BREVE STORIA DELLA LOGICA
A cura di Luca Valzesi
|
Filosofia antica
Aristotele
Se si vogliono escludere le
problematiche dell'assurdo matematico della scuola Pitagorica e quelle
riguardanti il verbo essere messe in luce da Parmenide si può dire che la logica, intesa come lo
studio del ragionamento corretto, entra in auge nella storia del pensiero con
l'Organon di Aristotele, ovvero la raccolta di opere
del filosofo di Megara che dovevano fungere da
strumento per lo studio delle scienze.
Questa raccolta comprende:
Le Categorie: dove si tratta dell'organizzazione
dell'esistente.
De interpretatione: che consiste in riflessioni sulla
necessità e sul linguaggio.
Analitici Primi e Secondi: dove si discute della natura del
sillogismo e altri problemi di logica
Topici: metodi di argomentazione
utili nei dibattiti.
Confutazioni sofistiche: messa in discussione di argomentazioni mal costruite.
La logica di Aristotele
si presenta come una classificazione del reale in quanto essere, ogni ente
vanta un certo numero di proprietà e non ne possiede altre e ogni proprietà
riguarda un certo numero di enti e non altri e proprio da questa constatazione logico-ontologica
derivano le prime e più importanti leggi della logica Aristotelica:
PRINCIPIO D'IDENTITA': ogni cosa è se stessa e non è
nient'altro.
PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE: non è possibile dichiarare di uno
stesso soggetto un predicato e negarlo ovvero non posso dire
che “A è B” e “A è non B”.
PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO: tra due dichiarazioni
contraddittorie non esiste una terza possibilità ovvero una proposizione o è
vera o è falsa.
Grazie a queste leggi la logica
aristotelica ha tre saldi pilastri sopra i quali evolversi e dichiara la
propria natura ovvero quella di logica formale. La logica di Aristotele
infatti non riguarda i contenuti e non dichiara nessuna verità ma si limita e
congelare i contenuti nella certezza e a fornire criteri di verità durante uno
studio scientifico come in una dimostrazione.
La natura formale della logica di Aristotele si esprime al meglio proprio in quel tipo di
ragionamento intorno al quale il filosofo impegna maggior parte delle proprie
energie: il sillogismo.
Il sillogismo (sun-logos:
ragionamento concatenato) è un ragionamento che si dispiega tra
tre proposizioni: due premesse e una conclusione. Le due premesse si dividono
in una maggiore e una minore: la prima contiene il predicato della conclusione
e la seconda il soggetto e questi due si ritroveranno
a comporre la conclusione grazie ad un termine medio che funge da collante
logico.
I termini (soggetto-predicato-termine medio) si possono
combinare in modi diversi tra loro all'interno del sillogismo andando a formare
quattro diverse combinazioni chiamate figure:
I FIGURA |
II FIGURA |
III FIGURA |
IV FIGURA |
MP |
PM |
MP |
PM |
SM |
SM |
MS |
MS |
SP |
SP |
SP |
SP |
Di queste quattro figure in realtà
solo le prime tre compaiono negli Analitici di Aristotele
mentre la quarta combinazione si può aggiungere per completezza.
Ogni proposizione è composta quindi
da due termini e per questo motivo sono diverse le combinazioni che si posso
generare per comporre ogni frase; infatti ogni
proposizione apodittica può essere:
AFFERMATIVA
NEGATIVA
PARTICOLARE
UNIVERSALE
Dal quadrato qui sopra si leggono
facilmente tutti i rapporti logici che legano le diverse proposizioni. Si nota infatti che le proposizioni di tipo I (affermative
particolari) rispetto a quelle di tipo A (affermative universali) sono
subalterne (ovvero vere le prime se vere le seconde ma non necessariamente
viceversa) come quelle di tipo E (particolari negative) rispetto a quelle di
tipo O (universali negative).
