TEODORICO DI FREIBERG







Teodorico di Freiberg (in latino Vriberg), domenicano, fu studente a Parigi nel triennio 1275-1277, poi maestro a Saint-Jacques dal 1293 al 1296. Morì poco dopo il capitolo di Piacenza, verso il 1310. Teodorico si inserisce nella cosiddetta tradizione albertina. Scritti logici: De origine praedicamentalium; De quidditate entium; De natura contrariorum; De magis set minus. Scritti fisici: De tempore; De elementis; De luce; De coloribus; De iride; De miscibilibus in mixto; De intelligentiis et motoribus coelorum; De corporibus coelestibus. Scritti psicologici e gnoseologici: De intellectu et intelligibili; De habitibus. Scritti di taglio metafisico: De esse et essentia; De accidentibus; De mensuris durationis rerum; Quod substantia spiritualis non sit composita ex materia et forma; De animatione coeli. Scritti teologici: Quaestio utrum in Deo sit aliqua vis superior intellectu; De cognizione entium separatorum; De subiecto theologiae; Quaestiones de theologia all’interno di Quaestiones de philosophia. In quello che possiamo ritenere il suo primo scritto, il De origine rerum praedicamentalium, risalente al 1284 circa, Teodorico discute il problema, per lui decisivo per la fondazione della sua filosofia, della struttura ontologica dell’esistente, quale si coglie nel campo della definizione. Per il domenicano è di fondamentale importanza indagare quale sia il nesso e il senso del rapporto che lega l’intelletto che definisce e l’ordine delle cose che sono conosciute. La convinzione di Teodorico è che, affinché sia garantita la possibilità della conoscenza, si debba verificare una delle seguenti condizioni: o il pensiero umano è definito dalle cose e dalla loro natura oppure queste ultime sono determinate dal punto di vista essenziale dall’intelletto. Nella quinta sezione del De origine Teodorico giunge a sostenere la seconda eventualità sopra esposta, sebbene limitatamente ad alcuni enti rispetto ai quali ha funzione di principio causale: l’oggetto dell’intelletto non è la cosa individuale in quanto tale, ma la quiddità, espressa dalla definizione e «causata» dall’intelletto secondo la ragione formale. La quiddità è da ritenersi distinta rispetto al phantasma, universale immaginativo, prodotto dalla facoltà dell’immaginazione per determinare universali facilmente esperibili nella realtà quotidiana. La ragione quidditativa della cosa ne è invece la definizione, che l’intelletto obiettiva in modo spontaneo. L’intelletto umano fornisce dunque le strutture quidditative per la definizione razionale del mondo: è possibile quindi affermare che è proprio l’intelletto che costruisce il mondo e che ne garantisce la conoscenza razionale e logicamente rigorosa. In tale modo, sotto il rispetto quidditativo, l’ontologia sembra coincidere con la gnoseologia: potremmo cioè dire, con una certa radicalità che viene fornita dall’originalissima speculazione di Teodorico intorno a questo punto e che non ha precedenti, che essere è uguale a essere conosciuto. Per questo motivo de Libera afferma che Teodorico è il padre della «metafisica dello Spirito». Per Teodorico, come si può desumere dal De visione beatifica, l’intelletto agente è mistico: non ammette cioè mediazione estrinseca con il proprio fondamento divino. Anzi con maggior forza il domenicano giunge ad affermare vigorosamente la perfetta coincidenza dell’intelletto agente, principio intrinseco di vita e principio causale dell’anima (De visione beatifica) con il principio divino. Il vero atto dell’intellezione è opera dell’intelletto agente e va al di là della facoltà immaginativa dell’uomo, che, come si è visto non procede oltre le intenzioni universali di senso ed uso comune. Ci troviamo dunque di fronte ad una conoscenza che è esclusivamente intuitiva e spontanea: non astrattiva o discorsiva. La dottrina dell’intelletto agente, che coincide in ultima istanza con l’abditum mentis di Agostino, il ricettacolo di tutte le verità eterne (rationes aeternae) è quindi legata alla dottrina dell’illuminazione del vescovo di Ippona ed ha il proprio naturale compimento nella dottrina della visione beatifica: la coincidenza dell’intelletto agente con il suo principio divino garantisce una beatitudine che si esplica nell’unione con Dio nell’ambito della contemplazione beatifica per essentiam; anzi Teodorico arriva addirittura ad affermare che l'intellectus in actu per essentiam, è l’esplicazione creativa e spontanea della totalità, la stessa che è già racchiusa negli intelletti in atto. Spostando quindi il problema della possibilità della conoscenza razionale universale a quello sommamente teologico della beatitudine nell’aldilà, Teodorico riesce ad investire l’essere umano di una nuova dignità e a spingere alle estreme conseguenze filosofiche la tematica dell’unione intellettuale dell’uomo con Dio. In questo modo spiega la creazione dell’uomo ad immagine di Dio dando un nuovo fondamento speculativo delle possibilità insite nella dottrina dell’imago Dei, «protagonista» delle riflessioni dei Cisterciensi. Si può parlare di una vera e propria scoperta della divinità e nobiltà dell’intelletto umano, imago dell’intelletto divino. Sotto questo particolare rispetto la riflessione del magister domenicano può essere accostata a quella di un suo illustre contemporaneo, Meister Eckhart, che indica nell’uomo nobile, vero nuovo fondamento antropologico dell’umanità, l’uomo del distacco, colui che si è appunto liberato da tutte le cose create e dai loro fantasmi, approdando in tal modo nella regione dell’intelletto eterno. Accanto all’attività di teologo Teodorico seppe sempre tenere viva la propria attività di uomo di scienza, scrivendo anche opere di fondamentale importanza, come il De iride et de radialibus impressionibus. Teodorico fornì una spiegazione scientifica valida del fenomeno dell’arcobaleno, che aveva già attirato l’attenzione di Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone e Witelo. Il domenicano tedesco riuscì effettivamente a spiegare che l’arcobaleno è il risultato della rifrazione della luce nel suo spettro di colori. Nonostante Teodorico non fosse un fisico sperimentale e non padroneggiasse le dimostrazioni scientifiche, la sua ricerca fu svolta con intenti scientifici, inserendosi pienamente nell’ambito della tradizione albertina.




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