DUGALD STEWART
A cura di Gigliana Maestri
Nato ad Edimburgo
nel 1753, figlio di un docente di
matematica, e allievo di Thomas Reid a
Glasgow, Dugald Stewart studia filosofia, matematica
ed economia politica. All'Università di Edimburgo
insegna matematica fra il 1775 ed il
1785; in seguito, ottiene la cattedra di
filosofia morale, subentrando ad Adam Ferguson.
Muore nel 1828.
Stewart espone i principi fondamentali del
pensiero della "Scuola scozzese" negli Elementi
della filosofia della mente umana, apparsi
in tre volumi (1792, 1814, 1827); si possono
inoltre ricordare i Lineamenti di
filosofia morale, che risalgono al 1793, i Saggi
filosofici del 1810, la Filosofia delle
facoltà attive e morali dell'uomo,
pubblicata nel 1828. In generale, le sue
opere non rivelano una grande profondità
di pensiero, anche se si distinguono
per uno stile particolarmente chiaro e
piacevole.
Tipico esponente della "Scuola del
senso comune", fondata da Thomas Reid e da
James Beattie nell'ambito della Philosophical
Society di Aberdeen, Stewart ha il merito
di porre in evidenza una difficoltà insita
nel pensiero degli scozzesi: l'assenza di
un criterio preciso, utile a definire e circoscrivere
quei "principi primi" che il
senso comune dovrebbe fondare. In genere, egli
tende anche ad evitare l'espressione
"senso comune", perché ritiene che
possa condurre ad un equivoco, ossia a
pensare che i problemi filosofici siano
risolvibili sulla base di giudizi
"popolari". Questo è il motivo per
cui preferisce parlare di "leggi fondamentali della credenza umana".
Stewart si preoccupa di stabilire le
condizioni principali e le verità fondamentali
che rendono possibili tutti i nostri
ragionamenti, e senza le quali l'uomo non
potrebbe svolgere alcuna inferenza. Esse sono
le nostre credenze nell'esistenza dell'io e
dell'identità personale, nella veridicità delle testimonianze
offerte dalla memoria, nella realtà del
mondo esterno e nell'uniformità e costanza
delle leggi di natura. A suo parere,
sia le vicende umane sia gli eventi
naturali sono caratterizzati da un ordine,
grazie al quale si possono fondare
regole di estrema utilità per mezzo
del principio dell'induzione. Infatti, come afferma nei
Lineamenti di filosofia morale, riprendendo
il problema delle regole alla base
dell'argomentare razionale,
"tutte le ricerche filosofiche, e tutte quelle conoscenze pratiche che orientano la nostra condotta nella vita presuppongono un ordine stabilito nella successione degli eventi. Altrimenti l'osservazione del passato sarebbe sterile, e noi non potremmo concludere nulla per il futuro".
Stewart afferma poi che conosciamo le
leggi di natura soltanto grazie
all'osservazione e all'esperienza. Il ruolo di
quest'ultima è particolarmente importante, perché
proprio in base ad essa sappiamo che
certi avvenimenti sono sempre associati, per cui,
se ne appare uno, inevitabilmente ci
aspettiamo anche l'altro. Tuttavia, la nostra
conoscenza non può procede oltre. Per Stewart,
noi non siamo in grado di scoprire le
cause essenziali dei fatti, ma conosciamo
soltanto questi e le leggi che li
collegano. Pertanto, il vero compito della
filosofia consiste nel riunire i fenomeni
sparsi, presenti nell'universo, e connetterli alle
loro leggi generali. Egli crede inoltre che
la filosofia debba configurarsi come una
disciplina autenticamente scientifica, del tutto libera
dalle speculazioni e dalle categorie della
metafisica.
La parte più originale dell'opera di
Stewart è considerata quella relativa all'analisi
delle nozioni comuni di "immaginazione"
e di "fantasia", di "bello" e
di "sublime". A tale proposito, egli
elabora una teoria, fondata
sull'ipotesi di un senso
comune della bellezza, che ha una
certa influenza sul pensiero estetico del
XIX secolo. Stewart manifesta poi un
sincero interesse per gli argomenti degli "ideologi"
francesi; eppure, nonostante questa sua simpatia,
s'impegna a difendere l'originalità
dell'empirismo tipico di Locke contro la
scuola sensistica di Condillac.