Si legge poi che le
I e le O sono subcontrarie cioè possono essere
entrambe vere ma non entrambe false mentre
Perché la subalternazione
– ovvero la certezza logica che una proposizione universale vera implica la
verità della corrispondente particolare – si possa applicare con tranquillità
bisogna aggiungere un’ulteriore assioma detto “assioma
di Aristotele” secondo il quale per ogni predicato P esiste almeno un individuo
S che ne goda, ovvero non esistono termini vuoti. (Sul
modo in cui si vengano a formare le proposizioni nel modello aristotelico
tramite la deduzione e l’induzione e sul rapporto che nella sua filosofia
sussiste tra il particolare e l’universale rimando alla scheda riguardante il
sillogismo nella pagina dedicata ad Aristotele)
Riepilogando i diversi modi in cui
proposizioni e ragionamenti si possono combinare tra loro ci si accorge in
fretta che non sono pochi i tipi di sillogismo che si posso formare; abbiamo infatti quattro tipi diversi di espressione categorica
(A,E,I,O) per ogni proposizione e abbiamo tre proposizioni per ogni figura e
considerando che esistono in tutto quattro figure possibili ci si trova davanti
a 256 tipi diversi di sillogismo. In realtà però la maggior parte di queste
possibilità generano ragionamenti scorretti o
contraddittori lasciando che restino solo 19 sillogismi validi più altri cinque
che si posso ottenere per subalternazione.
I 19 sillogismi validi divisi secondo
le rispettive figure sono i seguenti:
I Figura: AAA, AII, EAE, EIO
II Figura: AEE, AOO, EAE, EIO
III: AAI, AII, EAO, EIO, IAI, OAO
IV: AAI, AEE, IAI, EAO, EIO
Al fine di ricordare facilmente
questi 19 sillogismi validi nel Medioevo venne ideata
una filastrocca all’interno della quale le prime vocali dei termini riportavano
l’ordine e la natura delle proposizione per ogni sillogismo valido per ogni
figura:
Barbara celarent darii ferio baralipton
Celantes dabitis fapesmo frisesomorum;
Cesare campestres festino baroco;
darapti
Felapton disamis datisi bocardo ferison
La scuola megarica e quella stoica
Come si è detto al principio la
logica di Aristotele è una logica che si riferisce
direttamente all'essere e che ne descrive le regole traducendone le forme di
esistenza in termini logici; per questo la logica di Aristotele è definita
anche formale o logica dei termini.
Con Eubulide
di Mileto (IV sec. a.C.), esponente di spicco
della scuola megarica, la logica acquista una forma
diversa è non si trova più ad essere una logica dei termini ma una logica dei
nessi e non occupa più solamente della forma ma anche dei contenuti.
Eubulide personalmente è passato alla storia
per il suo celebre paradosso del mentitore che dimostra la contraddizione
insita nell'affermazione “Io mento”, infatti se
mento dico la verità e se dico la verità mento: la contraddizione è inevitabile.
I successori megarici
di Eubulide si concentrarono
molto sulle verità delle proposizioni in base ai loro contenuti e ai loro
nessi, il primo da ricordare in questo senso è Diodoro Crono che arrivò alla
conclusione che una proposizione costruita secondo lo lo
schema “se...allora” è vera se e solo se data per vera la prima parte non
risulti falsa.
In questo senso anche la frase “Se la
terra vola allora la terra esiste” sarebbe vera poiché nonostante la premessa
falsa arriva ad una conclusione vera e sarebbe vera anche l'affermazione “Se la
terra vola allora la terra ha le ali” in quanto data una premessa falsa si ha
una conclusione falsa; di conseguenza l'unico modello valido di proposizione
falsa nella logica di Diodoro sarebbe “Se è giorno allora è notte”
poiché si parte da una verità per finire con una falsità.
Successore di Diodoro nella scuola megarica fu Filone di Megara che
riconobbe come errato il modello logico del
predecessore è ne propose uno dal funzionamento più prettamente matematico.
Filone infatti sosteneva che la proposizione “se p
allora q” è sempre vera meno che data la verifica della premessa non si abbia
un controesempio della veridicità della conseguenza.
Questa tradizione logica sviluppatasi
all'interno della scuola di Megara fu proseguita
dallo storico fondatore della scuola stoica Crisippo.
Lo studio da parte degli stoici dei
nessi tra le proposizioni portò allo coscienza della
necessità di attribuire ad ogni proposizione uno solo dei valori di verità
senza alcun genere di dubbio o eccezione e questa necessità fece nascere
all'interno nella filosofia stoica i cinque indimostrabili che, a partire dalla
verità dei nessi e dalla loro funzione nelle proposizioni costruisce uno schema
preciso di verità logiche applicando per la prima volta nel pensiero (anche se
in maniera basilare) i concetti di congiunzione e disgiunzione che verranno
trattati più avanti.
