerca lentamente e progressivamente di raggiungere e che forse, così come ammetteva Platone, può venire dal ricordo e dalla rammemorazione, ma che in effetti si manifesta come rifiuto e negazione di tutto ciò che è malvagio sia agli occhi dei sensi che della ragione.
Speusippo, come abbiamo visto, accolse di Platone anche il principio dell’anima del mondo, anche se con un’interpretazione meno accorata e partecipata, e più semplicemente si rivolse allo studio del regno animale e vegetale con intenti classificatori. Sicuramente, con il suo atteggiamento che senza esitazione possiamo definire scientifico, finì con lo stimolare gli studi di Aristotele e del suo allievo Teofrasto.
Bibliografia
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D. Massaro, La comunicazione filosofica, vol. 1, Paravia.
F. Restaino, Storia della filosofia, vol. 1, UTET.
F. Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, B. Mondadori, 2000.