THOMAS  BROWN

 

A cura di Gigliana Maestri e Diego Fusaro



 

 

Nato  a  Kirkmabreck  il 9 gennaio   1778, allievo  di  Dugald  Stewart, Thomas  Brown  insegna  filosofia  morale  all'Università  di  Edimburgo  dal  1810  al  1820, anno  della  sua  morte. Studia con dedizione anche legge e medicina. Insieme a Thomas Reid, ad Adam Ferguson e a Stewart, egli fu il massimo esponente di quell’indirizzo di pensiero noto come "Scuola scozzese". La  prima  opera di Brown  s'intitola  Osservazioni  sulla  Zoonomia  del  dr  Erasmus  Darwin e  risale  al  1798. Scrive  poi  le  Osservazioni  sulla  natura  e  la  tendenza  della  dottrina  del  signor  Hume  sulla  relazione  di  causa  ed  effetto, che  sono  riprese  nella  Ricerca  sulla  relazione  tra  causa  ed  effetto, apparsa  nel  1818; le  Lezioni  di  filosofia  dello  spirito  umano  vengono  pubblicate  nel  1820.
La  riflessione  di  Brown  si  configura  come  un'analisi  della  mente. Quest'ultima  è  una  sostanza  suscettibile  di  modificazioni  o  di  stati  che, succedendosi  l'uno  all'altro, danno  luogo  ai  fenomeni  del  "pensare"  e  del  "sentire". La  filosofia  della  mente  comprende  anche  l'esame  delle  dottrine  dell'etica  generale, delle  teorie  politiche  e  delle  dottrine  della  teologia  naturale. Per  quanto  riguarda  l'etica, essa  si  occupa, ad  esempio, dell'obbligo  che  spetta  all'uomo  di  aumentare  ed  estendere  la  felicità  degli  altri  esseri  viventi; le  dottrine  politiche, invece, costituiscono  il  mezzo  attraverso  il quale  perseguire  ed  attuare  questo  ideale  di  felicità. Infine, le  teorie  della  teologia  naturale  studiano  l'esistenza  e  gli  attributi  dell'Essere  Supremo, e  affermano  l'immortalità  della  nostra  anima.
Brown  affronta  anche  il  problema  della  conoscenza. Egli sostiene  che  essa  riguarda  esclusivamente  i  fenomeni e  non  le  essenze, che  non  siamo  in  grado  di  cogliere. A  tale  proposito, nelle  Lezioni  di  filosofia, scrive  che

 

"la  filosofia  della  materia  e  la  filosofia  della  mente  s'accordano  completamente  sotto  questo  rispetto: che  in  entrambe  egualmente  la  nostra  conoscenza  è  confinata  ai  fenomeni  che  essa  presenta... se  la  nostra  conoscenza  della  materia  è  soltanto  una  conoscenza  relativa, la  nostra  conoscenza  della  mente  è  parimenti  relativa".


In  ogni  caso, gli  uomini  hanno  bisogno  di  alcuni  princìpi  di  base  per  poter  attuare  i  loro  ragionamenti, ossia  necessitano  di  certe  verità  del  senso  comune  che  non  possano  essere  poste  in  dubbio: in  primo  luogo, la  credenza  nell'identità  personale, che  è  una  certezza  immediatamente  evidente, e  non  il  risultato  di  un  insieme  di  proposizioni; in  secondo  luogo, la  credenza  nell'esistenza  di  un   mondo  esterno, anche  questo  assolutamente  indubitabile. La  realtà  al  di  fuori  di  noi  esiste  indipendentemente  dalle  nostre  percezioni, anche  se  è  la  nostra  mente  ad  osservare  e  combinare  i  fenomeni.
Secondo  Brown, però, non  bisogna  moltiplicare  i  principi  della  credenza  intuitiva, come  invece  hanno  fatto  Thomas Reid  ed  altri  filosofi della Scuola scozzese, perché  così  si  rischia  di  frenare  l'impulso  alla  ricerca  filosofica, accontentandosi  troppo  presto  dei  risultati. Brown  ritiene  che, in  tutte  le  indagini  razionali, sia  necessario  attenersi  ai  fatti  ed  imparare  a  dubitare  nel  modo  adeguato. È sbagliato  assumere  un  atteggiamento  costantemente  scettico, ma  è  altrettanto  errato  essere  troppo  fiduciosi. Occorre invece assumere un atteggiamento che si collochi a metà strada tra questi due pericolosi estremismi: ed è esattamente il senso comune (richiamandosi al quale, Brown segnala la propria fedele appartenenza all'impostazione della Scuola scozzese) ad evitare le secche dello scetticismo e della fede arazionale. Scrive  il  filosofo:

 

"la  verità  è  l'ultimo  anello  di  una  lunga  catena, il  cui  primo  anello  la  natura  lo  ha  posto  nelle  nostre  mani. Se  noi  siamo  felicemente  giunti  all'ultimo  e  avvertiamo  completamente  che  non  vi  è  più  alcun  anello  ulteriore, sarebbe  evidentemente  assurdo  supporre  che  possiamo  procedere  oltre".


In  questo  modo, Brown  sostiene  che  non  bisogna  essere  precipitosi  ed  asserire  di  aver  raggiunto  "l'ultimo  anello  della  catena"  se  non  ne  siamo  realmente  sicuri, e  che  soprattutto  non  dobbiamo  mai  accontentarci  di  affermare  di  aver  compiuto  il  massimo  sforzo  consentito  ad  un  essere  umano.

 


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