I cinque indimostrabili sono:
Se p allora q;
ma p; dunque q.
Se p allora q;
ma non q; dunque non p.
Non (p e q); ma
p; dunque non q.
O solo p o solo q;
ma p; dunque non q.
O solo p o solo q; ma non p; dunque q.
Tra la fine del
mondo antico e l'inizio del medioevo non sono ancora molti gli eventi da segnalare riguardo
la storia della logica. Sicuramente importante è la stesura da parte di Porfirio
dell'Isagoge, ovvero un'introduzione alle Categorie di Aristotele e nemmeno si
può trascurare la teoria dei sillogismi relazionali di Galeno (P=2Q, Q=2C,
P=4C). A parte questo si può dire che fino all'XI
secolo riguardo la storia della logica si assiste ad un periodo di immobilità.
Filosofia medievale
Nel primo medioevo il tema che maggiormente impegna i
pensatori intorno alla logica è il problema dello
stato ontologico dei generi e delle specie ovvero la questione degli universali.
Si vengono a costituire due fondamentali linee di pensiero a riguardo:
Linea nominalista: gli universali non sono altro che
flatus vocis e non corrispondo in nessun modo alla realtà (tesi fortemente propugnata da Roscellino
che fu costretto ad abiurare essendo questa sua dottrina in contraddizione con
il dogma cristiano della trinità).
Linea realista: la realtà nel suo grado più alto di
verità corrisponde proprio agli universali mentre i
singoli individui non sono alto che accidenti (tesi propugnata da Anselmo
d'Aosta).
Solo nel XII secolo si riscopre l'Organon
di Aristotele e Abelardo riesce a costruire una nuova
teoria degli universali ispirandosi alle tesi aristoteliche e proponendo una
soluzione secondo la quale essi consistono in immagini degli individui stampate
nella nostra mente e poi sbiadite.
Nel XIII secolo invece la logica
trova il proprio apogeo all'interno dell'epoca medievale e diventa materia
fondamentale all'interno delle università affiancata
da grammatica e retorica e proponendosi come studio approfondito della natura
dei termini e dei loro rapporti. Si viene a formare il concetto di
significazione grazie al quale si può dividere tra termini categorematici
(cioè significanti già di loro come i soggetti e i predicati) e sincategorematici (cioè termini che significano solo
se accompagnati da termini categorematici, ad esempio
le congiunzioni o gli avverbi); si vieni inoltre a formare una dottrina delle consequentiae distinte tra complete o incomplete di
premesse e quindi perfette o imperfette.
Inoltre nello stesso periodo si
vengono a formare tesi celebri per la storia della logica come l'ex falso sequitur quodlibet - ovvero
il teorema forse ideato da Duns Scoto
secondo il quale da un enunciato contraddittorio può seguire qualsiasi
enunciato – e anche la tesi della contrapposizione secondo la quale data la
consequenzialità di due proposizioni vere è anche vera la consequenzialità
delle stesse proposizioni false in ordine invertito ( Se A
allora B e quindi se non B allora non A).
Sempre nel XIII secolo nelle scuole
si assiste a vere e proprie battaglie combattute sul terreno logico e ci impegna anche nella soluzione di paradossi insolubili
come quello del mentitore arrivando a soluzioni che suonano molto simili a
disquisizioni intorno al linguaggio che ritroveremo solo nel '900.
Un ultimo elemento che non si può non
citare in questo breve riepilogo della storia della logica medievale
è la differenziazione che si viene a formare tra i concetti come necessità e
contingenza “de dicto” e “de re”. La prima riguarda
la necessità (o la contingenza) della correttezza di una proposizione come
nell'enunciato “necessariamente ogni individuo P della classe C gode dell'attributo A”; mentre la seconda riguarda la
necessità (o la contingenza) della correttezza di un enunciato intorno ad un
individuo specifico e alla sua natura al di là della coerenza logica come nella
frase “nella classe C l'individuo P necessariamente gode della proprietà P”.
Questo genere di problematiche accompagneranno la filosofia e la logica fino alla fine del
XIV secolo.
