TEODORO
A cura di Marco Machiorletti
Teodoro, vissuto a Cirene tra la seconda metà del IV secolo e la prima metà del III sec. a.C., aderì alla dottrina di Aristippo, apportandole tuttavia una serie di cambiamenti che ridussero all’osso il nucleo dottrinario aristippeo.
Egli pose il fine non nel piacere come tale, ma nella «gioia», cioè non nel piacere-sensazione (nel piacere del momento), bensì in uno stato d’animo, che non è possibile raggiungere senza la saggezza.
“Concepì come fine la gioia e la tristezza: l’una posta nella saggezza, l’altra nell’insensatezza. Beni sono la saggezza e la giustizia, mali i loro contrari”. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 11, 98)
Respinse come valori sia l’amicizia, sia il sacrificarsi per la patria, che erano stati invece accolti da Anniceride.
“Rifiutò anche l’amicizia come insussistente sia per gli insensati che per i saggi: per gli uni, infatti, una volta tolta di mezzo l’utilità, anche l’amicizia sfuma; i secondi poi sono sufficienti a se stessi e tali da non aver bisogno di amici. Diceva anche che è ragionevole che l’uomo di valore non si sacrifichi per la patria: poiché è sconsiderato gettare via la propria saggezza per l’utilità degli insensati. La patria è l’universo”. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 11, 98)
La concezione teodorea della patria ci permette di annoverarlo tra i filosofi cosmopoliti. Riferisce infatti Diogene Laerzio:
“La patria è l’universo”. (Vite dei filosofi, 11, 98)
La saggezza secondo Teodoro consiste nel rendersi conto che è lecito fare tutto ciò che si giudica utile e di cui si ha desiderio, senza tener conto delle leggi e delle convenzioni.
Fa così l’ingresso nel Cirenaismo l’anaideìa cinica:
“È lecito rubare, commettere adulterio e compiere sacrilegi, ma al momento opportuno: nessuna di queste cose è infatti turpe per natura, una volta che sia stata rimossa l’opinione che sussiste per accordo degli stolti. Apertamente il saggio farà uso delle cose da lui bramate senza alcuna esitazione”. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 1, 99)
Insieme all’anaideìa, Teodoro accolse anche la parresìa cinica, cioè l’assoluta libertà e franchezza nel parlare con chicchessia.
Riportiamo un episodio che vide coinvolti il nostro filosofo e il re Lisimaco:
“A Lisimaco che gli chiedeva: ‘non te ne andasti dalla tua patria spinto anche dall’invidia?’, rispose: ‘non dall’invidia, ma dai pregi della mia natura, ai quali la mia patria non faceva posto sufficiente’”.
Teodoro negò l’esistenza degli dei, confutando tutte le opinioni espresse dai Greci intorno a essi, e per questo fu soprannominato «l’ateo».
“Teodoro fu colui che distrusse ogni opinione sugli Dei”. (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, II, 97)
“Anche riguardo a questo problema la maggior parte degli uomini affermò l’esistenza degli dei, il che è massimamente conforme a verità e a ciò a cui noi tutti ci indirizziamo sotto la guida della natura. Protagora invece ne dubitò, li negarono del tutto Diagora di Melo e Teodoro di Cirene”. (Cicerone, De nat. deor., I, 1,2)
Secondo alcuni studiosi, Evemero sarebbe partito proprio dalle riflessioni teodoree per trasformare gli dei della mitologia greca in personaggi mitici divinizzati dalla credulità popolare e ciò farà sì che la sua tesi diverrà utilissimo strumento nelle mani dei teologi cristiani per contrapporre la «verità» del Dio della Bibbia alla «falsità» degli dei pagani.