Filosofia moderna
Dal '400 al
'700
Tra il XV e
il XVI secolo si comincia a leggere Aristotele in lingua originale ma vengono
anche ampiamente considerati gli Elementi di Euclide e a questo panorama
bisogna aggiungere la comparsa dei primi teorici del metodo scientifico nonché
la nascita dell'algebra (per ora indipendente dalla logica). Tra i pensatori di
questo periodo uno più grandi contributi alla logica è
stato sicuramente quello di Pierre de
Nel XVII secolo invece, come è noto, in Europa la tendenza diventa quella di
allontanarsi da Aristotele e dalla filosofia scolastica e così la logica
formale sparisce davanti alle teorie dell'intuizione di Descartes
e della concordanza di Locke; in questi anni il
sillogismo come tutte le altre pratiche della logica scolastica appare come un
meccanismo utile solo a rallentare e confondere il naturale procedere
dell'intelletto di idea in idea dalle più chiare e distinte fino alle più
complesse.
La netta separazione dal modello
aristotelico permette anche a Francis Bacon
di proporre il suo celebre modello di logica induttiva che tramite la
distruzione di ogni preconcetto o elemento di disturbo
prevedeva la costruzione di tavole di presenza, assenza e gradi per tutte le
proprietà di ogni ente da verificarsi con esperimenti, diventando così uno dei
fondatori di quello che ancora oggi viene considerato il metodo scientifico.
Nella seconda meta del '600 la filosofia europea ma soprattuto
quella francese si concentra sull'arte
di ben condurre il ragionamento partendo dall'idea cartesiana di intuizione e
cercando di farla collimare con l'esigenza di ordine e coerenza che lo studio
del ragionamento ben condotto aveva richiesto fino a pochi decenni prima. Si
arriva così a costruire una vera e propria teoria delle operazioni mentali che,
se eseguite con metodo e ordine, portano alla
formazione di ragionamenti corretti; celebre in questo senso è la “Logique, ou l'art de penser” di Nicole e
Arnauld di Port-Royal.
Sulla scia dello studio dei
funzionamenti dei meccanismi mentali si colloca Hobbes
che ipotizzando la corrispondenza tra la manipolazione nel calcolo matematico e
i processi di pensiero “diede il la” per la teorizzazione dell' “ars combinatoria” che molto impegnò Gottfried Leibniz.
Il progetto di Leibniz
consisteva nella riduzione di tutti i concetti ad un pugno di concetti essenziali (come accade nei problemi geometrici)
che, una volta trasformati in simboli, portava con se delle verità se dalla
loro combinazione si otteneva un risultato coerente. In poche parole Leibniz fu uno dei primi a teorizzare la possibilità di
assimilare l'algebra alla logica (sulla scia di Aristotele,
Lullo e Hobbes)
trasformando ogni enunciato il una variabile e ogni legame logico ad un simbolo
operatore e trasformando nei fatti ogni ragionamento in un calcolo.
Nel '700 il
discorso della logica formale introdotto da Leibniz
fu portato avanti da molti pensatori e in particolare occorre ricordare gli
sforzi di Wolff nel sostenere la la collimazione tra matematica e logica e quelli di Lambert
e Ploucquet nella fondazione della pratica
della quantificazione del predicato.
Kant
A Immanuel Kant si deve invece una nuova divisione della logica in due
generi diversi.
Kant infatti da una parte mette la logica
generale: ovvero, come si è già visto in un modo o nell'altro fino ad ora, lo studio formale della conoscenza e, più in
generale, delle leggi del pensiero e dei rapporti tra le conoscenze private dei
contenuti.
Dall'altra parte Kant
posiziona invece
Seguendo il percorso calcato dal
filosofo tanto nella Critica della Ragion Pura quanto nella
sue lezioni si può partire dalla logica generale per scoprire la
necessità di una logica trascendentale; infatti alla base della logica
(ritornando all'Organon aristotelico) troviamo sempre
proposizioni all'interno delle quali lo schema è sempre fisso ovvero “SèP”. In poche parole quale che sia il percorso seguito da
una dimostrazione logica non si può fare a meno di quelli che nel linguaggio
kantiano sono sempre definiti giudizi.
Come si è potuto vedere nel quadrato
aristotelico i giudizi posso essere diversi per quantità
e qualità, differenze grazie alle quali si vengono poi a formare le varie
combinazioni possibili.
Nel modello kantiano lo schema si
mantiene simile e i suoi giudizi sono divisi non solo per quantità e qualità
ma, come è noto, anche per relazione e modalità. Si
viene così facilmente a costruire una tavola dei giudizi:
Quantità |
Qualità |
Relazione |
Modalità |
Universale |
Affermativi |
Categorici |
Problematici |
Particolare |
Negativi |
Ipotetici |
Assertori |
Singolare |
Infiniti |
Disgiuntivi |
Apodittici |
In questa tavola, parafrasando Kant, troviamo tutte le combinazioni possibili di tutte le
funzioni logiche di cui l'intelletto è capace; l'intelletto, quindi, classifica
le proprie rappresentazione in base a questi giudizi,
solo e solamente a questi.
Se è vero però che l'intelletto può
conoscere solo se classifica secondo questi criteri significa che la
classificazione stessa secondo questo schema diventa la condizione di esistenza della conoscenza e, se è vero che la tabella
precedente esaurisce l'insieme di tutte le funzioni logiche possibili,
significa che conterrà dentro di se anche l'insieme di tutte le funzioni
dell'intelletto e quindi di tutto il suo potere. Queste funzioni diventano
quindi le celebri categorie kantiane intorno alle quali si concentra tutto lo studio
che nella Critica della Ragion Pura prende il nome di Logica trascendentale, ovvero lo studio delle condizioni di possibilità della
conoscenza e dei meccanismi del loro funzionamento.
La tavole delle categorie si presenta così:
Quantità |
Qualità |
Relazione |
Modalità |
Unità |
Affermazione |
Inerenza-Sussistenza |
Possibilità-Impossibilita. |
Molteplicità |
Negazione |
Causalità-Dipendenza |
Esistenza-Non esistenza |
Totalità |
Limitazione |
Azione reciproca |
Necessità-Contingenza |
Ovviamente esaurire, anche solo in
senso accademico, l'argomento della Logica trascendentale richiederebbe una
lunga e impegnativa digressione, ma avendo questo scritto solo le pretese di
una breve storia della logica si conclude qui
l'argomento, utile quindi solo a sottolineare il ruolo giocato da filosofo di Königsberg nella
storia dello studio del ragionamento, e si procede con gli importanti esponenti
del pensiero logico.
Filosofia contemporanea
L' 800
Nella prima metà del
XIX secolo l'Inghilterra pensa sulla scia della sua tradizione empirista e il
più importante esponente di questa corrente è J.S.
Mill. Con Mill la
logica trova come proprio scopo quello di giustificare all'interno di ogni ragionamento scientifico il movimento induttivo
delle inferenze; in poche parole, con Mill, la logica
ha il compito di dare garanzia del corretto passaggio da una qualsivoglia
constatazione particolare alla sua generalizzazione.
È però con R. Whately
che la logica formale riscopre la sua natura deduttiva e questo ritorno si può
individuare come l'origine del pensiero logico inglese dell'Ottocento.
Fu proprio la lettura di Whately che spinse W. Hamilton a interessarsi alla
logica e fu proprio Hamilton a teorizzare in maniera
funzionante la quantificazione del predicato (che trova i suoi primi teorici
nella filosofia seicentesca). La quantificazione del predicato consente, in
poche parole, di trasformare ogni proposizione in un'equazione e di trasformare
in questo modo ogni ragionamento in un calcolo. In parallelo con gli studi di Hamilton si dispiegò anche il pensiero di
A. De Morgan che si dedicò ampiamente
allo studio del sillogismo ripresentandolo in simbologia matematica, ovvero
utilizzando X e x per descrive un concetto e il suo opposto. Sempre De Morgan fu autore di una celebre serie di leggi riguardanti
la congiunzione e le disgiunzione:
(Il simbolo - significa negazione mentre
^ sta per la congiunzione (“e”) mentre v significa disgiunzione (“o”).)
-(A^B)=
-Av-B
- (AvB)= - A^-B
Boole
G. Boole
all'inizio degli studi che lo portarono ad essere uno dei nomi più importanti
della storia della logica si interessava solo di
matematica e si impegnava a terminare la rivoluzione algebrica che si stava
compiendo in quegli anni. In seguito però questa stessa rivoluzione portò i
suoi teorici a eliminare dall'algebra i suoi
componenti numerici al fine di chiarirne le vere potenzialità.
Fu questa tendenza che portò Boole (sulla scia del pensiero filosofico del XVII secolo)
ad elaborare ed essere considerato il padre dell'algebra della logica.
All'inizio dei
proprio studi di questa materia Boole attribuì
al simbolo “x” il ruolo di un operatore che, all'interno di una certa quantità
di elementi, selezioni quelli che rispondo ad un certo attributo; in poche
parole l'espressione “xy” opera nel senso che seleziona
dagli elementi rispondenti alla “qualità y” quelli aventi anche la “qualità x”.
A questa primo
genere di
operazioni Boole riconobbe la proprietà commutativa e
la constatazione che ripetere una selezione non cambia nulla (xx=x).
Negli studi successivi attribuì al
nulla e all'infinito e simboli 0 e 1 e negò la possibilità di operare la
divisione algebrica in questo genere di operazioni;
infatti se si potesse dire che xy=zy equivale a x=z sarebbe come dire che se tutte le stelle che esplodono
sono stelle che nascono allora tutte le cose che esplodono sono cose che
nascono.
Boole trovò comunque
un modo di inserire un'operazione logica simile alle divisione ovvero che la
proposizione x=zy equivale all'espressione x/z=y; il significato
di questa operazione è il seguente: sostenere che “classe dei mammiferi
corrisponde a (=) l'insieme degli
individui aventi la caratteristica di allattare i cuccioli all'interno della
classe animale” equivale a dire che “Eliminando dai mammiferi la caratteristica
di allattare (/) ottengo la classe degli animali”.
Continuando a muoversi nella
simbologia algebrica di Boole si rende conto che
l'equazione x=xy equivale all'espressione “Tutti gli
X sono Y” infatti è come se si stesa dicendo: “La
classe degli uomini è uguale alla classe di tutti gli uomini all'interno delle
classe degli esseri mortali” ovvero: “Tutti gli uomini sono mortali”.
Al contrario se voglio dire in
linguaggio algebrico che “Nessun X appartiene a Y” dovrò dire
che xy=0 dove (come si è detto sopra) per 0 si intende il nulla; sarebbe
infatti come dire: “Gli individui immortali all'interno della classe degli
uomini corrisponde al nulla” ovvero: “Nessun uomo è immortale”.
In seguito Boole
introduce i simboli “v” e “w” con i quali intende l'appartenenza di almeno un
individuo con una certa qualità ad una certa classe.
In poche parole il nesso “vy” significa “uno o più
membri della classe Y” e permette la stesura di una formula per ognuna della quattro possibili proposizioni che erano state
individuate da Aristotele.
Quello che segue è lo schema di
corrispondenza tra lo schema aristotelico e quelli
algebrici proposti da Boole.
A |
Universale Affermativa (Tutti gli X sono Y) |
x=vy |
La classe degli elementi x è per
intero una parte degli elementi della classe y. |
E |
Universale Negativa (Nessun X è Y) |
x=(1-y) |
La classe degli elementi x è uguale
alla classe infinita
meno gli elementi y, è quindi uguale a tutto ciò che è non-y. |
I |
Particolare Affermativa (Alcuni X sono Y) |
vx=wy |
Una parte degli elementi con
caratteristiche x sono uguali (corrispondono) ad
alcuni elementi con caratteristica y. |
O |
Particolare negativa (Alcuni X non sono Y) |
vx=w(1-y) |
Una parte degli elementi con
caratteristiche x sono uguali (corrispondono) alla
classe infinita meno gli elementi y, è
quindi uguale a tutto ciò che è non-y. |
A |
Universale Affermativa (Tutti gli X sono Y) |
x(1-y)=0 |
Non esistono elementi con
caratteristiche x facenti parte della classe
infinita meno gli elementi y, e quindi uguale a tutto ciò che è non-y. |
E |
Universale Negativa (Nessun X è Y) |
xy=0 |
Non esistono elementi con
caratteristica x presenti anche nella classe degli
elementi con caratteristica y. |
I |
Particolare Affermativa (Alcuni X sono Y) |
xy=v |
Uno o più elementi (ma non tutti)
con caratteristica x fanno parte della classe degli individui con
caratteristica y. |
O |
Particolare negativa (Alcuni X non sono Y) |
x(1-y)=v |
Uno o più elementi (ma non tutti)
con caratteristica x fanno parte della classe infinita meno
gli elementi y, e quindi uguale a tutto ciò che è non-y. |
In un secondo momento Boole cambiò il significato di alcuni
simboli per teorizzare un nuovo sistema algebrico grazie al quale si potevano
calcolare ed esprimere facilmente anche i rapporti di congiunzione e
disgiunzione tra i vari enunciati; attribuendo infatti all'1 il significato di
“vero” e a 0 il significato di “falso” e dicendo di conseguenza (per il
principio di non contraddizione e per quello del terzo escluso) che ogni
variabile (x,y,z,ecc..) può assumere solo valore di 1 o di 0 si giunge alle
seguenti conclusioni:
xy=1 significa che entrambi gli enunciati
saranno veri (CONGIUNZIONE) (poiché se uno dei due fosse 0 – cioè falso – il
prodotto non potrebbe fare 1)
x+y=1 significa che uno dei due sarà vero
e l'altro falso (DISGIUNZIONE) (poiché se fossero entrambi veri o entrambi
falsi non potrei ottenere come risultato 1)
x(1-y)=0 significa che se è vera x
deve esserlo anche y (infatti posto il valore 1 per entrambe le incognite di
ottiene 0; e infatti risulta che (1-y) è falsa essendo y vera)
Molti furono poi i contributi, le
critiche e le correzioni che seguirono la scoperta da parte di Boole di questo metodo, sia riguardo la
simbologia che riguardo i rapporti logico-matematici.
Cantor
Georg Cantor fu
indubbiamente uno dei più importanti teorici della matematica del XIX secolo e le sue scoperte nel campo della teoria
degli insiemi e della natura dei numeri furono fondamentali per lo sviluppo di
numerosissime pratiche, non ultima, la logica.
Le più importanti scoperte di Cantor, sulle quali ci si soffermerà qui in maniera comunque superficiale, sono sicuramente quelle che rispondo
al nome di:
NUMERI TRANSFINITI
NUMERI ORDINALI
NUMERI CARDINALI
I numeri transfiniti
furono le strumento fondamentale tramite il quale Cantor cominciò la sua ricerca, in principio motivata dalla
necessità di trovare un senso preciso al concetto di infinito perché non
venisse più considerato un assurdo non calcolabile (come insegna la filosofia
aristotelica). In poche parole i numeri transfiniti
sono serie di numeri astratti concettualmente dai loro insiemi, ad
esempio prendendo l'insieme [6,7,8,9] e astraendone il numero “4” inteso come numero
degli elementi (cardinalità) o astraendone il
numero “2” come numero corrispondente alla posizione del numero “7” (ordinalità).
In seguito Cantor
prese in considerazione il concetto da lui scoperto di numero cardinale (numero
degli elementi di un insieme) e capì che il numero cardinale corrispondente
all'insieme dei numeri naturali era infinito e trovò quindi la prima cardinalità infinità cui diede il
nome aleph-zero.
Il simbolo di aleph-zero (prima lettera dell'alfabeto ebraico) è .
Una volta introdotto questo concetto Cantor l' accostò a quello dell'ordinale infinito (che
ovviamente si trova sempre prendendo in considerazione l'insieme di tutti i
numeri naturali). Viene da sé che il cardinale corrispondente all'insieme
all'interno del quale si trova l'ordinale infinito sarà ancora aleph-zero.
Chiamiamo la sequenza degli ordinali transfiniti ω che sarà quindi tale che:
ω:={0,1,2,3,...}
dove l'ordine è evidentemente (1<2<3<4<5...)
Sommando 1 a questo insieme
otterremo:
ω+1:={0,1,2,3,...,ω}
Saremo quindi davanti ad un ordinale
diverso (cioè davanti all'ordine:
1<2<3<4<5.....<ω) e come questo ne potremo costruire di
infiniti aggiungendo 2 poi 3 fino a n.
Sappiamo però che tutti questi
ordinali diversi tra loro avranno la stessa cardinalità
aleph-zero. Prendendo però ora in considerazione
l'insieme di tutti gli insiemi a cardinalità aleph-zero non potremo di nuovo
avere la stessa cardinalità e Cantor
riuscì a dimostrare che in effetti si tratta della cardinalità
subito successiva. Da questo consegue che si possono ipotizzare infinite serie
di cardinali.